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Bologna nessun dolore: L'ottava indagine dell'investigatore Trebbi
Bologna nessun dolore: L'ottava indagine dell'investigatore Trebbi
Bologna nessun dolore: L'ottava indagine dell'investigatore Trebbi
E-book283 pagine3 ore

Bologna nessun dolore: L'ottava indagine dell'investigatore Trebbi

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Info su questo ebook

Oscar Aldrovandi è un giovane affetto da analgesia congenita, che comporta la totale assenza di qualsiasi tipo di sensazione dolorosa. Vive con la madre vedova e conduce un’esistenza tranquilla; commesso in un negozio della grande distribuzione, ama il suo lavoro, i videogame e segretamente Elena, collega della panetteria. Oscar vive nel ricordo del padre, che lo aiutava nella difficile integrazione con il tessuto sociale circostante. Tutto procede nella consueta routine quando accade qualcosa di inaspettato, due balordi cercano di sottrargli una miniatura per lui preziosa, pezzo unico della sua collezione. Oscar reagisce per paura e disperazione e da quel momento la sua vita cambia, proiettandolo in un delirio inarrestabile. Mentre Oscar si muove in una Bologna marginale come in un videogame, il commissario Guerra cerca di capire chi ha ucciso due giovani di una banda locale e chiede aiuto a Trebbi che faticherà non poco a scoprire chi sta inconsapevolmente innescando una pericolosa guerra fra bande rivali nella periferia bolognese.

Massimo Fagnoni classe 1959, bolognese, laureato in Filosofia, ha lavorato a lungo nei servizi sociali e psichiatrici della sua città. Dal 2002 fa parte della Polizia Locale di Bologna. Dalla collaborazione con le forze dell’ordine è nato il desiderio di narrare storie noir. È autore di Bologna all’Inferno, 2010, Giraldi editore; La ragazza del fiume 2010, 0111 edizioni; Belva di città, 2010 Eclissi Editrice, primo romanzo della serie del maresciallo Greco che nel 2011, ha vinto il primo premio al concorso letterario “Lomellina in giallo”; Cielo d’agosto, 2012 Eclissi Editrice, secondo romanzo della serie del maresciallo Greco; Solitario bolognese, 2013, Giraldi editore; Lupi neri su Bologna, 2013, Minerva Edizioni; Il silenzio della bassa, 2014, Fratelli Frilli Editori; Vuoti a perdere, 2015 Eclissi Editrice; Bologna non c’è più, 2015, Fratelli Frilli Editori, primo premio al concorso letterario “I Sapori del giallo, poliziotti che scrivono”; Bolognesi per caso, racconti, 2016, Giraldi Editore; Il giallo di Caserme Rosse, 2016, Fratelli Frilli Editori; Il ghiaccio e la memoria, 2017, Minerva Edizioni; Il bibliotecario di via Gorki, 2017, Fratelli Frilli Editori; La consistenza del sangue, 2018, Giraldi editore; Ombre cinesi su Bologna, 2018 Fratelli Frilli Editori; La confraternita dei Sikuri, 2019, Fratelli Frilli Editori; Burnout, 2019, Minerva Edizioni; Nelle viscere di Bologna 2020, Fratelli Frilli Editori; Tutti giù per terra, 2021, Minerva Edizioni.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2022
ISBN9788869435980
Bologna nessun dolore: L'ottava indagine dell'investigatore Trebbi

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    Anteprima del libro

    Bologna nessun dolore - Massimo Fagnoni

    Uno

    1.

    Vigilia di Natale 1995. Pronto Soccorso del Sant’Orsola.

    Il corridoio era lungo, non si vedeva la fine, le luci al neon, fredde, tagliavano gli spazi, entrando negli occhi stanchi e arrossati dei tanti che quella sera avrebbero dovuto trascorrere la notte più lieta dell’anno nel posto peggiore, il pronto soccorso di un ospedale.

    Nonostante i tanti presenti un silenzio sinistro dominava su tutto, chi parlava lo faceva sottovoce come si usa in chiesa, o nei luoghi di rispetto, quelli nei quali non si sa mai come andrà a finire.

    I parenti o amici di persone in attesa di essere visitate si riconoscevano perché erano i più provati, alcuni dormivano in piedi appoggiati ai muri giallognoli, altri seduti a terra sul linoleum grigiastro, senza preoccuparsi della propria immagine.

    Ci sono momenti nella vita di ognuno nei quali si perde la consueta maschera di solidità, ci si mostra al mondo nella vera natura, non c’è nulla di più sincero e onesto del dolore e della preoccupazione per perdere ogni inibizione e lasciare posto a gesti essenziali.

    Ogni tanto, da uno dei diversi ambulatori dislocati lungo il corridoio, usciva veloce un infermiere per dirigersi quasi di corsa verso un altro ambulatorio, alla fine di ogni visita finalmente compariva il malcapitato di turno o sopra una lettiga per essere portato a un ulteriore esame o accertamento o reparto, o sulle sue gambe dopo essere stato visitato, ricucito, medicato.

    Gaspare Aldrovandi era rimasto fuori dall’ambulatorio, gli avevano detto che bastava sua moglie per assistere Oscar, suo figlio, che gli avrebbero riferito, che doveva stare tranquillo e pensare positivo.

    Gli stava girando in testa la canzone di Jovanotti, Penso positivo e non ne voleva sapere di scomparire.

    Io penso positivo perché son vivo e finché son vivo, io credo che fra il male e il bene è più forte il bene, bene bene.

    A Gaspare piaceva Jovanotti, più giovane di lui di qualche anno con quell’energia davvero contagiosa e una sorta di ottimismo intrinseco, la positività, ma Jovanotti probabilmente non aveva un figlio come Oscar, quasi sicuramente non aveva un figlio, e ripensandoci concluse che nemmeno lui lo voleva un figlio, era stata lei a decidere per tutti e due, Milva, e lui per amore di Milva Malavasi aveva abboccato, ecco quella era la parola corretta, abboccato come un pesce all’amo, perché sette anni prima lui non aveva nemmeno idea delle responsabilità, solo le temeva, ma pensava anche che era normale a quasi trent’anni costruirsi una famiglia con la donna più bella del mondo.

    Milva aveva allora venticinque anni, i capelli lunghi, castano chiari, l’aveva conosciuta in sezione, circolo Calari, due giovani comunisti negli anni Ottanta, lui lavorava come autista per l’azienda tramviaria bolognese, lei era un assistente di base in ospedale, e anche per questo avevano fatto entrare solo Milva, lei era abituata al sangue e alle situazioni difficili, le vedeva tutti i giorni, la conoscevano bene, una bellezza inarrivabile, un ovale perfetto con quel viso da guerriera, gli occhi scuri da pellerossa, gambe lunghe e seno scolpito, Gaspare era gelosissimo ma cercava sempre di nascondere le sue paure, pur sapendo che in ospedale c’era poco da stare tranquilli, ma lui lo sapeva che lei era fedele. Io penso positivo e prometto di non bestemmiare più ragionava Gaspare talmente forte da temere di essere sentito dagli altri sfortunati che come lui avrebbero trascorso la vigilia di Natale in ospedale. Verso mezzanotte, durante la annuale nascita di nostro signore, uscì dall’ambulatorio Milva, gli occhi arrossati di pianto, il viso in fiamme come accadeva quando per qualsiasi motivo qualcosa le smuoveva emozioni, dietro un giovane medico con un sorriso idiota sulle labbra e gli occhi puntati sul sedere di sua moglie; Gaspare realizzò per l’ennesima volta che gli uomini, qualsiasi ruolo rivestano e in qualunque situazione siano, hanno sempre e comunque una sola idea fissa in testa.

    Milva lo abbracciò bagnandogli il viso.

    «Ha perso l’alluce» mormorò fra le lacrime.

    Il medico gli appoggiò una mano sulla spalla.

    «Lo ricoveriamo e lo monitoriamo, ha perso un po’ di sangue, abbiamo ricucito e suturato, ma l’alluce non si poteva salvare, lo schiacciamento l’ha danneggiato irreparabilmente».

    Gaspare sentì improvvisa la stanchezza nelle spalle magre e si sedette sulla panchina dietro di lui, subito a fianco Milva gli appoggiò il viso sulla spalla, il medico si chinò davanti a lui, questa volta il sorriso era di pura solidarietà.

    «Il problema vero è che Oscar non ha pianto, non ha urlato, è rimasto muto, gli occhi sbarrati, per un attimo ho anche pensato che fosse lo shock, a volte il cervello reagisce in maniera inaspettata davanti al dolore fisico o emotivo, chiude i circuiti, per preservarci, per aiutarci, ma nel caso di Oscar… ne ho parlato con Milva, io lo farei vedere da un neurologo perché qualcosa non mi torna nella sua reazione».

    Gaspare si aspettava di tutto da quel giovane medico, ma non capiva le parole che stava pronunciando, cosa significava, che cosa c’entrava il neurologo?

    «A vostra memoria vi ricordate di averlo mai visto piangere per un qualsiasi incidente, che ne so una caduta, uno dei tanti accadimenti nella vita di un bambino, sbattere da qualche parte … cose così».

    Gaspare e Milva si guardarono come se cercassero l’uno nell’altra ricordi, momenti, immagini, suoni e nei lunghi istanti che seguirono si resero conto entrambi che Oscar non piangeva, non piangeva mai, solo quando molto piccolo reclamava il seno materno perché aveva fame, ma era tempo che non lo sentivano frignare, sapevano entrambi che Oscar era particolare, stava per iniziare le scuole elementari, alla scuola materna era il cucciolo da proteggere, il bimbo buono sempre per i fatti suoi, parlava poco, socializzava poco, ma gli altri bambini lo rispettavano, una sorta di timore, diceva la maestra, qualcosa negli occhi profondi ereditati dalla madre, occhi che facevano paura agli altri bambini.

    2.

    Oggi, più o meno

    Devo crescere di stamina, e di vigore, e di forza e di vita, questi sono i quattro parametri che mi servono per Arturo.

    Oscar ha il controller in mano e ragiona, sussurrando nella stanza in penombra la strategia, Arturo, così Oscar ha ribattezzato il suo guerriero, è intorno a un falò nella sala del vincolo, il luogo virtuale del gioco che in questo periodo sta appassionando Oscar riempendogli i momenti vuoti, il suo particolarissimo tempo libero. Sono mesi che gioca a Dark Souls, un videogioco di ruolo giapponese, con un leggero timore pensa che fra poche settimane terminerà anche il terzo capitolo della saga e allora dovrà decidere se ricominciare con un nuovo personaggio o cercare un nuovo videogioco. Sente bussare alla porta «È pronta la cena» mormora con tono allegro sua madre.

    Oscar appoggia il controller bianco sulla scrivania a poca distanza dallo schermo a 32 pollici del televisore in 4K che ha acquistato nell’area tecnologica del centro commerciale dove lavora, si stira allungando le braccia magre verso il soffitto e sorride a sua madre, sente un languore allo stomaco, perché un guerriero deve nutrirsi, pensa convinto e lascia Arturo accanto al fuoco a meditare su futuri combattimenti per dirigersi verso il tinello di casa sua.

    Oscar sa che è solo un gioco, sa che non è reale, ma nello stesso tempo pensa che abbia qualcosa di magico Dark Souls, qualcosa da insegnargli, per Arturo potrebbe davvero fare tutto, anche morire, perché è il suo migliore amico, gli fa compagnia, non lo tradisce mai e ha la forza che lui vorrebbe avere, il coraggio no, perché Oscar ha coraggio da vendere.

    Oscar si siede a tavola, in tv lo chef Borghese sta presentando una trasmissione di cucina, una delle innumerevoli che riempiono il palinsesto delle reti, questa si chiama Cuochi d’Italia, la guarda sempre sua madre, lei segue tutte le trasmissioni di cucina immaginabili e ogni tanto fa qualche esperimento culinario che prova con Oscar, lui mangia tutto quello che lei cucina, lo trova sempre buonissimo, ha un metabolismo eccezionale, brucia qualsiasi cosa rimanendo magro, quasi un metro e novanta, un alto e nodoso frassino lo ha definito Don Alceste, il parroco della parrocchia della Beata Vergine Immacolata dove è stato battezzato e dove ha frequentato il catechismo, diventando un guerriero di Dio come gli ha detto il parroco non sapendo che le parole per Oscar hanno un peso diverso rispetto agli altri. Se un prete gli dice che con la comunione e la cresima e ancora prima con il battesimo lui è diventato un guerriero di Dio, Oscar penserà di essere davvero un guerriero e quindi sarà per sempre predisposto a combattere per difendere il suo Dio.

    Ma Oscar combatte soprattutto con la console dell’Xbox One e Milva, sua madre, si guarda bene da togliergli quel passatempo, limitandosi a controllare che di notte dorma a sufficienza per essere riposato la mattina per recarsi al lavoro.

    Oscar mangia voracemente i maccheroni al ragù che sua madre gli ha preparato e ogni tanto la guarda di sbieco, come per controllare la sua esistenza, perché lui sa, ne è consapevole, che sua madre non potrà mai più essere felice da quando suo padre è morto. La fine della sua esistenza ha sancito uno spartiacque nella vita di Oscar, perché se è vero che i ragazzi in parrocchia gli vogliono bene è comunque certo che Gaspare era il collante per Oscar, colui che riusciva a fare da tramite fra lui e il resto del mondo, conosceva i limiti del suo ragazzo e i profondi limiti del mondo circostante, era il filtro, il traduttore, spiegava a lui il linguaggio della gente e alla gente il suo.

    Sua madre non è mai stata capace, da quando si rese conto che Oscar era fragile con quel corpo che non poteva avvertire dolore e quel suo modo tanto diverso di intrepretare la realtà, lei lo ha sempre amato e nello stesso tempo rifiutato, il suo amore gli arrivava attraverso il marito e senza di lui anche Milva è persa, spaventata e annichilita dalla perdita del suo uomo e dalla incapacità di gestire l’autismo di suo figlio.

    Oscar sa di avere tratti autistici, ma non li considera un problema, semplicemente pensa di essere diverso e spesso migliore di tutti gli altri che parlano in fretta, spesso urtandosi inconsapevoli, ingombrando inutilmente spazi, sporchi dentro e fuori, puzzano, urlano, offendono, rubano, sono così imperfetti gli esseri umani, così irrimediabilmente ridondanti.

    Adesso lui dovrà difendere Milva da se stessa e dal mondo ma si sente talmente solo e arrabbiato con Gaspare che non lo ha preparato, pensava forse di vivere in eterno?

    Termina la trasmissione di cucina e compare il conduttore del notiziario delle 19:00 su Rai tre regionale.

    «Un nuovo caso di violenza sulle donne, ieri sera intorno alle 23:00, una studentessa universitaria è stata aggredita nel pieno centro di Bologna mentre tornava verso la sua abitazione in via Marsala, la giovane era appena uscita da un locale e non è riuscita a scappare, l’uomo, presumibilmente un nordafricano, dopo averla colpita al volto tramortendola l’ha trascinata nell’androne di un condominio, prima ha abusato della ragazza che era svenuta e poi l’ha derubata del cellulare e dei pochi euro che aveva nella borsetta… adesso cambiamo argomento, non si placano le polemiche in Consiglio Comunale in merito al progetto del People Mover...».

    Milva rimane con un piatto in mano a guardare con occhi sbarrati lo schermo.

    «È terribile, anche Bologna è diventata terra di nessuno, per fortuna non devo preoccuparmi di una figlia femmina, chissà i poveri genitori».

    Oscar non assimila subito l’informazione, beve un sorso di Coca Cola zero, la sua bevanda preferita, ne beve almeno due litri al giorno, di più la domenica, poi cerca di decodificare il commento di sua madre, stavano parlando di violenza a Bologna, una ragazza aggredita in centro, certo, non c’è pace in città e nessuno è in grado di difendere nessuno, se ci fosse Arturo sarebbe diverso, e sorride lieve mentre sullo schermo sfumano veloci le immagini del cantiere del People Mover.

    3.

    Trebbi addenta il crostino di pane toscano caldo, il paté di fegatini si scioglie in bocca. La consistenza della carne è granulosa e morbida al contempo, il retrogusto lievemente amarognolo. Non c’è niente da fare Trebbi è un irriducibile carnivoro, non diventerà mai vegetariano, nemmeno per amore potrebbe farlo, nemmeno se eliminando la carne gli garantissero lunga vita. Trebbi scuote la testa, ha già vissuto tanto e non ha certo il desiderio di vivere in eterno.

    Versa una generosa dose di Morellino di Scansano nel bicchiere dell’amico che intanto continua a parlare, in fase intimista stasera, maledizione, pensa Galeazzo.

    «Ci ho pensato bene e chiaramente ne parlo solo con te, ma sono arrivato alla conclusione che la morte non mi spaventa più» si ferma con il bicchiere di rosso fermo a mezz’aria e quell’espressione tipica che assume quando ha bevuto più di due bicchieri.

    Trebbi finisce di masticare ringraziando il suo dio personale per la cucina toscana del ristorante Posta e beve un sorso di vino, lo tiene in bocca qualche istante per assaporarlo meglio. Si ripromette ogni anno di fare un corso da sommelier, ma come tutti i buoni propositi si lascia presto distrarre da altre cose. Dopo avere bevuto si pulisce le labbra carnose e sospira soddisfatto.

    «Io salterei i primi, sono indeciso fra lo spiedo di agnello morbido e il filetto di baccalà con polvere di olive» rimane sospeso in attesa di una risposta dall’amico e solo allora si rende conto di avere fatto un errore.

    «Ma fai attenzione a ciò che dico, qualche volta?».

    Trebbi alza gli occhi al cielo.

    «Ascoltami attentamente Claudio, ti voglio bene come a un fratello e lo sai che tu sei uno dei pochi per i quali rischierei la pelle, ma stasera è speciale per me, è il cinquantanovesimo anno che trascorro su questa terra, una lacrima nell’oceano del tempo e ti faccio notare la poesia, ma se ti ho chiesto di cenare con me in uno dei ristoranti più sfiziosi di Bologna tu devi fare il bravo e non fracassarmi i maroni, perdona il francesismo, con sparate esistenzialiste sulla vecchiaia e la morte, ti assicuro non era il mio scopo, non questa sera».

    Claudio sorseggia il vino e stringe gli occhi arrossati da professore di liceo in veloce e inesorabile invecchiamento e sorride.

    «Non volevo deprimerti».

    «Non ce la faresti neanche se ti impegnassi molto, lo sai che davanti a certi piatti bisogna tacere e grugnire come facevano i nostri cari e simpatici avi, loro mica scherzavano, ammazzavano con vari tipi di armi, violentavano qualsiasi cosa si muovesse e respirasse e poi chi sopravviveva si sedeva intorno a tavoli poco puliti, di qualche tipo di legno, e si ingozzavano di carne e vino rosso».

    «Tu hai visto troppe puntate de Il Trono di Spade».

    «E ho goduto come un riccio beandomi del senso di liberazione che riesce a restituire tutta quella sana violenza, nessuno ammette che una delle prelibatezze della serie è proprio il senso di liberazione, uomini, orchi, donzelle magnifiche, grandi banchetti e malvagità pura, un vero luna park dei cattivi sentimenti».

    «Un altro prodotto commerciale per intelletti semplici».

    «Mai detto di essere complicato, mi piace mangiare bene e mi piace bere bene, mi piacciono le donne, soprattutto quelle che amano come me la buona cucina e il sesso, mi piace stare da solo, o al massimo con pochissimi e selezionati amici e poco importa dei loro peccati, tanti ne ho io da farmi perdonare da un qualsiasi dio e dimenticavo… adoro Irene, anche se non mi considera mai, e questo è amore puro».

    «Anch’io ti voglio bene Galeazzo» e a Claudio brillano gli occhi per un istante.

    «Basta che non ti commuovi e non cerchi di prendermi la mano» sorride Trebbi, «e mangia i crostini prima che si freddino i fegatini, dopo diventano immangiabili, comincia a pensare a cosa vuoi assaggiare dopo e per digerire propongo una passeggiata in via del Pratello, come quando eravamo giovani, entriamo al Mutenye ci prendiamo una bottiglia di Diplomatico e intortiamo le prime due studentesse che passano».

    Claudio scoppia a ridere.

    «Non mi puoi chiedere di diventare etero solo perché compi cinquantanove anni».

    «Solo per finta, che te frega, guardare e non toccare, lo sai, da quando c’è Angela sono diventato monogamo».

    «Per caso, vorrei ricordarti la cinesina».²

    Trebbi appoggia l’indice alla punta del naso.

    «Tu sei l’unico che conosce parte della vicenda e come ti dissi a suo tempo devi dimenticarti anche di pensarla quella storia se mi vuoi bene».

    «Lo sai che sono una tomba».

    I due amici rimangono nella luce calda e ovattata del ristorante, pochi clienti stasera, nel locale l’aria è densa dei sapori forti nella trattoria appena fuori via della Grada. Trebbi si sente un sopravvissuto insieme al migliore amico, immersi nel loro habitat naturale.

    Non esiste luogo più dolce in una serata di maggio del centro di Bologna.

    Due

    1.

    Oscar sta lavorando fra gli scaffali, è uno degli incarichi che predilige la preparazione delle ordinazioni da consegnare a domicilio, uno dei servizi fornito dalla sua azienda, arrivano gli ordini su un palmare che lui tiene allacciato al polso e gli ricorda il pip boy di Fallout uno dei suoi videogiochi preferiti, ma sul palmare fornito dal centro commerciale appaiono solo le liste della spesa, lui si muove veloce e sicuro fra le corsie perché sa esattamente dove è collocata la merce, non sa come sia possibile, ma per lui è naturale, il suo cervello è come un perfetto data base dove la collocazione spaziale delle cose è a sua disposizione e infatti è talmente veloce nella preparazione degli ordini da innervosire i colleghi, alza il ritmo richiesto dall’azienda anche se nessuno potrebbe essere più veloce e preciso di Oscar.

    Sta inserendo nel carrello pane e biscotti quando li intuisce ancora prima di vederli, ne sente l’odore forte di animali in caccia, è tanfo di sudore fresco e sano mescolato a odore di tabacco e hashish e birra, gli passano vicini, lo guardano e due di loro sghignazzano qualcosa, lo conoscono, lo considerano disabile per il suo modo di muoversi e parlare, ma non sono lì per lui, si dirigono baldanzosi verso il banco del pane dove lavora Elena, bionda, alta, sempre impeccabile nella divisa bianca immacolata. È la più giovane del reparto di panetteria, la mascotte, piace a tutti, sta studiando per diventare veterinaria e lavora part time da un anno.

    Piace anche al piccolo branco di adolescenti che regolarmente la importuna.

    Lei sta servendo una cliente e uno dei tre giovani schiocca le dita per attirare la sua attenzione, lei sorride alla cliente che se ne va salutando e guarda i tre ragazzi che potranno avere dai 16 ai 17 anni, due italiani, famiglie meridionali ormai integrate a Bologna, uno di origini nord africane, compagni di scuola forse, sicuramente compagni di niente.

    «Le dita si schioccano per chiamare un cane, io qui di cani non ne vedo» sibila secca la ragazza.

    I tre ridono, si urtano nelle spalle magre, ammiccano fra loro.

    «Senti un po’ bella mi dai un pezzo di quella crescenta? Io sono un cliente e tu devi accontentarlo sempre il cliente».

    «Tu sei un maleducato e devi portare rispetto altrimenti chiamo la sicurezza».

    «Sono tutto un fremito» risponde quello che sembra il leader del gruppo.

    «Quando stacchi schiava che ti accompagniamo a casa?» le chiede un altro, piccolo e muscoloso.

    «A casa ci vado da sola e non mi faccio certo accompagnare da voi tre».

    «Non avrai paura? Guarda che non ti facciamo niente che non vorresti fare».

    Elena incarta la crescenta appiccica lo scontrino alla confezione e lo allunga al più alto dei tre che afferrando il cartoccio le accarezza lento la mano.

    Lei fa un piccolo scatto all’indietro e i tre ridono più forte.

    «Adesso però ve ne andate».

    I tre si voltano e fissano Oscar che li sta guardando dal suo metro e novanta di indignazione e disgusto.

    Dopo un attimo di esitazione ricominciano a ridere.

    «Ti piace la biondina handicappato? Guarda che lei non te la dà, non a un mostro come te» e

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