LA FEDE. Mistero e miracolo nel Vangelo di Marco
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Recensioni su LA FEDE. Mistero e miracolo nel Vangelo di Marco
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Anteprima del libro
LA FEDE. Mistero e miracolo nel Vangelo di Marco - Giovanni Maglioni
I
Le due parabole.
Racconti fondamentali
La parabola/racconto di Gesù spinto nel deserto per la tentazione
Perché chiamo questo racconto parabola? Per tutto quello che indirettamente ci insegna, con vari richiami, il ricco contenuto di questo brevissimo testo:
Subito dopo [il Battesimo] lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.
Mc 1,12-13
Nei due Vangeli che più ci parlano di Gesù, Giovanni non cita le tentazioni e Marco ce le presenta in modo totalmente diverso, direi più credibile e serio anche se più stringato, rispetto agli altri Sinottici. Anzi, per capire a fondo questo brano di Marco, dobbiamo dimenticare del tutto le narrazioni di Matteo e Luca su Gesù che viene tentato nel deserto.
Cerchiamone il perché.
Il Messia e il nuovo inizio
Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto, dopo essere stato eletto il Messia; ciò che è avvenuto al suo Battesimo, appena narrato dall’evangelista, in quanto si è sentito investire di questa carica dal Padre stesso, quando gli dice: «Tu sei mio figlio» (Mc 1,11). Questa era nient’altro che la formula, più o meno arricchita di altre espressioni ancora, che un profeta o il Sommo Sacerdote ebraico diceva a ogni re per conto di Dio al momento della sua investitura, in quanto il re si riteneva scelto da Dio, ed era designato ufficialmente, lui e lui solo, figlio di Dio anche dagli ebrei.
L’investitura da parte del profeta o del Sommo Sacerdote era poi sancita con l’unzione con uno speciale olio sacro, il crisma. In questo momento si riteneva che lo spirito, ossia la potenza di Dio, scendesse sull’eletto, ormai divenuto un Messia, ossia un Cristo (termini che in ebraico e in greco significano appunto unto), tramite l’unzione stessa. Tutti i re ebraici erano quindi dei Messia, degli unti da Dio, anche se mediante degli intermediari umani. Gesù è però nominato, direttamente dal Padre, non solo uno dei tanti Messia ebraici ma il Messia, destinato a essere, secondo i profeti, re non soltanto di Israele ma dell’universo intero.
Per questo motivo non riceve lo spirito tramite l’unzione di un uomo, ma lo Spirito è mandato a lui direttamente dal Padre stesso, ed egli percepisce nettamente la sua discesa su di lui, comprende che essa è avvenuta squarciando il firmamento - tradotto come i cieli - e la percepisce così distintamente come se avesse visto scendere e posarsi su di lui una colomba. Questa allusione allo squarciarsi dei cieli rimanda ai profeti
Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti.
Is 63,19
e ci fa capire che chi scende su Gesù non è lo spirito, inteso soltanto come forza di Dio, come esso scendeva sui re, ma lo Spirito Santo, terza persona della Trinità.
Ovviamente il firmamento non esiste, ma per gli ebrei era una cupola solidissima posata sulla piatta terra per dividere invalicabilmente il mondo di Dio da quello degli uomini. Dio poteva accedere al mondo degli uomini, non gli uomini a quello di Dio. Il firmamento è ora per sempre squarciato grazie a Gesù che accetta il mandato del Padre; il mondo di Dio e quello degli uomini sono, quindi, divenuti comunicanti grazie all’azione dello Spirito.
Quando la missione di Gesù sarà compiuta, si squarcerà l’altro ostacolo che ci impedisce l’accesso alla divinità anche qui in terra: l’invalicabile velo del tempio.
Lo Spirito poi lo spinge nel deserto per essere tentato sulla sua fine terrena e, cosa forse più importante ancora, perché egli vi sperimenti di essere divenuto veramente il Messia, grazie all’investitura ottenuta dal Padre.
I profeti avevano detto che nei tempi messianici sarebbe ritornata la primitiva armonia nella natura, ed ecco che ci viene presentato Gesù che dimora tranquillamente nel deserto, in pace, assieme alle bestie selvatiche - che, è accertato storicamente, vi erano effettivamente e consistevano anche in numerosi leoni e parecchie altre fiere di specie diverse. Si ritorna così ad avere momentaneamente sulla terra, grazie a Gesù, l’armonia della natura, come ai tempi dell’Eden, e come ci sarà poi sempre nel Regno.
Ed ecco ora il perché della tentazione.
Il Vangelo di Marco ha, come sua prima parola, lo stesso termine: inizio, con cui principia la narrazione della creazione e di tutto l’Antico Testamento. Marco ci suggerisce in tal modo che con Gesù si fa punto a capo delle cose antiche e ogni cosa, ogni situazione nel mondo, ricomincia, perché può e deve avere un esito diverso da quello del passato.
La pace della natura ci dice che vi è un nuovo Eden in un angolo della terra, dove quindi un nuovo Adamo deve essere tentato rimanendo però fedele per cominciare una nuova storia della salvezza. La prova deve essere da Lui superata affinché l’umanità tutta, che Egli in sé rappresenta, possa a sua volta tornare in un altro Eden. Non per niente Paradiso significa giardino.
Ma qui vi si suggerisce un punto e a capo nella storia della salvezza anche per quanto riguarda il popolo ebraico. Gesù è mandato nel deserto per essere tentato, perché egli rappresenti in questo caso, in sé stesso, anche tutto il popolo eletto, che nel deserto non è stato fedele a Dio, malgrado l’Alleanza. Gesù rappresenta in sé tutto un popolo che questa volta è, per mezzo suo, fedele; e a questo popolo Gesù stesso offrirà poi, a nome del Padre, una Nuova ed Eterna Alleanza.
Nel deserto della tentazione
Gesù viene tentato per 40 giorni: 40 è un numero simbolico che richiama gli anni trascorsi, secondo la tradizione, nel deserto dal popolo ebraico.
E a Gesù non occorre certo il digiuno per rimanere fedele ai desideri del Padre. Marco infatti non accenna minimamente a un digiuno, ma ci fa capire che Gesù, superando la prova, può far considerare fedele dal Padre il popolo che egli rappresenta e l’umanità tutta, perché egli ha ricevuto la forza dello Spirito che, come predetto da Ezechiele, permette di non peccare; e l’ha ricevuta dal Padre stesso non come semplice uomo, ma come Messia.
Ogni re, in quanto Messia, unto, ricevendo lo spirito diventava superiore a ogni altro uomo, avendo ricevuto la forza, il sostegno di Dio, e questo ce lo dicono chiaramente i Salmi messianici e il secondo libro di Samuele che ci parla dei primi re del popolo ebraico. Iniziando dal primo re, Saul, ci viene mostrata la trasformazione operata in essi dallo spirito dopo l’unzione. E Gesù non ha ricevuto solo lo spirito, ma lo Spirito Santo.
Mi spiace dirlo, ma Matteo e Luca non sembrano aver capito questo aspetto e si inventano delle tentazioni che definirei barocche e risibili se non fossero nel Vangelo, e che andrebbero bene per noi, comuni uomini peccatori, ma non per Gesù dopo che, come Messia, ha ricevuto lo Spirito dal Padre.
Quale è allora la tentazione di Gesù? Ce la dice indirettamente la menzione degli angeli che servivano Gesù mentre egli era nell’armonia della natura. Il verbo servire in ebraico significa anche servire a tavola, dar da mangiare, come nell’episodio, di poco successivo alla tentazione, della suocera di Pietro. Sono pochi i biblisti che interpretano in