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Quasicristalli: L'avventura di una scoperta
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E-book262 pagine2 ore

Quasicristalli: L'avventura di una scoperta

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Un frammento di popular science che apre lo sguardo su una scoperta cruciale e straordinaria. Dalle parole del Premio Aspen, il racconto dell'intricato e affascinante percorso che lo ha portato a cercare quella prova sperimentale sull'esistenza dei quasicristalli che in natura sembrava impossibile scovare. Con tenacia e intuizione, Bindi e Steinhardt si sono impegnati in una spedizione che ha i connotati di un'avventura, ricca di fascino, incognite e difficoltà. Un viaggio fisico, umano e scientifico, che parte dall'Italia, attraversa gli Stati Uniti, arriva fino all'Estremo Oriente russo e strizza l'occhio allo spazio. Una ricerca intensa sui materiali proibiti e impossibili, che ha portato a una rivelazione che infrange dogmi e certezze consolidati in centinaia di anni. Una ricerca che tenta di rispondere a domande insidiose: il quasicristallo esiste? È scientificamente possibile? Si è formato sulla Terra o proviene dallo spazio?
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2021
ISBN9788892954069
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    Anteprima del libro

    Quasicristalli - Luca Bindi

    Comprendere la scienza che sa emozionare

    Quando in un celebre studio pubblicato su «Science» nel 1957 le antropologhe Margaret Mead e Rhoda Métraux chiesero a studenti delle superiori di descrivere una persona che si occupa di scienza ottennero un’immagine sostanzialmente positiva, ma molto limitata. Lo scienziato tipo infatti risultò essere un uomo di mezza età o anziano, vestito con un camice, localizzato in un laboratorio e circondato da oggetti come provette, alambicchi o macchinari dotati di quadranti luminosi.

    Nei molti decenni che sono seguiti a questo pionieristico studio, la questione del come viene immaginato uno scienziato al lavoro ha catalizzato sempre più interesse. Innumerevoli studi si sono focalizzati su bambini e ragazzi di ogni età, ai quali in tutto il mondo è stato chiesto di disegnare o descrivere chi fa ricerca.

    Negli anni i risultati sono un po’ cambiati e in particolare sono comparse più spesso figure femminili. Ma il signore in camice che si trova solitario in un ambiente sempre chiuso, circondato da vetreria o ingranaggi (e spesso con gli occhiali), è rimasto una figura di riferimento.

    Tutto questo mi è venuto in mente leggendo il libro di Luca Bindi, mentre mi entusiasmavo al racconto di una grande avventura intellettuale. Dalla scintilla iniziale che scocca con la lettura di un articolo su una rivista di fisica, dunque una disciplina diversa dalla geologia di cui si occupa l’autore, alla ricerca fra i «50.000 campioni presenti nelle collezioni mineralogiche del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze», alle discussioni esaltanti con i colleghi, ai lunghi viaggi per visitare laboratori lontani, agli esperimenti da concepire, alle frustrazioni, alla ricerca di fondi, alla spedizione nel cuore della Siberia. E poi il «frammento luccicante», la grande scoperta, le dispute scientifiche e i nuovi orizzonti che si aprono, perché ogni traguardo della conoscenza porta a nuove domande.

    Questo libro rappresenta un tassello fondamentale nella comprensione del modo in cui gli atomi possono organizzarsi per formare un solido. Qualcosa di estremamente importante sia per la conoscenza della natura che per lo sviluppo tecnologico, in parte ancora imprevedibile, di cui la scienza dei materiali è il presupposto.

    Eppure non è solo per il suo contenuto scientifico che questo saggio andrebbe letto, ma anche per il fatto di essere la preziosissima e dettagliata cronaca di una lunga e complessa attività di ricerca di alto profilo.

    E qui si torna al punto dal quale ho iniziato: la profonda mancanza di una comprensione diffusa su cosa sia realmente l’attività di chi si occupa di scienza e fino a che punto sia varia, testimoniata dalle immagini ancora troppo parziali che emergono dalle indagini dedicate. Perché è grave? Per diversi motivi. Intanto, la mancata conoscenza di ciò che fanno i ricercatori impedisce a bambini e ragazzi di immaginarsi nel loro ruolo, portandoli a volte a escludere quegli studi che per alcuni avrebbero potuto invece rappresentare una strada ideale. È una perdita individuale, ma a rimetterci è anche la società che ha bisogno di ricercatori entusiasti. Ma non è solo questo il problema e non riguarda esclusivamente i più giovani: non sapere come funziona la ricerca è un ostacolo nella relazione fra i cittadini e gli avanzamenti scientifici e tecnologici.

    La mancanza di fiducia nella scienza viene considerata la causa prima dell’avversione verso gli strumenti che da essa derivano, persino quando questi sono palesemente fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza. Questa mancanza di fiducia a sua volta viene volentieri fatta derivare dall’ignoranza, da qui l’illusione di poter convincere chi nega i risultati scientifici semplicemente spiegandoglieli. Anni di tentativi falliti hanno dimostrato che non basta. Intanto, fiducia e comprensione non sono necessariamente compagne: si può avere totale fiducia nel proprio medico senza capire assolutamente il perché di una prescrizione e, purtroppo, ci si può affidare del tutto a un mago indipendentemente dal fatto che per definizione non può motivare sensatamente le proprie azioni.

    Il punto è che la paura e l’avversione verso la scienza sono in buona parte irrazionali e non si superano solo con spiegazioni tecniche, così come per vincere la paura di volare non basta la spiegazione del teorema di Bernoulli unita alle statistiche sugli incidenti d’auto. Può essere però utile entrare nella cabina di comando e capire come opera il pilota. Allo stesso modo, sapere cosa avviene là dove si fa ricerca, quali motivazioni muovono gli scienziati, come si arriva a una scoperta, può essere un tassello importante nella costruzione della fiducia verso il loro lavoro: contribuisce a incrinare il sospetto verso ciò che avviene dietro porte che sono percepite come chiuse molto più di quanto non lo siano realmente.

    Per questo, fra le letture scientifiche, forse, nessuna possiede la chiave per aprire la mente unita alla capacità di emozionare come il racconto di una scoperta fatto dalla stessa voce del suo autore. Purtroppo racconti del genere sono abbastanza rari. Per fortuna, state per leggerne uno.

    Barbara Gallavotti

    Biologa, autrice, giornalista e divulgatrice scientifica

    La ricerca che vale il Premio Aspen

    I cristalli perfetti seguono leggi di simmetria dettate dalla matematica e conosciute da tempo. Recentemente, tuttavia, è stata identificata la possibilità di cristalli che seguono simmetrie proibite nella normale cristallografia.

    Strutture di questo tipo, con una simmetria pentagonale, erano state descritte dal fisico-matematico Roger Penrose nel 1974. Cristalli proibiti o aperiodici sono stati prodotti in laboratorio per la prima volta nel 1984 da Dan Shechtman del Technion Israel Institute of Technology, Premio Nobel per la chimica nel 2011.

    Se i cristalli aperiodici fossero strutture veramente stabili, si dovrebbero trovare anche in natura. Nel libro si racconta proprio la ricerca di un cristallo aperiodico naturale, iniziata da Luca Bindi scandagliando la collezione mineralogica del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze dove, nel 2009, aveva individuato un candidato di cristallo naturale aperiodico.

    Restavano tuttavia molti dubbi sull’effettiva origine naturale del campione trovato nel museo. Bindi allora inizia una fitta collaborazione con il professor Paul Steinhardt dell’Università di Princeton, autore di un articolo che lo aveva messo sulle tracce dei cristalli aperiodici.

    Insieme decidono di organizzare una ricerca sul campo che li porterà nella Siberia orientale, da dove sembrava provenire il minerale di Firenze, con lo scopo di trovare altri cristalli dello stesso tipo.

    È a questo punto che la ricerca diventa piuttosto una storia alla Indiana Jones, un’avventura nell’estremo est della Siberia sulla traccia di labili indizi, raccontata con brio dall’autore, con un finale a sorpresa su cui non dirò altro, per lasciare al lettore il piacere della scoperta.

    Sono venuto a conoscenza della storia quale membro della giuria del Premio Aspen, un premio destinato a riconoscere i risultati di ricerche svolte in collaborazione tra Italia e Stati Uniti.

    La ricerca ha ottenuto, con nostro grande entusiasmo, il Premio Aspen 2018.

    Sono molto contento che questa storia affascinante sia adesso raccontata con tutti i suoi dettagli in uno stile invitante e accessibile al grande pubblico.

    Luciano Maiani

    Professore emerito di fisica teorica presso la Sapienza – Università di Roma. Già presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e direttore dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) di Ginevra

    L'origine estrema dei quasicristalli

    L’avventura scientifica raccontata in modo così appassionante da Luca Bindi ha dello straordinario. Si tratta di scoprire un nuovo tipo di cristalli, i quasicristalli appunto, dalle caratteristiche quasi impossibili da realizzarsi in natura. Intanto le loro simmetrie, simili o addirittura uguali a quelle della mirabile tassellatura di Penrose, sono una proprietà peculiare e notevolissima dal punto di vista matematico e fisico.

    Poi c’è il problema della loro origine. Qui il quasi è un’anticipazione di un mistero, legato alla possibilità che la formazione dei quasicristalli non segua quella della normale geologia terrestre. Bindi ci tiene un po’ col fiato sospeso per portarci a scoprire che i quasicristalli hanno un’origine veramente speciale, potremmo dire estrema. Avevano ragione quindi gli esperti geologi che inizialmente avevano definito impossibile la formazione naturale dei quasicristalli. Uno dei partecipanti principali dell’avventura scientifica del libro di Bindi è infatti il geologo planetologo Glenn MacPherson. Dopo averne criticato a distanza alcune conclusioni iniziali, il geologo addirittura segue Bindi e il suo gruppo in un viaggio che li porta all’estremità della Siberia alla ricerca di frammenti simili al quasicristallo inizialmente identificato nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. MacPherson è un po’ il bastian contrario dell’operazione, mette a dura prova i nervi di Bindi e dei suoi amici più positivi. Alla fine ci è quasi simpatico nel suo persistente atteggiamento di scetticismo a ogni costo, che pure è una virtù importante del metodo scientifico.

    Si dovrà arrendere anche lui all’origine estrema dei quasicristalli che deve coinvolgere condizioni di pressione e temperatura elevatissime, simili a quelle poi dedotte anche per la trinitite (un po’ di suspense qui per la lettrice e il lettore che dovranno arrivare alla fine del libro per capire di cosa si tratta, e non son cose lievi…), impatti di asteroidi o meteoriti e fenomeni di shock molto intensi.

    Sappiamo molto poco riguardo ai processi di formazione dei quasicristalli, ma si è ormai capito che si tratta di invocare situazioni che coinvolgono concentrazioni di energia elevatissime quali solo collisioni di corpi celesti o forti shock idrodinamici (la trinitite…) possono produrre. Molto lavoro è ancora richiesto agli studiosi dei quasicristalli, e chissà quali deduzioni e scoperte terrestri e astrofisiche ci attendono dallo studio di questi materiali!

    Bindi ci racconta di una scienza allo stato puro: ricerca di minerali con simmetrie peculiari e misteriose, eccitazione per la scoperta iniziale e successive critiche anche feroci, riflessione e ponderazione, lavoro di collaborazione e nuovi dati, metodo rigoroso di dimostrazione, coraggio e persistenza nell’affrontare strade inesplorate, un pizzico di imponderabile.

    Il lavoro dello scienziato è costellato di questi episodi che costituiscono la trama nella quale si sviluppa praticamente ogni scoperta scientifica innovativa.

    Luca Bindi ci fa entrare direttamente in questo mondo e ci appassiona anche per la sua spontaneità oltre che per la sua perseveranza e bravura. Le lettrici e i lettori godranno della lettura di questo bel libro e lo berranno tutto d’un fiato.

    Marco Tavani

    Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei

    Uomo & scienza

    Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

    Dante, Divina Commedia

    Inferno, canto XXVI, versi 118-120

    L’idea di esplorare lo spazio e scoprire la Terra, da sempre, suscita curiosità e sete di conoscenza e risveglia un sentire atavico, legato alle origini del mondo, dell’umanità e della materia. Spazio e Terra sono intrecciati e non hanno confini netti, ma labili. La storia che si sta per raccontare nasce da queste consapevolezze e svela un frammento di popular science che volge lo sguardo su una scoperta cruciale e apre scenari incredibili per l’uomo e la scienza.

    Una scoperta che strutturalmente ha dimensioni infinitesimali, tuttavia è straordinaria, perché ha infranto dogmi e certezze, stravolto e ridefinito stabili verità scientifiche, create e consolidate nell’arco di centinaia di anni, e dimostrato l’impossibile.

    Si tratta di una strana storia, quella della scoperta dei materiali impossibili formatisi agli albori del sistema solare, e racconta proprio il secondo tipo di impossibile. Come uomini e come scienziati, infatti, si può comprendere facilmente cosa sia impossibile per tutti. Si tratta del primo tipo di impossibile, quello reale (l’uomo non può correre più veloce della luce). Il secondo tipo, invece, è quello che tutta la comunità ritiene e crede fermamente che sia impossibile, ma che poi, attraverso coincidenze, eventi, studi e ricerche, si dimostra possibile.

    Teatro della storia è il mondo della mineralogia. Gli attori sono uomini e scienziati che si muovono su un palcoscenico vasto, che intreccia Paesi lontani.

    La trama si sviluppa attorno all’oggetto della ricerca: i quasicristalli, i cristalli proibiti e impossibili, esattamente quell’elemento di contatto e collisione tra la Terra e lo spazio, che ne svela i confini mostrando sé stesso.

    Il viaggio che si sta per raccontare è fatto di curiosità, tenacia, intuizione e perseveranza, pieno di incognite, fascino, difficoltà e colpi di scena. Una storia che vede i protagonisti districarsi tra la precisione del laboratorio, con gli occhi fissi su osservazioni microscopiche, e l’azione sul campo, immersi con le mani nell’argilla o in fiumi ghiacciati.

    Un viaggio fisico, umano e scientifico, che parte dall’Italia, attraversa gli Stati Uniti, arriva fino all’Estremo Oriente russo e strizza l’occhio allo spazio. Si attraversano tre continenti, ma la differenza la fanno i micron.

    Una storia in cui emerge la forza del singolo, ma anche del gruppo e della comunità scientifica internazionale, sia in termini di confronto, condivisione e collaborazione, che in termini di scetticismo e contraddizione.

    Di fatto è un’avventura scientifica impregnata delle caratteristiche tipiche dell’animo umano, perché anche i confini tra uomo e scienziato sono labili e condividono straordinari elementi. Come la voglia e la curiosità di conoscere e scoprire sempre cose nuove, di andare oltre le proprie convinzioni e i propri limiti. Entrambi, l’uomo e lo scenziato, si distinguono per la capacità di vivere le emozioni che accompagnano e spesso guidano le azioni, con le proprie difficoltà e debolezze, ma anche con la passione e la forza per perseguire, raggiungere e costruire qualcosa di nuovo che affascina.

    Per questo è una storia di tutti e per tutti, non solo per gli scienziati, perché parla di ingegno umano e perché di fatto ogni scoperta, che sia naturale, scientifica, tecnologica o interiore è un piccolo tassello in più dell’uomo e appartiene al suo quotidiano.

    Bisogna solo raccontarla.

    Per iniziare | Dentro i cristalli (o quasi)

    La ricerca dei quasicristalli in natura è iniziata una quindicina di anni fa, ma probabilmente non sarebbe stata possibile se nel 1974 non ci fosse stata l’intuizione teorica di Roger Penrose e nel 1984 la prova sperimentale di Dan Shechtman.

    Ma perché usare l’avverbio quasi? Cosa significa?

    Se è quasi, allora non è?

    Non esattamente. Stavolta quasi non viene utilizzato in accezione negativa, in termini di incompletezza o imperfezione, ma viene usato per identificare una struttura diversa rispetto a quella standard dei cristalli, qualcosa di irregolare, proibito e impossibile.

    Per capirlo è necessario fare un passo più profondo, addentro la materia, che di fatto compone ogni cosa, osservare qualche disegno e qualche forma geometrica

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