Ricomincio da quattro
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Info su questo ebook
Mario Di Adamo nasce nella frazione Mortale nel comune di Casalattico, in provincia di Frosinone, da genitori provenienti dal comune di Colle San Magno. Ha sempre vissuto nel comune di nascita, dove ancora oggi risiede. Ha conseguito il diploma di geometra presso l’Istituto “Cesare Baronio” di Sora (FR). Attualmente, è in pensione dopo 42 anni e 10 mesi come dipendente del Comune di Casalattico, ove ha concluso la sua carriera come responsabile dell’Ufficio tecnico. Ha già pubblicato il libro :
Il mio nome è Mario ma mi chiamo Domenico.
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Anteprima del libro
Ricomincio da quattro - Adamo Di Mario
Mario Di Adamo
RICOMINCIO
DA QUATTRO
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-8173-6
I edizione settembre 2023
Finito di stampare nel mese di settembre 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Disegni e copertina di Attilia Borza
RICOMINCIO DA QUATTRO
A mia moglie Attilia
che con la sua gentile e discreta insistenza
mi ha indotto a cimentarmi e a completare il presente lavoro.
Senza di lei non ci sarei mai riuscito.
Ai miei amici per sempre Giuseppina e Benedetto.
«L’uomo è l’animale che più si adatta ad ogni situazione.»
Poche regole per leggere e comprendere più facilmente il dialetto
1 - La e non accentata
è sempre muta tranne la congiunzione.
2 - I vocaboli che hanno nel finale la – a, e, i – terminano tutti con la e muta.
3 - Gli aggettivi possessivi seguono sempre il sostantivo.
Esempio: La mia terra = la terra mea, la sua casa = la casa sea; quando si tratta di nomi di famiglia al singolare: madre, padre, fratello, zio, etc. si trasformano in te e ta
Esempi: tua madre = mamme-ta, tuo padre = padre-te, tuo fratello = frate-te, tua sorella = sorda-ta...
L’unica eccezione è per mia madre mamma oppure Mamma méa.
Al plurale invece: i tuoi fratelli = glie frate tiè, i vostri zii = glie zii vuóstre...
• mio, mia = méa; tuo, tua = tèa, suo, sua = sèa.
• nostro, nostra = nuóstre - nòstra, vostro, vostra = vuós-tre - vòstra, loro = sèa.
Articoli indeterminativi: un = ‘n, uno = ‘ne, una = ‘na.
Articoli determinativi: Il = glie, lo = le, la = la, i = glie, gli = gli, le = le
Pronomi personali:
Io = ie, tu = tu, egli, ella, esso, essa = isse - éssa, noi = nu’, voi = vu’, loro = lòre
Per una pronuncia esatta del vocabolo la consonante iniziale viene raddoppiata.
Esempio: più = cchiù, buono = bbuóne, Dio = Ddie etc.
La j a volte sostituisce la consonante iniziale c - g - v - d.
Esempio: vitello = jéncke, giumenta = jeménta, gioco = juòche, vado = vàjje.
Le parole tronche sono molto comuni:
- possono essere tronche all’inizio
esempio: uno = ‘ne
- possono essere tronche alla fine
esempio: vedere = vede’
- possono essere tronche all’inizio e alla fine.
esempio: uscire = ‘sci’ (da non confondersi con sci = si)
Il verbo avere è quasi sempre sostituito dal verbo essere se seguito da un participio passato. Esempio: io ho avuto = ie só avute, io ho cantato = ie só cantate etc.
Se seguito da un sostantivo, generalmente si usa il verbo tenere.
Esempio: io ho fame = me té fame, io ho freddo = me té frìdde etc.
Preposizioni proprie:
Le proposizioni proprie tendono ad allungarsi, per questo motivo sono state scisse.
Esempio: dello = de le, della = de la, in = ‘n, su = cima.
Esempio: in su = ‘n cima.
PÈPPINA, PÈPÈTTE, CASANOVA, ANTONIE
QUATTRO NOMI
QUATTRO AMICI
QUATTRO VIAGGI
QUATTRO RACCONTI
16 = 16
16 = 4 X 4 = 16
16 = 4 X 4 = 16
16 = 4 X 4 = 16
16 = 4 X 4 = 16
16 16
16 giugno, data di nascita di mio padre
16 novembre, data di nascita di mia madre
16 novembre, il primo giorno di lavoro
16 il mio numero in Collegio
Presentazione
Mi accingo di nuovo a presentare il secondo lavoro dell’ex collega comunale
nonché conterraneo ed amico Domenico.
Ho letto più di una volta quanto sottopostomi e non nascondo una certa difficoltà a cercare di sintetizzare e ad evidenziare ciò che, credo egli voglia far emergere da questi quattro racconti.
Ad una prima lettura piuttosto frettolosa e poco attenta l’impressione che potrebbe apparire è quella di piccole a volte curiose narrazioni di avvenimenti, sia personali che anche di gruppo, di alcuni giovinastri del paese in cerca di esperienze diverse e nuove rispetto al quotidiano e monotono vivere del piccolo paesello di provincia, ma non è solo ciò.
L’ambientazione ci riporta agli anni ‘70-80 ed inizio anni ‘90 dello scorso XX secolo. La nostra Italia all’epoca era in crescita, sia economica che sociale e culturale, le generazioni, le nostre, avevano degli obbiettivi da raggiungere, delle conquiste da fare, dei sogni da realizzare per cui bisognava impegnarsi, muoversi, confrontarsi, superarsi a tutti i livelli ed in tutti i campi.
Bisognava insomma creare una società nuova, diversa dalla precedente, risorgere dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, della quale ancora se ne risentivano gli strascichi, c’era la necessità di una società libera e democratica.
Ritorniamo ora al presente lavoro: nell’esposizione degli innumerevoli episodi di vita, sia dello stesso autore che di altri ragazzi suoi più o meno coetanei; le loro avventure e disavventure derivanti per lo più dalla non conoscenza dei modi di comportarsi in situazione e avvenimenti diversi e nuovi; ci fanno toccare quasi con mano il loro stato di inadeguatezza, di smarrimento e di impaccio. Compare, tuttavia in ognuno di loro la volontà di tentare, di andare oltre, di affrontare e superare una serie di problematiche, piccole e grandi, che si trovavano davanti nelle varie esperienze descritte.
L’autore sa rendere molto bene i limiti di quei giovani: qualcuno ha difficoltà di linguaggio, nel senso che non riesce proprio ad esprimersi e a comprendere correttamente la nostra lingua; qualche altro ha problemi di carattere economico ovvero mancanza proprio di denaro e così via.
Egli a momenti sembra divertirsi a caratterizzare quelle scene, a volte con ironia e ilarità, insistendo nei particolari più grotteschi e più buffi, rendendo in tal modo la lettura agevole ed anche più piacevole.
Siamo però ancora difronte alla reminiscenza ed alla messa a nudo delle molteplici problematiche della generazione del dopoguerra italiano.
In sintesi con uno sguardo d’insieme il lettore percepisce, tra un sorriso ed un cruccio, quale era lo stato precario ed il tangibile percorso che questi giovani hanno dovuto compiere per crescere in autonomia, per sentirsi più sicuri di sé, più aperti e spigliati, per rendersi pronti cioè per una società aperta e libera e alla cui realizzazione erano comunque chiamati a dare il loro fattivo contributo.
Silvana Mezza
PèPPINA
Il mare e Parigi
La cura di calcio, integrata con la vitamina D, olio di fegato di merluzzo, bevanda disgustosa, che seguivo da anni, stava dando i suoi risultati.
Il dottore era soddisfatto; suggeriva, però, a mia madre di portarmi al mare.
Sarebbe stata la migliore medicina per me.
Le possibilità economiche della mia famiglia erano quelle che erano, così mi dovevo arrangiare.
Nei mesi estivi mi mettevo al sole sul terrazzo di casa.
Il mare lo avevo visto solo una volta quando partecipai ad una gita al santuario della Madonna della Civita. In quell’occasione, non riuscii a coglierne tutta la bellezza poiché avevo avuto mal d’auto e mi ero sentito come uno straccio.
Fu mio zio Angelo a farmelo conoscere ed apprezzare.
Sapeva del mio problema, perciò, quando affittò, insieme al cognato, un appartamento in una nota località balneare, portò anche me.
Già la sera precedente la FIAT 600 fu caricata all’inverosimile.
Quello che non entrava nel cofano o sopra il porta bagagli fu messo dentro l’abitacolo.
Il mattino seguente, mia zia aveva preparato delle sfogliatelle per una festa di compleanno però gli interessati tardarono a ritirarle. Per questo motivo la partenza fu rimandata di qualche ora.
Io fui sistemato sul sedile posteriore, dove era rimasto lo spazio strettamente necessario.
Il resto era occupato da cuscini, lenzuola e coperte... con quel caldo!
Sui sedili anteriori c’erano: l’autista, ossia mio zio, e mia zia con in braccio mio cugino. Era il mese di luglio e faceva molto caldo.
L’inesperienza dell’autista – mio zio aveva preso la patente da poco ed in tarda età – rese il viaggio lungo e stancante.
Il caldo era opprimente; si sudava e meno male che non ebbi la nausea. Andare tutti i giorni a scuola con l’autobus aveva temprato il mio stomaco.
Il peggio avvenne quando eravamo prossimi alla destinazione.
Per raggiungere l’appartamento, dalla strada principale si doveva svoltare a sinistra per poi prendere una traversa laterale. Mio zio, invece di posizionarsi al centro della carreggiata, accostò a destra. Errore fatale poiché, oltre a dare la precedenza alle auto provenienti in senso contrario, doveva stare attento anche a quelle provenienti nel senso di marcia.
Per giunta, il carico stipato nell’abitacolo impediva la visuale dallo specchietto retrovisore – gli specchietti laterali non erano ancora in dotazione alle auto –.
Lo stallo durò molto tempo; il sole cocente aveva trasformato la Fiat 600 in una sauna. Soprattutto il lato dov’ero seduto, più esposto al sole. Il sudore grondava da tutte le parti. Mio cugino, poi, non smetteva di piangere.
Mia zia, sempre più preoccupata, improvvisamente aprì lo sportello. Scese dalla macchina, abbassò il sedile facendo scendere anche me e, rivolta a mio zio disse: «Noi andiamo a piedi – poi continuò – Mando a prenderti da mio fratello che ci aspetta all’appartamento».
Il fratello era agente di polizia e guidava la volante nel centro di Roma.
Attraversata la strada sulle strisce pedonali percorremmo la traversa laterale. Cento metri più avanti, girato l’angolo, giungemmo a destinazione.
Zia Maria informò dell’accaduto il fratello il quale, con passo spedito, andò a prestare soccorso. Dopo neanche dieci minuti la FIAT 600, guidata dal poliziotto, era parcheggiata davanti all’appartamento.
Fu un mese speciale. Non imparai a nuotare, ma mi innamorai del mare.
Purtroppo, l’esperienza non fu ripetuta ed io tornai a prendere il sole sul terrazzo di casa.
A poco più di un anno dal conseguimento del diploma fui assunto ed iniziai a lavorare. Avevo un posto fisso e la sicurezza di ricevere, il 27 di ogni mese, uno stipendio mensile di lire 93.500. Subito mi resi conto che, per diventare autonomo nel muovermi e svolgere al meglio le mie mansioni, era necessario acquistare una macchina. Con la certezza dell’entrata fissa potevo permettermelo. Prima, però, dovevo prendere la patente. Così per iscrivermi mi recai alla più vicina autoscuola, distante circa dieci chilometri. Per frequentare le lezioni di teoria approfittavo del passaggio