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La spia e il guaritore: L'eredità della spada
La spia e il guaritore: L'eredità della spada
La spia e il guaritore: L'eredità della spada
E-book625 pagine9 ore

La spia e il guaritore: L'eredità della spada

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Info su questo ebook

Una notte di tempesta.
Una corsa contro il tempo.
La vita di un cavaliere appesa a un filo.
L'agguato subito dal giovane Arthur si abbatte come un fulmine improvviso sul gruppo dei viandanti, sconvolgendone dinamiche e piani. La missione incombe, ora impossibile da rimandare. Cedere ai sensi di colpa sarà rischioso, poiché ad attenderli c'è un viaggio avventuroso verso l'assolata Vhalesia; qui, Gwinneth e gli altri dovranno stringere nuove, curiose alleanze, muovendosi con cautela nel dominio di un avversario insidioso e potente.
Un gioco fatto di astuzie, sotterfugi e inganni, che potrebbe mutare le sorti dell'intero Continente.
La spia e il guaritore è un romanzo appassionante, ricco di emozioni, avventure, colpi di scena, scritto con uno stile elegante e ricco di descrizioni accurate. Una storia che narra di tempi e luoghi lontani, i cui protagonisti vivono avventure straordinarie e al contempo devono trovare un equilibrio personale, tra emozioni contrastanti e intense.
Un’ambientazione storica per un romanzo dalle sfumature fantasy fanno da cornice a questa lettura che terrà con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2017
ISBN9788867933389
La spia e il guaritore: L'eredità della spada

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    Anteprima del libro

    La spia e il guaritore - Cristina Azzali

    EDIZIONI SENSOINVERSO

    SenzaTregua

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana OroArgento

    info@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    © 2017 – Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso – P.I. 02360700393

    Illustrazioni di Pierluigi Zavatto, in arte Pier della crew veneziana HHS!

    Instagram: Pier_hh

    ISBN 9788867933365

    1° edizione – Settembre 2017

    CRISTINA AZZALI

    LA SPIA E IL GUARITORE

    L’EREDITÀ DELLA SPADA

    VOL. II

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    La tempesta era tutt’altro che morta.

    Sebbene tuoni e lampi si fossero trasformati in sommessi brontolii e deboli bagliori di luce, era rimasta la pioggia, che ora scrosciava abbattendosi su di loro come tanti secchi d’acqua svuotati uno dopo l’altro.

    Rayleigh pensò che quella fosse l’atmosfera più indicata per recarsi ad assistere alla dipartita di un giovane che, in qualche modo, aveva contribuito a far uccidere.

    Si erano liberati dall’intrico della boscaglia non senza difficoltà; il Paladino aveva scoperto che seguire una pista al buio, sotto la pioggia e, soprattutto, senza una guida non figurava tra i suoi numerosi talenti. Questo li aveva costretti a procedere con una lentezza snervante, fino a quando, lasciatisi finalmente alle spalle il limitare del bosco, egli aveva dato un colpo deciso alle briglie del suo frisone, incitandolo ad accelerare l’andatura.

    Sfrecciavano, ora, fendendo la pungente cortina di pioggia che li circondava, le ruote che solcavano il suolo fangoso come un aratro, ma Maelin non era ancora soddisfatta. La ragazza si agitava, cercando di mantenere l’equilibrio sul carro traballante, lamentandosi e pregando il guidatore di andare più veloce. Rayleigh cercò allora di spiegarle che, date le condizioni del terreno, un’eccessiva velocità avrebbe rappresentato un rischio non soltanto per Alsto, ma anche per Fensie, che, le briglie legate alla sponda del carretto, tentava di adeguarsi all’andatura del più robusto compagno. Di fronte a una simile risposta, Maelin si mise a sedere, rimproverandolo, con voce avvilita e avvelenata, di preoccuparsi più per due stupidi cavalli che per Arthur. Rayleigh preferì non replicare ed entrambi rimasero in silenzio fino a quando un’ombra scura apparve all’orizzonte, a segnalare il profilo delle mura di Malka.

    Malgrado il diluvio, la massiccia sagoma del Paladino non tardò a essere riconosciuta dalla guardia sul camminamento e le porte del villaggio vennero spalancate senza indugi. I due compagni si ritrovarono così nell’ampio spiazzo antistante la sede della guarnigione, animato da un fermento insolito per quell’ora tarda. Mentre Rayleigh fermava il carro al riparo dalle intemperie, Maelin prese a guardarsi intorno, frenetica, e d’un tratto stese un braccio a indicare qualcuno.

    Eccola lì! esclamò, e in un attimo fu a terra con un balzo impacciato.

    Gwinneth camminava avanti e indietro nel mezzo della corte, a capo scoperto, incurante della pioggia e di tutto ciò che succedeva intorno a lei, come una sentinella a guardia del nulla. Reed, il suo cavallo, se ne stava immobile, poco distante, la testa china a dissetarsi in una delle enormi pozze d’acqua torbida formatesi nel terreno. Entrambi avevano l’aria sfinita, ma la giovane pareva in preda a una profonda angoscia, che la portava a torcersi le mani in maniera convulsa e a borbottare pensieri e congetture a mezza voce. Maelin le si avvicinò correndo, fermandosi a pochi passi.

    Dov’è? Dove l’hanno portato? chiese, il respiro ingrossato non certo dalla fatica.

    Gwinneth non rispose, né la considerò, proseguendo la propria marcia avanti e indietro, indietro e avanti. Maelin lanciò dapprima uno sguardo allarmato al Paladino, ancora fermo accanto al carro, dopodiché si affrettò in direzione dell’edificio della guarnigione, presidiato da parecchi uomini. Rayleigh la osservò chiedere delle concitate informazioni, per poi sparire oltre la soglia del palazzo, scortata da una guardia.

    Aveva immaginato che, una volta giunti al villaggio, si sarebbero trovati di fronte uno scenario ben diverso, ma l’agitazione di Gwinneth e dei soldati smentivano le sue previsioni infauste, sebbene realistiche. Era convinto che il ragazzo non sarebbe sopravvissuto alla cavalcata, invece resisteva e ancora lottava. Ma quanto avrebbe retto? Le probabilità che superasse la notte erano scarse.

    Si avvicinò a Gwinneth, sospirando; quand’ella lo vide, di colpo il suo moto si arrestò e due occhi tormentati si levarono su di lui, forse in cerca di conforto. Ma dall’uomo non venne nessuna rassicurazione, non una singola parola e Gwinneth si allontanò nuovamente, mordendosi il labbro inferiore e affondando gli stivali nel fango della corte. Rayleigh attese senza scomporsi e, nemmeno un minuto più tardi, la giovane tornò sui propri passi, fissandolo con espressione immutata.

    E se dovesse morire? Che cosa farei? chiese, un grido di disperazione nella voce. L’avrei sulla coscienza per sempre, come potrei sopportarlo?

    Il Paladino ascoltò il suo sfogo, poi, convinto che la situazione lo richiedesse, la colpì al volto, incurante della reazione dei molti che con ogni probabilità stavano assistendo alla scena.

    Gwinneth accolse quello schiaffo con un sussulto e un gemito strozzato; portò una mano a difesa della guancia sinistra, fissando l’uomo che le stava di fronte con uno sguardo in bilico tra l’incredulità e lo sdegno. In quell’istante, a Rayleigh parve di nuovo la ragazzina capricciosa che aveva conosciuto al suo arrivo a Lokrin, molti anni prima.

    Se muore, dovremo farcene una ragione. E dovrà servirci di lezione disse, calmo e consapevole.

    Ma il suo buonsenso non bastò a convincere Gwinneth, che gli voltò le spalle, continuando la propria inutile marcia a una distanza di sicurezza, chiusa, ora, in un cupo silenzio.

    Rok

    Capitolo Uno

    Fu quando, dopo una notte penosamente trascorsa a lottare contro una violenta tosse, sul guanciale di seta del sovrano furono trovate delle tracce di sangue, che Wilbur, Wilfred e Yorick Balfour compresero che al padre non sarebbe rimasto molto da vivere.

    Nonostante la crescente preoccupazione dei medici e dei figli, Re Wynstan rifiutò di sottoporsi a qualsiasi cura gli venisse proposta, poiché ogni rimedio prevedeva un elemento che nessun reggente avrebbe mai potuto permettersi, nemmeno alla veneranda età di ottantadue anni: il riposo. Nulla pareva capace di farlo ricredere, né gli accessi di tosse che gli squassavano le membra, riducendolo spesso sulle ginocchia, né le notti insonni, quando il dolore lo assaliva con spaventosa ferocia, lasciandolo solo a lottare contro la bestia che sentiva agitarsi nel petto, mordendo e lacerando le sue carni infuocate. Le urla strazianti, le imprecazioni e le preghiere, i gemiti convulsi emessi quando si affannava per trovare un po’ d’aria appartenevano al buio, all’intimità dei suoi appartamenti, non potevano trovare posto nelle vaste e sfarzose sale del suo palazzo, accompagnarlo nell’adempimento dei suoi doveri di re, né, tantomeno, agitarsi nei pensieri e sulle bocche dei suoi sudditi. Tuttavia, malgrado la tenacia con cui le si opponeva, la malattia consumava il suo corpo in maniera lenta ma inesorabile, così come i venti gelidi erodono le cime delle montagne, e finì per abbattere anche il suo spirito.

    All’inizio dell’estate, il re si ritrovò confinato nelle sue tetre stanze, prigioniero di un letto intarsiato d’oro, mentre tutti i suoi incarichi venivano rilevati dai tre principi. Wilbur, il primogenito, non aveva esitato a concentrare su di sé i poteri che gli sarebbero appartenuti di diritto soltanto alla morte del genitore, diventando così, almeno ufficiosamente, l’autentico signore di Karmon; Wilfred, il secondogenito, era parso da subito determinato a seguire ogni sua mossa, nel tentativo di assicurarsi il ruolo di consigliere reale che il fratello avrebbe presto avuto l’autorità di conferirgli. Soltanto il minore dei tre figli, Yorick, sembrava maggiormente angustiato per lo stato di salute del sovrano piuttosto che per la futura gestione del regno. Egli trascorreva gran parte delle proprie giornate al capezzale del padre, ascoltando la sua voce farsi sempre più roca e flebile o soltanto il suo respiro irregolare, nelle molte occasioni in cui non trovava la forza per parlare. Mentre i fratelli maggiori decidevano delle sorti di Karmon, le sue mansioni consistevano nel sostenere il capo del padre mentre si dissetava, costringerlo a nutrirsi, controllare e all’occorrenza svuotare il suo pitale, massaggiare le sue secche membra irrigidite dagli spasmi e detergergli il sudore dalla fronte, quando finalmente il dolore concedeva una tregua. Di certo, pensava, nessuno poteva aver mai sudato quanto suo padre, nel gelido clima di quelle terre.

    Dal momento che, dopo l’ordine di restare a letto, ogni medico presentatosi al cospetto del re morente era stato cacciato e ricoperto di ingiurie, Yorick era anche l’unico in grado di testimoniare del rapido e apparentemente inarrestabile peggioramento delle condizioni del padre e fu proprio grazie alle sue insistenze che si decise, con l’approvazione di Wilbur, di tentare un’ultima via.

    Ottavis Ranly giunse nella Capitale sotto a un cielo grigio che minacciava tempesta; d’altronde, era raro che il sole riuscisse a far breccia tra le nubi nella fredda regione al di là delle Montagne, persino d’estate. La fama di più esperto Guaritore che la sacra isola di Ilyon avesse mai prodotto l’aveva preceduto e la sua convocazione a palazzo non avrebbe potuto in alcun modo essere tenuta segreta, pertanto Wilbur Balfour aveva deciso di rendere infine pubblica la malattia del re; la notizia sarebbe stata libera di diffondersi come un’epidemia nelle strade della cittadina, ma non prima che Ranly avesse emesso il suo verdetto.

    L’uomo e il suo modesto seguito – composto unicamente dalle guardie che erano state incaricate di scortarlo fino alla Capitale – vennero accolti dai tre principi e da alcuni rappresentanti dell’alta corte di Rok nel maestoso atrio del palazzo di Elsidun. Yorick Balfour avrebbe desiderato essere il primo a rendere omaggio all’illustre ospite, poiché era merito suo se egli si trovava lì in quel momento, ma suo fratello Wilbur lo anticipò, distaccandosi dal gruppo, e Wilfred lo seguì come un’ombra strisciante.

    Benvenuto a Rok, Mastro Ranly lo salutò, stringendogli la mano.

    Dalle retrovie, Yorick sussultò, convinto che quelli non fossero né i gesti, né i termini appropriati per rivolgersi al più grande Guaritore vivente; questi, tuttavia, non sembrò risentito per quella mancanza di rispetto e si limitò a ringraziare i presenti per l’accoglienza, mentre con movimenti aggraziati si liberava di uno splendido mantello di velluto grigio e pelliccia nera, che una delle guardie gli aveva certamente messo sulle spalle appena sbarcato.

    A Ilyon non abbiamo indumenti adatti a proteggere dal gelo e dalle intemperie disse, con voce profonda e suadente, pertanto, nei nostri viaggi ci affidiamo alla benevolenza di chi ci chiama. Vi ringrazio di vero cuore per questo caldo mantello concluse, consegnandolo alla guardia più vicina.

    Oh, potete tenerlo, se lo gradite suggerì Wilfred, semi nascosto dalla stazza del fratello maggiore, dondolando il capo avanti e indietro come un avvoltoio.

    È un’offerta generosa, ma non mi è permesso accettare compensi per i miei servigi rispose Ranly, una nota di palese imbarazzo nella voce.

    Quell’ennesimo insulto alla persona del Guaritore mandò Yorick su tutte le furie; decise di intervenire, prima che i suoi fratelli costringessero l’ospite a voltar loro le spalle e andarsene, sopraffatto dallo sdegno.

    Venerabile Maestro Ranly esordì, avvicinandosi a capo chino, a nome della corte e di tutta la popolazione di Karmon desidero ringraziarvi per aver risposto alla nostra chiamata; la vostra presenza ci onora. Avete affrontato un lungo e faticoso viaggio per giungere sin qui e ve ne siamo riconoscenti. Abbiamo fatto preparare una stanza dove potrete riposare.

    Avete ragione, principe Yorick, è stato un lungo viaggio annuì l’altro, con un lieve sorriso, ma preferirei vedere subito Sua Maestà il re, se ciò non vi reca disturbo.

    Come desiderate; vogliate seguirmi, prego. Yorick si allontanò, seguito prima dagli sguardi severi dei fratelli, poi dal Guaritore.

    Il comitato d’accoglienza iniziò a disperdersi e ai due principi anziani non rimase altra scelta che addentrarsi a loro volta nei cupi meandri del palazzo, diretti verso gli appartamenti privati del re.

    Non una singola parola fu pronunciata durante il tragitto; Ottavis Ranly procedeva con passo leggero e la lunga tunica color bronzo che indossava ondeggiava a ogni movimento, producendo un fruscio simile alla brezza tra le foglie. Seppur concentrato nello svolgere al meglio il ruolo di guida, Yorick non perdeva occasione per osservarlo di sottecchi. Possedeva i più singolari tratti somatici che mai avesse avuto modo di vedere: la sommità della sua testa era completamente calva, rotonda e liscia, così come liscia era la pelle del viso, senza la minima ruga o linea d’espressione ad alterarne la perfezione. I lineamenti erano tratteggiati con finezza e sobrietà, compresi i grandi occhi, all’interno dei quali le iridi erano così chiare da apparire quasi incolori. Doveva superare abbondantemente i sei piedi d’altezza, ma la sua postura era impeccabile, la schiena ritta come una colonna, e, sotto alla veste svolazzante, le sue membra davano l’impressione di essere esili, ma vigorose. Trovò del tutto impossibile attribuirgli un’età, nonostante la sua esperienza di Guaritore lasciasse presumere che avesse superato se non altro la cinquantina.

    Yorick avrebbe avuto molte domande da porre, ma Ranly non aveva certo trascorso le precedenti settimane su una nave per soddisfare la sua curiosità in merito a Ilyon e ai Maghi di Luce, dunque rimase in silenzio, fino a quando giunsero alle stanze del sovrano.

    Entrate, prego disse allora, aprendo la porta e lasciando che il Guaritore fosse il primo a varcare la soglia. Pensò di richiudersi l’uscio alle spalle, ma ritrasse la mano dalla maniglia con gesto stizzito, quando scorse Wilbur e Wilfred in fondo al lungo corridoio.

    Nella camera aleggiava un odore pungente, di reclusione e malattia, che era stranamente rafforzato, piuttosto che mitigato, dalle ciotole contenenti acqua profumata sparse per l’intera stanza. Ranly si avviò senza esitazioni verso il colossale letto, dove il corpo smunto di Wynstan Balfour giaceva apparentemente immobile, non fosse stato per le mani ossute che stringevano convulsamente le lenzuola rosse, in risposta agli assalti sempre più frequenti della bestia. L’uomo si accostò al letto, assumendo una postura composta e rilassata, e non fece altro, limitandosi ad ascoltare i rantoli del sovrano e a contemplare lo scempio che la malattia aveva fatto di un corpo un tempo nel pieno delle forze, a dispetto dell’età non più verde, avviluppato ora in un sudario rosso sangue.

    Yorick si avvicinò, chinandosi sul padre e annunciando il visitatore con un bisbiglio; nell’udire il nome del Guaritore, le palpebre stanche del re si sollevarono di colpo, mostrando due occhi acquosi pieni di stupore e meraviglia.

    M’inchino a voi, Vostra Maestà salutò allora Ottavis Ranly, e il sovrano fece scivolare il capo sul guanciale, attratto da quella voce come una falena dalla fiamma; le sue labbra inaridite si dischiusero, ma tutto ciò che ne uscì fu un debole gemito strozzato.

    Non sforzatevi di parlare intervenne Ranly, tutto ciò che mi occorre sapere lo leggo sul vostro volto. Non temete, le vostre sofferenze saranno presto scomparse.

    A quelle parole rassicuranti, gli occhi del re si richiusero, accompagnati da un profondo sospiro; Yorick levò allora lo sguardo sul Guaritore e scoprì che stava osservando entrambi, forse alla ricerca di una somiglianza che non c’era.

    Tutta Eryon sapeva che il vecchio cui stava stringendo la mano non era realmente suo padre e Ottavis Ranly non poteva certo costituire un’eccezione; ma allora per quale motivo studiava anche il suo volto? Un improvviso disagio lo colse ed egli si allontanò dal capezzale del sovrano, che lasciò la sua mano con riluttanza e una smorfia di dolore.

    Frattanto, anche Wilbur e Wilfred Balfour avevano fatto il loro ingresso nella stanza e fu dunque sotto agli occhi di tutti e tre i fratelli che il Guaritore si dedicò a ciò per cui era stato convocato.

    La camera sprofondò nel silenzio, interrotto soltanto dai bassi gemiti del re, e Yorick guardò preoccupato ai volti dei fratellastri, perplessi e sempre più impazienti con lo scorrere dei minuti, temendo che potessero dire o fare qualcosa che turbasse la concentrazione di Ottavis Ranly; ma nulla di tutto ciò avvenne e l’attesa ebbe fine. La voce del Guaritore s’insinuò nell’aria, dapprima come un sussurro che poi crebbe d’intensità, fino a quando alcune parole iniziarono a emergere dal mormorio indistinto, anche se nessuno dei presenti avrebbe saputo dire cosa significassero, poiché nessuno all’infuori di Ranly poteva comprendere la lingua degli Haewyn. Yorick fu sorpreso di quanto poco ciò che usciva dalle labbra dell’uomo assomigliasse a un’invocazione; ricordava, piuttosto, un canto dal ritmo monotono, in cui le parole non venivano pronunciate con suoni netti, bensì si allungavano a incontrare le successive, dando persino l’impressione di accavallarsi le une sulle altre. La stanza fu presto satura di quella strana melodia, e Yorick ebbe l’impressione che i suoi fratellastri osservassero con maggiore interesse i movimenti del Guaritore, ora seduto sul bordo del letto, proteso verso il sovrano, una mano a sfiorare la sua fronte rugosa.

    Sia la cantilena che il contatto proseguirono per alcuni minuti, durante i quali i tre principi ebbero modo di assistere a un autentico prodigio: le dita irrequiete del sovrano smisero di torcere le lenzuola e tutti i suoi muscoli parvero rilassarsi gradualmente, dagli arti inferiori a quelli superiori, passando per il tronco, fino ad arrivare al volto. D’improvviso, si udì un suono più acuto e forte di quelli che il malato era solito emettere; Yorick tremò da capo a piedi, poiché quello che aveva sentito non era un lamento, ma un potente sospiro di sollievo.

    Si avvicinò nuovamente al letto, mentre i fratelli, troppo pigri per abbandonare le proprie posizioni, tendevano il collo per vedere meglio; le devastanti tracce degli affanni erano state spazzate via dal viso del re, come se il vento avesse potuto sollevarle in un turbine. La sofferenza che l’aveva deturpato, intrappolando i suoi lineamenti in una grottesca maschera di dolore, era svanita.

    Yorick, la gola stretta come da un cappio, rimase a fissare il volto sereno del padre, che sembrava ora immerso in un sonno ristoratore, e gli parve di riuscire a percepire l’immensa forza sprigionata dalla mano del Guaritore, ancora posata sulla sua fronte, come la vampa di calore di un fuoco che arde. Il canto dell’uomo cessò, risvegliandolo bruscamente da quello stato simile all’ipnosi.

    Potrei restare solo con il re, ora? Non mi occorreranno che pochi minuti disse Ranly, facendo scorrere lo sguardo da un fratello all’altro.

    Naturalmente acconsentì Wilbur, lasciando la stanza insieme a Wilfred. Yorick gettò un’ultima occhiata al padre e al Guaritore, dopodiché li seguì, chiudendosi la porta alle spalle e rimanendo solo con loro, nella penombra del corridoio.

    Temeva che sarebbe stato rimproverato per essersi permesso di scortare l’ospite all’interno del palazzo, ma nessuno dei due gli rivolse la parola; sembravano pensierosi, quasi turbati, e Yorick sapeva bene cosa li avesse ridotti in quello stato.

    Mentre lo spettro della morte lasciava il capezzale di Wynstan Balfour, Wilbur doveva aver visto l’immagine del trono di Karmon dissolversi come un miraggio. Ciò che aveva colmato il cuore di Yorick di una gioia inattesa aveva gettato nello sconforto i figli legittimi del re.

    Forte di quell’intuizione, egli li osservava ora con un certo godimento, pensando che non gli erano mai sembrati così vecchi e insignificanti: la testa di Wilbur era addirittura più canuta di quella dell’anziano padre, mentre quella di Wilfred lo sarebbe presto diventata; il ventre del fratello maggiore sporgeva come quello di una donna gravida di una coppia di gemelli, rendendo lento e sgraziato ogni suo movimento, mentre il secondogenito, al contrario, era secco come un ramoscello e la sua postura ricordava quell’insetto che sembra sempre raccolto in preghiera. Insieme formavano una coppia alquanto bizzarra, ma i loro sciocchi tentativi di ostentare ciò che la natura aveva loro negato – forza e prestanza – suscitavano compassione più che ilarità. Wilbur aveva compiuto sessant’anni quella primavera e Wilfred si avvicinava ai cinquantaquattro.

    Yorick, invece, ne avrebbe avuti trentaquattro prima della fine dell’estate; la sua testa era ricoperta da folti capelli neri che, con la barba perfettamente curata, incorniciavano un volto dalla bellezza virile. Il suo fisico, scolpito e forte, era soltanto una delle caratteristiche che avevano scatenato l’odio incondizionato dei suoi fratellastri. La prospettiva di ritrovarsi completamente soggiogato al loro potere, una volta morto il padre, l’aveva tenuto sveglio più di una notte, ma ora si sentiva di nuovo al sicuro. Il re si sarebbe ristabilito grazie alle cure prodigiose di Ottavis Ranly, grazie alla sua idea di convocarlo, e Wilbur e Wilfred sarebbero stati costretti a dimenticare il sogno di regnare su Karmon ancora per molti anni.

    Di questo era convinto, ma, quando il Guaritore uscì e li raggiunse, fu obbligato a soffocare il proprio entusiasmo.

    Non c’è nulla che io possa fare per la sua malattia dichiarò Ranly, mandando in frantumi le speranze del principe. Ha radici troppo profonde e io non ho il potere d’interferire con il naturale affievolirsi di una vita.

    Quanto tempo gli rimane? volle sapere Wilbur, senza esitazioni.

    Non sono in grado di prevederlo con precisione, ma ritengo che possa arrivare a vedere la fine dell’anno.

    Meno di cinque mesi: ecco quanto restava da vivere a suo padre. Yorick portò una mano alla bocca e soffocò un gemito; anche l’espressione dei fratelli si rabbuiò, ma egli sapeva che non era certo il dolore ad affliggerli, bensì la prospettiva di un’attesa così lunga.

    Non potreste, ecco, tentare un secondo intervento? chiese, con voce incerta, ma il Guaritore negò.

    Ho già fatto tutto il possibile, mi dispiace; ma posso garantirvi che vostro padre non avvertirà alcun tipo di dolore, da questo momento fino alla sua dipartita. Permarrà in uno stato simile a quello che avete potuto osservare poco fa, libero dal peso della sofferenza, fino al giorno in cui si spegnerà. Non ci saranno avvisaglie, né peggioramenti e anche il trapasso sarà indolore.

    Una magra consolazione, pensò Yorick.

    Ma potrà parlare ancora? chiese.

    Non posso assicurarlo, ma certamente capiterà che abbia momenti di veglia; non dormirà sempre.

    Seguì un breve silenzio, interrotto dalla voce stentorea di Wilbur.

    Bene; vogliate scusarmi, Mastro Ranly, ma ho un annuncio da fare al popolo di Karmon.

    Ciò detto, si allontanò e Wilfred lo seguì, dopo essersi congedato con un goffo inchino. Yorick rimase immobile, lo sguardo fisso sul pavimento, la mente assalita dai più oscuri pensieri; riuscì persino a dimenticare la presenza del Guaritore, almeno fino a quando questi non decise di parlare di nuovo.

    Non presenzierete dunque all’annuncio? chiese; il principe ignorò la domanda, offrendosi invece di accompagnarlo alla stanza che gli era stata riservata.

    Vi ringrazio per l’ospitalità, ma mi tratterrò soltanto questa notte disse ancora, mentre attraversavano l’immensa ala del palazzo. Non avrete più alcun bisogno dei miei servigi. Yorick Balfour non commentò e, pochi secondi dopo, Ranly proseguì: I vostri fratelli erano scettici, potevo leggerlo sui loro volti; non credevano nell’utilità della mia presenza.

    È vero, ma io la penso diversamente, e anche mio padre; avete visto come vi ha guardato quando ha udito il vostro nome. È bastato quello perché si illuminasse. Io e mio padre abbiamo sempre creduto fermamente nel potere della magia.

    Yorick si fermò di fronte alla porta di una stanza e il Guaritore lo considerò con uno sguardo severo che non mancò di stupirlo.

    Fate attenzione intimò, è una fede che può rivelarsi rischiosa.

    Ottavis Ranly si ritirò nella camera e quella fu l’ultima volta che Yorick lo vide, poiché quando lasciò il palazzo, la mattina seguente, egli non ebbe il coraggio di presentarsi a dirgli addio. Il suo monito gli lasciò addosso un profondo senso d’inquietudine, esattamente come lo sguardo intenso che aveva dovuto sostenere mentre si trovava al capezzale del padre. Quell’uomo possedeva l’intuito e la saggezza per leggere i volti e interpretarne le emozioni, ma possedeva altresì la capacità di intuire i pensieri più segreti? Indagare la mente e l’animo umano era un talento da Divinatore, non da Guaritore, di questo il principe era consapevole; eppure, non riusciva a scacciare l’idea che Ottavis Ranly avesse scoperto il piano che lui e suo padre avevano deciso di attuare e che, con le sue parole, avesse tentato d’indurli a desistere.

    Nei giorni seguenti, Yorick si sarebbe convinto di aver risentito di un’eccessiva suggestione, a proposito di Ottavis Ranly e delle sue enigmatiche parole; ma qualcun altro era effettivamente a conoscenza del suo piano, come ebbe modo di scoprire poche ore più tardi.

    L’annuncio dell’incurabile malattia del sovrano aveva gettato la città nel caos e l’intero palazzo nello sconforto. Tutto ciò che Yorick desiderava erano la tranquillità dei suoi quartieri privati e la solitudine, ma i suoi fratelli non esitarono a interferire con quei progetti.

    Dobbiamo parlare disse Wilbur, facendo letteralmente irruzione nelle sue stanze insieme a Wilfred.

    Non è il momento adatto rispose Yorick, senza allontanarsi dalla finestra presso la quale era rimasto immobile per quasi un’ora, osservando le ombre allungarsi nei giardini del palazzo, captando a volte l’eco di voci concitate.

    Abbiamo già aspettato anche troppo insisté Wilbur, non ha più senso rimandare questa conversazione.

    Quale conversazione?

    Il fratello non rispose direttamente a quella domanda e prese a muoversi per la stanza, le mani allacciate dietro la schiena e il ventre abbondante bene in evidenza.

    Non avrai creduto che io e Wilfred fossimo così ciechi da non accorgerci di ciò che tu e nostro padre stavate tramando? Non abbiamo mai visto di buon occhio la vostra iniziativa, se così vogliamo chiamarla, ma non potevamo opporci apertamente; non fino a oggi, se non altro. È evidente che nostro padre non è più in condizione di decidere a riguardo, dunque questo compito spetta a me ed è con l’autorità che mi sarà conferita dal mio futuro titolo che ti ordino di richiamare i tuoi uomini.

    Quando fu di nuovo accanto a Wilfred, il principe si fermò; Yorick lo fissò a lungo, chiedendo poi, candidamente:

    Quali uomini?

    Sai bene di cosa parlo, non prenderti gioco di me, Yorick! replicò Wilbur, in un impeto di collera. Richiama immediatamente i Cacciatori!

    Perché dovrei farlo? Nostro padre ha approvato il piano, è d’accordo.

    Ma noi non lo siamo. Non sappiamo quali menzogne tu abbia instillato nella mente del vecchio per convincerlo ad appoggiarti, e francamente non ci interessa. È giunto il momento di finirla con questa follia.

    Voi non capite si difese Yorick, non si tratta di una follia: un Mago Oscuro potrebbe essere la nostra arma vincente nella guerra contro l’Occidente!

    Taci! Questa è una blasfemia! gridò Wilbur, il volto arso dall’ira, e la sua invettiva fu resa ancor più drammatica dallo sguardo infuso di disprezzo che Wilfred gettò in direzione del fratellastro. Non vogliamo una guerra con l’Occidente e, nel malaugurato caso in cui essa dovesse verificarsi, non saremo di certo noi a iniziarla continuò Wilbur, una volta scemato il furore. Non è saggio provocare i regni al di là delle Montagne, soltanto uno stolto lo farebbe.

    Yorick ignorò quell’insulto, o almeno ci provò.

    Stai esercitando un potere che ancora non ti spetta replicò, serrando la mascella e dominandosi per mantenere un tono di voce calmo e sicuro. Nostro padre potrebbe ancora parlare, potrebbe ancora ordinarti di continuare a seguire il piano che abbiamo ideato.

    Ho sentito ciò che ha detto il Guaritore lo zittì Wilbur, forse lo ricordo meglio di te: non è certo che parlerà e, in ogni caso, sono convinto che non potremmo confidare nella lucidità dei suoi pensieri.

    Dunque era questo ciò che temeva, ciò che avrebbe reso quei cinque mesi così snervanti da sopportare: temeva che il padre potesse trovare la forza per impartirgli nuovi ordini prima della morte, forse addirittura che gli negasse il trono. No, probabilmente non sarebbe mai arrivato a tanto, ma certamente avrebbe potuto ribadire la propria fiducia nel piano, lasciando precise disposizioni affinché tutto procedesse come avevano stabilito, anche dopo la sua scomparsa. Yorick era certo che Wilbur e Wilfred avrebbero speso ogni energia nel tentativo di convincere la corte che la mente del re era ormai ottenebrata dalla malattia, la sua capacità di giudizio irrimediabilmente compromessa, e allora, anche se avesse parlato, nessuno gli avrebbe dato ascolto.

    Non accetterò ulteriori obiezioni riprese Wilbur, mi aspetto che tu risolva la questione nel minor tempo possibile e che non ne faccia mai più parola. È un ordine, Yorick; farai meglio ad abituartici, poiché con il nuovo anno sarò io il re e allora molte cose cambieranno.

    Yorick assaporò la minaccia contenuta in quelle parole come una coppa di veleno. Poteva soltanto immaginare cosa ne sarebbe stato della sua esistenza una volta che l’occhio vigile del padre avesse cessato per sempre di vegliare su di lui, ma temeva che persino l’ipotesi più infausta sarebbe impallidita di fronte alla realtà. Non avrebbe avuto ancora molte occasioni di confrontarsi con i fratelli, prima che si elevassero ai ruoli di sovrano e suo leccapiedi, doveva sfruttare quel momento prezioso per dare voce a ogni più recondito pensiero, sguinzagliare la lingua troppo a lungo trattenuta. Ma tre colpi alla porta risuonarono nella stanza, prima ancora che egli avesse preso fiato per parlare, salvandolo dal commettere un errore forse irreparabile.

    Avanti comandò Wilbur, al suo posto, e nel vano della porta comparve Victor Blackmore, membro dell’Alta Guardia, nonché responsabile della sicurezza del giovane principe.

    Le Altezze Vostre vorranno perdonare quest’intrusione esordì, ma Sua Grazia la contessina Aken chiede di essere ricevuta e attende nell’atrio.

    Non ci fu alcun bisogno di specificare quale dei tre uomini ella desiderasse vedere. Yorick gettò un rapido sguardo al proprio abbigliamento, assicurandosi che né la veste, né i calzoni fossero percorsi da pieghe, ingoiò le ingiurie che era stato sul punto di rivelare e si avviò verso la porta.

    Rammenta le mie parole, Yorick disse Wilbur, quando il fratello gli passò accanto, ma egli non vi badò e proseguì dritto per la propria strada.

    Evalyn Aken tentava con scarso successo di mascherare la tensione, ma i tremiti che percorrevano le sue mani la tradivano, così come i piedi, in costante movimento. Quando la vide in quello stato, il cuore del principe parve inabissarsi, ma era consapevole che averla accanto in quel momento, anche se sconvolta, avrebbe rappresentato la sua salvezza.

    L’eco dei suoi passi nervosi precedette il suo arrivo ed ella gli corse incontro, mentre la cappa che indossava scivolava dalla sua nuca, liberando una cascata di morbidi riccioli color del sole.

    Ho lasciato casa appena l’ho saputo, ma la città è in tumulto; non avevo mai visto una folla così disperata pronunciò le ultime parole stretta nell’abbraccio del principe, il volto premuto contro il suo petto. Da quanto andava avanti? chiese, qualche istante dopo, e la sua voce addolcita era la prova di come dovesse essersi resa conto della segreta sofferenza che Yorick, per molte settimane, aveva portato dentro, di tutte le preoccupazioni e i dolori che non aveva potuto condividere.

    Il peso di quel silenzio lo colpì soltanto in quell’istante, forte come una valanga; il fiato gli mancò, il coraggio venne meno, ed egli si ritrovò a versare lacrime amare tra i capelli della giovane, le narici pervase da un profumo di fiori e miele. Ella cercò allora la sua bocca e soffocò i suoi singhiozzi con le labbra morbide, ancora memori del freddo dell’esterno.

    Fatti forza, amore mio sussurrò, staccandosi da lui; ma Yorick si sentiva schiacciare dalle pareti del salone e dal soffitto, sebbene esso fosse talmente alto da essere completamente avvolto nell’ombra. Il suo sguardo prese a vagare, smarrito, sopraffatto dal sospetto che tutto ciò che li circondava avesse orecchie e che il resoconto di quell’incontro sarebbe arrivato a Wilbur non più tardi di quella stessa sera.

    Usciamo propose, asciugandosi le lacrime dalle guance e dagli occhi.

    Con Evalyn appoggiata al braccio destro, egli diresse i propri passi verso i giardini, dove vennero investiti dall’aria fattasi più pungente con l’approssimarsi del tramonto; la giovane non parve risentita per quella scelta, consapevole, forse, a sua volta che quello era l’unico luogo in cui avrebbero potuto parlarsi in totale libertà e relativa sicurezza. Seguirono un sentiero di finissima ghiaia che solcava un immenso prato d’erba scura, e lo scricchiolio dei sassolini sotto alle suole degli stivali fu l’unico suono che li accompagnò. Yorick approfittò di quella quiete per riprendere il controllo di sé e delle proprie emozioni; il freddo servì a rendere i suoi pensieri meno nebulosi e contorti e, già dopo pochi minuti, si ritrovò a indugiare con lo sguardo sui particolari più vari: il cielo ancora grigio, ma meno minaccioso rispetto a quel mattino, i rami sottili degli arbusti di forsizia, punteggiati di tanti piccoli fiori bianchi, l’abito blu notte ricamato in filo d’argento che metteva così splendidamente in risalto le linee del corpo della fidanzata e la sua mano, candida come neve, stretta intorno alla manica della sua veste nera.

    Sedettero su una panca finemente cesellata da un blocco di marmo grigio, accanto a un maestoso cespuglio fiorito di viburno bianco, e lì Yorick raccontò ogni cosa, dai primi segnali della malattia del padre, fino all’arrivo del Guaritore. Evalyn ascoltò avidamente, facendosi sempre più malinconica.

    Davvero non ha potuto fare nulla per il re? chiese.

    In realtà ha fatto molto, ma non ciò che speravo. Yorick ripensò alle parole di Ottavis Ranly: la malattia aveva radici troppo profonde, ora, ma non doveva sempre essere stato così. Se solo mi avessero dato ascolto... Ci sono volute due settimane per convincerli a scrivere un dannatissimo messaggio, ho dovuto letteralmente implorarli di farlo! Non fosse stato per loro, forse ora mio padre sarebbe guarito e siederebbe di nuovo sul trono... invece di giacere sul suo letto di morte!

    La rabbia si era insinuata nella sua voce poco a poco, per poi divampare come un incendio; Evalyn prese la sua mano tra le sue, portandola alle labbra.

    Non devi assecondare simili pensieri disse. Esistono mali che non possono essere sconfitti, nemmeno dalla magia.

    Yorick ritrovò lentamente la calma, sfiorando con le dita il suo volto di porcellana, soffermandosi sulle guance colorite dal freddo, mentre i suoi occhi, del medesimo colore delle foglie del viburno, non lo abbandonavano nemmeno per un attimo.

    Era giovane, bellissima, pura e fresca come la rugiada del mattino; con quale cuore l’avrebbe trascinata nel fango?

    Non vorrei affrontare questo argomento, ma temo di non avere altra scelta. Per quanto riguarda il matrimonio...

    Lo rimanderemo, non preoccuparti. Dovremo osservare un periodo di lutto prima, ovviamente... Il viso di Evalyn si rabbuiò e Yorick emise un sospiro altrettanto amareggiato.

    Per la verità, non stavo pensando di rimandarlo soltanto.

    L’espressione della giovane virò in un lampo dalla mestizia all’incredulità.

    Intendi dire che non vuoi più sposarmi? chiese, in un lamento, e Yorick si affrettò a rassicurarla.

    Evalyn, sai bene che, se dipendesse solo da me, ti sposerei persino oggi stesso... Se ho pensato a una simile soluzione è stato unicamente nel tuo interesse.

    Non ti capisco... gemette l’altra, palesemente confusa e disorientata da quella proposta.

    Non esisteva una maniera delicata per spiegarle lo stato delle cose, dunque tanto valeva essere franco; questo pensò Yorick.

    L’anno che verrà mi porterà soltanto rovina, Evalyn: potrei essere finito, umiliato, cacciato, forse addirittura incarcerato. Solo Demoss può prevedere quale e quanto spietata sarà la vendetta dei miei fratelli... come si scaglieranno contro di me, quando mio padre non sarà più qui a fermarli. Non voglio che tu sia coinvolta in questa lordura.

    Invece che lasciarsi definitivamente andare al dolore e alle lacrime, Evalyn lo colse di sorpresa, con un sorriso che si aprì su un viso non più adombrato.

    Se è questa la tua motivazione, allora puoi smettere di angustiarti disse, guardandolo con determinazione. Anche se ti privassero di tutto, delle ricchezze, del prestigio, del potere, io sarei comunque pronta a diventare la tua sposa.

    Yorick non riuscì a trattenere una risata amara e nervosa.

    Dubito che tuo padre la penserebbe allo stesso modo.

    Allora fuggiremo! replicò l’altra, animata ora da un autentico entusiasmo fanciullesco. Potremmo lasciare la regione, prendere il largo ed esplorare il resto del Continente! Vedere le Montagne dall’altro versante, te lo immagini? Non sarebbe meraviglioso?

    Il principe sorrise, immaginando una vita diversa, lontano dalla corte di Karmon, dal gelo di tutte e quattro le stagioni; una vita avventurosa, con Evalyn al suo fianco.

    Sarebbe più che meraviglioso e credo che dovremmo farlo in ogni caso.

    Le sue dita scivolarono attorno a una ciocca di capelli dorati, mentre la giovane rispondeva al suo sorriso con uno ancor più luminoso; poi, le sollevò delicatamente il mento e la baciò, risalendo con l’altra mano il suo braccio sinistro, fino a sfiorare la spalla, nuda sotto al mantello.

    Stai congelando disse, posando il dorso della mano sulle sue guance imporporate. Sarà meglio rientrare.

    Percorsero il sentiero serpeggiante a ritroso, stretti come un nodo; d’un tratto, Evalyn chiese:

    Credi che il re sarebbe felice di vedermi?

    Yorick esitò; non era nemmeno certo che il padre fosse cosciente e, anche lo fosse stato, chi poteva dire se sarebbe ancora stato in grado di riconoscere i volti delle persone care?

    Ne sarebbe entusiasta mentì, che erano già rientrati nell’edificio.

    Ad attenderli nell’atrio trovarono Blackmore e una coppia di servitori; la vista della guardia ricordò al principe un’incombenza che necessitava di essere sbrigata.

    Va’ pure avanti, ti raggiungo tra poco concluse, affidando la giovane ai due servi. Accompagnate la contessina negli appartamenti reali; tu rimani, Blackmore.

    L’uomo obbedì, chinando il capo, mentre Evalyn e la sua scorta svanivano nei corridoi del palazzo. Una volta soli, Yorick estrasse da una tasca interna della casacca un messaggio ricevuto quasi due mesi prima e che, per tutto quel tempo, era rimasto nascosto in attesa di una risposta. Il principe lesse le poche righe che ormai avrebbe saputo recitare a memoria:

    La preda si muove.

    Tre spade al seguito.

    Attendiamo nuovi ordini.

    L’angoscia causata dal continuo peggioramento delle condizioni del padre era ciò che aveva ritardato l’invio di una risposta, ma Yorick era d’ogni modo convinto che l’ordine che avrebbe impartito sarebbe stato quello di proseguire; se non altro, lo era stato prima della discussione avuta con i fratelli quel pomeriggio. La loro richiesta l’aveva colto del tutto impreparato, ma non avrebbe esitato a opporvisi con tutte le forze, a patto che fosse lui l’unico a subirne le conseguenze. E così non sarebbe stato.

    Ripensò a Evalyn, al loro primo incontro, al modo in cui la sua bellezza e il suo fascino innocente l’avevano completamente rapito. All’epoca, la ragazza aveva soltanto diciassette anni e suo padre non avrebbe valutato nessuna proposta di matrimonio fino a quando non ne avesse compiuti diciotto; tuttavia, anche quando il momento arrivò, Yorick non ebbe l’ardire di farsi avanti, convinto che Ector Aken non avrebbe mai permesso che sua figlia andasse in sposa al Principe Bastardo, appellativo con cui persino i più intimi membri della corte erano soliti riferirsi a lui, credendo di non essere uditi. Ma, mentre Yorick accantonava con rammarico i propri sentimenti, si verificò una lunga quanto apparentemente inspiegabile serie di rifiuti da parte della giovane contessa, che respingeva senza esitazioni ogni pretendente si presentasse alla sua porta, persino il più nobile, prestante o facoltoso. Due anni più tardi, si vociferava che in tutta Karmon non esistesse un solo scapolo al quale Evalyn Aken non avesse negato la propria mano; una diceria, come spesso accade, decisamente esagerata, ma era innegabile che la giovane donna avesse garbatamente declinato ogni proposta ricevuta, ed era altrettanto probabile che quel suo comportamento ne avesse estinte sul nascere molte altre. Yorick non poté rimanere indifferente di fronte a un così esplicito messaggio ed Ector Aken, ormai esasperato dall’atteggiamento della figlia, acconsentì al fidanzamento.

    Gli erano occorsi tre anni per arrivare a lei e mai come in quel momento si era sentito tanto vicino a perderla. Pur non conoscendone i particolari, intuiva che uno dei piani di vendetta di Wilbur e Wilfred sarebbe consistito nell’allontanarlo da Evalyn, la cui bellezza, unita alla giovinezza, aveva senza dubbio scatenato la bramosia dei due uomini, entrambi vedovi, senza figli e alle soglie della vecchiaia, se non oltre. Wilbur avrebbe potuto stringere accordi con il padre della ragazza, persuadendolo a rompere il fidanzamento in cambio di una lauta ricompensa, oppure convincerlo a rinchiudere la figlia in un tempio, obbligandola a diventare una sacerdotessa; o, peggio ancora, avrebbe potuto pretendere che ella andasse in sposa al futuro re di Karmon, invece che al fratellastro cui non sarebbe rimasto più nulla dopo la cerimonia d’incoronazione. Delle tre ipotesi e di molte altre che si affollavano nella sua mente, l’ultima era certamente quella che l’avrebbe ferito, umiliato e disgustato maggiormente e, proprio per questa ragione, temeva fosse quella che avrebbe maggiormente stuzzicato la fantasia di Wilbur.

    Cosa avrebbe potuto fare per impedire che quell’incubo si avverasse? Fuggire, come Evalyn aveva suggerito, era la soluzione più rapida, ma di certo non la più semplice da mettere in pratica. I suoi fratelli e il conte non avrebbero risparmiato un singolo uomo per dar loro la caccia e, una volta trovatili... non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Inoltre, non avrebbe mai avuto la forza di scappare, abbandonando il padre in quel covo di serpi che era la corte. L’unica speranza cui poteva ancora aggrapparsi era l’ipotesi che, se si fosse mostrato servile e accondiscendente, forse i fratelli avrebbero avuto pietà di lui e avrebbero soffocato il proprio risentimento.

    Era una speranza flebile, quasi un’utopia, ma non vedeva altre vie d’uscita. Se si fosse intestardito, provocandoli e contestando la loro autorità, avrebbe certamente perduto il proprio titolo, il potere, la ricchezza, la dignità, forse addirittura la libertà, ma anche qualcosa di decisamente più prezioso: avrebbe perduto Evalyn.

    Fu così, avvilito e impotente dinanzi alla crudele volontà del fato, che si accanì sul messaggio, stritolandolo nel pugno e ripromettendosi di gettarlo nel fuoco alla prima occasione.

    Richiamali, Blackmore ordinò, tutti quanti. La caccia è finita.

    Espiazione

    Capitolo Due

    Era notte, ma non una notte qualsiasi.

    Si trovava in un bosco, ma non un bosco qualsiasi.

    Erano quella notte e quel bosco, solo che la pioggia era svanita e tutto sembrava immerso in una bizzarra nebbia iridescente, dalla consistenza lattiginosa e viscida.

    Si guardò intorno, confuso e al tempo stesso stupito di trovarsi ancora lì, la mente che annaspava alla ricerca di una spiegazione; nella sua memoria, più precisamente dove avrebbero dovuto essere custoditi i ricordi più recenti, si era formata un’enorme voragine nera, simile a un pozzo senza fondo. Eppure, sebbene non riuscisse a indovinarne il perché, era certo che non avrebbe dovuto essere lì in quel momento.

    Il suo sguardo cadde successivamente sulla sua persona: indossava stivali, brache, una casacca, ma nessuna cotta di maglia; la spada dalla guardia spezzata pendeva dal suo fianco e la certezza di essere armato in quell’assurdo frangente servì a rincuorarlo almeno un poco. Allungò una mano dietro la schiena e fu sorpreso di non trovarvi la stoffa di un cappuccio; per la verità, era l’intero mantello a mancare. Prese a interrogarsi sul motivo per il quale non l’avesse indossato, quand’ecco che lo vide, abbandonato al suolo, squarciato da un colpo netto. Com’era potuto accadere? Si fece avanti per raccoglierlo ed esaminarlo, ma si accorse che la mano con cui intendeva prenderlo stava già impugnando le redini di un cavallo. Fissò le due strisce di cuoio, soppesandole tra le dita, per un tempo infinito; come aveva fatto a non notarle fino a quell’istante? Forse perché non le aveva strette fino a quell’istante... potevano delle redini comparire per magia nel palmo di una mano? Era dubbioso al riguardo, ma una cosa era più che certa: se erano comparse le briglie, allora doveva essere comparso anche il cavallo. Si voltò sorridendo, ma, al posto di Fensie, il suo fidato destriero, vide un’imponente sagoma nera che non stentò a riconoscere, mentre un brivido si arrampicava lungo la sua spina dorsale: era il palafreno di Ferryman.

    L’animale s’imbizzarrì all’improvviso e senza una ragione apparente, quasi a voler manifestare il trauma d’essere stato catapultato in quel bosco, accanto al ragazzo che l’aveva ustionato durante una ferratura. S’impennò, strattonando con violenza le redini e mandando acuti nitriti che fendevano l’aria come dardi, facendo tremare persino la nebbia molliccia. Tentò di ammansirlo, evitando però di avvicinarsi troppo; il pensiero d’essere solo con quel cavallo ingovernabile, senza sapere cosa ne fosse stato di Fensie, lo atterriva, rendendo vano ogni tentativo di domare la bestia. Con uno scatto repentino del robusto collo, ben più potente dei precedenti, il cavallo si liberò dalla presa e si lanciò al galoppo nel fitto della boscaglia, come se un cavaliere invisibile, dalla groppa, l’avesse incitato a gettarsi sull’avversario nella lizza.

    Il ragazzo non fu certo dispiaciuto nel vederlo allontanarsi, ma ebbe modo di scorgere la sua sagoma sgraziata soltanto per un attimo, prima che un lampo illuminasse il cielo oltre la volta boschiva, colpendo i suoi occhi e qualcosa di misterioso, nascosto dietro alti cespugli. Dopo essere stato quasi accecato da quella luce improvvisa e aver gradualmente riacquistato la vista, decise di muovere qualche passo in quella direzione, convinto che le fronde celassero il suo cavallo, ma un suono lo indusse a fermarsi. Uno scalpiccio frenetico, la corsa di un individuo leggero, dai piedi non molto grandi; questo pensò, ma nonostante la sua teoria fosse corretta, nel voltarsi non credette ai propri occhi.

    Ethel, sua sorella, sbucò tra due grosse querce come un folletto, il volto tutto arrossato e il respiro affannoso, come se avesse corso fin lì da Ivennon.

    Non guardare dietro a quel cespuglio, potrebbe esserci un lupo in agguato! urlò e, prima ancora che avesse il tempo di chiederle come avesse fatto a trovarlo, fuggì via, lasciando dietro di sé soltanto il tramestio della corsa.

    E ora? Quale altra assurdità sarebbe balzata fuori da quei cespugli? Sua madre, suo zio Wald, oppure Ferryman in persona, venuto a insultarlo per aver fatto scappare il suo cavallo? Si avvicinò agli arbusti senza più esitare, deciso a vederci chiaro, ma nessuna delle sue previsioni si dimostrò esatta, né tantomeno quella di Ethel.

    Fu il verso, un gracchiare stridulo, a investirlo, prima ancora di uno spostamento d’aria che lo costrinse a indietreggiare, spalancando le braccia per non perdere l’equilibrio. Poi, la creatura uscì allo

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