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L'Occhio del Vuoto: Una storia di Valeron
L'Occhio del Vuoto: Una storia di Valeron
L'Occhio del Vuoto: Una storia di Valeron
E-book463 pagine6 ore

L'Occhio del Vuoto: Una storia di Valeron

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Info su questo ebook

In una torrida notte d'estate, Vivienne torna dai propri viaggi nella grande città portuale di Navas, luogo in cui è nata e cresciuta. La ragazza ha però ormai lasciato dietro di sé il proprio nome, essendo divenuta la famigerata artista che il grande pubblico conosce come Naja. Una misteriosa pioggia di pietre ed un sogno inconsueto turbano la sua prima notte nella capitale e al suo risveglio incontra Merimath, un cavaliere dai modi garbati in cerca di risposte. Insieme si ritrovano ad affrontare un pericolo mortale: un essere demoniaco che fa la propria comparsa in città, minacciando la quiete della gente comune. Questo è solo il principio della vicenda che li porterà in terre lontane al fianco di potenti alleati, contro un antico potere che, risvegliandosi, minaccia il mondo intero. L'eterna lotta tra la Legge ed il Caos minaccia ancora una volta i popoli liberi, mentre gli Dei schierano i propri araldi per la supremazia nel mondo di Valeron.
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2022
ISBN9791221442359
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    Anteprima del libro

    L'Occhio del Vuoto - Max Mutariello

    Capitolo 1

    Ritorno a casa

    Le sere d'estate nella repubblica di Navas erano a dir poco inebrianti. La salsedine, trasportata dal vento leggero che accarezzava le increspature del mare, permeava l'aria rendendola carica di memorie, mentre il cielo stellato offriva una vista in cui lo sguardo tendeva a perdersi verso l'infinito. La fioca luce generata dal sole notturno, costantemente presente, mescolava ancora di più le ombre, anziché disperderle, ed era come se un velo cupo fosse posto sulla realtà stessa.

    Era più di un'ora che Vivienne ciondolava distrattamente le gambe dalla cima del grande leccio posto nell'unico giardino del porto commerciale: quello stesso leccio che da bambina rappresentava per lei il più sicuro dei rifugi e la base di partenza per le sue imprese giovanili. Anche adesso si trovava su quello stesso ramo che in passato, quasi senza sforzo, scalava per sfuggire, o spesso solo per rimandare, le punizioni decretate dalla sua severa matrigna. L'odiata megera non era mai stata in grado di raggiungerla, arroccata così in alto, e a volte trascorrevano intere giornate prima che la fame costringesse Vivienne ad abbandonare quel luogo sicuro e, suo malgrado, a fare ritorno a casa.

    In quella sera torrida si trovò a cavalcare con la mente i ricordi dei suoi innumerevoli viaggi e, con essi, tutte le vicende che nei lunghi anni l'avevano vista crescere permettendole di diventare la donna che era.

    Le esperienze vissute le avevano insegnato tutte le storie che ora narrava con passione e che le consentivano di vivere come si era sempre immaginata: libera e priva di vincoli e di legami, da sempre ostacoli alla propria felicità. Alcuni ricordi erano col tempo diventati vacui e quasi indistinti ma di altri serbava immagini, profumi e sensazioni talmente precise che quasi sembrava fossero accaduti poche ore prima. L'incessante sciabordio delle onde che battevano sulla banchina scandivano il tempo come i rintocchi imprecisi di una campana suonata sbadatamente.

    Undici anni erano trascorsi da quando aveva lasciato la capitale della repubblica che, quella sera, sembrava darle il bentornato con tutti gli onori. Dall'alto ramo, Vivienne poteva scorgere in lontananza la casa di suo padre, o almeno le tremule fiammelle delle lampade ad olio, accese per illuminarne il piccolo porticato, nonostante queste si fondessero con quelle delle abitazioni vicine. Non aveva avuto il coraggio di salutare il vecchio padre quando nel tardo pomeriggio aveva varcato i cancelli di Navas, ma sapeva che la notizia del suo ritorno presto avrebbe fatto il giro della città. Negli anni era riuscita a conquistare una fama di tutto rispetto e le sue esibizioni erano largamente apprezzate in tutta la confederazione, fino ai confini del regno di Elhar.

    Lasciandosi letteralmente cadere all'indietro, la giovane donna raggiunse, con le mani, un robusto ramo qualche metro più in basso e, ruotando il corpo snello con la grazia di un’acrobata professionista, raggiunse il suolo con un balzo leggero quasi senza produrre alcun rumore. La luce della Sentinella, il gigantesco faro che guidava le navi verso il porto sicuro, si rifletteva negli occhi di lei, chiari come il miele d'acacia. Gli occhi di colei che era conosciuta dagli avventori delle locande di mezza Aridal con il nome di Naja.

    Si accorse improvvisamente che le sue memorie l'avevano trattenuta troppo a lungo e avrebbe fatto meglio ad affrettarsi prima che al Galeone Affondato gli avventori fossero troppo sbronzi per apprezzare la sua arte, anche se era cosciente del fatto che gli uomini ubriachi concedevano mance migliori, soprattutto ad una bella donna, e Naja sapeva bene sfruttare quella sua caratteristica.

    Mentre si dirigeva verso la locanda, le voci e i canti alimentati dall'alcol, provenienti dal dedalo degli interminabili vicoli della periferia di Navas, diventavano di maggiore intensità e sempre più frequenti ad ogni passo. La ragazza era abituata a quel fragore tipico della gente semplice che, a sera, trovava ristoro dalle difficoltà quotidiane, affogando i dispiaceri in una o due bottiglie di buon vino dopo ore di duro lavoro, ma era a conoscenza che il disordine in cui stava per immergersi rappresentava anche l'ambiente ideale per le azioni furtive di tagliaborse e ladruncoli vari, almeno in quella zona della città. Non che avesse paura di essere derubata!

    Naja sapeva bene come tenere a bada gentaglia del genere ma semplicemente non voleva sporcare incidentalmente l'elegante camicia di seta bianca, indossata appositamente per l'occasione, con il sangue di qualche ribaldo.

    I pantaloni di pelle morbida, gli stivali alti da cui spuntava appena un corto pugnale e i guanti lunghi quasi fino al gomito le davano, a prima vista, l'aspetto di un galantuomo dalla corporatura esile. Il suo abbigliamento era completato da un tabarro color prugna che copriva solo il lato sinistro del corpo fino al ginocchio, adeguatamente sistemato per nascondere sotto di esso uno zaino di tessuto robusto, pendente dalla spalla e l'elaborato fioretto assicurato ad una delle cintole di cuoio che ricadevano delicatamente sui suoi fianchi sinuosi.

    Dopo pochi minuti, nei quali nessun aggressore era stato tanto sciocco da importunarla, Naja giunse al Galeone Affondato senza bisogno di sfoderare le proprie lame. All'esterno della locanda alcuni marinai avevano già dato fondo ai risparmi destinati ai divertimenti della sera e nonostante non fosse ancora l'ora di andare a dormire, nemmeno per i più giovani, già si godevano la brezza fresca che spirava dalla costa, mentre ronfavano serenamente su un lato della strada, annebbiati da qualche bicchiere di troppo.

    Prima di entrare nel locale, Naja raccolse i lunghi capelli corvini in una coda, legandoli con un nastro viola.

    Trattenendo il fiato per pochi secondi, per non farsi stordire dal puzzo di vomito che prevedeva potesse coglierla, mise piede nell'ambiente fumoso ed eccessivamente affollato.

    All'interno, l'ampia sala era gremita da scaricatori portuali e da uomini di mare. La ragazza dovette sgomitare per diversi metri per farsi strada fino al bancone come un salmone che risale la corrente, dove il rubicondo oste di nome Olaf e le due bariste affaccendate versavano le bevande richieste a chi si accalcava per essere servito prima del turno che gli sarebbe spettato.

    Quando riuscì ad attirare l'attenzione della donna più anziana, che riconobbe essere Palmia, la moglie del proprietario, dovette alzare parecchio il tono della voce per essere notata.

    - Ehilà! Sono arrivata un po' in ritardo! - esclamò la ragazza concitata - dove posso sistemare le mie cose prima di esibirmi?

    - Che gioia vederti! - esclamò la donna. - Olaf! È arrivata Vivienne…cioè volevo dire Naja. - urlò com'era solita fare quando si rivolgeva al marito - Svelto! Inizia a preparare!

    L'accoglienza a lei riservata fu molto calorosa, anche da parte dei clienti della locanda. In poco meno di mezz'ora, i tavoli che occupavano la zona centrale del salone furono spostati più vicino possibile alle pareti adorne di reti da pesca e suppellettili provenienti da varie navi in disuso, per lasciare posto all'attrazione principale. Un grande tavolaccio circolare sarebbe stato il palcoscenico di Naja quella sera.

    Quasi tutti gli avventori della locanda riconobbero la loro giovane concittadina che, per la prima volta dopo molti anni, aveva fatto ritorno per esibirsi nella città che le aveva regalato le primavere della sua infanzia. Tutti la accolsero con un lungo applauso.

    - Un cordiale benvenuto a tutti! - proclamò Naja in piedi sul tavolo, indicando la folla con un ampio gesto plateale - è un grande piacere essere con la bella gente della mia città e questa sera vi racconterò una storia che molti di voi già conoscono ma vi assicuro che la amerete come mai avete fatto prima d'ora! Rivivrete la storia dei sei eroi che hanno dissipato il buio che ha ghermito i cuori delle persone oneste come voi per giorni lunghi come anni e di come questi eroi abbiano sconfitto l'oscuro nemico del mondo! Prego il cortese pubblico di rilassarsi e di accogliere le sensazioni che avvertirete come fossero quei sogni che, di tanto in tanto, si fanno ad occhi aperti, per apprezzare a pieno la narrazione a cui assisterete. Si va ad iniziare!

    E Naja iniziò il suo canto. La voce cristallina, affascinante e seducente al tempo stesso, placò immediatamente ogni brusio o mormorio che inizialmente faceva da sottofondo alla scena, tanto era la bellezza delle note da lei prodotte senza l'ausilio di alcuno strumento musicale. E mentre cantava, Naja ballava o meglio, si muoveva elegantemente al ritmo delle sue stesse parole agitando le braccia per tracciare precisi movimenti nell'aria. Gli spettatori allora poterono ammirare le immagini che si formavano davanti ai loro occhi quasi per magia, mentre la loro ospite intesseva il racconto. Immagini di ombre minacciose, di eroi coperti da capo a piedi da armature d'acciaio lucente, di potenti maghi e di colonne torreggianti che sostenevano il cielo di tenebra prima che queste venissero abbattute, una dopo l'altra, dalla potenza di Aurhon il campione del cristallo immortale!

    Quasi increduli ma completamente rapiti da ciò a cui assistevano, gli spettatori lanciavano entusiasti monete sul tavolo ad ogni colpo di scena, ad ogni nemico sconfitto dagli eroi della storia e ad ogni baluardo abbattuto, divertiti e impressionati al tempo stesso.

    Lo spettacolo durò più di un'ora e con un profondo inchino Naja salutò la folla, al termine dell'esibizione, stanca ma soddisfatta, prima di calare giù dal palcoscenico improvvisato.

    Applausi e fischi di approvazione la ripagavano dello sforzo compiuto mentre si ritirava nel retrobottega, dove aveva lasciato armi e bagagli, attendendo l'oste che le avrebbe corrisposto il compenso che le spettava.

    - Non ho idea di come tu ci riesca ma, ora che ti ho vista con questi miei occhi stanchi, devo dire che la tua fama è ben meritata! - esclamò compiaciuto il paffuto Olaf mentre le porgeva una piccola borsa tintinnante dopo averla raggiunta.

    - Ti ringrazio. - rispose la ragazza soppesando la piccola sacca - Domani sera potrei esibirmi ancora qui, se vuoi.

    - Molto volentieri! - rispose elettrizzato Olaf - e soprattutto - aggiunse con tono affettuoso - bentornata. L'ultima volta che ti ho visto eri poco più di una bambina e ora sei un'artista di grido - disse l'uomo sorridendo teneramente mentre inclinava la testa come per osservare la ragazza da una diversa angolazione.

    - Dormi a casa del vecchio George o preferisci che ti faccia preparare una camera? Sei mia ospite naturalmente: consideralo come un regalo di benvenuto.

    Naja impiegò pochi secondi prima di accettare il gentile invito di Olaf e, grata della proposta, si fece consegnare le chiavi di una delle stanze al secondo piano del Galeone.

    - È proprio come ai vecchi tempi quando scappavi da casa! - rise divertito l'oste.

    - Non proprio direi - fece notare Naja allegra - a quei tempi io ero molto più bassa e tu molto più magro! - disse punzecchiando con un dito lo stomaco dell'uomo.

    - Eh già, sai com'è. - sorrise imbarazzato Olaf - Quanto ti tratterai in città? - disse l'oste cercando di cambiare argomento.

    - Non molto a dire il vero ma almeno qualche giorno conto di restare, prima di ripartire.

    - Perdonami - saltò su l'uomo - io ti trattengo con queste chiacchiere e tu invece sarai stanca dopo il viaggio e lo spettacolo.

    - In effetti mi piacerebbe dormire un po'. - ammise la ragazza che non vedeva l'ora di riposare.

    - Buonanotte allora, fai sogni d'oro. - le augurò Olaf mentre tornava ad occuparsi degli affari della locanda.

    Dopo ogni spettacolo una leggera emicrania assaliva la ragazza ma quella sera Naja aveva dato fondo a tutte le sue energie per proiettare al meglio, tramite le sue illusioni, le immagini che rendevano uniche le esibizioni per cui si era fatta un nome e non aspettava altro se non il momento in cui avrebbe potuto stendersi per cadere in un lungo sonno.

    Il tirocinio per apprendere i rudimenti del collegio dell'illusione, presso gli elfi Luminosi che si trovavano nei territori del lontano nord, era stato lungo ma, al termine dei suoi studi, era diventata capace di riprodurre rumori e note musicali grazie alla propria magia e di replicare i profumi di cui lei aveva memoria. Con il tempo e l'esperienza, la giovane donna divenne in grado di manifestare illusioni sempre più complesse riproducendo contemporaneamente visioni, suoni e fragranze che facevano da cornice ideale alle storie da lei cantate.

    Dopo aver raggiunto il piano superiore ed essere entrata in camera, si sfilò gli stivali lanciandosi sul letto morbido e pulito, grata di non dover affrontare il padre almeno fino a domani, e in pochi minuti il sonno prese il sopravvento su ogni pensiero.

    Dopo meno di due ore da quando Naja aveva abbracciato il cuscino del suo giaciglio, ripetuti e sonori tonfi iniziarono a disturbare il suo meritato riposo. Durante i viaggi solitari, accampandosi spesso sotto le stelle, la ragazza aveva sviluppato un sonno particolarmente leggero anche se quella sera sperava proprio di abbandonarsi completamente agli Dei del sonno, per sognare fino al mattino successivo. All'inizio cercò di coprirsi le orecchie infilando la testa sotto il guanciale ma gli incessanti rumori provenienti dal basso provocavano una leggera vibrazione perpetua che le rendeva impossibile addormentarsi nuovamente.

    Presa dall'esasperazione, legò alla vita la cintura da cui pendeva il fioretto e, scalza e con i capelli arruffati, decise sbuffando che l'avrebbe fatta pagare cara a chiunque fosse l'artefice di quel fracasso.

    Aprì di scatto la porta della sua camera e mentre il sangue le fluiva al cervello dalla rabbia, imboccò le scale che portavano alla sala sottostante.

    Con grande sorpresa, nonostante la locanda fosse lontana dal chiudere i battenti, trovò il grande atrio, che poche ore prima l'aveva vista protagonista, completamente vuoto.

    Appena fuori dall'ingresso decine di avventori e lo stesso Olaf rivolgevano meravigliati lo sguardo verso l'alto, mentre i rumori sordi che si ripetevano ad intervalli irregolari non davano accenno a smettere.

    Precipitandosi all'esterno per capire cosa stesse succedendo, Naja rimase a bocca aperta mentre assisteva a quella scena alquanto singolare.

    Pietre grandi come un pugno cadevano dal cielo come fossero giganteschi chicchi di grandine e si schiantavano al suolo con impetuosa energia. Qualche astante era già stato colpito da alcune di quelle rocce, con prevedibili conseguenze, mentre più di un edificio iniziava a riportare danni considerevoli.

    Dopo lunghi minuti di attonito stupore, l'inusuale pioggia cessò.

    Cosa era stata a provocarla restò un mistero e anche cercando di interrogare le persone attorno a lei riguardo all’origine del fenomeno, la ragazza non trovò risposta alle proprie domande.

    Alcune voci già iniziavano a parlare di una maledizione incombente, mentre altri incolpavano di quell'evento, con parole forti, gli occupanti della torre che sorgeva a nord ovest della città e che tutti sapevano essere occupata da una congrega di sedicenti maghi.

    - È una vergogna!

    - Domani al concilio cittadino mi lamenterò personalmente!

    - Mio cugino fa parte della gilda popolare! Mi sentiranno!

    - Dovrebbero proprio cacciarli via!

    - Al bando! Al bando!

    Le proteste divennero innumerevoli ma lentamente tutto tornò alla normalità. La maggior parte dei clienti pensò bene di recarsi a controllare le condizioni delle proprie case e dei propri cari, esattamente in quell'ordine, mentre altri considerarono attentamente di bere un altro paio di bicchieri prima di andarsi a coricare. In fondo cosa poteva accadere ancora? Demoni dalle viscere della terra?

    Qualcuno rivolse a Naja commenti scherzosamente accusatori da debita distanza:

    - Non sarà una delle tue messinscene Naja?

    - Potevi far piovere monete invece che sassi!

    La giovane donna decise, senza rispondere agli scanzonati commenti, di rimandare ogni decisione al giorno dopo; era troppo provata anche solo per pensare e tornò di filato nell'alloggio che il buon Olaf le aveva generosamente offerto.

    Nonostante ciò, era destino che Naja non riuscisse a riposare a dovere quella notte e, anche se dopo qualche minuto prese di nuovo a rilassarsi, il sonno fu tutt'altro che ristoratore poiché la ragazza continuava a svegliarsi di frequente. Effettivamente però, come si era inizialmente augurata, i sogni la accompagnarono fino al mattino seguente…

    - Vivienne - una lontana voce stranamente familiare la chiamava. La ragazza si ritrovò di colpo in piedi sotto il sole, al centro di un vasto campo verde dai riflessi azzurrini che non riusciva a riconoscere. Un vento leggero spirava da est, quando all'improvviso si accorse di uno splendido stallone completamente nero, che calava dal cielo terso trasportato da possenti ali simili a quelle di un grosso falco.

    - Vivienne, piccola mia - insistette la voce che proveniva indistintamente da ogni direzione - cavalca il destriero e raggiungimi. Lasciati guidare da chi ti vuole bene e insieme cercheremo la forza di un nuovo giorno nella luce che proviene dalle stelle!

    Capitolo 2

    Kardya

    Il combattimento sostenuto poco prima, non era stato particolarmente impegnativo ma aveva fatto perdere a Kardya tempo prezioso. L'inseguimento in volo, a cavallo del suo fido Azerion, durato più di due settimane, era terminato appena in tempo nei pressi di Navas e di questo l'elfa ringraziava la sorte; se quei maledetti demoni avessero iniziato a sorvolare il mare, sarebbe stato molto più complesso portare a termine la loro cattura, in quanto non avrebbe goduto appieno dei poteri della terra, l'elemento su cui esercitava il dominio.

    Dei quattro Diavoli fuggiaschi però era riuscita a imprigionarne solo uno. Gli altri avevano subíto la fine che meritavano: distrutti dalla pioggia di pietre che aveva evocato e precipitati nell'oceano.

    Kardya non aveva riportato quasi alcuna conseguenza, se non qualche ferita superficiale, e la sua unica preoccupazione in quel momento erano le tracce che il combattimento sostenuto avrebbe potuto lasciare. La maggior parte dei detriti prodotti dall'incantesimo erano caduti in mare ed era già notte inoltrata quando aveva fatto ricorso ai poteri di cui disponeva, richiamando le forze degli spiriti elementali.

    Grazie alla vista che la sua razza possedeva, era in grado di distinguere chiaramente ogni cosa anche nel buio più completo e, una volta colmata la distanza che la separava da quei demonietti, sbarazzarsi di loro era stato per l'elfa Oscura poco più di un gioco. Malauguratamente i fuggiaschi avevano opposto più resistenza del previsto e, anche se avesse desiderato preservarne le vite, questo avrebbe richiesto troppo impegno e anche, forse, una certa dose di rischio.

    I maghi di Beleros sarebbero stati comunque soddisfatti del suo operato e finalmente lei avrebbe guadagnato il diritto di accedere liberamente all'Occhio sul Mondo. Kardya era sicura che fosse stato il destino a permetterle di trovarsi nei pressi del cancello dimensionale quando le quattro creature ne erano inaspettatamente fuoriuscite: su questo non nutriva alcun dubbio.

    Un evento del genere non si era mai verificato.

    Il portale veniva utilizzato per raggiungere luoghi anche eccezionalmente remoti ma non poteva essere un punto di destinazione. Niente era mai emerso dall'Occhio; prima di allora.

    Quando realizzò cosa fosse successo però, lei non si curò di quel fondamentale dettaglio e pensò unicamente a sfruttare ciò che si era verificato, per cercare di raggiungere i propri scopi.

    Riuscire a farsi assegnare, in seguito, l'incarico di braccare i demoni da uno dei magocrati era stato semplice, considerata la singolarità dell'evento e la tempestività con la quale si era offerta volontaria. Doveva rispettare un'unica condizione come parte dell'accordo, ovvero consegnare uno di quei demoni ancora in vita: ora i maghi avrebbero potuto comodamente interrogare il sopravvissuto.

    Kardya era atterrata appena fuori Navas da circa mezz'ora e come prima cosa, aveva plasmato la terra allo scopo di imprigionare gli arti, le ali e la testa del demone verdastro, tra spire di solida pietra. L'essere continuava a contorcersi per cercare di liberarsi ma, costretto nella roccia, le possibilità di darsi alla fuga erano ridotte a zero.

    Il solo problema che le si presentava a quel punto, era come far arrivare il prigioniero fino a Beleros.

    Trasportarlo sul dorso del suo cavallo alato sarebbe risultato troppo pericoloso e lontana dal suolo non sarebbe riuscita a trattenere il demone a lungo. Avrebbe potuto ucciderlo, in fondo: nella città dei maghi anche un necromante alle prime armi sarebbe riuscito ad ottenere informazioni interrogando l'anima del cadavere. Ma non voleva correre rischi, quei fattucchieri avrebbero potuto usare questo particolare come scusa per non riconoscerle la cittadinanza per cui si era prodigata con anni di fatiche. L'elfa Oscura non vedeva vie d'uscita se non ritornare via terra ma sarebbero stati necessari quasi due mesi di viaggio. Anche se era restia ad ammetterlo, aveva bisogno di aiuto e decise dunque di chiedere consiglio confidando nella fortuna.

    Kardya incrociò le gambe per entrare a stretto contatto con la nuda terra e, concentrando le proprie energie mentali, si ritirò nello stato di meditazione che le avrebbe consentito di comunicare con la dimensione degli spiriti dei defunti: indissolubilmente coesa alla realtà dei vivi ma assolutamente impercettibile a chi non avesse le appropriate doti medianiche.

    Slittando con la mente dalla propria realtà al mondo immateriale dell'oltretomba e attraversando il velo che separava le due dimensioni, l'elfa setacciò accuratamente lo spazio attorno a sé, alla ricerca di uno spirito che avrebbe potuto darle consiglio.

    La maggior parte delle anime, esattamente come la quasi totalità dei vivi, era di natura ingannevole e poco affidabile ma alcune di esse, le più nobili, erano degne di fiducia e, in alcuni casi, addirittura in grado di scrutare attraverso il tempo per predire il futuro.

    Il piano dimensionale degli spiriti quindi non le garantiva sempre l'aiuto di cui aveva bisogno. Le molteplici gerarchie di anime erano state classificate dai dotti discepoli di Keras in relazione al grado di purezza e alla moralità delle azioni compiute da queste in vita e occorreva essere molto fortunati per incappare in uno spirito che possedesse le vibrazioni giuste.

    Non essendole rimaste molte opzioni al momento, considerò comunque di fare un tentativo.

    Dopo quasi un'ora di sostenuta trance medianica la sorte sembrò sorridere a

    Kardya e tra i numerosi spiriti corrotti e ignavi, vaganti tra i due mondi, percepì la luce di un'anima tra le più pure che avesse mai incontrato. Piacevolmente sorpresa, fu la prima a parlare per prendere contatto con essa:

    - Nobile essenza che vaghi tra luce e ombra! - proferì solenne Kardya rivolta all'anima - a quale nome rispondi?

    - Il mio nome fu Tarheel in un tempo non troppo lontano. - rispose perentorio lo spirito ormai prossimo - Sono giunto al tuo cospetto volontariamente e conscio dei tuoi bisogni.

    - Volontariamente? - replicò sorpresa l'elfa Oscura - come è mai possibile?

    - È mio compito informarti, giovane elfa, che una creatura eccezionalmente integra e pura è stata condotta in queste terre da una volontà superiore per fare in modo che le vostre strade si incrocino. È questa stessa volontà, anche adesso, a esortarmi a parlare in tua presenza. Sono giunto in queste terre per rivelarti parte del destino che ti attende e per renderti consapevole che solo un essere di luce potrà fornirti l'aiuto di cui avrai bisogno.

    - Cosa mi suggerisci di fare quindi per trasportare questo immondo fino a Beleros? - domandò l'elfa indicando il prigioniero.

    - In realtà non ho idea di come aiutarti a tal proposito. - rispose con una leggera esitazione l'essenza traslucida - Il messaggio che sono stato inviato a comunicarti mira a metterti in guardia dai pericoli imminenti che si porranno sulla tua strada e che sarà tua responsabilità superare. Puoi iniziare il cammino a te destinato cercando una donna il cui nome corrisponde a Vivienne nella vicina città di Navas. - riferì Tarheel con voce calma e austera e prima di svanire, esattamente come era apparso, offuscando gradatamente le forme già di per sé incorporee, proclamò: - Cerca la forza di un nuovo giorno nella luce che proviene dalle stelle!

    Quelle parole si insediarono nella mente dell'elfa come un enigmatico monito e Kardya quasi perse conoscenza a causa dell'impatto che ebbero su di lei.

    L'elfa non poteva essere più confusa di così. La luce non era mai stata sua alleata, in quanto come ogni membro del popolo a cui apparteneva, preferiva l'oscurità della notte e una parte di sé rifiutava quella che aveva tutta l'aria di essere una profezia a cui non desiderava affatto prendere parte.

    Non sapendo ancora come risolvere il problema che ancora la tratteneva, decise comunque suo malgrado di seguire le indicazioni dettate dall'anima, perlomeno quelle di cui aveva compreso il significato. Gerarchie spirituali di quell'entità molto difficilmente dichiaravano il falso, e soprattutto reputava essere un fatto davvero straordinario che quello spirito fosse stato inviato appositamente per lei. Ma da chi? Domandò perplessa rivolgendosi solo a se stessa.

    A chi apparteneva la volontà superiore a cui lo spirito di Tarheel aveva fatto riferimento?

    Le conoscenze e le facoltà di Kardya provenivano da anni di studio, durante i quali aveva approfondito la congiunzione stessa tra i piani dimensionali più prossimi al nostro e, tra questi, la dimensione della terra e quella degli spiriti erano quelle maggiormente in simbiosi con le sue attitudini.

    Aveva da poco superato i duecento anni di età, raggiungendo il pieno dell'età adulta, secondo il calcolo degli anni del suo popolo, e la morte era un pensiero che non la sfiorava minimamente. Nonostante le sue conoscenze e abilità si fossero notevolmente ampliate, dal tempo dei lunghi giorni di campagna in guerra contro i Vergoth, continuava però ad essere cosciente della propria inadeguatezza.

    Per Raidhar e Hignos poi, i suoi maestri, lei era ancora solo una ragazzina. Una volontà superiore e un essere eccezionalmente integro.

    Ripensando a quelle parole, Kardya non poteva negare un possibile coinvolgimento delle divinità in quella faccenda; era ben conscia che creature straordinariamente più consapevoli di lei, ed in grado di influenzare le sorti dell'intero universo, esistevano realmente. Le facoltà dei suoi maestri erano una chiara manifestazione del potere di questi esseri superiori dopotutto.

    - Quali sono i vostri scopi allora? - chiese ad alta voce nella radura deserta, come se qualcuno di impercettibile potesse effettivamente prestare ascolto alle sue domande.

    I pensieri nella mente dell'elfa ritrovarono lentamente una sorta di equilibrio, superando la confusione iniziale.

    Dopo aver dato cibo e acqua ad Azerion e controllato lo stato del demone prigioniero, Kardya decise di prendere contatto con la donna di cui Tarheel aveva parlato. Nell'arco di poche ore il sole maggiore sarebbe sorto e in quel momento, quasi ogni appartenente alla razza umana dormiva beatamente. Era l'occasione giusta per provare.

    Spossata a causa del lungo inseguimento, Kardya non disponeva più di molte energie.

    Appoggiò la schiena ad un grosso ciliegio e un fresco venticello leniva l'arsura di quella calda stagione rinfrancandola appena.

    Il sole notturno ricopriva con una fioca luce rossastra ogni cosa e permetteva al suo sguardo acuto di penetrare attraverso gli alberi, per ammirare la sterminata campagna che si estendeva nei dintorni di Navas, mentre nella sua testa risuonavano ancora le parole udite pochi minuti prima:

    - Cerca la forza di un nuovo giorno nella luce che proviene dalle stelle! Kardya si scosse cercando di allontanare almeno per il momento il ricordo della voce dello spirito e si impose di entrare nello stato di meditazione cosciente che solo gli elfi erano in grado di praticare.

    Anche la sua razza infatti aveva bisogno di dormire ma i suoi membri lo facevano in maniera differente da quasi tutte le altre specie.

    Gli elfi erano in grado di entrare in una condizione di sonno vigile, che consentiva loro di legarsi armoniosamente ad ogni cosa li circondasse, connettendosi coscientemente alla natura durante un processo di lenta rigenerazione fisica e mentale.

    Durante quello stato simile al sonno, Kardya avrebbe preso contatto con la donna di nome Vivienne... a modo suo.

    Capitolo 3

    Merimath e l'Ordine della Luna d'Argento

    Lo strano fenomeno, verificatosi la sera precedente, non aveva coinvolto esclusivamente gli avvinazzati avventori del Galeone Affondato poiché all'interno dell'area colpita dalla pioggia di pietre, fortunatamente circoscritta alla zona del porto commerciale, altri erano stati testimoni di risvolti alquanto interessanti.

    Merimath fu svegliato poco dopo il sorgere del sole maggiore e convocato di gran fretta negli uffici del Gran Maestro.

    Il cavaliere aspettava da più di un mese quel giorno, nel quale, su sua espressa richiesta, avrebbe potuto affiancare il capo bibliotecario e continuare il suo apprendistato da archivista. L'uomo saltò giù dalla propria branda carico di entusiasmo. Niente lo rendeva più felice che lasciarsi trasportare dal sapere custodito nei volumi della biblioteca dell'ordine ma sapeva bene che sarebbero stati necessari ancora molti anni per ritagliarsi la posizione a cui ambiva e che nel frattempo avrebbe dovuto servire il cavalierato della Luna d'Argento con la massima dedizione possibile. Non era una persona d'azione e preferiva lo studio ai compiti di guardia e prevenzione dei crimini ma questi ultimi erano, purtroppo, attualmente i suoi unici doveri. Periodicamente, una volta al mese o poco più, riusciva ad essere distaccato presso la biblioteca più famosa del mondo occidentale e, finalmente, era giunto uno di quei giorni tanto attesi.

    Non prevedendo di dover assolvere a compiti che lo avrebbero richiesto, Merimath non vestì l'armatura, quel mattino, ma solo un elegante giustacuore verdazzurro appositamente cucito per lui, data la sua inusuale statura anche per un Deraniano, di poco inferiore ai due metri e la corporatura eccezionalmente esile. Sistemò velocemente i capelli corti, ispezionandoli nel piccolo specchio del proprio alloggio e notò qualche pelo bianco più del solito sui baffi ben curati. Fischiettando serenamente uscì dalla sua camera. Nonostante il Primo Cavaliere lo avesse convocato, quella non era una richiesta ufficiale poiché mancavano i protocolli necessari ed essendo già stata stabilita la sua assegnazione, non pensò troppo al motivo di quella chiamata mentre percorreva il lungo corridoio che separava gli alloggi d'ordinanza da quelli dell'amministrazione. Già pregustava l'odore dei tomi antichi che tra poco avrebbe, dopo diverse settimane, avidamente maneggiato.

    Tutto sembrava in perfetto ordine: i lunghi e ampi drappi, che decoravano le pareti, cadevano dall'alto soffitto recanti i colori e i precetti dell'ordine, impreziositi da squisite decorazioni argentee; i corridoi, sormontati da ampie volte magistralmente progettate, ripartivano lo spazio in modo pratico ed esteticamente gradevole; i pavimenti, così lucidi da potersi specchiare, creavano l'effetto di una ridondante opulenza.

    In quel caldo mattino d'estate, il cavalierato funzionava come un perfetto meccanismo e ogni suo membro assolveva alla funzione a lui destinata trovandosi esattamente nel luogo in cui sarebbe dovuto essere... tutti tranne Merimath.

    Prima ancora di avere il tempo di bussare alla porta chiusa della fureria, il cavaliere vide avvicinarsi con la coda dell'occhio il Gran Maestro Odheron che avanzava di gran passo, intento a siglare frettolosamente alcuni documenti mentre un paio di giovani scudieri provvedevano ad alleggerirlo della pesante armatura.

    Ormai in abbondante sovrappeso, il Gran Maestro era costantemente preso dai compiti che spettavano ad un uomo del suo rango e nonostante avesse poco più di cinquant'anni, ne dimostrava almeno dieci in più. Gestire l'ordine di cavalleria non era un lavoro semplice e onestamente Merimath non provava invidia per il suo diretto superiore: continue riunioni, emissioni di ordinamenti, obblighi nei confronti degli organi di governo e tanti altri doveri, propri delle posizioni più elevate, non erano adatti per un tipo come lui.

    L'allampanato cavaliere scattò sull'attenti quando il Gran Maestro gli fu davanti.

    - Riposo, tenente, e grazie per essere arrivato con così breve preavviso - lo salutò Odheron in maniera del tutto informale per poi aggiungere subito dopo: - vieni con me.

    Il cavaliere obbedì prontamente all'anziano ufficiale che spesso aveva atteggiamenti più simili a quelli di un padre amorevole che non a un severo comandante e questi non si limitavano solo alla sua persona ma alla maggior parte dei commilitoni dell'ordine. Merimath non poteva che provare un certo grado di affetto per l'uomo buono che Odheron si era sempre dimostrato.

    Superate le sale dedicate all'amministrazione per raggiungere l'ampio studio, il Gran Maestro congedò frettolosamente i propri attendenti e sistemandosi con un sospiro di sollievo dietro la scrivania chiese a Merimath di chiudere la porta dietro di sé.

    - Perdonami se ti ho convocato così d'urgenza ma ho la necessità di affidarti un compito straordinario - confidò Odheron.

    - Sì, Gran Maestro, ma non comprendo la fretta con la quale mi avete convocato: potevamo parlarne dopo il turno di servizio in biblioteca. - fece notare sereno Merimath.

    - Purtroppo no cavaliere - lo contraddisse Odheron - la tua missione inizierà immediatamente dopo averti fornito i dettagli necessari.

    - Gran Maestro credo di avere inteso male. Ho già un incarico ufficiale da svolgere nella giornata odierna. Se necessitate di un furiere potreste incaricare Randall o Khotas, loro sono attualmente fuori servizio e di reperibilità immediata per ciò che concerne le emergenze. - disse in tono quanto più formale possibile il cavaliere cercando di scongiurare ciò che più temeva.

    - Mi dispiace tenente, so quanto sia importante per te continuare il tirocinio da archivista ma si tratta di un compito per il quale sei risultato essere il più idoneo - spiegò Odheron.

    - Sapete che non sono solito sottrarmi agli ordini che mi vengono impartiti ma devo proprio chiedervelo: non è possibile affidare l'incarico a qualcun altro? - propose Merimath con un tono quasi implorante.

    - Purtroppo no - rispose ferreo ma con un accenno di dispiacere Odheron, conoscendo l'irreprensibile stato di servizio del tenente.

    - Di cosa si tratta? - sospirò rassegnato il cavaliere.

    Odheron prese fiato e iniziò ad esporre la questione - Quello che ti dirò è confidenziale e dunque conto sulla tua discrezione.

    - Ma certo Gran Maestro, dite pure.

    - Ieri sera, nella zona del porto commerciale, si è verificato un avvenimento alquanto insolito. Sembra che una pioggia di meteoriti abbia provocato ingenti danni.

    - La guardia repubblicana non è in grado di gestire da sola i disordini? - si informò Merimath

    - Non si tratta solo di questo. Siediti. - comandò il Primo Cavaliere visibilmente concitato che intanto detergeva il sudore dalla fronte lucida mentre indicava uno degli scranni davanti alla sua

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