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Il giallo di Caserme Rosse: Bologna, un'indagine di Galeazzo Trebbi
Il giallo di Caserme Rosse: Bologna, un'indagine di Galeazzo Trebbi
Il giallo di Caserme Rosse: Bologna, un'indagine di Galeazzo Trebbi
E-book248 pagine3 ore

Il giallo di Caserme Rosse: Bologna, un'indagine di Galeazzo Trebbi

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Info su questo ebook

Dicembre 1943.
Andrea Fanti, un giovane bolognese, decide di abbandonare Bologna per unirsi ai partigiani e scompare nel nulla.
Bologna 2014.
Durante l’inaugurazione di una lapide a memoria dei deportati delle Caserme Rosse il presidente di una grossa cooperativa bolognese dichiara che l’associazione per il recupero della memoria cittadina vuole aprire un’indagine sulla scomparsa di alcuni uomini e donne avvenuta durante la Seconda guerra mondiale, cominciando proprio dal giovane Andrea Fanti, scomparso all’età di 17 anni. Trebbi verrà ingaggiato per risolvere questo caso freddo e per concludere la missione si spingerà fino in Polonia. Inizia il terzo caso per l’investigatore privato Galeazzo Trebbi che dovrà immergersi in un’oscura vicenda fra misteri mai svelati, segreti inconfessabili e nuovi poteri emergenti. Assumere Trebbi per questo incarico si rivelerà fatale per chi non vuole che il passato emerga con il suo carico di scomode rivelazioni. Come al solito la verità non sarà né facile, né scontata.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2016
ISBN9788869431661
Il giallo di Caserme Rosse: Bologna, un'indagine di Galeazzo Trebbi

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    Anteprima del libro

    Il giallo di Caserme Rosse - Massimo Fagnoni

    Intervento della Presidente dell’assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna

    "...Caserme Rosse è un enorme buco nero nel quale si spensero migliaia di vite umane, di speranze innocenti, di giovani destini [...] Caserme Rosse è il cuore della Bologna che noi tutti oggi viviamo, crocevia di culture e speranze di uomini e donne che come allora fuggono da guerra e disperazione, da fame e sopruso, di gente che passa per queste stesse strade in cerca di un futuro migliore.

    Caserme Rosse è il volto vero della guerra, è un grido di vendetta, una vendetta che chiede pace al mondo, che lotta per un mondo diverso.

    Caserme Rosse è una ferita che ancora brucia e che mai smetterà di sanguinare...".

    Monica Donini¹

    ...Dei 22.826 italiani rinchiusi nei Konzentrationslager (KL), 11.432 furono designati come Schutzhaftling (deportati per motivi di sicurezza), 3.723 come Politisch (in parte già presenti nel Casellario politico centrale dell’Italia fascista), 801 come asociali, 779 come prigionieri di guerra, 198 come criminali abituali" (detenuti in carceri italiane e consegnati da Salò ai tedeschi), 170 come lavoratori civili rimasti intrappolati in Germania, 7 come religiosi e 15 come ebrei-politici. Fu chiara per tutti i deportati, man mano che la Germania aveva bisogno di forza produttiva, la natura della deportazione: il lavoro schiavo...²".

    1 Caserme Rosse – Il lager di Bologna – Anpi Bolognina, febbraio 2007.

    2 Il libro dei deportati. A cura di B. Mantelli, N. Tranfaglia, 2009, Mursia.

    Prologo

    Dicembre 1943, interno notte,

    via D’Azeglio, Bologna

    1.

    Gianna osserva la strada vuota e gelida, il selciato è luccicante di ghiaccio, all’uscita dall’Imperiale sono caduti anche due fiocchi di neve, ma era troppo freddo per una nevicata.

    Bello il film La maschera e il volto, la storia è sempre la stessa, uomini che fanno la guerra, che ammazzano, che non sanno mai come ci si deve comportare davvero per essere coraggiosi, il protagonista, Paolo, prima racconta a tutti quanti che se sua moglie lo tradisse lui non esiterebbe ad ucciderla e poi invece fa di tutto fino a fregarsi da solo pur di non farlo, io la penso diversamente, se qualcuno tradisce deve pagare, Emiliano mi ha preso la mano durante la proiezione e non può essere stato solo per l’emozione del film, sì lo so è mio cugino, ma è talmente bello e dopo questa notte saprà che io l’amo, quanto lo amo, così delicato, così diverso dai fascisti puzzolenti, dai partigiani assassini, dai tedeschi maledetti, lui è la persona giusta… lo so… lo sento.

    Gianna si scosta appena dalla finestra, la casa è fredda, nel letto il prete³ sta scaldando le lenzuola bagnate di umidità. All’interno dello scaldaletto c’è un contenitore di terracotta, la monaca, con le braci ricoperte di cenere per evitare dispersioni di fumo Fra poco entrerà l’Adalgisa, lei non dorme mai, e toglierà dal letto di Gianna quella strana struttura di legno che la spaventava da piccola, perché sotto le coperte sembrava un animale accovacciato, pronto a balzare fuori.

    Come vorrei che ci fosse Emiliano a scaldare il letto, come vorrei che lui fosse il primo, con lui non avrei paura di perdere sangue e verginità, il mio amato cugino tanto distratto.

    Gianna siede allo scrittoio in legno massello di fianco alla finestra e accende una candela ricordando che nessuna luce deve vedersi da fuori, è una norma di sicurezza hanno raccontato in Comune, per gli aerei da bombardamento e le immagina le fortezze volanti, mostri di metallo enormi, con le pance piene di enormi bombe pronte per essere sganciate sulla città.

    Gianna ricorda il bombardamento del 25 settembre, lei era a Casalecchio al fiume, vide gli aerei e prima ancora li sentì mentre con il loro rimbombo minaccioso passavano sopra il Reno. Centoventi aerei, uno spettacolo indimenticabile se non fosse stata guerra, se non avesse portato morte e distruzione, 840 ordigni da cinquecento libbre ognuno, 210 tonnellate di esplosivo. L’allarme antiaereo non funzionò quella volta e la gente era in giro per il mercato della Piazzola, era sabato, centro affollato, la gente usciva nonostante la guerra, si affidava agli allarmi, non si aspettava quella inaudita spedizione di distruzione, 936 morti accertati, mille feriti e molti altri polverizzati dalla vicinanza delle esplosioni, edifici distrutti, il Teatro Verdi, l’Arena del Sole, il Teatro Apollo, lo Sferisterio, il Cinema Italia, la Farmacia Lame dove Gianna si recava a prendere le medicine e dove morirono il dottor Gattamorta e sua figlia, lei li conosceva, la chiamavano per nome Gianna Gamberini, figlia di Aristide Gamberini fascista della prima ora, responsabile dell’ufficio stampa della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Suo padre è professore di storia al Galvani e la sua collocazione a capo dell’ufficio stampa si è rivelata geniale, fuori dalle ronde, dai raduni ubriachi e deliranti, e permette alla famiglia Gamberini un ruolo autorevole ma defilato. Gianna odia i fascisti, la retorica dei gesti stereotipati e isterici, la violenza verbale, la violenza fisica, le prevaricazioni gratuite, l’olio di ricino e il clima di terrore con il quale hanno contagiato la città, la nazione, ma ama la sua condizione, il benessere, che anche per la sua famiglia si sta assottigliando, ma almeno hanno ancora il loro appartamento, possono mangiare carne, bere il caffè, a Natale suo padre si è presentato la sera della vigilia con una bottiglia di olio vero, mentre in giro la gente comune utilizza intrugli vegetali misteriosi dai nomi fantasiosi, come Vegetina, Exevol, Conditutto. La sua vita è talmente piacevole, può studiare e preparare esami a giurisprudenza, può innamorarsi di suo cugino. Gianna sospira e apre il diario che sta scrivendo a spizzichi e bocconi da quando hanno bombardato a settembre, pensa che se dovesse morire almeno rimarrà quella testimonianza della sua vita, della vita bolognese, di quell’incredibile e terribile periodo. Scrive con grafia precisa e rotonda, con la stilografica Aurora regalatale dal padre per il compleanno, le piace il rumore ruvido del pennino sopra la carta giallognola del diario, le piace asciugare alla fine della pagina con la carta assorbente pubblicitaria dell’Ovocrema, sembra una burla la scritta sopra: Il dolce non è un lusso è un alimento è scritto a caratteri cubitali rossi, le mamme preparino perciò tutti i giorni con l’ovocrema i dolci per i loro bambini e li vedranno crescere sani e forti, la spesa è minima perché non c’è bisogno di comperare le uova, l’ovocrema le sostituisce. Gianna pensa che le uova non si trovano più, bisogna andare in campagna dove i tedeschi entrano come padroni nelle fattorie e rubano uova, ammazzano galline, requisiscono il grano, ogni volta che ne hanno voglia. Decide di cancellare la rabbia concentrandosi sul diario.

    Oggi è stata una giornata piacevole, perché ho visto Emiliano, so in cuor mio che mi ama, ma è timido e non si vuole dichiarare, del resto è mio cugino di primo grado, non sarà facile fare accettare alla famiglia il nostro amore, è la scelta migliore per lui perché io lo proteggerò, io lo terrò vicino, non lo farò partire per spedizioni militari, farò in modo che papà lo tenga alla rivista, e così non dovrà buttare la sua vita per una guerra insensata e straziante.

    Andrea sta camminando veloce nella strada vuota, i passi echeggiano metallici sui sampietrini luccicanti di umidità. Via Ugo Bassi è martoriata dai bombardamenti di settembre, macerie ovunque raccolte in montagne di mattoni ai lati della strada, nell’aria un odore persistente, melmoso, un miscuglio di pietre bagnate, cordite e fango di fiume congelato. La città è irriconoscibile, sventrata in diversi punti, molti sono sfollati verso l’appennino o verso la Bassa. Andrea sta per andarsene, la sua vita è in pericolo, ciò che resta della sua famiglia è in pericolo, non dovrebbe essere in giro a quell’ora con il coprifuoco anticipato alle 18 dopo i due attentati dei gappisti di Dario che sembra abbia impiantato un’officina clandestina di esplosivi proprio a Bologna. Si stringe nel cappotto lungo di cammello, ultimo regalo accettato ben volentieri, perché l’amore è sapere apprezzare i doni, e lui quel cappotto lo desiderava molto. Andrea sa che i desideri non sono di questa terra, non per lui, diciassette anni emaciati e ossuti in una città dove se non sei fascista o figlio di fascisti sei alla gogna come gli ebrei, come i negri, come gli omosessuali e lui non è fascista, non lo era suo padre ferroviere anarchico morto durante il bombardamento di settembre, non lo è sua madre anche se continua a dirgli che deve fare il bravo, deve rispettare le regole, deve dichiarare fede fascista, deve cambiare atteggiamento, ma lui sa cosa deve fare e lo ha confidato al suo unico amore questa sera prima dell’ultimo bacio disperato, sussurrandogli che deve partire, lasciare la città, per unirsi alla Brigata Otello Bonvicini che opera fra Molinella e Portonuovo. Non ha mai imbracciato un fucile, né lanciato una bomba a mano, ma dovrà imparare a farlo, perché lo sa che la liberazione è vicina e i tedeschi prima o poi dovranno abbandonare la città e l’Emilia. Questa sera dovrà incontrare il contatto con la Brigata, il compagno che gli spiegherà come fare per raggiungere la base operativa, gli insegnerà le parole d’ordine e gli consegnerà la sua prima arma una Luger presa ad un ufficiale tedesco ucciso in un’imboscata.

    Andrea ha paura, non è un eroe, Andrea è eccitato, la sua vita sta per cambiare, una volta unitosi al gruppo di partigiani farà in modo di inviare notizie a sua madre, non ha voluto dire nulla nemmeno a lei, non si fida di nessuno e lei potrebbe anche tradirlo pur di proteggerlo. Andrea si ferma fra via Lame e via Marconi, per un istante ha temuto di vedere un’ombra, è nervoso, è stanco, da una parte la prospettiva di lasciare l’unica persona davvero importante della sua vita senza la speranza di poterla portare con sé, dall’altra il forte desiderio di gettarsi tutto alle spalle, scappare da una città a brandelli dove ormai è difficile condurre una vita anche solo apparentemente normale.

    Accende una Macedonia extra rubata a sua madre e ripensa all’ultimo film visto, Ossessione di Visconti tratto da un romanzo di uno scrittore americano. Trema nel vento umido nonostante il cappotto lungo oltre il ginocchio, ripensa ai protagonisti Massimo Girotti e Clara Calamai, il ruolo femminile avrebbe dovuto essere della Magnani ma era incinta quando iniziarono le riprese. Ossessione è il titolo giusto, perché il film e il romanzo raccontano appunto un’ossessione e quanto possa spingere lontano nella vita; è coraggioso come film e anche erotico, è un miracolo che non sia stato censurato, per Andrea è il film che meglio racconta la sua passione irrealizzabile, il suo amore disperato che lo spinge stasera a scegliere la guerriglia pur di potere liberare al più presto il paese e forse la sua vita. Andrea dopo un attimo di esitazione si spinge verso via Lame devastata dai bombardamenti e fa appena in tempo a svoltare in via Galliera che si trova davanti due uomini: impermeabili lunghi e Borsalino in testa, sembrano due della Gestapo, ma sono italiani e sono armati di due Beretta 34, corte e quasi nascoste dalle grandi mani.

    «Andrea Fanti?», chiede uno dei due, il più basso, con una voce secca e un accento diverso da quello bolognese, cantilenante, deve essere di Modena pensa Andrea, mentre cerca di capire se può scappare in una qualsiasi direzione.

    «Andrea Fanti?», ripete l’uomo senza spostarsi, intorno nessuno, solo vento fradicio e silenzio.

    «Cosa volete?», chiede con voce resa stridula dalla paura, voce adolescente, in formazione, in fin dei conti ha solo diciassette anni.

    «Devi venire con noi».

    «Noi chi?».

    «Te lo diciamo per strada», e come dal nulla si materializza una Topolino colore verde militare con i fari giallognoli ad illuminare macerie di palazzi. La luce tremolante dei fari svela una guazza leggera che scende lenta e gelida su tutte le cose e spruzza i capelli corti e imbrillantinati di Andrea.

    Il ragazzo si volta verso l’auto dove un uomo attende al volante, guarda gli altri due e timidamente cerca di allungare il passo per fuggire di lato, ma il piccoletto con l’impermeabile, il viso nascosto dal cappello, gli taglia la strada e lo colpisce secco allo stomaco, senza vera cattiveria, professionale, chirurgico, come fosse un lavoro. Andrea si piega in due e tossisce sputando saliva, l’altro più alto lo solleva come un pupazzo, lo issa sulle spalle larghe e con la sigaretta in bocca si avvia verso la Topolino, avviene tutto in pochi secondi, la città è un deserto bagnato, non ci sono testimoni e anche se ci fossero cambierebbero strada, il vento ora fischia fra scheletri di palazzi un suono leggero, sibilante, che nessuno può ascoltare.

    Emiliano è nel salotto vuoto, i suoi sono già a letto, ha acceso il camino e seduto nella poltrona del padre fuma lento una piatta sigaretta Serraglio rubata dal pacchetto di sua madre e intanto sorseggia un goccio di Nocino fatto da sua nonna, forte, scuro e corposo, come solo lei riesce a preparare.

    Apparentemente sembra un uomo, ma i baffetti leggeri e una peluria biondastra sul viso magro svelano la giovane età.

    Domani devo parlare con Gianna, non dovevo prenderla per mano al cinema ma c’erano alcune scene davvero terribili, quel piccolo uomo così ridicolo, ridicolo come me che non ho nemmeno il coraggio di vivere la mia vita, dovrei mandare tutti al diavolo e sparire, lasciare questo posto sicuro e caldo, le sigarette di mia madre, la polenta fritta la domenica sera e il Nocino prima di andare a letto, arriveranno i partigiani e ci impiccheranno per i maroni e faranno bene, dio che schifo che mi faccio io, la mia ipocrisia, la mia famiglia, e Gianna che è sempre lì a guardarmi adorante quanto è stupida, quanto è cieca.

    Emiliano accende la radio, un enorme mobile marrone di fianco alla poltrona, perché è l’ora di Radio Londra, la quinta sinfonia di Beethoven entra nel salotto caldo di camino ed Emiliano sente di nuovo la speranza entrargli dentro con un languore intestinale, forse il conflitto sta davvero volgendo al termine, e allora perché rischiare tutto proprio ora? Lui sta bene in questa porzione di spazio mentre per le strade si muore per un caso del destino, per un’esplosione inaspettata, per una frase pronunciata con il tono sbagliato, e nelle case degli italiani si mangia poco e male, pochissima carne, molte castagne, molta polenta. A lui non manca nulla, Emiliano ha già chiaro alla sua giovane età le priorità, sopravvivere, rimanere defilato, aspettare che la buriana passi e rimandare a dopo le decisioni importanti. L’amore, quello che toglie il sonno, costringendolo a nascondere i suoi sentimenti a tutti, gli impedisce di vedere con lucidità oltre la notte più scura. Quell’amore deve farsi da parte, quelle erezioni improvvise delle quali si vergogna, quelle carezze rubate, quell’ultimo bacio nel freddo di una Bologna desolata devono svanire. Pensa a suo padre, a sua madre, alle sorelle e finalmente al secondo bicchierino di Nocino il battito cardiaco decelera, il respiro si fa più regolare, accende un’altra sigaretta, mentre da Radio Londra arrivano le solite comunicazioni in codice. Si rende conto di essere lui a desiderare ciò che non può essere desiderato, e che questa guerra almeno gli ha permesso di capire la strada giusta da intraprendere.

    Si alza, leggermente instabile sulle gambe, si avvicina alla finestra, la strada sotto è deserta e lucida di umidità, appoggia la fronte calda sul vetro gelido e chiede perdono a Dio, lui non lo ha mai abbandonato e saprà sorreggerlo nel momento del bisogno.

    3 Scaldaletto.

    Uno

    Bologna… oggi

    1.

    «La richiesta che devo farti la troverai ridicola, già lo so».

    Trebbi guarda l’amico lo trova dimagrito, i capelli ricci sembrano più ingarbugliati del solito come dopo una tempesta di vento o una notte agitata, sotto gli occhi spiccano due occhiaie nere che non riescono a rendere meno intenso il suo sguardo, occhi di professore, pensa Trebbi, occhi buoni.

    «Claudio è la prima volta che mi chiedi qualcosa in tanti anni, lasciati aiutare senza vergognarti, sai che con me puoi farlo».

    Claudio sorride, una smorfia sottile nel viso segnato da rughe leggere, Trebbi non è mai riuscito a capire l’amico quando frequentavano il liceo in un periodo tanto remoto da sembrare quasi inventato, una fiction italiana a puntate terminata per dispersione spazio-temporale dei protagonisti.

    «Non so come sia la tua accettazione del passare del tempo, non so come convivi con i tuoi cinquantasei o cinquantasette anni adesso non ricordo bene».

    Trebbi si rende conto di non avere l’esatta cognizione della sua età in quel momento e in ogni caso non ha voglia di ricordarla all’amico, per una sorta di pudore, anche per lui inaspettata… come una di quelle risposte che non si vogliono dare se non si è costretti.

    «Se ti riferisci agli acciacchi, alla consapevolezza che con il mio corpo non posso fare ciò che facevo vent’anni fa, ho imparato ad accettare i limiti, combatto come posso il progressivo e dilagante decadimento, sono anche dimagrito dopo l’incidente dove ci ho quasi rimesso l’anima»⁴.

    «No... mi riferisco al tuo rapporto con l’altro sesso».

    Trebbi scoppia a ridere, e la sua risata è davvero spontanea e inaspettata, rimbalza sulle pareti disadorne dell’ufficio che non si decide mai a rendere più accogliente, l’unica stampa appesa è una gigantografia dei Blues Brothers che continua a portarsi dietro dal 1980. La teneva in casa, poi l’ha portata in cantina per sostituirla con qualche stampa più consona alla maturità, adesso l’ha recuperata per l’ufficio e in effetti quando la guarda si rende conto che per lui alcuni film, alcune canzoni e alcuni ricordi sono rimasti identici nel tempo come imbullonati in maniera definitiva al cervello, sempre in primo piano, sempre freschi ed efficaci. Per lui John Belushi non è morto, continua a vivere in quel poster, e gli basta ripensare al film, che deve avere visto almeno un paio di volte l’anno negli ultimi trent’anni, per sentirsi come allora, un bolognese atipico, con una grande passione per il blues e il cinema americano.

    Claudio lo guarda con occhi

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