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Chi ha assassinato Rasputin?
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E-book206 pagine2 ore

Chi ha assassinato Rasputin?

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Info su questo ebook

Chi era Rasputin? Un demonio malefico, che concorre alla caduta del Paese e della dinastia dei Romanov o un profeta inascoltato, i cui consigli, se seguiti, avrebbero evitato alla Russia imperiale lutti e devastazioni? Chi lo ha assassinato? Il principe Jussupov o Oswald Rayner, agente dei servizi segreti inglesi? A queste domande risponde l’affascinante libro di Domenico Vecchioni.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2014
ISBN9788891130495
Chi ha assassinato Rasputin?

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    Anteprima del libro

    Chi ha assassinato Rasputin? - Domenico Vecchioni

    secolo.

    IL CONTESTO

    Il 1905 si rivela un anno particolarmente infausto per il regime zarista. È l’anno dei prodromi della grande Rivoluzione bolscevica, l’anno di possenti tumulti sociali la cui portata sarà del tutto trascurata dai dirigenti russi.

    Il 22 gennaio una pacifica manifestazione operaia, tesa solo a far conoscere allo zar Nicola II la spaventosa situazione dei diseredati di tutte le categorie, viene brutalmente repressa dal comandante della piazza di San Pietroburgo, il Granduca Vladimir Alexandrovich, uno dei fratelli di Alessandro III. È la terribile domenica di sangue.

    Una ferita aperta nel corpo sociale della Russia che non si rimarginerà più, una strage del tutto ingiustificata, un evento che segna la fine del rapporto paternalistico esistente tra la Russia profonda e il suo zar, tra la gente minuta e il suo piccolo padre. Vengono uccisi, o meglio massacrati, più di mille manifestanti che reclamano migliori condizioni di vita e di lavoro.

    L’agricoltura conosce già da tempo una gravissima crisi. I contadini (l’85% della popolazione), malgrado l’abolizione della servitù della gleba, hanno visto la loro situazione peggiorare ulteriormente. Hanno quindi abbandonato le campagne, hanno raggiunto le città, si sono trasformati in operai e sono andati a ingrossare le file dei miserabili proletari, i figli della nascente industrializzazione del paese che si alimenta grazie a capitali stranieri in cerca di alti rendimenti e di bassissimo costo del lavoro locale.

    I nuovi operai sono allo stremo e richiedono, totalmente inascoltati, paghe dignitose, minimi diritti sindacali e un accettabile tenore di vita. Il paese sta cambiando e la situazione richiederebbe un coraggioso e inedito rapporto tra il potere e la società, un progressivo adattamento del sistema di governo alle nuove esigenze della popolazione. Ma lo zar Nicola II, che accentra tutto il potere nelle sue mani, non sembra essere in sintonia con il suo tempo, custode di una tradizione plurisecolare di autocrazia che vuole conservare intatta per le generazioni future. Gli anarchici, a loro volta, non tardano a vendicarsi e intensificano i loro sanguinosi attentati.

    A Mosca, qualche giorno dopo la domenica di sangue di San Pietroburgo, una bomba alla nitroglicerina dilania il granduca Sergio, cognato dello zar, che passava con la sua carrozza, senza scorta, non lontano dalla residenza di famiglia.

    La moglie, Elisabetta d’Assia-Darmstadt (sorella maggiore della zarina Alessandra), travolta dal rumore della deflagrazione, intuisce subito che la vittima è il marito, governatore di Mosca, più volte in precedenza minacciato dagli anarchici. Si precipita quindi sconvolta in strada e via via che si avvicina all’epicentro dell’esplosione trova conferma alle sue oscure premonizioni, incontrando pezzi e brandelli del corpo del marito. Una mano, un piede, un orecchio... insomma un orribile puzzle che, con stupefacente controllo di sé, riesce in qualche modo a ricomporre. Una durissima prova psicologica che la segnerà per sempre e la obbligherà a ritirarsi dal mondo in un isolato convento.

    Un attentato di particolare crudeltà, ed emblematico della latente, insostenibile e drammatica situazione sociale che Nicola II continua a non vedere e a non capire, convinto che tutto si possa risolvere con una maggiore repressione. Il quadro politico interno quindi si complica, si aggrava, si inasprisce, a fronte di un governo che si mostra incerto, incapace e a corto di idee. Il regime autocratico comincia a scricchiolare da più parti. Le correnti liberali sono favorevoli a una modernizzazione del sistema monarchico, ma avrebbero bisogno dell’appoggio proprio dello zar che, invece, si conferma poco lungimirante e restìo a qualsiasi riforma che avrebbe potuto intaccare il suo potere.

    I movimenti socialisti finiscono per scindersi in due gruppi principali: i bolscevichi, fautori della rivoluzione rigeneratrice tesa ad abbattere il regime e i menscevichi, anche loro favorevoli alla fine della monarchia, ma con metodi meno violenti e con il concorso delle stesse correnti liberali.

    Nicola II, insediatosi giovanissimo sul trono di tutte le Russie dieci anni prima, pensa allora di poter compensare gli insuccessi interni con decise iniziative in politica estera utili a riaffermare la potenza dell’impero in Oriente e il prestigio dei Romanov in Occidente.

    Contrariamente però alle sue previsioni, il 27 e 28 maggio la flotta russa, desueta e mal organizzata, viene annientata dalla potente squadra navale giapponese dell’Ammiraglio Togo nella celebre battaglia di Tsushima. Scoppia a Odessa l’ammutinamento della corazzata Potemkin, simbolico prologo della ventata rivoluzionaria che incendierà il paese qualche anno più tardi e che spazzerà via, come foglia al vento, l’ancien régime russo.

    Alla sconfitta militare segue inevitabile il disastro diplomatico: con il trattato di Portsmouth, la Russia cede al Giappone la città di Port Arthur con tutte le sue pertinenze, la metà sud dell’isola di Sakhalin e particolari diritti di pesca lungo le coste della Siberia. Il governo zarista è inoltre costretto a ritirare tutte le truppe russe dalla Manciuria e ad accettare il protettorato di Tokyo sulla Corea.

    Disordini all’interno, sconfitte all’estero. Lo zar non può più continuare a rimanere chiuso nella sua concezione autocratica del potere e sordo alle crescenti richieste di apertura democratica in favore del suo popolo. Così il 17 ottobre si decide a firmare, a malincuore e con parecchie riserve, il documento che accorda ai russi le libertà civili (di stampa, di riunione e di associazione), delinea il funzionamento di un’assemblea eletta su basi censitarie e con limitati poteri legislativi (la Duma) e stabilisce la creazione del Consiglio dei Ministri, alla cui testa viene posto il riformatore conte Sergej Witte, già titolare del dicastero delle Finanze dal 1892 al 1903. Ma i ministri continueranno a essere nominati dallo zar e saranno responsabili di fronte a lui.

    Di fatto Nicola II non accetterà mai di condividere il proprio potere con la Duma. La Russia imperiale, quindi, nonostante la nuova impalcatura esterna di monarchia costituzionale, resta in sostanza un regime autocratico, dove tutti i poteri si concentrano nelle mani di un solo uomo, la cui legittimità al governo deriva direttamente da Dio.

    Il 1905 è anche l’anno che vede la zarina fare la conoscenza di Ania Tanieva, figlia di un alto funzionario di corte. Invitata a seguire i sovrani nella loro consueta crociera estiva nel golfo di Finlandia a bordo dello yacht imperiale, la giovane Ania sa conquistare immediatamente la simpatia e la fiducia di Alessandra, diventandone l’inseparabile amica del cuore. Un’amicizia che avrà infausti riflessi sulla vita di corte e sulla storia del paese.

    Un anno quindi ricco di accadimenti e denso di emozioni e premonizioni. Ma non è finita. Tra gli eventi significati vi del 1905 va segnalata anche un’annotazione, a prima vista di nessun rilievo, fatta dallo zar nel suo diario intimo:

    Oggi, 1 novembre, ho fatto la conoscenza di un uomo di Dio che si chiama Grigory, della provincia di Tobolsk.

    È l’inizio di un legame fatale, la nascita di un’amicizia dalle conseguenze imprevedibili, l’avvio di una storia che non ci si stanca di raccontare.

    Grigory è Rasputin, un uomo che, nel bene e nel male, eserciterà un’influenza crescente sulle decisioni dello zar e della zarina e quindi sullo svolgimento degli eventi politici del paese nel drammatico decennio precedente la rivoluzione bolscevica.

    Un uomo che costituirà un enigma, per molti tuttora non definitivamente sciolto: demonio malefico, che concorre significativamente alla caduta del paese e della dinastia dei Romanov ovvero profeta inascoltato i cui consigli, se seguiti, avrebbero invece potuto evitare alla Russia imperiale lutti e devastazioni?

    Guaritore dagli effettivi poteri paranormali o solo abile ipnotizzatore cui le menti deboli non sanno resistere? Uomo di Dio o grande peccatore?

    Persino la sua morte resta ancora oggi un mistero: chi lo ha assassinato?

    Il principe Jussupov, come si è sempre creduto, oppure, secondo più recenti interpretazioni, Oswald Rayner, un agente dei servizi segreti inglesi ossessionato dall’idea che il monaco pazzo spinga nel 1916 lo zar verso una pace separata con la Germania, evento che sarebbe stato nefasto per Londra e per gli esiti della Grande Guerra?

    Chi era Rasputin? Un uomo il cui operato va in ogni caso condannato senza appello o un personaggio la cui attività va rivalutata, almeno in parte, come pretendono alcune correnti storiografiche dell’odierna Russia?

    IL NOSTRO AMICO

    Grigory Efimovitch Rasputin nasce nel 1869 a Pokrovskoe, uno sperduto villaggio siberiano nel distretto di Tobolsk, non lontano dalla città di Tiumen, a più di tremila chilometri a est di San Pietroburgo, l’allora capitale dell’impero.

    Raspu tin in russo vuol dire debosciato. Si tratta quindi con ogni probabilità di un soprannome – da cui l’interessato non è più riuscito a liberarsi – affibbiatogli dopo le prodezze giovanili fatte di alcol, sesso e violenza. Non si può peraltro escludere che sia il suo vero nome di famiglia, così come molti storici attestano, visto che rasputin vuol dire anche incrocio e che nella regione esistevano altre famiglie con lo stesso cognome.

    Sta di fatto che la zarina Alessandra mai si rivolgerà, per pudore, al contadino siberiano con l’appellativo di Rasputin, né gradirà che gli altri lo facciano, chiamandolo sempre Padre Grigory o, parlando di lui in terza persona, il nostro amico. Tanto da spingerlo, nel 1908, per evitare ogni riferimento equivoco, a cambiare il proprio cognome in Novyky: d’ora in poi Grigory firmerà la sua corrispondenza col nome di Novy (nuovo).

    L’appellativo di Rasputin in sostanza sarà utilizzato piuttosto dai suoi denigratori, mentre gli estimatori preferiranno Staretz (illuminato, uomo ispirato da Dio) o Padre Grigory (anche se Rasputin non farà mai parte della gerarchia ortodossa, né riceverà alcun titolo ecclesiastico, nemmeno quello di monaco, pur passando alla Storia come il monaco pazzo).

    I genitori di Grigory sono agricoltori relativamente agiati. Il padre, Efim, proprietario di qualche acro di terra, arrotonda il fine mese facendo il vetturino del villaggio. Come avviene comunemente tra le famiglie contadine che hanno bisogno della forza lavoro dei figli, poca istruzione viene prevista per Grigory e per suo fratello maggiore Mischa i quali, appena in grado di leggere e scrivere, dovranno aiutare la famiglia nei duri lavori dei campi e nella tenuta degli animali. I due fratelli crescono così in libertà, tra foreste di cui imparano a scoprire i misteri, tra antiche tradizioni locali di cui si impregnano a fondo, e nel contesto offerto da una popolazione devotissima alla fede ortodossa dalla quale sono profondamente influenzati.

    I fatti relativi all’infanzia e all’adolescenza di Rasputin per la maggior parte sono avvolti dalle nebbie del mito che offre spesso versioni diverse di uno stesso avvenimento, a seconda delle esigenze e delle finalità del biografo. Cercheremo quindi di riferirci solo agli episodi essenziali, plausibili, generalmente accettati.

    È certo che fin da bambino Rasputin mostra una speciale sensibilità per le questioni religiose, le illuminazioni mistiche, gli ambienti caldi e raccolti della preghiera. Ascolta sempre con rapimento le storie e gli incanti narrati dai pellegrini-viaggiatori ospitati dai genitori.

    Tipica figura della Russia profonda, ortodossa e mistica, lo Staretz usa errare nel paese vivendo unicamente dell’ospitalità dei contadini che, stupefatti e pieni di rispetto, ascoltano le sue parole nelle quali si accavallano i riferimenti ai lontani monasteri visitati, ai miracoli ai quali ha assistito, alle illuminazioni da cui è stato folgorato, agli insegnamenti divini.

    Grigory è totalmente affascinato da questi pellegrini barbuti che hanno abbandonato tutto, si nutrono della parola di Cristo, sanno indicare a ciascun uomo la via della propria salvezza e sopravvivono solo grazie alla generosità del prossimo, ricambiando magari qualche volta la cortesia con interventi taumaturgici e salvifici.

    Il piccolo Rasputin predispone in tal modo il suo giovane cuore a ricevere i precetti mistico-religiosi dei contadini siberiani e della chiesa povera e illuminata. Forse già da allora pensa che la sua vera vocazione sia quella di percorrere le strade della Santa Russia propagandando la parola di Cristo, dando conforto agli ammalati e predicando la purificazione dello spirito.

    Un giorno ha tra le mani un libro che racconta la nascita di Gesù. Lo legge con avidità, lo impara rapidamente a memoria e domanda quindi al padre di poter conoscere altri testi sulla vita del Cristo. Viene presto accontentato e, a partire da quel momento, nessuno nel villaggio conoscerà la vita di Gesù meglio del piccolo Grigory. Ciò tuttavia non gli impedisce di unirsi ai ragazzi più scalmanati del villaggio per scorribande di vario genere, azioni spericolate, scontri caratterizzati a volte anche da una certa violenza fisica. Grigory, insomma, fin da ragazzo ha un comportamento dove si mescolano, in un misterioso cocktail di sentimenti, misticismo e sregolatezza, brutalità fisica e bontà d’animo, predisposizione al peccato e tendenza all’estasi, degradazione e purificazione dello spirito.

    A dodici anni Gregory subisce un trauma psichico che avrà conseguenze incalcolabili e insondabili influenze sullo sviluppo della sua personalità. Durante una delle tante scorribande con il fratello Mischa, questi cade per un banale incidente nelle gelide acque del fiume Tura, sulla cui sponda sinistra si sviluppano le poche case di Pokrovskoe. Il futuro Rasputin non esita un istante, si tuffa in soccorso di Mischa. I due annaspano disperatamente spinti dalla corrente, sembrano spacciati, si dimenano con forza e alla fine riescono fortunosamente a salvarsi. Ma hanno preso freddo, molto freddo. Entrambi si ammalano di una forte polmonite. Medici nei dintorni non ce ne sono e solo una levatrice darà loro qualche lieve, purtroppo non determinante conforto. La malattia fa così il suo corso. Niente quindi sembra poter fermare la febbre altissima e le fasi deliranti per entrambi.

    Mischa non resiste e muore qualche giorno dopo l’incidente, Grigory invece, sia pure con grande difficoltà, riesce a cavarsela. Resterà giorni tra la vita e la morte, quasi senza riprendere conoscenza, preda di misteriosi e ripetuti deliri. Al risveglio apprende la scomparsa del fratello al quale era legatissimo. Lo shock emotivo è forte e violento. Ed è proprio a seguito della morte del fratello che Grigory – secondo i suoi compaesani – comincia a far prova di possedere una seconda vista, come se si fosse risvegliata una forza sconosciuta presente nel suo essere. Ai genitori, in effetti, racconta che una signora splendente, vestita di bianco e di azzurro, gli è apparsa in sonno assicurandogli che sarebbe guarito. Per gli abitanti del villaggio non c’è dubbio: è la Madonna che ha visitato il

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