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Elogio dell'induzione... e della magia
Elogio dell'induzione... e della magia
Elogio dell'induzione... e della magia
E-book158 pagine2 ore

Elogio dell'induzione... e della magia

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Info su questo ebook

La scienza moderna è in crisi, nonostante molti cerchino di nascondercelo e di nasconderselo. Lo dice il sottile malessere che serpeggia da anni fra gli uomini di scienza. Lo dice lo stridente contrasto fra le migliaia di lavori scientifici sfornati quotidianamente e le poche vere grandi scoperte degli ultimi anni. Lo dice la sfiducia crescente dei pazienti nei confronti della medicina ufficiale. E le teorie dei grandi filosofi della scienza, come Karl Popper, non riescono più a dare risposte soddisfacenti. Questo libro propone una tesi provocatoria: forse possiamo trovare le soluzioni ai problemi di oggi percorrendo un viaggio a ritroso nel tempo, alla riscoperta del pensiero dimenticato di quegli Uomini che, dal nulla, hanno costruito i pilastri su cui poggia la cultura scientifica moderna. Quegli Uomini puntarono su una grande risorsa che la scienza moderna ha sistematicamente ignorato: le proprie capacità intellettuali e umanistiche, studiandole e perfezionandole con percorsi della mente che questo libro si propone di riscoprire.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2013
ISBN9788827223918
Elogio dell'induzione... e della magia
Autore

Paolo Maggi

Laureato in Medicina e chirurgia, è specializzato in Microbiologia e Virologia, in Malattie infettive e in Farmacologia clinica. Lavora e insegna nella Clinica delle Malattie infettive del Policlinico di Bari. È autore di circa 300 pubblicazioni scientifiche. Studioso di metodo scientifico e di filosofia della medicina, è inoltre autore di un saggio dal titolo Le radici della scienza moderna. Ha scritto vari articoli su argomenti di filosofia della scienza su riviste specializzate.

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    Elogio dell'induzione... e della magia - Paolo Maggi

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    Elogio dell’Induzione...e della Magia

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    Paolo Maggi

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    Copyright

    Elogio dell’Induzione...e della Magia

    di Paolo Maggi

    ISBN 978-88-272-2391-8

    I edizione digitale

    © Copyright 2013 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

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    1. Candida conversazione tra due scienziati   in disaccordo tra loro su quasi tutto

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    La scena si svolge in una saletta riservata ai professori di una prestigiosa università americana. L’ambiente è molto elegante. Sulle pareti rivestite di pannelli di legno scuro campeggiano i ritratti di generazioni intere di docenti dell’ateneo. In grandi vetrine sono conservate coppe, targhe e altre onorificenze. Su ampi divani capitonné di cuoio rosso siedono il professor Atticus e il professor Benjamin. I due decani della facoltà chiacchierano sorseggiando il tè e attendendo l’ora delle lezioni dopo la pausa pranzo. Il clima è molto rilassato e la digestione a una certa età è sempre piuttosto difficile.

    Atticus: Caro mio! Dove è finito l’antico prestigio della nostra università? In che mani è la nostra tradizione scientifica?.

    Benjamin: Certo che....

    Atticus: Sai cosa ti dico? Queste nuove generazioni non sanno più dov’è di casa la vera ricerca scientifica!.

    Benjamin: Beh, in effetti....

    Atticus: E vuoi sapere perché? Perché questi ragazzi non coltivano il METODO!.

    Benjamin (come svegliandosi improvvisamente da un sonno): Scusa, ma cosa intendi dire?.

    Atticus (concitato): Il metodo, Benjamin. Il rigoroso metodo scientifico! Quello che ci hanno insegnato i filosofi della scienza come Karl Popper... la falsificabilità delle teorie... non so se mi spiego... Sai, io sono un popperiano convinto.

    Benjamin: Certo, lo studio della filosofia della scienza, Popper sono cose importanti, e nelle nostre facoltà scientifiche si studiano poco o niente... anche se io veramente non sarei completamente d’accordo con tutto quello che dice il tuo Popper. Ma comunque, a essere del tutto sincero, non mi pare che Popper dia tutte queste indicazioni su come un ricercatore debba procedere nella sua attività di indagine. Anzi, caro Atticus, vuoi veramente sapere come la penso? Beh, io non credo proprio che ci sia stato mai un solo uomo, filosofo o scienziato, che sia riuscito a indicare un ‘metodo’ preciso e uguale per tutti. A me sembra che tutta la storia del pensiero scientifico dimostri che un metodo non esiste. E mi pare di ricordare che proprio il tuo Popper lasci grande spazio alla fantasia.

    Atticus (facendo un leggero saltello sul divano): Ecco! Fantasia! Hai detto la parola magica! Oggi si lavora troppo di fantasia. Si è perso il rigore! La razionalità! L’irrazionale, le emozioni, il sentimento devono essere lasciati fuori dal ragionamento scientifico. Oggi nel mondo della scienza passeggia di tutto: artisti, scienziati, musicisti, persino religiosi! La scienza deve procedere per tappe logiche rigorose, certe e progressive. Mi spiego?.

    Benjamin: Ti spieghi benissimo. Ma non credo che le cose stiano così. D’altronde è stato proprio il tuo Popper a dire che ‘I grandi progressi sono ancora dovuti a chi coltiva una gamma di interessi ampia’. E poi, se la nostra mente è costituita da una sfera razionale e una fantastica ed emotiva, perché vuoi limitare lo scienziato a utilizzare metà del suo cervello? La mente non è fatta solo di razionalità. La fantasia, le emozioni possono dare nuova energia al pensiero scientifico.

    Atticus: "Ma no! Ma no! Lo scienziato è oggettivo, è distaccato dal mondo. È un osservatore assolutamente neutrale dei fenomeni. Dovrebbe essere, come dice Jaques Monod, quasi un elemento alieno. L’antico atteggiamento animistico che ha caratterizzato i rapporti tra uomo e natura non giova alla scienza. Va abbandonato!

    Insomma, mio caro Ben, rigore nel metodo di indagine, oggettività nell’osservazione, razionalità assoluta nel ragionamento. Questi sono i tre segreti del vero uomo di scienza!".

    Benjamin: Amico mio, tu parli di una cosa che non è mai esistita: il metodo scientifico. Di un’altra che, se utilizzata da sola, serve a poco o a nulla: la razionalità. E infine, per parlare del tuo terzo punto, a dirtela tutta, non credo proprio che abbia un senso la tua tanto celebrata oggettività dello scienziato.

    Atticus (sconvolto): Ma... Benjamin, non starai scherzando?.

    Benjamin: Niente affatto mio caro.

    SIPARIO

    2. L’induzione e tanti aneddoti

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    Quando nasce il pensiero scientifico? Attenzione, questa domanda nasconde un trabocchetto. Non sto chiedendo quando nasce la scienza, ma la teorizzazione di come un uomo di scienza deve pensare per potersi definire ufficialmente tale. La scienza precede di molto la nascita del pensiero scientifico: l’antichità è piena di scoperte anche geniali in molti campi della scienza e della tecnica. I Babilonesi e gli Egizi, ma anche i Cinesi, gli Aztechi e i Maya possedevano un bagaglio di conoscenze di matematica, di astronomia, di anatomia e di medicina nient’affatto disprezzabile, ma esse nascevano in altri contesti di pensiero. E ne parleremo in seguito.

    È la Grecia che inventa il pensiero scientifico per come noi modernamente lo intendiamo. E lo inventa nel momento in cui, per la prima volta, chiede un perché a tutto quello che l’uomo osserva. Non si accontenta più del mito, della leggenda, dell’opera di un dio per spiegare quello che accade attorno a lui e dentro di lui. Di ogni cosa vuole comprendere la causa. Una cosa non è vera se non ha una causa plausibile. Ma non esiste mai una sola causa per un fenomeno: se la mia mano si muove è perché i muscoli si contraggono, se i muscoli si contraggono è perché i nervi lo comandano, se i nervi mandano questo segnale è perché lo dice il cervello... e così via. Dunque l’invenzione del pensiero scientifico corrisponde a quella del ragionamento logico: siamo nell’universo del logos greco. Certo, il limite del ragionamento logico è che non può andare all’infinito, bisognerà fermarsi a un certo punto, a un assioma indimostrabile. Nel caso dell’esempio (banale) che ho fatto, il mio ragionamento logico si potrebbe bloccare alla domanda: da dove nasce la scelta del mio cervello di far compiere una certa azione alla mia mano? Potrei dire la mia volontà, ma chi me lo garantisce? A questo genere di domande risponde Aristotele, il padre del razionalismo greco. Se il ragionamento scientifico consiste in una concatenazione di proposizioni, è chiaro che esso sarà corretto solo se le premesse saranno vere. Ma come si fa quando si arriva all’inevitabile premessa indimostrata e indimostrabile? Aristotele risponde: le premesse alla radice di un ragionamento logico devono essere evidenti, cioè devono apparire vere di per sé alla nostra intuizione. Dunque, alla base del ragionamento logico aristotelico devono esserci principi necessari, universali e auto-evidenti, che egli chiamerà assiomi.

    Il razionalismo aristotelico ha due evidenti limiti: il primo è il fatto che esso è tutto giocato sul ragionamento astratto e concede pochissimo spazio all’osservazione diretta dei fenomeni naturali. Il secondo limite è che i suoi pilastri, gli assiomi, sono arbitrari e dogmatici. Insomma, è l’universo dell’ipse dixit, un modello assolutamente vincente nei secoli per alcune scienze, come la matematica e l’astronomia (che è, in realtà, un grande campo di applicazione della geometria euclidea). Lo è stato assai meno per la fisica, ma soprattutto per le scienze naturali e per la medicina che non possono partire da assiomi indimostrabili, da verità assolute, ma richiedono un costante contatto con la realtà, richiedono in altre parole un approccio empirico. E, in verità, come vedremo oltre, le scienze naturali e la medicina nasceranno a seguito di una ribellione al razionalismo aristotelico. Questa ribellione si concretizzerà in due forme diverse: con la presenza di una scienza alternativa rispetto a quella aristotelica che serpeggerà per tutta l’antichità e il Medioevo e, successivamente, con un ripensamento globale del pensiero scientifico, che inizierà nel Rinascimento, fondato sulla diffusione di un pensiero naturalistico basato sull’osservazione della natura e sul metodo induttivo.

    Il metodo logico che noi attualmente utilizziamo nella scienza è il frutto di un’evoluzione che origina, nonostante i loro limiti, da queste idee di Aristotele, partorite duemilaquattrocento anni fa, e che si sviluppa in una serie di progressive modifiche che, come vedremo tra poco, sono per la maggior parte varianti successive sul tema. Aristotele disegna il ragionamento logico che abbiamo appena visto, secondo due principi-guida fondamentali: l’induttivo e il deduttivo. Il primo parte da singole osservazioni e, sulla base di queste, costruisce leggi generali. Il secondo segue il processo inverso, cioè riconduce le osservazioni empiriche a leggi generali. Questi due figli del pensiero di Aristotele – l’induzione e la deduzione – all’inizio della loro vita non hanno avuto destini uguali. Il loro padre prediligeva di gran lunga la deduzione: essa nasce dall’individuazione di un assioma necessario e auto-evidente e non ha bisogno di spiegazioni. E Aristotele amava gli assiomi per la loro universalità; li considerava la parte più nobile del ragionamento scientifico e su di essi costruiva il suo edificio del sapere. L’esempio è dei più classici: se tutti gli uomini sono animali e gli animali sono mortali, ne deriverà che gli uomini sono mortali. L’induzione, invece, richiede la preventiva osservazione dei fenomeni, e non può mai aspirare all’universalità della scienza, perché si riferisce a eventi contingenti. Facciamo un altro esempio. Se io osservo che l’uomo, il cavallo e il mulo sono animali longevi e, successivamente, mi rendo conto che in tutti e tre i casi si tratta di esseri viventi senza fiele, posso concludere che gli animali senza fiele siano longevi. Come vedete, in entrambi i casi la chiave di volta dei due ragionamenti di Aristotele è l’affermazione intermedia: scovando la cerniera tra due termini, cioè quello che lui chiama il termine medio, si costruiscono i due tipi di ragionamenti anche se il termine medio della deduzione è un concetto filosofico tanto caro ad Aristotele (gli animali sono mortali), mentre l’osservazione che gli esseri che studio sono senza fiele è un banale dato di fatto.

    Qualcuno potrebbe osservare che, all’atto pratico, deduzione e induzione possono andar bene entrambe perché sono utilizzabili alternativamente: la prima prevede già il possesso di un principio generale, che va verificato, convalidato, smentito o modificato; la seconda parte dall’osservazione dei fenomeni e, da essa, costruisce principi generali. Spiegate così le cose, i due principi sembrano, in effetti, due facce della stessa medaglia. In realtà le differenze tra loro sono radicali. Infatti, a dispetto di quanto pensava Aristotele, se il principio logico-deduttivo è un sistema di verifica di un’ipotesi già esistente, l’induttivo è un sistema che prevede la costruzione ex novo dell’ipotesi. Dunque è un meccanismo creativo che prevede un tipo di ragionamento assai diverso e nient’affatto banale: l’intuizione delle leggi che regolano i fenomeni. L’induzione-intuizione richiede dunque qualità assai diverse dalla deduzione: richiede la capacità di bucare l’apparenza, di districarsi nel mondo dei fenomeni che ci appare inevitabilmente complesso, contraddittorio e frammentario. Per la verità, il pensiero scientifico non ha mai seriamente considerato l’aspetto creativo dell’induzione. Semmai, come vedremo ancor

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