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Pablo Escobar: Vita, amori e morte del "Re della cocaina"
Pablo Escobar: Vita, amori e morte del "Re della cocaina"
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E-book330 pagine4 ore

Pablo Escobar: Vita, amori e morte del "Re della cocaina"

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Info su questo ebook

Nel 1989 la rivista «Forbes» inserisce al settimo posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo il colombiano Pablo Escobar. Professione? Trafficante di cocaina. Il cartello di Medellín, da lui controllato, genera un volume d’affari impressionante, con somme vertiginose che fanno svanire ogni forma di coscienza e generano scontri armati senza pietà. Escobar diventa così ricco e potente da influenzare pesantemente la vita politica del suo Paese celandosi dietro una maschera di rispettabilità e di sensibilità politica verso i più poveri, mentre lui e i suoi sicarios ammazzano tutti coloro che possono rappresentare un ostacolo alla sua irrefrenabile ascesa. Mai nessun trafficante di stupefacenti era arrivato così in alto, una sorta di leggenda nera. Il libro ripercorre le straordinarie vicende biografiche del re della cocaina, indaga sui suoi amori, ricostruisce la sua personalità e racconta l’eredità lasciata dopo la sua uccisione nel 1993 a opera della polizia colombiana.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita18 lug 2022
ISBN9788836162154
Pablo Escobar: Vita, amori e morte del "Re della cocaina"

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    Anteprima del libro

    Pablo Escobar - Domenico Vecchioni

    Copertina.jpg

    DOMENICO VECCHIONI

    Pablo Escobar

    Vita, amori e morte del re della cocaina

    A Nicole, che con la luce del suo amore ha illuminato gli incerti percorsi della mia vita, sempre indicandomi la giusta direzione.

    Breve premessa storico-politica

    Simón Bolívar, el Libertador, sognava di realizzare nell’America Latina lo stesso progetto unionista che aveva avuto successo nel Nord anglosassone, con la costituzione degli Stati Uniti d’America quasi cinquant’anni prima, il 4 luglio 1776. Così quando nel congresso di Angostura del 1819 dichiarò l’indipendenza dalla Spagna, Bolívar diede vita agli Stati Uniti di Colombia, di cui lui stesso scrisse la costituzione, e che comprendevano il Venezuela, l’Ecuador, Panama e la Nuova Granata (l’attuale Colombia). Primo nucleo aggregante a cui, sperava, si sarebbero successivamente aggiunte le altre entità statali che stavano sorgendo dalle ceneri dell’immenso impero spagnolo.

    Il sogno di un’America del Sud forte, unita e moderna s’infranse tuttavia contro le forze della disunione, gli interessi degli oligarchi locali, i retaggi dei vicereami e delle capitanerie che rivendicavano propria fisionomia e identità e le pressioni della super potenza di allora, la Gran Bretagna, che puntava piuttosto a dividere gli Stati latino-americani per meglio esercitarvi la propria influenza.

    C’è da dire, inoltre, che il potere gestito da Bolívar in maniera personalistica e poco incline al compromesso non favorì la causa unionista e suscitò non pochi oppositori. Persino diversi generali del suo entourage si agitarono, reclamando per la Colombia quell’indipendenza che avevano ottenuto lottando contro la Spagna. Lo stesso Venezuela, madrepatria del Libertador, si rivoltò al disegno unionista. Caracas finì per dichiararsi del tutto indipendente, come progressivamente fecero tutti gli altri Stati. E il sogno federalista di Bolívar svanì per sempre.

    Dal 1830, anno della fine della Grande Colombia e della morte del Libertador, fino agli inizi del Novecento, la vita politica colombiana si svolse in maniera alquanto agitata e con pochi periodi di tranquillità. Nel 1932 scoppiò una guerra con il Perù per il controllo di vaste zone di confine (il trapezio amazzonico). Guerre civili e colpi di Stato quindi si susseguirono, diverse costituzioni furono adottate, gradualmente il popolo colombiano si abituò in qualche modo a vivere in un clima di tensione, violenza e ricorrenti disordini politici. Una pesante eredità che si porterà dietro fino ai nostri giorni. Con la costituzione centralista del 1958, il Paese assunse il nome ufficiale e definitivo di República de Colombia (Superficie: 1.141.748 km², popolazione nel 2021: 51.322.788).

    Agli inizi del XX secolo la Colombia, con la secessione di Panama, Paese rimasto unito a Bogotá dopo il fallimento del progetto federalista, cominciò a subire una forte pressione economica da parte degli Stati Uniti, molto presenti nella regione. Washington aveva del resto fomentato la secessione del piccolo Paese centroamericano, proprio nella prospettiva di scavare lo strategico canale interoceanico e prenderne il pieno controllo. Società statunitensi, d’altra parte, diedero l’avvio allo sfruttamento intensivo e indiscriminato dei pozzi di petrolio colombiani, esaurendo presto i limitati giacimenti del Paese. La presenza Usa si faceva sentire anche in agricoltura e altri settori di attività: imprese statunitensi in effetti controllavano il 90 per cento della coltivazione delle banane e la totalità della produzione del gas e dell’elettricità.

    I due principali partiti politici del Paese, uno di orientamento liberale e l’altro conservatore, si combatterono a lungo e aspramente sulla forma definitiva da dare allo Stato colombiano (federale o centralizzato), sul ruolo pubblico nelle attività economiche e sul posto della Chiesa cattolica nella società civile.

    Nel 1948 un leader liberale dissidente, Jorge Eliécer Gaitán, alla testa di un movimento popolare di contestazione teso a eliminare le drammatiche ineguaglianze sociali vigenti nel Paese, fece tremare i poteri tradizionali e sembrò destinato guadagnare crescenti consensi, moltiplicando però inevitabilmente i suoi nemici. Nell’aprile di quell’anno Gaitán, sempre più amato dalle persone meno favorite, fu brutalmente assassinato a Bogotá. Scoppiò allora improvvisa una reazione dei suoi sostenitori particolarmente violenta e altrettanto violentemente repressa dalla polizia governativa, avvenimento che sarà in seguito ricordato dagli storici come El Bogotazo.

    Ne seguì una vera e propria guerra civile, che si estese in tutto il Paese, provocando centinaia di migliaia di morti. La situazione risultò particolarmente drammatica nelle campagne, dove milizie contadine improvvisate affrontavano gruppi armati (anche irregolari) del potere conservatore. Guerra civile restata nelle memorie dei colombiani col nome che meglio la caratterizzò: Violencia.

    Nel 1953 la situazione, andata fuori controllo, favorì un colpo di Stato militare, che portò al potere il generale Gustavo Rojas Pinilla. La dittatura militare non risolse i problemi politici e sociali del Paese, ma ebbe almeno il merito di mettere fine alla guerra civile. Il momento allora sembrò favorevole per l’elaborazione di una sorta di accordo di pace (in realtà di spartizione del potere) alquanto singolare tra i due maggiori partiti politici, che immaginarono una gestione congiunta del potere, con un governo cioè misto liberale/conservatore e con alternanza della presidenza ogni quattro anni, per sedici anni. Ciascun partito avrebbe designato la persona destinata a diventare presidente per il periodo programmato, con il popolo piuttosto spettatore di questo originale marchingegno politico-istituzionale.

    Pinilla tentò di contrastare l’accordo tra i due partiti, che l’avrebbe messo prima o poi fuori gioco. Ma non ebbe successo e dovette lasciare il potere.

    Il Paese entrò allora in una fase politica, detta del Fronte Nazionale, che inaugurò una nuova – e confusa – epoca nella storia della Colombia, basata, come detto, sull’alternanza presidenziale e sulla spartizione del potere tra conservatori e liberali. Fu in questa agitata cornice politica ed economica che nel 1949 nacque Pablo Escobar.

    Tra gli anni ’60 e ’70, a complicare la già travagliata storia del Paese, emersero gruppi di guerriglieri fortemente motivati nella lotta politica e sociale, dando vita a formazioni di matrice marxista-leninista. Le più importanti furono quattro: le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), il Movimento 19 aprile, detto anche M-19 (nome ispirato a una presunta frode elettorale avvenuta nel corso delle elezioni presidenziali del 1970), l’Epl (Esercito popolare di liberazione), di ispirazione maoista e l’Eln (Esercito di liberazione nazionale) influenzata dalle visioni della teologia della liberazione. Tutte in ogni caso avevano carattere sovversivo, ripromettendosi di restaurare la democrazia con metodi violenti.

    La dura controffensiva dello Stato spinse le Farc e l’M-19 a concludere un’alleanza strategica nel 1979. La lotta s’intensificò, gli scontri si moltiplicarono, i guerriglieri finirono per controllare vaste zone di territorio di uno Stato la cui superficie è immensa, quattro volte quella dell’Italia e quasi impossibile da controllare interamente.

    Nel 1982 il conservatore Belisario Betancur Cuartas vinse le elezioni presidenziali. Sembrava l’uomo giusto al posto giusto per avviare un processo di riconciliazione nazionale, dopo aver fatto le sue prove come mediatore alla ricerca di una soluzione pacifica nei conflitti che imperversavano nell’America Centrale. Anche sul piano internazionale seguì una direzione equidistante tra Est e Ovest, inserendo la Colombia nel Movimento dei Paesi non allineati. Un anno dopo la sua elezione, Betancur avviò un dialogo di pace col gruppo M-19, purtroppo senza conseguire risultati significativi, stretto tra l’estrema destra paramilitare, contraria a legittimare la guerriglia dandole status di controparte e la sinistra radicale dei gruppi marxisti, poco incline al compresso e alle concessioni.

    I guerriglieri del M-19 sentendosi in qualche modo beffati e constatando che i negoziati sembravano oramai arrivati su un binario morto, decisero un’azione spettacolare, dettata probabilmente più dalla disperazione che dalla dimostrazione di potenza. Nel 1985 un nucleo di trentacinque guerriglieri, armati fino ai denti, assaltò il Palazzo di Giustizia di Bogotá, provocando un massacro: morirono tutti gli assalitori e persero la vita ben cinquantatré ostaggi, tra giudici, impiegati e visitatori.

    L’evento suscitò sconcerto nella popolazione. Il Paese ne fu profondamente scosso e intimorito. Di questa situazione politica instabile, dell’incapacità del governo di mettere fine alla guerriglia, con le buone o con le cattive, seppero approfittare i trafficanti di droga che, insinuandosi tra le pieghe della debolezza istituzionale, finirono per acquisire tanta ricchezza, tanta capacità di fuoco e di corruzione, da potersi permettere il lusso di lanciare un’offensiva contro lo Stato stesso.

    Furono quelli gli anni di massima espansione del regno della cocaina di Pablo Escobar che, nella sua indubbia megalomania, si sentì a un certo punto allo stesso livello dello Stato. Uno Stato che tentò addirittura di conquistare, lanciandosi nell’arena politica con la prospettiva di ottenere la legalizzazione della cocaina, il cui commercio quindi non sarebbe stato più illegale, e sognando di fare della Colombia il primo Paese narcotrafficante.

    «Sono stato accusato qualche volta di traffico di droga» dichiarò un giorno pubblicamente, «È questa un’attività che per il momento, storicamente, è stata dichiarata illegale. È illegale quindi ora, ma nel lungo periodo e in futuro noi mostreremo che questo traffico si sta avviando verso la legalizzazione».

    Non soddisfatto comunque dei suoi risultati politici, pensò bene di alimentare la propria leggenda, facendosi passare per una sorta di Robin Hood campagnolo, che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Utilizzò in effetti parte dei suoi favolosi introiti in favore dei più indifesi di Medellín. Fece costruire a sue spese alloggi popolari e stadi sportivi, finanziò squadre di calcio e fece riparare le strade della provincia. Ai destinatari di queste misure filantropiche non interessava molto sapere da dove venissero tutti quei soldi, né che odore avesse quel denaro. Si sentivano beneficiati dal loro mecenate e questo bastava loro per intravedere in lontananza le luci della leggenda. Ma se avessero guardato un po’ più da vicino la montagna di dollari accumulati da Escobar, avrebbero sentito un forte odore di morte, distruzione, cieca violenza e avrebbero constatato che le luci della leggenda di Escobar protettore dei poveri erano solo dei fuochi fatui. O meglio la leggenda, se di leggenda si vuol proprio parlare, riguardava la sua attività criminale. Un bandito cioè che diventò leggendario per la sua efferatezza, i suoi molteplici omicidi commessi o comandati e il suo delirio di grandezza!

    Responsabile della follia collettiva che attraversò la Colombia in quegli anni fu, come abbiamo visto, la cocaina, sostanza magica che faceva sognare paradisi artificiali ma che al risveglio offriva solo morte e disperazione. Sostanza che garantiva introiti colossali, sconcertanti e inimmaginabili.

    Vale allora la pena di conoscerla un po’ più da vicino.

    Questa droga è contenuta in un piccolo arbusto (Erythroxylum coca) che nasce tra 800 e 2000 metri d’altezza nelle zone umide delle Ande, in particolare in tre paesi: Bolivia, Colombia e Perù. La sua coltura ha origini antichissime. Le popolazioni indigene da sempre conoscono gli straordinari effetti che derivano dalle foglie di coca, che vanno masticate a lungo per trarne il massimo beneficio. Esse contengono degli alcaloidi e numerosi principi attivi che, tra l’altro, favoriscono la cicatrizzazione delle ferite, facilitano la respirazione e la circolazione del sangue, prevengono diverse malattie e danno un significativo apporto di calcio, magnesio, ferro e di diverse vitamine. Da tempo immemore, dunque, le foglie di coca hanno rappresentato una sorta di integratore alimentare per le popolazioni andine, soggette a una vita rude e fatta di privazioni. Un leggero stimolante che attenua i morsi della fame e i sintomi della stanchezza. L’ideale quindi per campesinos poveri e costretti a lavori pesanti.

    Le foglie di coca, di conseguenza, non possono essere considerate come droga. Tuttavia, esse – e qui sta tutto il problema – contengono anche uno speciale alcaloide (benzoilmetilecgonina) che farà parlare di sé: la cocaina.

    Il principio attivo della cocaina fu isolato nella seconda metà del XIX secolo a fini esclusivamente medicinali, in considerazione dei suoi notevoli effetti anestetizzanti. Ben presto però si scoprirono le conseguenze devastanti che potevano derivare dall’uso eccessivo di questa droga, potente psicotropo che crea dipendenza e agisce sul sistema nervoso centrale, causando danni irreversibili.

    Nonostante questi chiari avvertimenti, la cocaina diventò uno dei tonici preferiti delle élite europee, rivelandosi in qualche modo una droga per pochi, gente ricca e intellettuali. Il suo consumo, ancora abbastanza marginale, non era espressamente vietato. Nel 1863 il francese Angelo Mariani inventò e commercializzò addirittura un vino alla coca del Perù (le vin Mariani) che riscosse rapido successo (et pour cause) per le sue virtù tonificanti.

    Ogni bottiglia, infatti, conteneva sei milligrammi di cocaina! Produzione del resto del tutto lecita, tanto che Mariani utilizzerà l’immagine del papa Leone XIII – che se ne dichiarava entusiasta – per una tranquillizzante pubblicità del vino miracoloso.

    La produzione di cocaina in quel periodo era nella maggior parte dei casi appannaggio del sistema industriale, in particolare delle case farmaceutiche, mentre la produzione artigianale era alquanto limitata, considerata la complessità delle procedure. Il prodotto finale, quindi, era generalmente scarso e molto caro.

    Per ottenere una polvere bianca di qualità bisogna passare attraverso diversi passaggi, cominciando con l’impiego di grossi quantitativi di foglie di coca. Per produrre, ad esempio, 800 grammi di cocaina, occorrono almeno 250 chili di foglie di coca, che devono essere fresche per non perdere il loro potenziale. Appena colte, vanno essiccate per un giorno, quindi ridotte in pezzettini e mischiate con il carbonato di sodio. La mistura così ottenuta viene introdotta in barili contenenti benzina, dove macerano per un’intera giornata. La massa così ottenuta è quindi separata dalla benzina, pressata per ottenerne il liquido e infine buttata via. In seguito, si versa sul liquido così ottenuto dell’acido, normalmente l’acido solforico, che permette di separare la base di cocaina dal resto. Si aggiunge quindi la soda caustica che fa precipitare la cocaina e si ottiene così la pasta di coca, primo stadio consumabile della droga, sebbene molto nociva per i residui chimici ancora presenti.

    A questo punto i piccoli produttori hanno completato il loro ciclo e vendono la pasta ai trafficanti, i quali fanno ricorso a diversi solventi (soprattutto l’etere) per ottenere il cloridrato di cocaina, cioè la cocaina vera e propria, pronta per il consumo.

    Per lungo tempo il traffico e l’uso della cocaina furono controllati, ma non sempre legalmente vietati. Le prime legislazioni antidroga risalgono agli anni Trenta del secolo scorso e furono adottate da un numero limitato di Stati. L’universalizzazione della lotta agli stupefacenti avvenne in pratica nel 1961, con l’adozione della Convenzione unica dell’Onu. La cocaina rientrava finalmente nella lista dei prodotti espressamente vietati, a meno che la sua produzione e consumo non avvenissero in un quadro legale (ad esempio per utilizzo a scopi terapeutici). Sull’onda della Convenzione così tutti gli Stati adottarono specifiche legislazioni antidroga, incaricando le forze dell’ordine di reprimere la produzione, il traffico e il consumo degli stupefacenti.

    In America Latina, tuttavia, il traffico di cocaina continuò imperterrito, animato da produttori installati in Bolivia e in Perù che smerciavano il loro prodotto attraverso il Cile.

    La Colombia non solo non fu risparmiata dalla febbre della cocaina, il cui commercio assicurava ai trafficanti proventi vertiginosi, ma vide anche sorgere sul suo territorio due dei più grandi cartelli di spaccio di stupefacenti al mondo: quello di Medellín e quello di Cali.

    Pablo Escobar, fondatore e animatore del cartello di Medellín, portò il traffico di cocaina a livelli mai raggiunti prima e rimasti forse ineguagliati, rivelandosi uno dei più grandi criminali, assassini e corruttori della sua epoca.

    Quella che segue è la sua straordinaria storia.

    La storia del figlio del contadino che volle farsi re. Re della cocaina.

    1. La formazione professionale

    Si dice che i genitori lascino un’impronta indelebile nella vita e nella personalità dei figli. Ed è probabilmente vero. Ma non nel caso di Pablo Escobar, vistosa eccezione alla regola. Pablo, infatti, non soffrì di mancanza d’affetto o carenza di guida materna o assenza d’istruzione, come invece spesso pretendono i grandi criminali per giustificare in qualche modo i loro misfatti. I suoi genitori erano umili e dalle poche risorse economiche. Ma erano persone degne, corrette, lavoratrici, che si sforzarono di non far mancare nulla ai loro sette figli, spingendoli a emergere, con il lavoro e il sacrificio, dall’ambiente povero e opaco nel quale erano venuti al mondo.

    Pablo ricevette una discreta istruzione a scuola, una buona educazione in famiglia e non aveva nessuna scusa da invocare per far credere a qualche trauma affettivo o vuoto psicologico. La verità è che in Pablo albergava fin dall’inizio una personalità criminale, era nato per essere un bandito, in un Paese dove la violenza era diventata endemica, la corruzione dilagava, la legge faticava a farsi rispettare, il senso della pietà sembrava sparito e la vita umana aveva perso ogni carattere di sacralità.

    Quella del criminale insomma fu la sua vocazione originaria, quella del bandito sarà la sua professione, la scorciatoia per diventare ricco, potente e temuto.

    A Escobar, del resto, non interessava molto cercare le cause profonde dei suoi atti efferati, perché in fondo considerava il suo lavoro alla stregua di quello di un normale commerciante impegnato in attività import-export. Diceva di sé: «sono un buon uomo che esporta fiori». Solo che lui per far avanzare i propri affari, indebolire la concorrenza, stringere alleanze strategiche per consolidare la propria organizzazione, non esitava a uccidere e a ordinare di uccidere!

    Pur tenendo conto che si tratta di cifre approssimative in mancanza di statistiche assolutamente certe, si ritiene che Escobar abbia eliminato o fatto eliminare, su suo ordine diretto, più di cento persone. Il cartello di Medellín, da lui diretto, avrebbe causato oltre 5000 vittime. Cifre, come si vede, da vera e propria guerra civile. Non ebbe mai rimorsi o pentimenti.

    La sua strategia era molto semplice: i suoi nemici, o comunque coloro che si frapponevano ai suoi piani, potevano solo essere corrotti o uccisi. Il suo motto era: plata (denaro) o plomo (piombo). I suoi affari andarono così a gonfie vele in un Paese marcato dalla corruzione e dalla violenza radicate da lungo tempo. Escobar insomma prosperò all’ombra di protezioni ad altissimo livello, personaggi importanti da lui molto ben retribuiti o fortemente intimiditi.

    Ma evidentemente non erano questi gli affari che avevano in mente i suoi genitori, e sua madre in particolare, quando lo spingevano a essere forte e astuto. Non potevano sospettare che il loro caro secondogenito sarebbe diventato un assassino, un trafficante di cocaina, uno dei più grandi criminali della storia moderna.

    Pablo Emilio Escobar Gaviria nacque il primo dicembre 1949 a Rionegro (Antioquia), piccola località situata a circa quaranta chilometri da Medellín, la città più importante della Colombia dopo Bogotá. Era il secondo di una famiglia di modesto reddito, che contava ben sette figli. Pablo aveva tre fratelli (Roberto, detto Osito, Argermiro e Luis Fernando) e tre sorelle (Gloria Inés, Alba Marina e Luz Maria). Suo padre Abel (Abelito) era un coltivatore diretto, ma arrotondava le sue magre entrate facendo anche il fattore presso una grande hacienda (tipica azienda agricola del Sud America). Personaggio alquanto originale, era impregnato di un solido sincretismo, un misto cioè di credenze autoctone, spagnole e africane. Gran lavoratore, all’alba faceva uscire gli animali dalla stalla, poi mungeva le vacche e quindi si metteva a lavorare la terra.

    La madre, Hermilda Gaviria, era un’autodidatta diventata maestra elementare nelle zone rurali. Seria e impegnata sul lavoro, era conosciuta e rispettata nelle campagne di Rionegro. Era lei che incoraggiava i figli a essere ambiziosi, furbi, ad avere spirito di iniziativa per salire i gradini della scala sociale.

    Se il primogenito Roberto doveva sacrificarsi per lavorare col padre e occuparsi dei tre fratelli e delle tre sorelle più giovani, Pablo era il piccolo preferito. Su di lui gli insegnamenti della madre ebbero il maggiore impatto, prendendo però una direzione imprevista e sbagliata, che gli faranno sì salire i gradini del successo e dell’opulenza, per poi però sprofondarlo nell’abisso del crimine e della violenza.

    La famiglia Escobar fu costretta a spostarsi spesso nell’ambito della provincia di Medellín, alla ricerca di migliori opportunità di lavoro e anche per sfuggire alle grinfie della Violencia, la guerra civile, che imperversava nelle campagne e che la toccò da vicino. Una notte, infatti, l’intera famiglia fu ostaggio di un gruppo paramilitare di estrema destra (pajaros) che aveva fatto irruzione nella loro abitazione nel villaggio di Titiribí con l’evidente intento di compiere una strage. Abel e Hermilda erano considerati seguaci del liberalismo e quindi odiati dall’estrema destra. Liberati in extremis dall’esercito regolare, gli Escobar decisero di abbandonare quel luogo non più sicuro per loro e di rifugiarsi a Envigado, piccolo centro alla periferia di Medellín, la capitale dell’Antioquia, città allora in piena espansione economica, meta preferita dei campesinos dell’interno attratti dalle possibilità di guadagno e dalle migliori condizioni di sicurezza.

    La famiglia si installò nel popoloso quartiere di La Paz e sembrò che potesse cominciare una nuova vita e avere un nuovo slancio. Abel trovò un lavoro stabile come guardia notturna e Hermilda riprese le sue attività didattiche nelle scuole di periferia.

    Nel quartiere, abitato da famiglie umili, i ragazzini erano soliti vivere per strada impegnati in continue scorribande. Pablo diventò presto il capo di un piccolo gruppo che faceva dispetti di vario genere a danno dei vicini. I suoi vice erano il cugino Gustavo Gaviria Rivero e un amichetto di scorrerie, Mario Henao Vallejo, suo futuro cognato. Personaggi che ritroveremo in seguito e che svolgeranno ruoli importanti nella vita e nell’organizzazione criminale di Escobar. Spirito ribelle, Pablo si guadagnò anche la fama di precoce teppista. Si era affiliato a un movimento di controcultura chiamato Nadaismo (Null-ismo, il dadaismo colombiano), che spingeva i giovani verso la contestazione permanente di ogni forma d’autorità, sia istituzionale sia familiare. In questa cornice Pablo acquisì presto un’abitudine, una forma mentis propensa alla violazione delle regole e della legalità, un’irresistibile tendenza verso il crimine visto come strumento di affermazione della propria personalità.

    A scuola si procurò il doppione delle chiavi della scrivania dove erano custoditi i temi previsti per gli esami e li rivendette ai suoi compagni, ricavandone un discreto argent de poche! Era furbo, ambizioso e con un naturale talento di capobranco. Si inventò in quegli anni altri piccoli traffici che gli consentirono di accumulare un buon peculio e gli fecero capire quanto fosse facile vivere di espedienti. Era sicuramente un buon inizio della sua carriera… Aveva capito insomma come guadagnare soldi senza lavorare. Inutile quindi proseguire negli studi e perdere tempo frequentando la scuola, che qualche anno più tardi coerentemente abbandonerà, non senza aver conseguito un titolo di studio corrispondente alla maturità.

    Lui stesso racconta:

    Tutto cominciò quando ero un ragazzo e misi su un’officina per la riparazione e l’affitto di biciclette. Con il ricavato comprai una Lambretta. La utilizzai per rapinare diversi stabilimenti commerciali. Era un modo così facile di guadagnare soldi che mi entusiasmò. Feci una società con mio cugino Gustavo Gaviria e con il mio futuro cognato Mario Henao. Tutti i nostri lavori erano attentamente preparati. Veniva svolta una preventiva attività di spionaggio: abitudini, orari delle vittime designate, studio delle possibili via di fuga ecc., tutti i dettagli venivano verificati. Agivamo con impegno e disciplina per correre i minori rischi possibili.

    Con l’adolescenza i suoi misfatti si fecero più consistenti, i suoi guadagni più significativi, mentre la prospettiva di infrangere la legge non lo spaventava affatto, anzi gli sembrava quasi normale in un Paese dove le istituzioni avevano grandi difficoltà a imporsi su tutto il territorio e la legge non sempre riusciva a prevalere. Pablo cominciò così, accompagnato da Gustavo, a costruirsi un bel curriculum di delinquente, che sarà sempre più nutrito.

    Iniziò con una lucrosa vendita di lapidi mortuarie.

    Insieme all’inseparabile cugino rubava nottetempo, nel cimitero della buona società locale, costose pietre tombali, le ripuliva di ogni iscrizione e le rivendeva a prezzi concorrenziali alle famiglie di modesto reddito che dovevano seppellire i loro cari e che credevano così di concludere un buon affare. Traffico piuttosto ignobile, che si basava sul dolore altrui e non esitava a turbare il sonno dei defunti. Ma che importava: i guadagni erano assicurati e nessuno mai avrebbe pensato che quelle lapidi dal prezzo così conveniente erano state in realtà riciclate.

    I due compari si diedero poi al furto di automobili, contando su una rete di garagisti complici, con cui dividevano il bottino e su persone ingenue individuate tramite annunci economici sui giornali. Un commercio molto vantaggioso, ma che finì per stare stretto a Escobar il quale, nella sua perversa ambizione, puntava molto più in alto. Era diventato così sicuro di sé e della sua vocazione delinquenziale, che prometteva ai suoi amici, tra il serio e il faceto, che se a venticinque anni non avesse accumulato il suo primo milione di dollari, si sarebbe suicidato!

    E per non farsi mancare niente in questa fase per così dire di formazione professionale, Pablo prese di mira diversi negozi della città, irrompendovi pistola alla mano e poi fuggendo, sempre con il suo inseparabile cugino Gustavo, a bordo di una Lambretta rossa e bianca. Periodo che Escobar era solito ricordare con emozione, i vecchi bei tempi! Come un

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