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Una scienza con l’anima
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E-book262 pagine3 ore

Una scienza con l’anima

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Scienza o incoscienza? Per potere apprezzare la bellezza e la potenza della scienza, è necessario conoscerne il funzionamento e i limiti. Da qui muove questa riflessione critica che, partendo dalla sua nascita nell’humus alchemico e metafisico fino alla sua piena affermazione nella modernità, aiuta a comprendere il ruolo che la società ha conferito oggi alla scienza, spesso con una sopravvalutazione del suo potere conoscitivo che a volte sfocia in un delirio di onnipotenza. L’opera, rivolta a tutti, accompagna il lettore attraverso un’analisi critica del metodo scientifico, definendone limiti di validità e applicabilità. Attraverso un’esposizione vivace, a volte paradossale e provocatoria, si vogliono stimolare domande e riflessioni ed evidenziare, dall’interno, distorsioni e contraddizioni nel mondo della scienza e sfatare pregiudizi che aleggiano su di essa. Per quanto meravigliosa sia, la scienza è uno degli strumenti conoscitivi della realtà e non “una visione del mondo”. È auspicabile quindi una prospettiva più ampia che restituisca cittadinanza all’inconoscibile, al mistero, allo scientificamente-altro. È un contributo a un dibattito che deve riguardare tutti e che non può essere demandato solo agli specialisti.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788864589473
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    Una scienza con l’anima - Danilo Pacella

    9788864581361-g.jpg

    Francesco Cirincione

    Una scienza con l’anima

    Copyright © 2020 Tangram Edizioni Scientifiche

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizioni-tangram.it

    info@edizioni-tangram.it

    Prima edizione: aprile 2020

    ISBN 978-88-6458-136-1 (Print)

    ISBN 978-88-6458-947-3 (ePub)

    ISBN 978-88-6458-948-0 (mobi)

    In copertina: Seamless pattern colorato con strisce grunge e cerchi, 123rf.com

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    IL LIBRO

    Scienza o incoscienza? Per potere apprezzare la bellezza e la potenza della scienza, è necessario conoscerne il funzionamento e i limiti. Da qui muove questa riflessione critica che, partendo dalla sua nascita nell’humus alchemico e metafisico fino alla sua piena affermazione nella modernità, aiuta a comprendere il ruolo che la società ha conferito oggi alla scienza, spesso con una sopravvalutazione del suo potere conoscitivo che a volte sfocia in un delirio di onnipotenza. L’opera, rivolta a tutti, accompagna il lettore attraverso un’analisi critica del metodo scientifico, definendone limiti di validità e applicabilità. Attraverso un’esposizione vivace, a volte paradossale e provocatoria, si vogliono stimolare domande e riflessioni ed evidenziare, dall’interno, distorsioni e contraddizioni nel mondo della scienza e sfatare pregiudizi che aleggiano su di essa. Per quanto meravigliosa sia, la scienza è uno degli strumenti conoscitivi della realtà e non una visione del mondo. È auspicabile quindi una prospettiva più ampia che restituisca cittadinanza all’inconoscibile, al mistero, allo scientificamente-altro. È un contributo a un dibattito che deve riguardare tutti e che non può essere demandato solo agli specialisti.

    L’AUTORE

    Danilo Pacella è nato a Roma nel 1961, dove si è laureato in fisica nel 1987. Svolge da trent’anni attività di ricerca presso l’ENEA di Frascati nel campo della fisica del plasma, della fusione nucleare e delle tecniche diagnostiche in raggi X. Ha trascorso circa 10 anni all’estero lavorando presso Università e Laboratori in varie parti del mondo, soprattutto Stati Uniti (Princeton, JHU, Livermore), Inghilterra (UKAEA, Oxford), Francia (CEA, Cadarache), Germania (Max Plack Institute, Monaco) e Corea del Sud (KAIST, Daejeon). Si è sempre interessato all’attività di divulgazione, formazione e didattica e da alcuni anni collabora con l’associazione pedagogica steineriana Janua. Si interessa anche di psicologia ed è Counselor professionale di formazione umanistico-esistenziale ASPIC e Mediatore Familiare AEMEF.

    Una scienza con l’anima

    Introduzione

    Premessa

    In cinque o sei cervelli comincia forse oggi ad albeggiare il pensiero che anche la fisica sia soltanto una interpretazione del mondo e un ordine imposto a esso (secondo il nostro modo di vedere – con licenza parlando) e non una spiegazione del mondo: ma in quanto la fisica si fonda sulla fede nei sensi, essa vale come qualcosa di più e a lungo andare deve acquistare ancora maggiore valore, cioè deve valere come spiegazione.

    Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male

    La motivazione di questo lavoro è una riflessione critica su come la scienza venga oggi percepita e considerata dalla nostra società, sulle speranze che la nostra cultura proietta sul sapere scientifico. Riteniamo utile un’analisi di questo fenomeno perché, a nostro modesto parere, si sta progressivamente perdendo consapevolezza dei limiti di validità e applicabilità delle teorie scientifiche, con una conseguente sopravvalutazione delle capacità conoscitive della scienza. Si sta operando anche una estrapolazione impropria delle discipline scientifiche a domini di pertinenza della riflessione filosofica. La scienza si sta configurando sempre più come produttrice di valori o come luogo privilegiato di risoluzione delle contraddizioni non risolte dell’uomo moderno, in un gigantesco meccanismo di rimozione psicologica.

    Queste brevi riflessioni si sviluppano su due piani che si intersecano: l’uno della produzione delle teorie scientifiche e l’altro del rapporto dialogico tra il mondo della scienza e la società contemporanea. Lo scienziato non vive isolato dal contesto socioculturale, al contrario è fortemente legato a quest’ultimo da una relazione di reciprocità. I risultati delle ricerche scientifiche sono rapidamente divulgati e fatti propri dalla società, grazie anche alle loro implicazioni tecnologiche, spesso con notevole superficialità e in assenza di spirito critico. L’interazione è però mutua: la società infatti stimola e indirizza, con i suoi bisogni e le sue aspettative, le linee di ricerca. Poiché il nostro obiettivo non è l’indagine sociologica del rapporto scienziato-società, bensì il ragionare sulle distorsioni e sulle ipertrofie valoriali da cui è affetta la scienza odierna, assumeremo il sistema scienza-società come un unicum in equilibrio, e lo scienziato come coerente espressione della moderna cultura occidentale, nel quale è pienamente inserito e dalla quale riceve stimolo e indirizzo strategico. Esiste poi una parte della produzione scientifica che esula da questo rapporto organico con la società, ed è una attività estremamente specialistica, spesso di matrice teorica, che non evade i ristretti ambiti accademici, che non influenza in modo significativo ancora il comune modo di pensare e che pertanto non prenderemo in considerazione.

    Da quanto detto risulta chiaro come in seguito, nel discutere il ruolo della scienza nella nostra cultura, ci riferiremo spesso a scienza e società come un unicum, talvolta personificandolo per maggiore efficacia descrittiva.

    Scienza o incoscienza?

    La scienza ha subito una lunga evoluzione nel corso dei secoli. È difficile parlare in senso generico di scienza, perché tantissime sono ora le discipline che possono essere annoverate nella grande famiglia della scienza. Ciononostante il motivo di interesse per questa riflessione consiste nel denominatore comune rappresentato dall’approccio metodologico e dalla deriva, che sempre più accompagna le moderne conquiste della scienza, verso una sopravvalutazione della capacità conoscitiva, che a volte degenera in delirio di onnipotenza. Come molte delle avventure umane, il progresso scientifico presenta luci e ombre. In questa grande epopea, la fisica ha rappresentato il pioniere che apre nuove frontiere. È grazie ad essa che il metodo scientifico trova la sua prima definizione. È il laboratorio concettuale dove, a partire dal XVII secolo, si teorizza e si applica la metodologia. È il luogo privilegiato dove questo nuovo modo di guardare il mondo, di descriverlo e interpretarlo, vede per la prima volta la luce. L’efficacia si rivela inimmaginabile. È una sorta di eden della ragione. I fenomeni che via via si riescono a descrivere con matematiche dimostrazioni e sensate esperienze, come ebbe a definirle il padre del metodo scientifico Galileo Galilei, rappresentano una matrimonio felice e prolifico tra il bisogno di razionalità dell’uomo e il mondo che lo circonda. Quest’ultimo si spoglia del mistero, del mito che lo ha avvolto per millenni. È come il dissolversi improvviso di una nebbia che nel corso del tempo aveva alimentato paure, angosce, crisi dell’uomo che si sentiva in balia di un mondo e di una realtà imperscrutabili. L’archetipo e la magia avevano rappresentato per millenni gli unici canali di comunicazione fra l’uomo e il mondo esterno, l’unico linguaggio possibile, l’unico cordone ombelicale, di cui anche la scienza antica era intrisa. Il grande sviluppo culturale che si ebbe nel medioevo in Europa, che possiamo per semplicità indicare con il periodo della Scolastica dal XI al XIV secolo, aveva posto le basi culturali per l’emancipazione dal mito. Tuttavia la scienza più propriamente detta si era fossilizzata ormai da moltissimi secoli in una forma rigida, dogmatica, costruita intorno al paradigma aristotelico. Soprattutto non era in grado di produrre nuova conoscenza. Se la produzione del pensiero durante il periodo della Scolastica era stata assai vasta, con una grande varietà di posizioni filosofiche, di personalità di grande livello e con vivaci dibattiti culturali, non altrettanto si può dire della scienza. L’affermarsi del metodo scientifico prende proprio le mosse da questo stallo e completa il processo iniziato con l’Umanesimo e con il Rinascimento. Ma gli effetti sono dirompenti, il successo totale. Si sperimenta un’assonanza inimmaginabile, quasi una consustanzialità tra l’intelletto dell’Uomo e la realtà materiale. L’apoteosi di tale processo sono le leggi della gravitazione universale. Addirittura il luogo principe del mistero, della sconfinata grandezza, della insondabilità da vertigine, l’universo stesso, viene ricondotto a un familiare gioco meccanico. La sede dell’infinità imperscrutabile viene addomesticata, spiegata, analizzata, scomposta. E tutto si spiega a partire da una semplice legge di attrazione fra due corpi. Fantastico! È il tripudio della scienza, è un poderoso e formidabile trampolino di lancio che porterà l’Uomo a scoprire sempre più le regole che sottendono il funzionamento della realtà che lo circonda, con il fine ultimo di utilizzare tale conoscenza a suo vantaggio. Nei due secoli successivi si assiste a una sinergia tra il progresso scientifico e quello tecnologico. Le scoperte dell’uno stimolano i progressi dell’altro. Si assiste alla nascita di molte discipline, dalla chimica alla biologia, alle scienze naturali. La rivoluzione culturale e il progresso tecnologico culmineranno, nel XIX secolo, in un nuovo modo di relazionarsi con il mondo esterno: il positivismo. La parabola è completata; il mito, la magia, la sacralità dei processi naturali sono definitivamente tramontati, come pure le visioni olistiche della natura. Il processo di ricerca dell’Arké, della sostanza primigenia, una o più, come per i pluralisti, era iniziata nell’antica Grecia. Questo paradigma, i quattro elementi fondamentali, aria, acqua, terra, fuoco per esempio, ha costituito il fondamento della scienza antica, ed è durato per quasi duemila anni. Quella fisica era costruita su chiari presupposti metafisici. I quattro elementi ad esempio non indicavano semplicemente gli elementi rintracciabili in natura, bensì rappresentavano delle qualità, delle polarità, delle entità metafisiche appunto, che trascendevano quindi la realtà fisica, degli archetipi. Al di là della molteplicità e mutabilità del mondo, che sempre ha affascinato e sgomentato gli esseri umani, si volevano scorgere alcune componenti fondamentali. Ma queste spiegazioni dell’universo non erano sufficienti a rassicurare l’uomo, che ha sempre continuato a sentirsene sovrastato, non riuscendo a comprenderlo e controllarlo. La visione filosofica del cosmo era per i sapienti, l’uomo comune non conosceva né scienza, né filosofia, né logos, bensì archetipi. Il mito e il sacro erano ciò che costituiva la trama nascosta dietro al mondo fenomenologico, agli eventi, al farsi della storia. Tutto ciò che legava in modo profondo l’Uomo alla natura è definitivamente archiviato, superato dall’affermazione della rivoluzione scientifica. Essa ha fatto piazza pulita di tutto questo armamentario mitologico, sacrale, così come di una veteroscienza che in realtà altro non era se non metafisica. La nuova visione scientifica del mondo, che si è definitivamente liberata delle pastoie metafisiche, ha permesso all’uomo di svelare gli arcani segreti della natura e quindi introdurre un cambiamento epocale dell’umanità, quello di controllare la natura e piegarla ai suoi voleri, realizzando la sua prometeica pulsione all’onnipotenza.

    Ma siamo proprio sicuri che le cose siano andate davvero così? Che il passaggio tra mondo prescientifico e moderno si sia svolto come lo si racconta oggi? Che questa partita tra metafisica e fisica sia stata definitivamente vinta dalla seconda?

    O forse le cose sono andate un po’ diversamente? Non potrebbe essere che questa storia sia stata scritta, come spesso avviene, soltanto dai vincitori? E che il discorso oggi sia soltanto nascosto, sotto soglia, ma non concluso?

    Su questi interrogativi vorremmo dunque sviluppare le nostre riflessioni.

    La deriva della scienza

    Il dibattito sulla scienza e sui suoi limiti si sta facendo sempre più serrato. Evitiamo però di confondere la scienza con le sue derivazioni tecnologiche, così come analogamente accade con la cultura e le mode comportamentali. Focalizziamo l’attenzione quindi sull’evoluzione del pensiero scientifico e di quello filosofico negli ultimi cinque secoli, dalla nascita cioè del metodo scientifico ai giorni nostri. Se anticipassimo la conclusione, diremmo che la scienza oggi ha smarrito la sua via, ma non per sua responsabilità, o almeno non solo. In altri termini, si è disgregato totalmente il substrato filosofico nel quale il metodo scientifico si è dapprima affermato e successivamente sviluppato e maturato, fino a esprimere tutte le sue capacità. Questo è il primo punto nodale: la validità della scienza può essere discussa solo tenendo in considerazione il contesto storico e culturale in cui essa matura. Partiamo pertanto dalla sua genesi. La scienza si è delineata sullo sfondo della filosofia e in particolare della metafisica, ed ha potuto dispiegare tutta la sua potenzialità proprio grazie al contrasto dialettico, alla relazione, sia stata essa armonica o dissonante, contraddittoria o complementare, con la metafisica. Possiamo azzardare che la scienza si è affermata proprio grazie alla metafisica. Successivamente l’evoluzione scientifica da un lato e quella filosofica e culturale dall’altro, hanno stravolto completamente la dialettica iniziale, fino al completo dissolvimento della metafisica nella cultura dominante del mondo moderno. Alla scienza è venuto quindi a mancare il suo complemento, il suo alter ego, che dava senso e limitazione al suo agire, in un mutuo alternarsi di controllore e controllato, di benefico antagonismo. Alla tesi è venuta a mancare l’antitesi, per usare il linguaggio hegeliano. La scienza si è ritrovata sola in un deserto lunare concettuale, dove sostanza, essenza, noumeno, inconoscibilità, come esempi di categorie filosofiche, e finalità, mistero, mito come concetti antropologico-culturali, sono scomparsi dal nostro moderno lessico. Tutto ciò ha causato una crescita smisurata dell’approccio scientista, come una mongolfiera che aumenti improvvisamente di volume in seguito alla diminuzione della pressione esterna. Per capire questo punto è necessario partire dalla genesi del metodo scientifico, analizzare come l’altra faccia della luna, la metafisica, si sia consumata nel tritacarne culturale del XX secolo e come attualmente la scienza si assuma, paradossalmente, l’onere di colmare il vuoto lasciato dalla metafisica e dalla filosofia. Questa è la radice dell’odierna crisi della scienza. Nata nel Rinascimento per limitare lo strapotere deformante di una metafisica ormai asfittica, al suo moderno dissolversi ne ha preso il posto, tradendo i suoi presupposti e le sue finalità. Come il terrore giacobino che subentra alla portata innovatrice dei valori della rivoluzione francese, o le collettivizzazioni forzate staliniane al nuovo umanesimo socialista; come l’istanza rivoluzionaria che invece di superare il vecchio sistema degenera nella semplice sostituzione alla gestione del potere, con nuove forme di sfruttamento e prevaricazione, così, di pari passo con la supersonica accelerazione del progresso scientifico e dei suoi derivati, si è osservata una progressiva atrofizzazione di tutto ciò che possiamo chiamare lo scientificamente altro: dalla metafisica, al senso del mistero, del sacro, dell’inconoscibile e impenetrabile. Si è così definitivamente archiviato l’ente in sé, la sostanza, certamente ineffabile, ma pur sempre parzialmente intuibile, se non altro attraverso analogie, rappresentazioni, estrapolazioni, astrazioni. Il successo della scienza e l’innegabile progresso, non solo tecnologico, ma anche evolutivo, culturale, antropologico, debbono essere compresi attraverso la dialettica tra il metodo scientifico e il suo humus metafisico: l’uno senza l’altro perdono di senso. Il dominio assoluto e incontrastato dell’uno è ben noto, avendo condizionato la cultura e il sapere dell’uomo per millenni, lo strapotere dell’altro è invece materia dell’oggi, e di esso non si conoscono né sviluppi né conseguenze. Il metodo scientifico si è affermato secoli or sono contro un sapere pseudo-scientifico approssimativo, qualitativo, fossilizzato per secoli sul paradigma aristotelico, incapace di dotarsi di solidi fondamenti gnoseologici, liberandosi della pretesa di cogliere l’ente in sé e affrancandosi da una millenaria subalternità alla metafisica. La pretesa della vecchia pseudoscienza di mantenere una visione olistica, coniugata con una spiccata propensione alla deduzione da principi primi esterni al sistema, ne avevano minato le fondamenta e mostrato tutti i limiti. La rivoluzione culturale, che ha portato invece all’affermazione del metodo scientifico, si è posta in totale discontinuità con il passato. La cultura scientifica emergente ha ingaggiato una lotta senza quartiere, strappando ogni lembo di terra, lottando per ogni metro di terreno, con un nemico che la circondava. È da qui che si deve partire per capire la carica innovatrice e positiva della scienza e la sua odierna crisi. Nei secoli in cui è venuto elaborandosi il metodo scientifico, la cultura occidentale era ancora intrisa di mistero, di magia, di metafisica, di sistemi epistemologici onnicomprensivi quale quello tomista, e di superstizione nella sua componente meno evoluta e più popolare. Il metodo scientifico conquista progressivamente terreno proprio in questi territori, dove comunque l’incognito, il non ancora scoperto con i nuovi strumenti, poggia su solide basi filosofiche, come il concetto di sostanza, di idea, di ente. L’oggetto, o il fenomeno da esplorare, hanno una loro realtà, una loro essenza, e una forte caratterizzazione ontologica, sia essa isolata o facente parte di un insieme più vasto, di tipo filosofico o magico-sacrale. Tutto ciò comunque suscitava nell’uomo rispetto, prudenza, timore, spesso paura nei confronti del fenomeno da studiare. Anche i padri della scienza hanno condiviso questi atteggiamenti e provato queste emozioni. L’intera parabola del pensiero occidentale in questi ultimi cinque secoli, attraverso tutte le sue fasi, dal razionalismo all’illuminismo, dal positivismo all’idealismo, fino alle rivoluzioni sociali, culturali e filosofiche del Novecento, ha portato al dissolvimento della metafisica del non noto. Ora non è rimasto nulla se non la scienza, il suo bagaglio di conoscenze che si è moltiplicato in modo esplosivo e nulla più. L’ignoto è ora semplicemente un non ancora noto. Il mistero come insondabilità, come vertigine nell’affacciarsi allo strapiombo del fenomeno che si vorrebbe conoscere, è stato totalmente bandito… È un atteggiamento che il moderno scienziato non deve assolutamente mostrare. Ci troviamo di fronte a una moderna caccia alle streghe, condotta attraverso i mass-media e divulgazioni scientifiche di bassa qualità. Il non ancora scoperto, il non ancora noto, non ha più valore ontologico, indipendentemente dal fatto che possa o no essere colto dall’uomo. L’inconoscibilità di un fenomeno è stata bandita dal nostro orizzonte culturale. Non sfiora nemmeno l’idea, ai giorni nostri, che ciò che la scienza rivela

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