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I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1
I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1
I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1
E-book535 pagine8 ore

I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1

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Info su questo ebook

Un antico mito conosciuto col nome di “leggenda dell’antico regno”, racconta la storia della caduta dal cosmo di un corpo celeste, un asteroide, che si divise in sette frammenti prima di toccare il suolo terrestre. Secondo quell’ancestrale leggenda tramandata nel regno di Belisaver, luogo dove avvenne lo schianto, da ognuna di quelle parti del misterioso oggetto spaziale infuocato nacquero altrettanti regni. Tali regni vennero definiti nascosti, in quanto rimasti in qualche modo sospesi fra il tempo e lo spazio. Successivamente i maghi appartenenti a due ordini contrapposti rimasero gli unici depositari dell’antico sapere riguardante i regni nascosti, sino a quando il mago Esperil decano dell’ordine magico di Goraz non viene convocato dal vecchio sovrano di Belisaver re Zorev III presso il suo castello ad Enselit, la capitale del regno. Il re, spalleggiato dal suo fidato consigliere, è molto allarmato per via di alcuni strani accadimenti verificatisi di recente a Belisaver. Grazie al prezioso aiuto di Esperil scopriranno come sia imminente un’invasione da parte delle truppe del regno di tenebra di Riondord, il più pericoloso tra tutti quei reami nascosti che fino a quel momento erano sembrati appartenere soltanto ad un mito che cominciava ad essere oramai un po’ sbiadito. Improvvisamente la guerra sembra incombere su Belisaver in maniera inaspettatamente repentina, costringendo il saggio Esperil ad andare subito in cerca del suo discepolo prediletto Kabel. I due, insieme al buffo ma leale Almoluk, saranno costretti ad intraprendere un lungo e pericoloso viaggio attraverso tutti i leggendari regni nascosti nel tentativo di riunificare i sette scettri, custoditi dai regnanti di ognuno di essi, prima che ci riescano le forze nemiche. La partenza per il regno nascosto di luce di Riolais, prima tappa del loro viaggio, dovrà essere tuttavia anticipata da una dura prova, denominata “danza delle virtù”, alla quale il giovane e valoroso Kabel dovrà necessariamente sottoporsi. Tale rituale si rivelerà potenzialmente mortale ma al tempo stesso indispensabile per aprire la sua mente a nuove conoscenze e prepararlo alla missione quanto soprattutto al proprio destino, già scritto forse nelle stelle.

Frank Fisher nasce a Genova nel 1978, diplomato in ragioneria, da sempre amante delle arti. Musicista per hobby ma soprattutto appassionato scrittore, autore di una saga fantasy sviluppata in più volumi e di un romanzo di fantascienza intitolato “l'uomo senza pensieri” pubblicato nel 2018, oltre ad altri racconti che spaziano attraverso vari generi, dal fantascientifico all'horror.
Amante della filosofia, dell'astronomia ed in generale di tutto ciò che può solleticare, stimolare curiosità e mettere in moto il cervello.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2019
ISBN9788835326205
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    Anteprima del libro

    I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1 - Frank Fisher

    Frank Fisher

    I regni nascosti di

    Belisaver

    Volume 1

    La danza delle virtù

                EDITRICE GDS

    Frank Fisher I regni nascosti di Belisaver - La danza delle virtù - volume 1  ©Editrice GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via Pozzo, 34

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    Il presente romanzo è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, persone, cose e/o luoghi realmente esistenti e/o esisititi è puramente casuale.

    Illustrazioni interne di ©Nina Goloenko

    Immagine in copertina di©Nina Goloenko

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

    Atto I

    Avventura nel regno di luce

    Prologo - La leggenda dell’antico regno

    Salve mi presento, il mio nome è Esperil e sono quello che comunemen­te definireste un mago. Per certi sono solo un vec­chio ciarlatano, per altri un povero mentecatto mentre altri ancora mi considerano portatore di grandi vir­tù, prima fra tutte il dono della guari­gione e mi attribuiscono persino la ca­pacità di prevede­re il futuro. Ed allora chi o cosa sono direte voi, forse vi do­manderete, se ancora non mi conosce­te, del perché la gente abbia opinioni così disparate su di me.

    Ebbene vi dico che la tal cosa non ha la minima impor­tanza, ognuno di noi possiede all’interno di sé forze be­nigne e forze ma­ligne. La differenza la fa il diverso peso che bene e male han­no sui piatti della bilancia, questi sottili equilibri stanno dentro ognuno di noi, vale per chi giudica e per chi viene giu­dicato. Quel che più conta è che io so­no qui ora non in veste di mago (o di quel che sono) ma bensì nella veste di umile nar­ratore e la storia che mi ac­cingo a rac­contarvi parla proprio di questo amici, della sottile dif­ferenza che esiste tra il bene e il male all’interno dell’animo uma­no e dell’assai meno sottile diffe­renza che fa per un uomo sceglie­re una via anziché l’altra, luce anziché oscurità e di andare incon­tro verso il proprio destino: questa è la sto­ria di Kabel e dei sette regni nascosti di Belisaver. Ma ogni storia che si rispetti ha la sua scin­tilla che la innesca scate­nando un in­cendio di eventi destinato a sconvolge­re la vita di molti.

    Nel nostro caso que­sta scintilla va ricercata all’interno di una leggenda, la più ancestrale tra quel­le tramandate nella nostra terra; la co­siddetta leggen­da dell’antico regno. E narrandovene il mito ora comincerò la mia opera di portatore di memorie af­finché il tempo non possa cancellarne gli esiti che fu­rono, gli atti che sono e le conseguenze che saranno.

    Ci sono cose perse nell’oblio del cosmo, assolutamente fuori dalla porta­ta dell’immaginazione umana. Ci sono co­se i cui arcani poteri possono sog­gioga­re la mente umana alla velocità della fol­gore e ridurla in schiavitù. Ci sono cose così profondamente mal­va­gie e così intimamente buone da far va­cillare la volontà stessa del creato. Ci sono co­se che quando arrivano non ti lasciano mai più. In una notte qualun­que, appa­rentemente placida durante la sesta e ultima era del popolo dei pre­cursori qualcosa apparve nel firmamen­to, squarciò il cielo e nulla da allora fu più come prima. Mormora il mito che gli antichi abitanti del regno di Belisa­ver quella notte udirono un boato tre­men­do, nemmeno lontanamente para­gonabile a quanto sentito fino a quel momento nel corso delle loro esistenze. Il firmamen­to not­turno si illuminò a giorno, una sfera luminosissima ma dal colore inde­finibi­le apparve da est e d’incanto sem­brò staccarsi in sette frammenti. Uno cadde in mare vicino alla costa, un altro ca­dendo al suolo formò un vulcano, gli altri cinque infi­ne sprofondarono nelle viscere della terra. Ma no­nostante gli impatti tre­mendi non ci fu nessun cata­clisma, né ter­remoti, né uragani, né tan­to meno maremoti, niente di niente. Sussurra il mito che metà degli abitanti del regno si chiusero nelle loro case in preda al terrore, l’altra metà invece sembrò pre­sa da una sorta di delirio collettivo e come spinta da una invisibi­le quan­to misteriosa ed inesorabile vo­lontà si di­resse verso i luoghi dov’erano atterrati i frammenti del corpo celeste ma di tutti colo­ro che quella notte la­sciarono i propri villaggi nessuno fece ritor­no a casa. Bisbiglia il mito che ognuno di lo­ro fu catturato da quell’arcana volontà e rimase in un qualche luogo misterio­so, formatosi in prossimità degli impat­ti, ad edificare dei nuovi villag­gi. Ulula al vento il mito che da quella notte sor­se l’alba di una nuova era: l’era dei re­gni nascosti di Belisaver; Riolais il re­gno di luce, Re­gnet il regno di fuoco, Rioghir il regno di ghiaccio, Aontu­sce il regno d’acqua, Rioncre il regno di terra, Riodenna il regno di polvere ed infine Riondord il regno di tenebra.

    Ecco questa era l’epopeica leggenda dell’antico regno, la pre­messa indispen­sabile per entrare più intimamente nella nostra sto­ria. Qualcosa stava mutando nelle viscere della terra, negli abissi del mare ed anche lassù in aria, sopra le nuvole. Ci sarebbe potuta essere in quel tempo solo una persona in grado di comprendere, seppure in minima parte, l’importanza dell’evento appena acca­duto e la gravità dei mutamenti a cui avrebbe portato ma a questa persona come vedremo più avanti mancava an­cora qualcosa, un segno tangibile che la spingesse ad immergersi nelle profon­dità del mistero ed esplorarne le inquie­tudini più profonde.

    Quella persona era il mago Monde­lar, il fondatore del mio or­dine, quello dei maghi di Goraz e quel segno si sa­rebbe manifesta­to mol­to presto.

    Capitolo 1 - L’invasione delle truppe di Riondord

    E dopo il doveroso preambolo possiamo cominciare una vol­ta per tut­te il nostro cammino all’interno della storia, la quale si svolge nel corso della terza era della seconda dinastia e più preci­samente durante il regno di re Zo­rev III, sovrano indiscusso dell’intero reame di Belisaver. Re Zorev era vec­chio e saggio ma con la sua età, oltre ai peli bianchi nella sua barba stava in lui cre­scendo anche qualcos’altro. Era un qualcosa di indefinibile e sini­stro, come se antichi timori per anni nascosti tra le pieghe del tempo stessero prepotente­mente per tornare a galla. Zorev III dimorava nella città di Enselit, capitale del regno di Belisaver e la sua casa era il grande castello che sovrastava la città stessa. Dall’alto torrione la sua vista po­teva spingersi a vista d’occhio si­no all’orizzonte ed anche adesso che la stanchezza opprimeva il suo corpo, pressava la sua mente ed ottenebrava il suo cuore non passava giorno in cui egli non salisse lassù ad osservare i fasti del suo regno.

    Negli ultimi giorni tutta­via, volgen­do faticosamente il suo sguardo verso quell’orizzonte che a lungo era stato foriero di glo­ria, il suo antico ed ormai malandato cuore di guerriero gli aveva suggerito che ombre minacciose si sta­vano addensando sul suo regno. Noti­zie confuse arrivavano a corte, parlava­no di potenziali focolai di rivolta tra i contadini che lo avevano sempre amato e gli avevano giurato eterna fedeltà, ma era soprattutto un altro aspetto ad al­larmarlo ed a render­lo inquieto in quei giorni, ovvero la no­tizia che numerosi suoi soldati stavano disertando un po’ in tutti gli angoli del regno. Turbato da ciò aveva mandato il suo fido consiglie­re Defesius a verificare la veridicità di tali dicerie. Era già tra­scorso un mese dalla partenza di Defe­sius quando fi­nalmen­te una mattina di primavera il vecchio sovrano salendo in cima al tor­rione scorse in lontananza un uomo cavalca­re di gran carriera ver­so la città, nono­stante la sua vista ap­pannata non ci mi­se molto a capire che si trattava del suo consigliere finalmen­te di ritor­no. Una grande frenesia si impadronì di lui e dimenticandosi di tutti gli acciac­chi si precipitò in men che non si dica giù per i ripidi sca­lini della torre col chiaro in­tento di andargli incontro.

    Giunto al portone esclamò… «Pre­sto aprite le porte è tornato Defe­sius!». Ordinò il re.

    «Sì maestà, subito!», risposero all’unisono le guardie.

    Il por­tone si spa­lancò e Defesius apparve al­quanto tra­felato sulla sua ca­valcatura.

    «Mio fido Defesius finalmente, quali notizie por­ti?» chiese con malcela­ta ansia il re.

    «Mio sire purtroppo non posso sol­levare il vostro cuore come vorrei. Du­rante il mio errare per le terre di Be­lisaver ho scorto om­bre sini­stre allun­garsi impetuose come on­de, onde pronte ad infrangersi presto su di noi mio re ma preferirei conferire in priva­to di certe questioni» ribatté laconico il consigliere.

    «D’accordo De­fesius seguimi nella sala del consi­glio, il mio cuore brama e te­me di rece­pire il significato del tuo rac­conto».

    Si recarono così nella grande sala del con­siglio e Defesius, non senza qualche esitazione, cominciò a proferi­re dinanzi allo sguar­do sempre più preoccupato del re: «Maestà, quello che ho da rife­ri­re avvelena da giorni il mio cuore e la mia mente ma è mio pre­ciso dovere da consigliere essere schietto anche se ciò mi duole».

    «Su, non esitare oltre e non far cre­scere ancora in me l’ansia, dimmi allora cosa sta succeden­do nel mio re­gno!», lo esortò il so­vrano mostrando i primi se­gni d’impazienza.

    «Lo farò maestà! Ho girovagato in lun­go e in largo e devo dire sin da subi­to che non ho potuto ancora stabilire con certezza cosa stia per accadere, posso però dire oltre ogni ragionevole dubbio che qual­cosa di malvagio sta contami­nando i cuori degli apparte­nen­ti al vo­stro popolo. Per la prima volta da quando siete sul tro­no la gente pro­va mal­contento e cova propositi di ri­bel­lione, qualcosa di inde­finibilmente mal­vagio si avverte nell’aria e sembra anni­darsi non molto distante da qui, verso nord-ovest».

    «Perché dici che si annida a nord-ovest? Devi dirmi tutto De­fe­sius!».

     De­fesius che notoriamente non perdeva mai la calma si acci­gliò e si mi­se a guardare dal finestrone della sala del consiglio fis­sando il vuoto. Nono­stante la sua giovane età, non del tutto certa ma comunque compresa fra le trenta e le quaranta primavere, la sua saggezza unita alla sua scaltrezza erano qualità note a tutti. Anche il suo aspet­to era insolito per un consigliere, era alto e mu­scoloso con lunghi capelli lisci e ne­ri, l’espressione era severa e com­plice il suo naso aquilino ed il suo sguardo de­ciso metteva spesso in sog­gezione i propri interlocutori.

    Ma quel giorno non sembrava af­fatto il solito Defesius, la sua prover­biale sicurezza pareva ve­nirgli meno, non era certo paura, quella no, ma per la prima volta in vita sua dava l’idea di provare timore per ciò che sarebbe po­tuto accadere da lì a po­co. Alfine di­stolse lo sguardo dal vuoto, prese un bel respiro e ricomin­ciò a par­lare.

    «Tanti soldati stanno di­sertando, molti sudditi del regno di ogni estra­zione sociale e dalle più di­sparate oc­cupazioni stanno abbando­nando le loro case e le loro terre, i mer­cenari arrivano a frotte dalle terre ol­tremare e sbarcano in massa sulle coste dell’ovest presso Vindamor. C’è grande fermento e l’unico fattore comune è che tutti si di­rigono apparentemente nella stessa di­rezione».

    «Quale direzio­ne Defesius? Non tenermi sulle spine!», incalzò il monar­ca.

    «Verso le terre proibite mio re».

    Il vecchio sovrano impallidì e sem­brò più stanco del soli­to, si sedette quindi su una sedia in preda a sensa­zioni inde­finibili.

    «Come le terre proibite? Nes­suno osava mettervi più piede da tem­po im­memorabile ed ora tu mi stai di­cendo che non solo si dan­no alla mac­chia ma che addirittura sfi­dano le sacre leggi di Be­lisaver recan­dosi nelle terre proibite. Quale infame disegno di sven­tura si ce­la dietro il mi­stero di questi giorni? In quale tragico gorgo il destino sta trasci­nando il mio regno? Cosa ne resta di ciò che fu la mia dinastia? Solo vergo­gna e disonore, ma io mi rifiuto di ac­cettare una simile sorte!». Fu dunque l’inevitabilmente amaro ed addo­lorato commento di Zorev.

    «Ed infatti non va accettata mio re, dob­biamo rea­gire su­bito!».

    Il re fece per al­zarsi di scatto ma la suola della scarpa destra si staccò im­provvisamente fa­cendolo fini­re ad­dosso a Defesius il quale si rivolse im­mediatamente a lui con evidente ap­prensione.

    «Maestà sta­te bene?!».

    «Ve­di, questo è un altro pre­sagio di sventu­ra» rispose l’anziano re con un pizzi­co di rassegnazione.

    «Ed allora penso pro­prio di sapere a chi dobbiamo rivol­gerci!». Affermò d’impeto il consigliere dai capelli corvi­ni.

    «A chi alludi?». Gli chiese il suo re con un misto di curiosi­tà e speranza.

    «Al mago più potente del regno, colui i cui servigi vi sono già sta­ti più volte of­ferti».

    «Esperil, è vero! Come ho fatto a non pensarci prima? Manda subito qualcuno a cercarlo, fate­lo venire qui al più presto!» esortò a quel punto Zo­rev terzo con rinnovato vigore.

    «Darò di­sposizioni immediate in merito».

    E fu così che Defesius mandò dei messagge­ri alla mia ricerca, il mio tem­po di met­termi in gioco era giunto, il fato chia­mava ed io avevo sentore di ciò.

    Per cui mentre le pedine comincia­vano a mettersi in movi­mento io nella mia dimora, situata nelle profondità delle caverne di Otomn, ero intento a consultare le sa­cre pietre, mi era chiaro che il male sta­va prendendo il soprav­vento ed aspet­tavo la chia­mata di re Zorev. Defesius sapeva dove si trovava il mio rifugio, le caverne sarebbero sta­te il primo posto dove sarebbero venuti a cercarmi e così fu. Un paio di mes­saggeri in calzamaglia bardati di tutto punto con le insegne di palazzo mi convocarono a corte e dopo un viaggio a cavallo di mezza giornata arrivai al castello di re Zorev con l’animo colmo di cattivi presagi.

    La speranza calava rapidamente a ovest, come il sole dietro le montagne in una gelida giornata d’inverno e con essa anche il co­raggio degli uomini, soppiantato dalla paura come la luce che fa posto all’oscurità, ma c’era anco­ra qualcosa che non si poteva fermare, il battito del cuore dei giusti dentro al loro petto e finché ci fosse stato quello ci sarebbe potuta an­cora essere un alba di speranza. Final­mente arrivai dunque al cospetto dell’anziano so­vrano.

    «Salute saggio Zorev, un vecchio amico è giunto qui dinanzi a te a por­gerti omaggio e a cercare di trovare un raggio di speranza in questo tempo che sembra piombare dritto nel cuore dell’oscurità».

    «Salute a te amico mio, fedele compagno di tante antiche bat­taglie, è da tanto tempo che non ci vediamo e lo Zorev che cono­scevi un tempo sembra svanire giorno dopo giorno. Sento le forze che mi ab­bandonano e temo il momento in cui dovrò lasciare il mio posto sul trono, la mia dinastia si è spezzata ed in tempi di così lugubri presagi ci sarebbe bisogno di una guida piena di vigo­re».

     «Ma c’è tuo nipote Boras, figlio di tua sorella, lui è giovane e forte ed è una guida si­cura per le truppe di Beli­saver», dissi io nel tentativo di fargli co­raggio.

    «Gio­vane e forte lo è senz’altro, ma a Boras manca una qualità fondamenta­le per essere re, specialmente in tempi così cupi».

    «A che cosa ti riferisci mio vec­chio amico?», mi venne pertan­to na­tu­rale chiedergli.

    «Alla saggezza. Il mio caro ni­pote Boras non ne possiede ab­bastanza per succedere al mio trono ed in quan­to ad essere una guida sicura per il mio eser­cito dubito fortemente anche di questo. Immagino che sarai al corrente della falcidia di diserzioni che stanno suben­do i miei schieramenti, la colpa di ciò è anche sua».

     «Ma mio sire, quello che sta acca­dendo sembra go­vernato da un’invisi­bile mano di tene­bra che guida gli uo­mini come buratti­ni. Boras non ne ha colpa, anzi grazie al suo carisma tanti soldati gli sono anco­ra fedeli e lo sono anche a voi» fu a quel punto la chiosa dello scaltro con­sigliere.

    «Ancora una volta il saggio De­fesius non ha parlato a spropo­sito mae­stà, dobbiamo fidarci di Boras. Co­munque non indugia­mo oltre, dobbia­mo immediatamente recarci nei sotter­ranei del castello e più precisamente al pozzo delle anime perdute, devo com­piere un rito pericoloso ma che ci è indi­spensabile per cercare di scrutare oltre la cortina di fumo creata dagli ultimi strani accadi­menti».

    «Come desideri Esperil, rechiamoci immediatamente al pozzo se davvero lo ritieni necessario».

    Così il sottoscritto, re Zorev e De­fe­sius si recarono verso i sotterranei. Il castello di Belisaver era noto, oltre che per il suo grande ed altissimo torrione centrale, per la sua forma particolare. Era infatti fatto a stella e per recarsi nei fondi l’entrata era situata nella punta in alto, quella che era rivolta verso nord.  Passammo dall’ala ovest attraverso un corridoio dalle ampie vetrate e dalle mura spoglie, poi giù per tre rampe di scale che rasentavano il vuoto, in segui­to imboccammo la profonda scala a chiocciola. A metà di tale scala vi era l’accesso per le segrete del castello, in fondo si giungeva in un’ampia oscura caverna ed in fondo ad essa si scorgeva un piccolo bagliore nel buio. Avvici­nandosi ad esso ecco che si poteva in­fine vedere il pozzo, era una piccola cavità circolare di circa un metro di diametro, era impossibile stabilirne l’esatta profondità a causa della luce in­tensa che proveniva dal suo interno. Era stata scoperta per caso per via di un crollo durante la costruzione delle segrete ed i maghi dell’ordine di Goraz, i miei predecessori, ne avevano subito compreso le straordinarie qualità. Im­mergendosi nella luce dentro al pozzo si poteva aprire la mente ed avere delle risposte su quesiti di estrema importan­za nonché di difficile comprendonio. Tuttavia questo tentativo poteva costa­re un prezzo molto caro. Chi vi si im­mergeva rischiava la pazzia e solo un mago con conoscenze profonde dell’occulto poteva pro­vare la rischiosa impresa avendo qualche possibilità di non perde­re la ragione.

    Per il sottoscrit­to sarebbe stata la prima e forse anche ultima volta, in cui mi sarei cimentato con la calata nel pozzo delle anime perdute, ma sentivo dentro di me che seppur altissimo era un ri­schio che do­vevo giocoforza ac­collarmi. Si diceva che dentro al pozzo giacessero le anime di coloro che du­rante la fatidica notte della creazione dei regni nascosti si erano tolti la vita in preda alla pazzia per ciò che i loro oc­chi avevano visto e che le loro anime senza pace avessero cominciato da allo­ra a vagare per il re­gno di Belisaver. Se­condo la tradizione che si tramanda da secoli tra gli appar­tenenti al mio ordine magico, fu il po­tentissimo mago Mon­delar, discepolo diretto di Goraz, a scoprire la caverna col pozzo di luce dopo il già citato crol­lo ed a catturare le anime perdute per poi confinarle nella profonda cavità e proprio per questo sola­mente i maghi del mio ordine po­tevano osare cimentarsi nella sua po­tenzialmente fatale discesa. Successi­vamente sopra quella ca­verna sarebbe sorto il castello dei re di Beli­saver.

    E così mi preparai a confrontar­mi con una forza sconosciuta, sapendo so­lo in parte grazie ai racconti dei miei decani, quello a cui sarei andato incon­tro. Mi tolsi gli indumenti, il mio cap­pello a punta ed anche la tunica, en­trambi rossi che per l’ordine di Goraz è considerato un colore sacro e con essi dovetti consegnare a De­fesius anche Levantir, il mio bastone magico poiché nessun corpo estraneo si poteva tenere durante l’immersione nel pozzo.

    «Tieni Defesius, ti porgo il mio cappello, la sacra tunica ed il mio ba­stone Levantir; niente oltre la mia per­sona mi è con­cesso portare con me».

    «Ma come Esperil, vuoi calarti nel pozzo delle anime perdute senza nean­che il tuo ba­stone Levantir? Sarebbe una follia!».

    «Nessuna follia mio buon Defesius, il mio destino mi attende in fondo a quel pozzo e la forza di affrontarlo a viso aperto sta solo dentro di me e nes­sun oggetto magico potrà servire allo sco­po…anzi uno serve in realtà».

     «E quale mastro Esperil?».

    Alla domanda di De­fesius presi la mia sacca delle arti magi­che ed estrassi da essa un oggetto di grande valore in­trinseco.

    «Questo og­getto Defesius è la clessi­dra di Calebar, giratela quando mi im­mergerò nel poz­zo e solo dopo che l’ultimo granel­lo di sabbia sarà caduto tirate il Levantir sul­la sommità del poz­zo badando bene che non ci caschi dentro, deve sola­mente rimanerci ap­poggiato sopra, ap­peso tra un’estremità e l’altra».

    «Sarà fatto amico mio!». Esclamò allora l’anziano sovrano, co­sì mi calai nel pozzo delle anime perdute mentre re Zorev girava la sacra clessidra di Ca­le­bar.

    Mi immersi totalmente nella luce del pozzo, la prima sensa­zione fu quel­la di perdere la cognizione del tempo e delle spazio, vedevo solo una luce in­tensissima ma allo stesso tempo non acce­cante e nonostante la fama del luo­go sentivo una sensazione di benessere che mi lasciava stranito. Pian piano pe­rò qualcosa sem­brò mutare all’interno della mia sfera percettiva, subentrarono l’angoscia che è una nota messaggera di sventure e poi subito do­po una sensa­zione stranissima mai provata prima di allora che non saprei come altro defini­re se non con l’espressione disarmonia del mio sacro spazio vitale, mi sentivo in ogni luogo ed in nessuno ed ogni sen­timento era allo stesso tempo evidente ed indefinibile dentro di me.

    Improvvi­samente nella monotonia del fascio di luce senza fi­ne apparvero alcuni lampi di colore bluastro; quei lampi erano le anime dei perduti. Una di quelle anime mi venne incontro, mi trovai immerso in essa e come d’incanto mi soprag­giunse un’or­renda visione. Fu allora che compresi tutto, il tempo era giunto e la profezia di Mon­delar, l’antico mae­stro degli antichi ma­ghi, stava per compiersi.

    All’esterno intanto la clessi­dra ave­va terminato il suo flusso, Zo­rev la rac­colse quindi e Defesius tirò il Levantir sopra al pozzo stando ben at­tento ad eseguire le mie istruzioni e co­sì fu.

    Mi risvegliai un paio d’ore dopo in una delle stanze del castel­lo, il mio cor­po era intorpidito ma la mia mente ci vedeva final­mente chiaro, la prova del pozzo delle anime perdute era stata su­perata.

    «Maestà il mago si è risveglia­to», disse una guardia destando l’attenzione del re.

    «Esperil! Esperil amico mio, puoi sentirmi?» mi chiamò Zorev III.

    «Sì mio re, ti sento e ti vedo così come ora il mio cuore e la mia mente sentono e vedono la luce della verità ed è una luce ahimè impregnata d’oscurità. Ma ora abbiamo con noi la forza della comprensione e quella ci aiuterà a tirar­ci fuori dalla te­nebra perenne che mi­naccia tutti noi».

    «Dicci ogni cosa Esperil, non te­nerci sulle spine, rendici par­tecipi della tua visione!» fu quindi quanto richiesto da Defesius con comprensibile appren­sio­ne.

    «Cosa hai visto Esperil? Qual è la vera natura della minaccia che incombe su di noi?». Gli fece eco re Zorev ulte­riormente in preda all’ansia.

    La mia anima si mise a fissare la lu­ce che filtra­va dalla finestra ed illumi­nava la stanza, fissai poi Defesius ed il re che stavano trepidanti ai piedi del letto, dopodiché feci un bel respiro e co­minciai a comu­nicare loro ciò che avevo appreso du­rante la mia discesa nell’abisso chiama­to pozzo delle anime perdute.

    «All’inizio mi trovai soltanto ine­briato dalla luce, in­tensissima ma al tempo stesso non ac­cecante, io potevo guardare dentro di essa e lei esplorava nel mio profondo. Poi dopo un tempo che mi sembrò in­finito, comparvero le anime dei perduti sotto forma di lampi di colore blu. Una di queste venne ver­so di me, potevo sen­tire la sua voce nella mia mente, dis­se che durante la sua vita ter­rena era stato un contadino di nome Numar e mi mostrò con niti­dezza gli accadimen­ti di quella notte».

    «Quale notte?» chiese prontamente il fido consigliere del re.

    «Quella in cui il cielo parve ro­vesciarsi sulla terra, la notte nar­rata nel­la leggenda dell’antico regno».

    «Ma è solo una leggenda per l’appunto amico mio, non c’è nulla di reale, pura fantasia e basta», ribatté il re.

     «Tu non sai mio sire quanto ti sba­gli, ciò che accadde quella notte e che ci venne da allora tramandato di gene­razione in gene­ra­zione non è frutto di nessuna fantasia malata, è la più pura e semplice delle verità».

    «Cosa vorresti insinuare? Che i set­te regni nascosti esistono davvero?». Fu allora la cruciale domanda postami da Defesius.

    «Certo e vi dirò di più, una cosa di cui nessun abitante del re­gno di Belisa­ver o regno superficiale è a cono­scenza».

     «Cos’è il regno superficiale? E di quale cosa parli?» mi incalzò nuo­vamente il consigliere.

    «Regno superficiale è il nome con cui gli abitanti dei regni nasco­sti chiamano Belisaver e la cosa che voi ignorate è che io quando ero ancora un giovane uomo appena giunto alla fine del mio ap­prendistato, venni condotto dal mio maestro Cronosor attraverso tutti i set­te regni come da tradizione del nostro ordine di Goraz».

    «Cosa? Tu sei stato nei sette regni na­scosti? Ci conosciamo da tanti anni, perché non me ne hai mai fatto paro­la?» si stupì forte­mente Zorev III.

    «Perché certe cose devono rimane­re segrete fino al momento in cui non di­venti impossibile tenerle nascoste e quel momento è adesso!».

    «Continua, cos’altro hai visto nella tua visione?» sollecitò an­cora Defesius.

    «Numar mi mostrò l’arrivo del cor­po celeste, lo vi­di spezzarsi in sette par­ti e da ognuna di esse potei vedere formarsi un micro­cosmo a sé stante. Vidi coloro che vennero chiamati dalla volontà dei frammenti rimanere sog­giogati e creare nuovi regni, nuove stir­pi e vidi anche che la parte finale della profezia di Mondelar si sta ora per rea­lizzare ai giorni nostri».

    «Mondelar? Chi era co­stui?», fu il quesito immancabilmente postomi dal consigliere capo.

    «Il fonda­tore del mio ordine, quello dei maghi di Goraz». Gli risposi.

    «E quale sarebbe la profezia che si starebbe per avverare?» ag­giunse dun­que il re.

    «Quella dove si parla della caduta del tuo regno, caduta che sarà causata dall’invasione delle truppe del regno di Riondord, il regno di tenebra».

    Il gelo ed un agghiacciante senso di impotenza calarono nel cuore di Zorev III, figlio di Trampir II e di­retto di­scendente di una nobile casata che lui temeva di portare alla rovina. Non vo­leva che il suo nome fosse scolpito nel­la storia come quello di co­lui che aveva permesso che la sua gente fosse con­dotta sulla via oscura. Sospi­rò, guardò me e Defesius e poi fu il si­lenzio.

    «Mio re come state, vi sentite ma­le?», gli domandò un allarma­to De­fesius.

     Ma il re non rispondeva, sembra­va come svuotato dalla sua linfa vitale, quasi che fosse stregato. Mi alzai di scatto dal letto al­lora e puntai il mio bastone magico Levantir verso la fron­te di Zorev dopodiché pronunciai una formula appresa dal mio mae­stro Cro­nosor.

    «Guardami Zorev, non lasciare che la tenebra avvolga il tuo cuore, io invo­co la luce per te affinché faccia ri­nascere in esso la speranza. Luce avan­za nel buio e libera il cuore di questa povera anima lait pregnant naf eleit, ilbat indaut, venomen liberat, lair quer». Pronunciate le sacre parole un fascio di luce uscì dal mio Levantir e Zorev si rianimò.

    Avevo salvato in tempo la luce pre­sente nel suo cuore ma per sconfiggere le truppe di Rion­dord sarebbe servito ben altro. «Sve­gliati Zorev, stavolta so­no io che ri­chiamo all’erta i tuoi sensi, il tuo popo­lo ha ancora bisogno della tua saggezza per non perdere ogni possibi­lità di vit­toria».

     «Grazie amico mio per avermi an­cora una volta salvato la vita ma te­mo che la mia ora sia soltanto stata ri­mandata di poco». Mi rispose lui con riconoscenza ma anche con un po’ di affanno.

     «Non devi cedere, tu sei il re!», lo pungolò allora il sottoscrit­to.

    «Que­sto è vero maestà, dovete es­sere d’esempio alla nostra gente come avete sempre fatto, ora più che mai!». Mi fece eco il gran consigliere Defesius.

    «Ma come possiamo noi opporci a certe co­se mio buon Defe­sius? Esperil ci ha appena rivelato la natura reale del­le an­tiche leg­gende sui regni nascosti e se il mito tramandato da ere diceva la verità non abbiamo speranza contro il potere del regno di tenebra, mi chiedo solo perché abbiano aspettato così tan­to per uscire allo scoperto».

    «Bella domanda amico mio, fin dal­la loro nascita i regni na­scosti han sem­pre vissuto in perfetto equilibrio, nel rispetto di re­gole comu­ni, ognuno al corrente dell’esistenza degli altri ma senza tuttavia interferire fra di essi e tantomeno con il regno su­perficiale di Belisaver. Qualcosa ora deve aver rotto questo equilibrio ed i sette scettri non sono più in armonia tra loro».

    «I sette scettri? Cos’è adesso questa storia dei sette scettri?» si chie­se un sempre più attonito Defesius.

    «Quando il corpo celeste che squarciò il cielo si divise i sette parti da ognuna di esse come detto scaturì uno dei regni nascosti, dei frammenti origi­nali ben presto non rimase più niente tranne che i sette scettri, esattamente uno per ognuno di essi. Fu il potere degli scettri a permettere a coloro che furono scelti dal fato per regnare sui sette regni na­scosti di poter creare una stirpe. I sette scettri usati singolarmente hanno un potere limitato ma usati in­sieme diven­tano devastanti. Chi però avesse prova­to ad usare il potere del proprio scettro contro gli altri regni ne avrebbe perso tutti i poteri poiché non si può turbare l’equilibrio tra i vari rea­mi».

    «Quindi se Riondord sta per attac­carci vuol dire che hanno ri­nunciato al potere del loro scettro?!», chiese perti­nentemente il so­vrano di Belisaver.

     «O più probabil­mente che hanno trovato il modo di utiliz­zarne comun­que il potere. Da quando è asceso al trono un nuovo re il regno di tenebra è divenuto ulteriormente più aggressivo e adesso deve aver stabilito che fosse giunta l’ora di agire. A que­sto punto non ci resta che organizzare una stre­nua dife­sa». Fu la mia immedia­ta repli­ca.

    «Che consigli di fare?». Do­mandò inevitabilmente il gran con­si­gliere di Enselit rivolgendosi al sotto­scritto.

    «Quando si esce dal regno di tene­bra la strada più breve per giungere qua è attraverso i monti e per la preci­sione passando per il valico di Pavadu­la. Bi­sogna chiamare Boras e dirgli di radu­nare immediatamente tutte le truppe disponibili per portarle sul vali­co, alle mura di Cestar, cercando di di­fenderle al più a lungo possibile».

    «Ma le difese delle mura di Cestar non po­tranno reggere in eterno!». esclamò con perplessa preoccupazione il mo­narca beli­saveriano.

    «L’importante è che reggano abba­stanza da permettermi di agire».

    «Agire in che modo? Hai già un piano?», mi incalzò Defesius.

    «Sì l’unico piano possibile, recarmi in tutti i regni nascosti e riunire i sette scettri, solo così potremo salvare il no­stro mondo!».

    «Che cosa?? Ma sarà un’impresa di­sperata e dovremo divide­re le truppe per accompagnarti e…».

    «Non voglio truppe con me mio si­re, non mi servono soldati per questo tipo di missione, quelli mandateli tutti con Boras alle mura di Cestar. A me basterà individuare il mio apprendista desi­gna­to a succedermi».

    «E chi sarebbe tale prescelto?». Si chiese un curioso Defe­sius.

    «Un giovane valoroso ancora igna­ro del destino che lo atten­de! Ma ora presto, il tempo stringe, fate partire su­bito l’esercito. Dal canto mio comince­rò subito la mia missione recandomi dal mio allievo prediletto Kabel».

    «Ti è davvero così indispensabile l’aiuto di un ragazzo inesper­to in una missione che si annuncia così dispera­ta?» disse il re esprimendo in questo modo le sue perplessità.

    «Il suo ruolo in questa sto­ria sarà fondamentale, solo lui potrà darci una speranza di vittoria, così è scritto nella profezia di Mon­delar e così dev’essere».

    «E sia allora! Di te Esperil mi fido come di me stesso, forse persi­no di più e se ne sei convinto tu mi sforzerò di esserlo pure io» mi rispose chiosando il vecchio monarca per poi aggiungere… «Defesius vai a chiamare Boras, date ordine alle truppe di prepa­rarsi alla guerra!».

    Sentenziò dunque re Zorev terzo, quindi a quel punto mi premurai di produrre un potente incan­tesimo a pro­tezione delle antiche mura di Enselit, dopodiché non mi rimase altro da fare che congedarmi dai miei due interlocu­tori e partire.

    E così mentre io lasciavo di gran carriera il castello di Zorev alla ricerca del mio discepolo, Boras il nipote del re partiva con il grosso dell’esercito di Belisaver di stanza nella capitale alla volta delle mura di Cestar. Tale fortifi­cazione era situata in prossimità del va­lico di Pavadula in mezzo alla catena montuosa che si tro­vava ad ovest della città di Enselit, capitale del regno di Belisaver ed esattamente a metà strada tra il castello del re ed il punto d’accesso al regno nascosto di tenebra di Riondord. Tuttavia non fidandosi re Zorev di suo nipote Boras gli affiancò il fido Defe­sius con il compito di spie­gargli ciò che stava accadendo e di assi­curarsi inoltre che il giovane coman­dante in capo dell’esercito non perdes­se la testa di fronte alla difficile situa­zione che si stava deli­neando. Ed il saggio Defesius sapeva bene come in­fondere fiducia al prossimo.

    «Dimmi Defesius, mio zio ti ha mandato a con­trollarmi per­ché non si fida di me ve­ro?», domandò il nipote del re subito do­po la partenza della co­lonna di sol­dati della quale i due erano i ca­pofila.

    «Non devi pensar male di tuo zio Bo­ras, ormai è vecchio e stanco e l’ultima cosa che si aspettava era di do­ver fron­teggiare un pericolo del genere. Esperil ci ha detto di farti partire im­mediata­mente con il nostro esercito e per non perdere tempo prezioso re Zo­rev mi ha mandato con te per metterti al corrente di tutto ciò che sappiamo ed è esatta­mente quello che ho fatto poc’anzi».

    «Sì certo, ma proprio perché mi hai appena spiegato tutto e sei ancora qui a caval­care al mio fianco che son sempre più convinto che il re non si fidi di me».

    «Non confondere la realtà Boras, quella di re Zorev non è scarsa fiducia nei tuoi confronti ma forse più sempli­ce­mente troppa fiducia nei miei».

     «Non so cosa ci veda il re in te De­fesius, ma ti avverto di una cosa: quan­do saremo alle mura di Cestar, se ve­ramente do­vesse esserci un attacco, non interferire con me. Ricordati che sono io il capo ed ho io il comando dell’esercito di Be­lisaver ma soprattutto rammenta che sono io l’erede designato al trono, non certo te!».

    «Lo so bene Boras, lo so be­ne, so­no qui solo per offrirti saggi con­sigli».

    «Allora ti do una notizia, non ho alcun bisogno dei tuoi sag­gi consi­gli».

    La tensione fra Boras e Defesius era sempre più alta e questo non era certo d’aiuto alle truppe.

    Nel frattempo io spronavo la mia cavalcatura verso sud-ovest, diretto al villaggio di Bereville e mentre avevo di fronte a me an­cora molte ore di viaggio l’esercito guidato da Boras e Defesius giungeva nel primo pomeriggio al vali­co di Pavadula e prendeva posizione sulle mura di Cestar. All’approssimarsi del tramonto Boras cominciava a dare i primi segni d’impazienza.

    «E allora De­fesius per quanto tem­po dovremo stare tutti qua sulle mura a scrutare l’orizzonte? Basandoci solo su dicerie che hai sentito in giro oltretut­to!».

    «Non sono dicerie, ho raccolto nume­rose prove riguardo al fatto che un esercito enorme si stava radunando po­co più ad ovest di qui, a valle oltre i monte ed Esperil consultando le sue pietre magiche ne ha avuto conferma» ribatté un po’ sdegnato il fidato consi­gliere del sovrano di Belisaver.

    «Puah, io non credo nella magia e comunque anche ammet­tendo che sia tutto vero, cosa di cui dubito fortemen­te, chi ci di­ce che l’attacco sia davvero imminente?  Potrebbero volerci giorni, mesi o addi­rittura anni senza poi conta­re la possi­bilità che possa­no pure fare un’altra strada».

    «Se Esperil ha rischiato in pri­ma persona calandosi nel pozzo delle ani­me perdute non è stato certo per nien­te, la conoscenza che ha acquisito du­rante quella esperienza gli ha per­messo di comprendere che l’attacco avverrà entro poche ore».

    «Mi stupisco della tua creduloneria Defesius e tu sa­resti il con­sigliere pre­ferito del re? Po­vera Belisaver!».

    «Allarme, c’è movi­mento al limitare del bosco!» urlò all’improvviso una del­le sentinelle.

     E proprio in quel momento men­tre il sole tramontava spuntò dal sen­tiero che proveniva dal valico una co­lonna di soldati, e non solo dal sentie­ro, da am­bo i lati del bosco uscirono fuori nella ra­dura un’infinità di guerrieri tutti vesti­ti con un’armatura nera che li fa­ceva apparire ancor più minacciosi. Bo­ras impallidì e tutto d’un tratto la sua spoc­chia sembrò sparire.

    «Boras cosa fai lì impalato? Di’ qualcosa ai tuoi uo­mini, impartisci gli ordini per la di­fesa!!».

    Gli gridò Defesius cercando di non perdere il controllo, ma Boras sembra­va paralizzato dal terrore e non era più in grado di rispondere, letteral­mente in preda al panico. Defesius guardando gli stendardi dell’esercito che si stava ra­dunando nella radura sot­tostante ram­mentò ciò che gli avevo detto quando ci eravamo sa­lutati al ca­stello, ovvero che avrebbe riconosciuto l’esercito di Riondord dalle bandiere nere con l’effigie di una falce bianca. Ve­dendo quegli stendardi non ebbe quindi più dubbi sull’identità del nemi­co e veden­do l’esitazione di Boras deci­se di pren­dere in ma­no la situazione come gli aveva chiesto di fare re Zorev in caso di bisogno.

    «Soldati preparatevi allo scontro, arcieri in posizione!», disse al­lora il consigliere capo di Enselit dando di­sposizioni ai soldati, per poi rivolgere nuovamente le sue attenzioni al nipote di Zorev III.

    «Boras, per l’antico regno cerca di scuoterti e fare il tuo dove­re!», gli urlò dunque, comin­ciando nel contempo a temere di aver­lo forse sopravvalutato.

    «Sì… io, sì Defe­sius, no, no non riesco, non mi sento in gra­do, non pos­so farcela». Farfugliò al­lora un a dir po­co titubante Boras.

    «Certo che puoi farcela, che discor­si sono, datti una mossa e comanda il tuo esercito!» disse quindi Defesius nel tentativo di scuoterlo.

     Ma fu proprio in quel momento che tre uomini a cavallo si staccarono dal resto dell’esercito oscu­ro e si porta­rono sotto le mura come per voler par­lamentare, a quel punto quello di loro che si trovava al centro esclamò… «Ehi voi lassù, chi è al co­mando?».

    «Dite pure a me, mi chiamo Defe­sius e sono il consigliere di re Zorev III, sovrano assoluto del re­gno di Beli­saver e voi chi sie­te?».

    «Il mio nome è Jorkain e sono il re­gnante del regno di tenebra di Rion­dord, il più potente dei cosiddetti regni nascosti. Quello alla mia destra è il mio luogote­nente Grisor e quello alla mia sini­stra è il mago Zostar, mio fido col­laborato­re».

    «Cosa vi ha spinto ad uscire dal vo­stro secolare isolamento per condurre un esercito nel cuore del nostro territo­rio?!»

    «Semplicemente perché è giunto il momento di reclamare il trono di Beli­saver, la mia gente ha finito di vive­re nell’indifferenza e nella privazione, il destino ci riserverà solo gloria e onore d’ora in poi mai più sofferenza» rispo­se a quel punto l’inquietante mo­narca riondardiano.

    «Se avete vissuto isolati è stata solo una vostra scelta e co­munque nessuno vi impedirebbe di vivere fra noi in pa­ce» replicò Defesius.

    «Taci stupido e stolto consigliere, tu non sai niente di noi, non conosci niente della nostra storia né tantomeno conosci i poteri e gli equilibri arcani che deter­minano l’esistenza dei regni na­scosti sin dalla notte della loro creazio­ne». Fu in­vece la controreplica di un arrogante Jorkain.

    «No, dici bene Jorkain, non li co­nosco e neanche mi interessa cono­scerli ma una cosa è certa, difenderemo la nostra gente fino all’ultima goccia di sangue!».

    «E sia Defesius, se è questo che vo­lete questo è ciò che otter­rete, questa notte il vostro sangue bagnerà queste mura e sarà un tutt’uno con le punte delle nostre spade e delle nostre lance, que­sta notte sarete spazzati via…parola di re Jorkain».

    Pronunciate queste parole il sovra­no di Riondord ed i suoi fe­deli alleati voltarono le loro ca­valcature e tornaro­no alla testa del loro esercito pronti alla battaglia.

    Le ultime luci del giorno illuminan­do il viso di Jorkain lo fa­cevano appari­re ancora più sinistro, un volto appa­rentemente co­me tanti se non fosse stato per una vi­stosa cicatrice sulla guancia sinistra po­sta proprio sotto l’occhio. I capelli era­no neri, corti ed un po’ arruffati ma quello che faceva letteralmente raggela­re il sangue nelle vene era il suo sguar­do, con quegli oc­chi scuri e pro­fondi ma tuttavia quasi inespressivi in grado solo di trasmettere ferocia e malvagità infinite. Le ombre della notte stavano calando, l’attacco era imminente, le mi­gliaia di fiaccole accese nella radura sembravano un'uni­ca grande fiamma pronta ad incendiare le mura di Cestar ed i suoi difensori ed il nervosismo cominciava a farsi palpa­bile tra le fila degli uomini comandati da Boras.

    Io ero ancora lontano da Bereville ma il mio cuore era inquie­to e mi dice­va che stava per succedere qualcosa, temevo che Bo­ras non si sarebbe di­mostrato all’altezza e confidavo sulle virtù di De­fesius il quale stava effetti­vamente fa­cendo il possibile per or­ga­nizzare la di­fesa al meglio.

    «Alzati Boras, il tuo po­sto è qua in piedi. Devi farti vedere dai tuoi soldati, dai l’esempio mostra co­raggio alle truppe e ridai forza ai loro cuori».

    «Sei un illuso Defesius, come posso dar loro forza se io stesso non credo alla vittoria, hai visto quanti sono i no­stri nemici? Sa­ranno almeno dieci­mila e noi invece siamo poco più di seicento!».

    «Lo so Boras ma il nostro compito è quello di resistere il più pos­sibile per dare una speranza alla nostra gente, al resto penserà Esperil».

    «Anco­ra questa storia di Esperil! Se quel vec­chio ciarlatano avesse voluto darci una mano sarebbe dovuto venire con noi a fa­re qualche magia contro l’esercito nemico ed invece è salito sul suo de­striero e se l’è filata».

    «Esperil non è scappato, ti ho già spiegato che la sua missione è fonda­mentale, la sua ricerca è il nostro unico appiglio, averlo qui sa­rebbe stato inutile mentre è invece no­stro preciso dovere resi­stere più tempo possibile proprio per donargli del tem­po prezio­so» ar­gomentò nuovamente colui che era a capo del gran consi­glio supremo di En­selit.

    «Sentite questo vento gelido che si è alzato, è insolito per que­sta stagione, sembra un presa­gio di sventura».

    Affermò un vecchio soldato belisa­veriano ma Defesius gli re­plicò pron­tamente… «Esperil dice che tutto ciò che non è magia è solo sciocca super­stizione».

    A quel punto si girò e cominciò a parlare a voce alta a tutti i combattenti appostati sulle mura.

    «Soldati di Belisaver, io Defesius mi ri­volgo a tutti voi e vi esorto a non mol­lare, ci attende una lunga notte e non vi nego che probabilmente in fon­do ad essa non ci aspetta nient’altro che la morte. Ma io pur essendo solo un umi­le consigliere del nostro re vi chiedo di essere forti, vi chiedo di non lasciare che il terrore e l’oscurità pren­dano il controllo su di voi. Date ascolto al vo­stro cuore e lottate, lottate per voi stes­si, per la nostra terra ma soprat­tutto per la nostra gente e, per tutti coloro che vi sono cari e per quei valori che hanno reso il regno di Belisaver un luogo unico in questo splendido mon­do. Stanotte non conta

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