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De l'infinito universo e mondi
De l'infinito universo e mondi
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E-book183 pagine2 ore

De l'infinito universo e mondi

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De l'infinito, universo e mondi è il terzo dialogo filosofico che Giordano Bruno pubblica a Londra nel 1584. Il testo è una disamina non solo sulla pluralità dei mondi abitati ma anche un saggio filosofico sulla natura umana e sulla vastità del potere divino di aver creato altri mondi simili al nostro.
"Diversamente dal criterio dell'astrattismo geometrico, in cui il disegno conchiude il colore, dove la linea compartimenta ogni possibile soluzione di continuità, le superfici sagomate di Miniati si modellano le une con le altre, in un armonico altalenarsi di forme concave e convesse, di pieni e di vuoti, di colori caldi e di colori freddi, costituendo, pur senza l'incisività del segno che ne circoscriva il modello, un tessuto variopinto alla maniera delcloissonisme. Ecco allora emergere le forme di un pensiero dinamico e plastico, su cui preme non tanto l'analisi costruttivista, fredda e composta dell'astrazione geometrica, quanto piuttosto l'analisi caleidoscopica di una realtà interiore che trova un generale riscontro nella componente astratta più lirica e spirituale del nostro tempo." (Michele Beraldo)
LinguaItaliano
EditoreSanzani
Data di uscita21 dic 2022
ISBN9791222038148
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    Anteprima del libro

    De l'infinito universo e mondi - Giordano Bruno

    UNIVERSO E MONDI

    A L'ILLUSTRISSIMO SIGNOR DI MAUVISSIERO

    La libertas philosophandi

    Prima di intraprendere l’analisi dell’opera di Giordano Bruno relativa al tema, credo necessario fare una premessa.

    Bruno non può considerarsi un fisico di genio alla stregua di Galilei e la sua teoria è certamente lungi dal poter essere considerata una teoria scientifica; essa è piuttosto una congettura filosofica e, da un punto di vista puramente concettuale, si può passare da Copernico a Galileo, da Keplero a Newton senza doversi soffermare sulla teoria di Bruno, ciò che del resto fa la maggior parte degli storici del pensiero scientifico.

    Ciò che oggi rimane dei lunghi interrogatori a cui venne sottoposto Bruno davanti al tribunale dell’Inquisizione veneziano ci permette di ricostruire il meglio dei suoi lavori, spesso oscuri.

    Dalla loro lettura risulta chiaro che la magia o l’ermetismo, che hanno certamente occupato un posto importante nella sua attività intellettuale, non pesarono per nulla nella sua condanna e che il loro ruolo non era centrale nel suo sistema perché il fulcro della sua teoria, che doveva fatalmente condurlo al patibolo, risiedeva nella sua concezione di un universo infinito.

    Il tratto distintivo fondamentale del vasto corpo letterario e, in buona sostanza, dell’insegnamento che si può trarre della dottrina di Giordano Bruno, trova una delle più limpide esplicazioni proprio nella sua concezione dell’universo.

    Bruno proclama a gran voce il diritto alla libertas philosophandi che non può chinare il capo di fronte ad alcun principio di consuetudine e di autorità.

    Nell'ambito della filosofia... è infatti rischioso -scrive Bruno- avanzare definizioni prima di aver ponderato bene l'argomento, è iniquo accettare una opinione in ossequio ad altri, è degno di servi e di mercenari, nonché contrario al valore della libertà umana, sottostare e inchinarsi a qualche autorità, è stoltissimo credere per abitudine, è assurdo prendere per buona una tesi solo perché un gran numero di persone la giudica vera.

    Bruno non respinge a priori le filosofie del passato, compresa quella aristotelica, ma le sottopone a un'analisi critica serrata, assumendo come pietra di paragone la loro operatività, i buoni o i cattivi effetti che esse sono in grado di produrre dal punto di vista della verità e della civiltà, e riconosce sempre esplicitamente la pluralità delle vie di accesso alla verità.

    E' da questa radice critica che discende la stessa scoperta bruniana della infinità dell'universo e dei mondi innumerabili, messa a fuoco tramite una serrata discussione dei caratteri e della natura della divinità:

    perché - si chiede Bruno - vogliamo o possiamo noi pensare che la divina efficacia sia ociosa? Perché vogliamo dire che la divina bontà la quale si può comunicare alle cose infinite e si può infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astringersi in niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito è niente?.

    Nel lungo processo che occupò gli uomini d’Occidente a passare da un mondo chiuso ad un universo infinito, Bruno occupa un posto importante.

    Per gli antichi il mondo non poteva essere infinito poiché l’infinito era l’incompiuto, l’imperfetto. Il caos; l’universo aveva dei limiti, e dunque era perfetto.

    Per gli uomini del Medioevo, al contrario, l’infinito era la perfezione e dunque un attributo che poteva essere riservato soltanto a Dio.

    Con Bruno tutto cambia nuovamente: l’universo è la totalità che basta a se stessa e racchiude Dio nella sua immanenza.

    L’infinito di Bruno non è laico ma è, se non ateo, fermamente anticristiano in una prospettiva naturalista, se non animista.

    Bruno è il primo a proporre un sistema coerente contrapponibile a quello di Aristotele, secondo il quale la terra si trovava al centro di un universo chiuso, immobile, così come immobile era il mondo siderale, al di là del quale non c’era nulla, né luogo, né vuoto.

    Il sistema di Aristotele, ripreso e cristianizzato da Tommaso d’Aquino, era assurto al rango di dogma della Chiesa cattolica romana.

    Nicolò Cusano e Copernico

    Fin dai suoi anni giovanili, Bruno si era interessato ai predecessori di Aristotele e ai neoplatonici, ma soprattutto aveva letto due autori che erano passati quasi inosservati, ma che portavano in germe una critica radicale della fisica di Aristotele: Nicolò Cusano e Copernico.

    Il teologo tedesco Nicolò Cusano fu il primo a rimettere in discussione la concezione aristotelica del mondo; per lui, l’universo è uno sviluppo imperfetto di Dio poiché il suo frazionamento indefinito si oppone all’unità del divino.

    L’universo non è, a dire il vero, infinito, ma non è neanche finito: è piuttosto senza termine, nel senso, cioè, che non se ne possono conoscere i limiti. Ne discende che la terra non è più al centro, e non ci sono centri fisici nell’universo.

    Rimettendo in discussione, per la prima volta in Occidente, il dogma dell’universo chiuso, questo pensiero doveva fortemente influenzare Bruno e, più in là, l’astronomia moderna.

    Nel 1543 fu pubblicato nell’indifferenza quasi totale il trattato di un canonico polacco, Nicola Copernico, Sulle Rivoluzioni dei mondi celesti; la grande invenzione concettuale di Bruno risiede nel fatto che egli capisce che il sistema di Copernico conduce logicamente all’universo infinito.

    Sotto l’influenza della dottrina di Nicolò Cusano, Bruno reinterpreta il sistema di Copernico. Manda in frantumi la sfera immobile di stelle fisse che Copernico non aveva osato toccare: le stelle non sono più immobili, ma sono dei soli in numero infinito, da cui dipende un numero infinito di astri che sono distribuiti in un universo infinito.

    Il sistema di Copernico dà così un ordine all’infinito che Cusano aveva lasciato nell’anarchia.

    Una è la materia primera del tutto

    La critica di Bruno nei confronti dello stesso Copernico consiste dunque nel fatto che questi, più matematico che filosofo, non è riuscito a pervenire all'affermazione della infinità, pur aprendo la strada alla scoperta che i soli sono infiniti come sono infinite le terre, e che sia gli uni che gli altri sono fatti della stessa materia, anche se i primi risplendono per sé, mentre le seconde risplendono per altro, cioè per l'azione dei soli. Una è la materia primera del tutto, conclude infatti Bruno, dissolvendo definitivamente le fondamenta ontologiche dell'universo aristotelico.

    Questo è il passo che sintetizza il suo pensiero al riguardo:

    «È dunque l’universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e perciò infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato e per conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto; non si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o aspettare, atteso che abbia tutto l’essere; non si corrompe perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa; non può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili».

    Una volta postulata la natura infinita dell’universo, occorre esaminare le conseguenze che tale postulato comporta in relazione alla condizione umana.

    Partendo dalla concezione medievale che i corpi della stessa natura si cercano e si attraggono, Bruno assegnò all'innata tensione umana verso l'infinito non un carattere religioso, nel senso tradizionale del termine, quanto una motivazione di carattere metafisico. Ecco il naturale desiderio dell'uomo - che è un essere finito, ma che ha in sé una parte di natura infinita - di ricongiungersi all'infinito globale che si esprime e si manifesta nella natura.

    Da qui la definizione che egli dà dell'uomo come di un essere finitamente infinito. L'essere umano, infatti, è finito per estensione fisica e per la durata dell' esistenza, ma è anche infinito in quanto, pur nella sua finitezza, egli ha dentro di sé una natura infinita, responsabile della sua perenne tensione verso l'illimitato.

    Bruno, quindi, trasferisce l'innata tensione dell'uomo verso l'infinito dalla tradizionale concezione cristiana di naturale propensione dell'anima verso Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, a un piano naturalistico-immanente.

    L'uomo non ricerca l'infinito perché attratto da Dio, ma perché egli vuole ricongiungere la parte di infinito che è dentro di sé con l'infinito totale, che non è trascendente ma immanente, cioè dentro il mondo sensibile, che per Bruno è comunque dotato di anima sensitiva e intellettiva.

    Pertanto, Dio, che si identifica con la natura, si manifesta nel finito, e il finito si manifesta nell'infinito, essendo parte integrante del tutto. L'uomo, cioè, si manifesta in Dio.

    Il filosofo campano fonda questa concezione sul presupposto che se la causa dell'origine dell'universo, quindi Dio, ha una natura infinita, deve essere infinito anche l'effetto, cioè il creato. Pur partendo da presupposti qualitativi tipici dell'era pre- scientifica e non quantitativi, Bruno fornirà con la coincidenza degli opposti, quindi con la coincidenza tra finito e infinito, un sostrato culturale su cui si innesterà il pensiero scientifico moderno.

    La coincidentia oppositorum, ripresa dalla filosofia di Nicolò Cusano, in Bruno acquista un valore diverso, perché questa coincidenza non ha luogo solo in Dio, ma nella stessa natura.

    Così, il filosofo campano finisce per teorizzare una uguale natura sustanziale tra terra e cielo, tra finito e infinito. Una concezione, dunque, che non riserva alcuna differenza sustanziale tra la materia dell'universo e quella del cosiddetto mondo sublunare.

    Una teoria che affonda le sue radici nella filosofia presocratica, in particolare in quella di Democrito, ma che presto sarà a fondamento del moderno pensiero scientifico e quantitativo.

    Bruno, se non arriva proprio ad identificare Dio e natura, di sicuro fa della natura l'approssimazione maggiore a Dio, una estrinsecazione infinita dell'infinito, un effetto infinito della causa infinita.

    Bruno reputa che da una causa infinita non si può che avere un effetto infinito, e dunque Dio e la natura sono entrambi infiniti. La natura è animata, vibrante, è vita, è forza in cui l'uomo si immerge vivendo egli stesso nell'insieme della forza naturale. E questa infinità tuttavia è l'Uno e l'Uno è infinito.

    Per concludere, possiamo dire che Bruno è il primo ad elaborare una teoria cosmologica moderna fondata sull' eliocentrismo copernicano e sostenuta dall'idea che l'universo è infinito e che è il primo a dare una nuova collocazione all'uomo, posto non più in mezzo ma ai margini di un universo senza centro e senza fine, all'interno del quale la sfera celeste e il mondo terrestre sono intimamente connessi da una natura simile.

    Se Bruno, comunque, con la filosofia degli eroici furori attribuisce all'uomo e alla sua facoltà razionale ancora un ruolo predominante all'interno del cosmo, il nuovo modello cosmologico da lui elaborato sarà destinato a creare nella sensibilità dei poeti e dei filosofi successivi un senso di smarrimento e di precarietà esistenziale all'interno di un universo troppo grande.

    E d’altra parte se l’universo non è più chiuso e finito, prodotto totalmente distinto e distante dalla divinità, ma è infinito e senza confini.

    Esso ha troppi attributi della divinità medesima: un terribile concorrente di Dio.

    L’infinità dell’universo comporta che il motore di esso non è estrinseco all’universo ma intrinseco ad esso, non sta cioè fuori ma dentro l’universo medesimo.

    L’infinito secondo Bruno pone d’altra parte un altro problema, altrettanto acuto.

    Essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso è di conseguenza l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. Per Bruno, la vera eucaristia è la comunione con la divinità attraverso la contemplazione dell’universo.

    Prima Bruno, poi Leopardi e Nietzsche

    Se in ogni molecola di natura si trova un riflesso dell’anima di Dio, il passo successivo è pensare che il Cristo non serva più a nulla, che non sia più necessaria la redenzione...

    Ma il punto centrale della riflessione di Bruno, a mio giudizio, non risiede tanto nel rapporto tra Dio e la natura, né nella distinzione tra teologia per il popolino e filosofia per gli uomini dotti e saggi.

    Egli è il primo pensatore, in anticipo su Leopardi e Nietzsche, che pone l'uomo in una condizione di disancoraggio assoluto nell'universo. Nel momento in cui l'universo è infinito, i mondi sono infiniti, le cause infinite creano effetti infiniti, l'uomo si trova disancorato da qualsiasi riferimento specifico, determinato e afferrabile.

    L’uomo deve orientare se stesso con la sua ragione

    L’uomo si trova nell'infinito: questo in buona sostanza è l'ardimento, ai limiti dell'inconcepibilità, che rende Bruno un pensatore devastante e insuperato. Per la prima volta la solitudine dell’uomo nell’universo, la centralità senza riferimenti dell’uomo, ha una definizione tragica.

    L’uomo deve orientare se stesso con la sua ragione, in un mondo però che lo scavalca incommensurabilmente e dal quale egli non può prendere alcun esempio né ricevere alcun ancoraggio.

    Tutto intorno all'uomo è infinito,l'uomo è finito.

    Ma l'uomo è finito con la coscienza dell'infinito in cui è collocato.

    Non c'è una bussola. E la ragione stessa non è che un modo per essere coscienti dell'infinito senza stelle del nord che possano orientare l'uomo. L’uomo deve orientarsi da sé e dunque, proprio per questo, non ha orientamenti.

    Questa, a mio avviso, è la grandiosa scoperta di Bruno: nel momento in cui vi erano le esplorazioni geografiche che dilatavano il mondo sulla terra e le scoperte scientifiche che dilatavano il mondo sopra la terra, l'uomo perdeva ogni riferimento canonico.

    Ma in questo non sapere chi essere, in questa dimensione incerta, in questo confrontarsi con l'infinito, in questa perdita di bussola e di stella polare, l'uomo entrava definitivamente nella modernità. Oggi che il potere dell'uomo sulla natura inquieta l'uomo stesso, perché il suo potere di fare è enormemente superiore al suo potere di prevedere e di governare la propria storia, forse è opportuno un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi non l'anticipatore degli infiniti mondi contro il geocentrismo del suo tempo, ma colui che, proprio in forza degli infiniti mondi dubita che l'uomo possa essere pensato come il centro dell'universo e quindi in diritto di disporne.

    Ecco l’accesso alla verità:

    Intelletto e volontà, ragione e passione, anima e corpo

    Quello del nolano è dunque un pensiero radicalmente rivoluzionario. Utilizzando in modi geniali anche materiali arcaici, egli riesce a presentare una concezione del tutta nuovo dell'universo; dell'uomo al quale, nell'infinito, è tolta ogni centralità di ascendenza umanistica; del processo di accesso alla verità, rappresentato da Bruno attraverso l'esperienza apocalittica dell'eroico furore, in cui si intrecciano, in un nodo solo, intelletto e volontà, ragione e passione, anima e corpo, nel fuoco di un'esperienza d'amore che è l'unica in grado di aprire la strada alla visione del Dio, dell'unità.

    Se può parlarsi di Giordano Bruno come di un iniziato nella accezione che tutti noi condividiamo, e credo che lo si possa fare a buon diritto, è questo il messaggio fondamentale che ci ha lasciato questo pensatore della libertà, questo pensatore che non ritenne di dover sottostare alla convenienza del potere cessando di manifestare le proprie concezioni: lo spirito umano può evolversi, fino a raggiungere le più alte mete, solo con la tolleranza e non con l'imposizione del dogma.

    STAMPATO IN VENEZIA

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