Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fragaria
Fragaria
Fragaria
E-book409 pagine5 ore

Fragaria

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il diciannovenne Oliver Miles si trasferisce nella cittadina di Sunster per fuggire dal padre che vorrebbe controllare il suo futuro. Mentre cerca l’indipendenza ed emozioni nuove che lo sottraggano alla monotonia della sua vita, fa la conoscenza del misterioso e affascinante erede del barone di Sunster: Adelchi Clearwater.

L’infatuazione per il giovane porterà Oliver ad avvicinarsi a lui sempre di più e a scoprire un terribile segreto, che ha radici in un’antica maledizione operata da una creatura leggendaria.

I due ragazzi affronteranno un percorso difficile, fatto di incomprensioni e attrazione, di crescita e accettazione, in bilico tra il mondo oscuro del sovrannaturale e il mondo luminoso della normalità. Sconfiggendo ognuno i propri mostri e scoprendo, grazie all’amore reciproco, la strada verso l’indipendenza e la vera libertà.
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2022
ISBN9791220702430
Fragaria

Correlato a Fragaria

Ebook correlati

Narrativa romantica LGBTQIA+ per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Fragaria

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fragaria - Lucy Rosca

    1

    OLIVER, O IL CERCATORE DI LIBERTÀ INGANNEVOLI

    L’autunno quell’anno era insolitamente caldo. Meravigliose giornate di sole illuminavano la cittadina inglese di Sunster, un piccolo angolo di mondo che sorgeva tra le campagne della contea di Somerset, in tutto il suo modesto splendore.

    Il paesaggio si stava pian piano tingendo di tonalità calde, divorando timidamente il verde brillante che aveva spadroneggiato fino a qualche settimana prima. Un inarrestabile incendio di colori divampava senza tregua, giorno dopo giorno.

    Quando Oliver era arrivato in città, verso fine estate, non immaginava certo che le colline circostanti sarebbero mutate a tal punto. Si era così ritrovato ad ammirare la bellezza autunnale con occhio nuovo, rivalutandola inaspettatamente. Non aveva mai amato nessuna stagione in particolare, probabilmente perché era cresciuto tra il caos di Londra e gli erano mancate le occasioni di immergersi in scenari dominati dalla natura, dove ogni periodo sapeva dar vita a spettacoli unici.

    Rosso, arancione, giallo, marrone e centinaia di sfumature che Oliver non si sarebbe mai aspettato di poter apprezzare, lo stavano stregando al punto da convincerlo che la sua decisione di ritirarsi a vivere in quella zona, scappando dal caos della metropoli, fosse stata più saggia del previsto.

    In quel luogo così surreale egli aveva sperimentato, per la prima volta, il brivido di una vita solitaria e, quell’ondata di novità, lo aveva spinto ad accogliere nuovamente anche le passioni che aveva abbandonato tra la polvere della sua vecchia vita.

    Pian piano, nei momenti liberi, aveva ripreso a fare lunghe passeggiate come quando frequentava la scuola media, e a leggere il suo amato Shakespeare, attività che aveva bruscamente interrotto tre anni prima a causa della soffocante pressione dei test scolastici. Così, tra un’escursione e l’altra, con Amleto nello zaino, Oliver aveva riscoperto una parte di sé ormai dimenticata.


    To be, or not to be that is the question;

    Whether ‘tis nobler in the mind to suffer

    The slings and arrows of outrageous fortune

    Or to take arms against a sea of troubles

    And by opposing end them.


    Quando si sedeva tra le foglie secche del bosco a leggere i passi dell’Amleto, un po’ si innervosiva nel riconoscersi spesso in alcune descrizioni e nel provare una profonda empatia verso la singolare figura del principe di Danimarca, così tormentato e incompreso da coloro che lo circondavano. Eppure, perfino quel senso di fastidio lo appagava, anche in quel modo avvertiva un distacco dall’orrenda monotonia che lo aveva avvolto tra le sue spire negli ultimi anni, presagio del mondo adulto da cui tentava di fuggire.

    Era felice lì, in quel luogo così lontano e diverso da quello in cui era cresciuto?

    Forse, anche se era consapevole di non aver ben presente cosa significasse essere felici. Un simile concetto gli pareva troppo mutevole, sfuggente, simile a un palloncino che fluttuava in aria seguendo i capricci del vento. E lui non aveva mai provato il desiderio di allungare la mano per afferrarlo. Era fin troppo sicuro che gli sarebbe scivolato dalle dita dopo poco, come del resto ogni altra cosa nella sua vita.

    Sapeva bene che, a dispetto delle sue speranze, anche quel nuovo equilibrio non era destinato a durare. Ogni giorno suo padre gli telefonava per rammentargli quanto sciocca era la sua scelta di isolarsi, buttando al vento una promettente carriera universitaria, e quanto ciò avrebbe potuto influire sul suo brillante futuro. E ogni giorno Oliver faceva finta di ascoltarlo, chiudendo gli occhi sulla realtà delle cose, sfuggendo dall’imminente mondo bigio e spento che bussava alle porte della sua giovinezza.

    Spesso, con il cellulare in mano e le lamentele del padre nell’orecchio, contemplava le foglie cadere dolcemente al suolo, come se fossero leggiadri fiocchi di neve colorata, e si interrogava sul perché non avesse mai provato prima quella sensazione di pace che ora faceva vibrare il suo spirito. Sarebbe durata poco, era innegabile, ma era quanto di più bello egli avesse mai sperimentato.

    Anche se desiderava isolarsi da tutto e tutti, sapeva bene di non poterlo fare completamente. Doveva pur mantenersi in qualche modo, ed era conscio che dal genitore non avrebbe ricevuto nemmeno un centesimo. Così aveva iniziato a fare il cameriere in un café, scoprendo di apprezzare particolarmente quel tipo di lavoro. L’ambiente era caloroso e familiare, e lui non aveva problemi a interagire con i clienti e a nascondere il suo istinto solitario. Gli bastava semplicemente avere alcuni momenti della giornata per godersi un po’ di tranquillità, isolandosi per qualche minuto e assaporando la bellezza della calma.

    I clienti del café lo avevano preso in simpatia e spesso lo fermavano anche per strada, impazienti di scambiare due chiacchiere con lui e di farsi raccontare com’era la vita a Londra. Oliver non rifiutava mai di fare conversazione. Esibiva sempre un bel sorriso cortese e rispondeva educatamente a ogni domanda che gli veniva posta, senza però scendere nei dettagli. Era gentile con tutti, ma non apriva mai il suo cuore a qualcuno, forse perché lui stesso non riusciva a scorgerne le profondità e ne era spaventato.

    C’era, tra tutte, una sua particolarità che aveva attirato l’attenzione di molti: spesso egli tingeva di colori accesi e bizzarri il ciuffo castano che gli copriva la fronte, dicendo che il colore cambiava a seconda del suo umore. In realtà, era anche quello un modo per dare sfogo al suo tanto sospirato desiderio di emancipazione, un modo per dimostrare a se stesso che poteva cambiare quando e come voleva, che era lui a decidere della sua vita.

    Tu puoi essere ciò che vuoi se lo desideri davvero, era solita ripetergli Lisa, sua sorella maggiore. La capacità di cambiare è il bello degli esseri umani.

    Lisa lo aveva sempre spronato a realizzare i suoi desideri, ed era stata sempre lei a dargli la possibilità di prendersi una pausa dalla nauseante routine, lasciandogli a disposizione la piccola casa che aveva comprato a Sunster qualche anno prima. Le sue parole erano per Oliver un grande incoraggiamento, e gli davano la sicurezza di aver fatto la scelta giusta nei momenti in cui il suo giovane animo vacillava.

    Così, all’insegna della calma apparente e della segreta ricerca di emozioni nuove, andavano avanti le sue giornate. E più Oliver avanzava da solo sul sentiero della vita, più si rendeva conto di quanto dolce e succoso fosse il frutto della ribellione.

    Per poter continuare a gustare quel frutto, lavorava ogni giorno con impegno e dedizione, desideroso di guadagnare denaro per divenire sempre più indipendente.

    Da quando era arrivato non aveva mai voluto prendersi un giorno di pausa, ossessionato com’era dal racimolare il più possibile. Ma questo suo stacanovismo gli si stava pian piano ritorcendo contro, impedendogli di realizzare uno dei rari desideri che da qualche tempo lo tormentava. Dapprima si era convinto che fosse solo un capriccio e null’altro. Ma più il tempo passava, più non riusciva a levarselo dalla testa…

    Arroccato su una collina accanto alla città, sorgeva un castello con due bianchissime torri e le mura appena più opache, considerato il simbolo di Sunster. Diversi turisti vi si recavano ogni giorno per visitarlo ma Oliver, nonostante vivesse a circa mezz’ora a piedi dal maniero, non era ancora riuscito nell’impresa. Non aveva mai amato particolarmente gli antichi castelli, ma quello di Sunster, con il suo imponente stile medioevale contaminato da eleganti influenze neogotiche, le molteplici irregolarità che adornavano il tetto e la merlatura, e le ampie vetrate in cristallo alternate a finestrelle piccole e lanceolate, lo affascinava come poche altre cose. Era una magnifica tavolozza di elementi contrastanti e particolarità uniche, amalgamate insieme sapientemente per dar vita a un’armonia impareggiabile.

    Una simile opera non poteva certo lasciare Oliver indifferente.

    Così era nato nel suo cuore quell’ardente desiderio, che negli ultimi tempi esercitava su di lui un’irrefrenabile attrazione, al punto che arrivò a decolorare il suo ciuffo, rendendolo bianco come le alte torri che intravedeva di tanto in tanto tra la boscaglia. E più tentava di ignorarlo, più questo si faceva insistente, fino a rasentare i limiti dell’ossessione.

    Alla fine, poco più di due mesi dopo il suo arrivo, Oliver si decise a prendere il suo primo giorno di ferie per poter finalmente visitare il castello. Si svegliò presto, indossò un paio di jeans scuri e una felpa, poi preparò uno zainetto con il pranzo e si avviò verso il sentiero che si inerpicava su per la collina, con l’euforia e l’impazienza come compagne.

    Non giunse nemmeno a un quarto di strada che il suo cellulare si mise a squillare con insistenza. Sullo schermo la scritta papà brillava con arroganza, così come arrogante fu il tono dell’uomo dall’altro capo del telefono mentre diceva: «Sono davanti a casa tua, muoviti ad aprire!»

    A nulla valse tentare di spiegargli che aveva già altri impegni, perché egli si infuriò iniziando a redarguirlo in svariati modi.

    E così, mentre tornava verso la città, Oliver si rese conto di quanto l’amata libertà che credeva di aver conquistato fosse esattamente come tutte le altre cose che aveva cercato di afferrare nella sua vita: sfuggente e bugiarda.

    E, a malincuore, dovette arrendersi anche all’idea che alcune delle catene che aveva addosso erano, e sarebbero sempre rimaste, infrangibili.

    2

    IL CASTELLO, O IL LUOGO DOVE DORME L’OLTREUMANO

    Quando la sera scese lentamente ad avvolgere ogni cosa con il suo manto e suo padre si decise finalmente a lasciare la città, Oliver uscì di casa con lo zaino in spalla e gli occhi accesi da un’ardente fermezza.

    Attraversò i vicoli tra i quali aleggiava un intenso profumo di cibarie e passò per High Street, la via principale. Diversi gruppetti erano intenti a brindare allegramente fuori dai pub, dimenticando la fatica e le apprensioni della giornata appena trascorsa e intonando di tanto in tanto alcune vecchie canzoni. Oliver costeggiò una piccola fila di lampioni che stavano sfarfallando timidamente, sotto i quali alcuni bambini si erano fermati per osservare quel magico momento, e infine imboccò Castle Hill, l’agognata strada che conduceva al sentiero per il castello. C’era un’altra via che portava al maniero ed era percorribile in auto, ma lui preferì utilizzare quella scorciatoia che si snodava tra la natura.

    Anche se aveva perso tutto il giorno, gli rimaneva pur sempre la notte. La sua testardaggine non gli avrebbe mai concesso di sprecare quell’occasione. Sicuramente non sarebbe riuscito a fare la visita guidata, ma voleva almeno dare un’occhiata da vicino, nell’attesa di prendere nuovamente un preziosissimo giorno libero.

    Lasciò presto l’asfalto, avventurandosi con agilità verso il viottolo nel bosco, giocando a passare di roccia in roccia, con una piccola torcia in mano che gli faceva luce, rendendogli più praticabile la via. Saltò un piccolo rigagnolo d’acqua e si immerse tra gli alberi in fiamme, continuando il cammino su un mare di foglie secche. Pareva che qualcuno avesse steso un tappeto regale per dargli il benvenuto, ed egli si sentì onorato da quell’accoglienza.

    Riprese fiato per un attimo, tirando su la zip della giacca per proteggersi dall’aria pungente della notte. Attorno a lui i rumori del bosco iniziarono a farsi insistenti: gemiti, scricchiolii e versi gutturali riempivano l’aria. Ma Oliver non se ne curò. In quel momento fu avvolto da una sensazione nuova: una diversa sfumatura della libertà, più rischiosa ed emozionante.

    Un brivido lo percorse ed egli lo accolse con un sorriso. Si sentiva straordinariamente vivo.

    Avanzò ancora, provocando rumori sinistri mentre calpestava rami e foglie con gli scarponi. La salita era faticosa, ma mantenne un ritmo veloce che gli consentì di giungere a destinazione rapidamente. Quando le torri iniziarono a stagliarsi contro il cielo notturno, adornando con la loro eleganza il manto nero dove le stelle avevano già iniziato a brillare, il viso di Oliver si illuminò.

    Accelerò, ritrovandosi senza fiato, ma giungendo finalmente nel piazzale del castello. Il suo cuore ora batteva come un tamburo fuori controllo, dettando un ritmo sgraziato, ma non gli importava. Era troppo felice.

    Finalmente aveva davanti a sé la sua meta, nonostante tutti gli impedimenti e l’inattesa quanto sgradita visita del genitore.

    Ce l’aveva fatta, aveva ottenuto ciò che voleva.

    Le luci del maniero erano per lo più spente, fatta eccezione per quelle delle finestre dei piani superiori, che illuminavano appena la notte scura dando una nota di calore al gelido scenario notturno. Oliver si guardò attorno, fece qualche passo e si chinò per raccogliere da terra qualcosa che aveva attirato la sua attenzione: un opuscolo illustrativo abbandonato tra la polvere del viale. In esso era raccontata la storia del castello di Sunster, dalla data di costruzione fino al presente. Lo lesse con attenzione, divorando quelle informazioni. E quando si ritrovò davanti una pagina completamente scritta e senza illustrazioni, si soffermò su di essa con curiosità. In quest’ultima vi era riportata una poesia.


    La leggenda


    Non è più il tempo delle leggende.

    Non è più il tempo dell’oltreumano.

    E tu che ne ospiti una nel tuo petto devi lasciarla morire,

    o tutto sarà stato vano.


    La pietra protegge, la pietra imprigiona.

    Sei stato un re senza corona.

    Creature folli d’umano stampo,

    hanno sporcato il tuo animo bianco.


    Hai nel cuore una freccia oscura,

    quanto è triste la tua natura!

    Nella tua mente immagini dannate,

    una condanna per le tue speranze sfumate.


    Non ridi, non piangi, ma vedi ogni cosa,

    mostro il cui cuore ha umana dimora.

    Pietà io provo per la tua sventurata sorte,

    la pace puoi trovare solo con la morte.


    Non è più tempo delle leggende,

    gli umani le hanno divorate.

    Non è più il tempo dell’oltreumano,

    ogni tuo sogno, lo sai, è vano.


    Di fianco vi era una spiegazione a quelle rime così enigmatiche: Trattasi di una poesia di epoca medievale scritta da un sedicente profeta. La leggenda vuole che sia stata composta per il padrone del castello, il barone Edmund Clearwater, e che volesse essere un monito a lui e alla sua discendenza. Il padrone, infatti, era spesso al centro di pettegolezzi e chiacchiericci, e si diceva che discendesse da un’antica dinastia di veggenti, in grado di leggere l’animo umano e predire alcuni eventi futuri.

    Oliver stirò gli angoli della bocca in un sorriso. Le antiche leggende sapevano essere tanto banali quanto esilaranti.

    Ovviamente nessuna prova è presente a riguardo, continuava la didascalia, ma è certo che Edmund Clearwater studiasse con dedizione la posizione degli astri e le congiunzioni stellari, poiché pensava che questi potessero aiutarlo a prevedere il futuro.

    Sorrise ancora e piegò il foglietto, infilandolo poi nello zaino.

    Ci sono delle belle foto, è un peccato buttarlo, pensò, continuando a camminare nel piazzale come se nulla fosse.

    Quando alzò lo sguardo verso il castello, contemplandone la magnificenza e i dettagli contrastanti, si disse che forse non era stato così male recarsi lì di notte. La luce delle stelle e della luna, infatti, donava un chiarore misterioso e affascinante a quel luogo, rendendolo uno scenario da fiaba. Oliver osservò attentamente la pallida merlatura rotta da frontoni a gradini, poi lasciò che il suo sguardo venisse guidato verso l’alto dalle imperiose torri a punta, che parevano voler ferire il cielo con arroganza.

    Camminò distrattamente tra la ghiaia bianca che stridette sotto i suoi piedi, poi si sedette su una roccia nascosta nel boschetto per ammirare quello spettacolo nella sua interezza, godendosi la sensazione del vento freddo sulla faccia.

    Era in mezzo al bosco, solo, senza nessuno che lo aspettasse a casa. Non aveva vincoli o legami che gli premevano sulle spalle. Ed era davvero una bella sensazione.

    Storse il naso. A dirla tutta un vincolo c’era: il giorno seguente lo aspettava una lunga giornata di lavoro. Non poteva permettersi di tardare troppo, o si sarebbe ritrovato a servire i clienti in stato catatonico.

    Si alzò piano, posando lo sguardo sul castello un’ultima volta, divorandone avidamente ogni singolo dettaglio trasudante di solennità e mistero, ripromettendosi che alla prima occasione sarebbe tornato. Fu in quel momento che il suo sguardo colmo di ammirazione e pace si riempì di incredulità e stupore.

    Sul tetto del castello Oliver scorse una figura che stonava con quello scenario. Una figura umana.

    L’incantesimo della tranquillità si ruppe all’istante, trascinandolo nuovamente nel mondo reale. Tentò di avvicinarsi senza farsi notare, guardò meglio e ne fu certo: c’era qualcuno seduto sul tetto.

    La misteriosa ombra era immobile, e teneva il capo alzato verso il cielo, persa a contemplare qualcosa di indefinito. Il ragazzo, ipnotizzato da quella visione, rimase a osservarla senza riuscire a coglierne i tratti, mentre l’entusiasmo che ardeva nel suo petto veniva macchiato pian piano da un inaspettato senso di solitudine.

    Passò un’ora buona, ma lui non se ne accorse affatto. Era troppo occupato a contemplare quell’ombra sconosciuta, che lo aveva rapito con la sua sola presenza, e a far fronte al senso di tristezza e struggimento a cui aveva dato vita.

    Mai gli era capitato di essere affascinato a tal punto, e fu solo grazie al verso acuto di un animale selvatico che egli si riscosse dalla sua trance.

    Gli parve di tornare a respirare dopo una lunga, lunghissima apnea. Si rese conto di essere nel bosco, in piena notte, e di essere rimasto in contemplazione per tanto, troppo tempo. Combatté contro il suo impulso di rimanere lì a farsi stregare di nuovo, e lasciò che le sue gambe iniziassero a correre, trascinandolo giù per il sentiero, verso le luci della cittadina.

    Una fitta allo stomaco cominciò ad assalirlo non appena mise piede in casa e quel fastidio lo accompagnò per tutta la notte, regalandogli un sonno inquieto e sogni confusi, il cui unico centro razionale era la figura misteriosa.

    «Ehi, Oliver! Ti avevo chiesto un caffè ristretto, ma questo sembra più un caffè americano…» si lamentò sghignazzando il vecchio Ben Jones, un autista di autobus da tempo in pensione. Dal suo solito posto, a destra del bancone del café, egli lo osservava divertito, mettendo in mostra i suoi denti piccoli e perfetti. Era un uomo schietto e amichevole, con una parlantina invidiabile e una fervida immaginazione, grazie alla quale aveva il potere di trasformare anche la cosa più semplice in una grandiosa e incredibile o in una orrenda e fatale.

    «Scusi, Ben! Sono fuso stamattina…»

    Oliver prese ad armeggiare con la macchina del caffè per preparare l’ordine corretto.

    Ristretto, ristretto, ristretto, ripeteva mentalmente per non sbagliare un’altra volta, tentando di fare appello alle poche briciole di concentrazione che aveva a disposizione.

    «Sembri proprio esausto. Cosa ti è successo? Sei stato con una bella ragazza fino a tardi?» scherzò il vecchio, mentre prendeva tra le mani la tazzina che l’altro gli stava porgendo, stavolta con il contenuto giusto.

    «No, semplicemente non sono riuscito a dormire bene.»

    «E perché mai?»

    «Mal di stomaco.»

    Oliver decise di mettere da parte il caffè mal riuscito. Buttare una miscela Arabica pregiata come quella era un peccato, e a lui non poteva che far bene bere qualcosa che lo svegliasse un poco.

    «Non avrai mangiato qualcosa di andato a male, vero?» domandò Ben preoccupato. «Ehi, Evelyn!» chiamò all’istante, rivolto verso la cucina.

    Una giovane donna, con un’intricatissima corona di trecce sul capo, sbucò dalla porta e guardò il vecchio con scintillanti occhi smeraldini. «Cosa c’è, Ben? Sto cercando di lavorare!» sbottò, pulendosi le mani sporche di farina sul grembiule che indossava.

    «Il tuo pupillo non mangia come si deve, non puoi dargli qualche avanzo a fine giornata? Non vorrei che ce lo ritrovassimo in ospedale per intossicazione alimentare!» esclamò l’uomo alzando il dito indice. Pareva un oracolo intento a prevedere il futuro.

    La padrona del café guardò Oliver con occhio critico, ignorandolo mentre le faceva segno di lasciar perdere. «Stasera ti darò un po’ di shepherd’s pie, non sia mai che mi crolli davanti ai clienti,» sentenziò prima di tornarsene in cucina.

    Ben allora guardò il ragazzo con aria soddisfatta. Sembrava molto orgoglioso dell’aiuto che gli aveva appena fornito.

    Oliver sospirò. L’irruenza degli abitanti di Sunster era inarrestabile, ma veniva sicuramente compensata dalla loro generosità e bontà.

    «Piuttosto…» prese a dire Oliver con aria assorta. «Lei è mai stato al castello?»

    Il vecchio, in procinto di addentare una brioche colma di crema, si bloccò per un attimo.

    «Al castello? Sì, forse una volta. Se non ricordo male, non è del tutto aperto al pubblico.»

    «Come mai?»

    Ben fece spallucce. «È abitato dall’attuale barone e dalla sua famiglia. Sono gente strana che non si fa mai vedere in giro. L’unico motivo per cui alcune aree sono visitabili è perché ne traggono un qualche guadagno. C’è chi dice che la seconda moglie del barone sia piuttosto avara e colga al volo ogni possibilità di far soldi.»

    Ben tornò a fissare compiaciuto la sua brioche, per poi addentarla facendo schizzare crema ovunque, e il ragazzo si mise a sistemare le tazzine pulite dalla lavastoviglie alla mensola.

    «A qualcuno di loro piace stare sul tetto?»

    L’uomo alzò lo sguardo e Oliver dovette trattenere un sorriso, perché aveva due grandi baffi di zucchero a velo.

    «Come dici?»

    «Ieri sera stavo facendo un giro nei dintorni e mi è parso di vedere qualcuno sul tetto del castello.»

    «Figuriamoci se quei due bacucchi del barone e di sua moglie si mettono a scalare i tetti!» borbottò Ben, dando poi un altro morso al cornetto. La crema questa volta schizzò senza ritegno, andando a sporcare il cappotto di un’altra cliente, Chantal Williams, seduta accanto a lui. Quest’ultima lo fulminò con lo sguardo, irritata dalla sua goffaggine.

    «Ben, stia attento una buona volta!» Era infastidita, ma mantenne comunque un tono educato.

    Chantal possedeva un’incredibile classe, probabilmente grazie al fatto che in gioventù aveva lavorato con i più grandi stilisti del mondo, e ogni suo movimento e parola erano intrisi di un’eleganza pura e senza pari.

    Cominciò a pulire delicatamente il cappotto con un fazzolettino e Oliver gliene porse un altro inumidito.

    Chantal sorrise e, come ringraziamento per quella cortesia, gli suggerì: «Sarà il figlio.»

    «Figlio?»

    Chantal si coprì le labbra con una mano, nascondendo il sorriso che era nato su di esse.

    «Qui in città nessuno ne parla, ma il barone di Sunster ha un figlio dalla sua prima moglie. Dovrebbe avere poco più della tua età e pare sia un tipo particolare, anche se sono in pochi ad averlo visto dato che non lascia mai il castello.»

    «E perché?» domandò Oliver.

    «E lei come lo sa?» intervenne Ben, rubando la parola al ragazzo.

    La donna sorseggiò con calma il suo tè Darjeeling. «Mio caro Ben, io sono sempre ben informata su tutto. Anche se ammetto di non conoscere la ragione per cui quel misterioso ragazzo se ne stia sempre chiuso nel castello. Sembra un po’ una favola, non trovate?»

    Oliver rise. «Sarà un tipo a cui piace la solitudine,» suggerì. Comprendeva perfettamente una simile scelta di vita.

    «Non credo, al castello hanno spesso ospiti!» puntualizzò Ben schiarendosi la voce.

    Chantal allora gli diede un leggero colpetto con il gomito, stuzzicandolo divertita: «E lei come lo sa? Dice tanto di me, ma mi pare che sia altrettanto ben informato.»

    «Oh, andiamo! Lo sanno tutti,» farfugliò il vecchio, visibilmente a disagio nell’avere su di sé gli occhi magnetici della donna. «Dove vuole che vada tutta la gente incravattata che arriva in questa città di poveri diavoli come noi?»

    Chantal rise davanti al suo imbarazzo ed egli grugnì infastidito, per poi tornare a dedicare le sue attenzioni al dolce che aveva abbandonato nel piattino decorato.

    Oliver era perplesso da quella conversazione, ma non chiese altro. Continuò a lavorare silenziosamente e a riflettere come mai gli era capitato. Nella sua mente una decisione era già stata presa: quella sera avrebbe fatto ritorno al castello.

    Oliver aveva passato tutta la vita guardando i suoi simili con curiosità, chiedendosi quanto intensi fossero i sentimenti che provavano, e come potessero conferire loro un’aria così viva.

    Lui, che trovava tutto ciò che lo circondava noioso e banale, non riusciva in alcun modo a emozionarsi come le altre persone. Proprio per questo aveva imparato ad apprezzare il diverso, l’inusuale. Cercava, nelle piccole cose dimenticate dagli altri, qualche diversivo alla monotonia, soffermandosi a osservare i dettagli tralasciati e dimenticati, speranzoso di cogliere in essi qualcosa di nuovo, di appagante.

    L’emozione più forte che aveva provato finora era quella scaturita dalla tanto bramata indipendenza, ed era già una conquista. Si accontentava di quel poco, perché per un tipo come lui era già molto.

    Fu proprio per questo che rimase stupito nel sentirsi invadere con prepotenza da un altro sentimento, sbocciato in lui senza che nemmeno se ne accorgesse. Una sensazione nuova che non aveva cercato in alcun modo, ma che ora gli scorreva dentro come un potente afrodisiaco o un tremendo veleno.

    Dopo il lavoro si recava sempre al castello, con il cuore acceso dalla scintilla della curiosità. In seguito alla chiacchierata con Ben e Chantal si era interessato ancora di più, e quella sorta di gita era ormai divenuta un immancabile appuntamento. E ogni sera, tra il cielo nero e le stelle brillanti, trovava l’ombra sconosciuta sul tetto del castello.

    Il presunto figlio del barone stava fermo per ore a osservare il panorama notturno e Oliver osservava lui. E ogni volta, ogni singola volta, lo stomaco prendeva a fargli male e un nodo fastidioso gli si formava in gola, togliendogli il fiato.

    Sera dopo sera Oliver accolse in sé quella sensazione. La cercò incuriosito, la gustò, la detestò e l’amò, anche se non riusciva a comprenderla.

    Era forse nostalgia? No, improbabile.

    Pietà? Assurdo.

    Malinconia? In parte.

    Se non avesse avuto paura di spezzare quell’incantesimo così appagante, avrebbe provato ad attirare l’attenzione di quella figura, a chiamarla.

    Ma che nome poteva usare?

    E poi, ne valeva davvero la pena?

    Quanto era angosciante quel sentimento… e quanto era affascinante!

    Anche così si sentiva vivo, anche così si sentiva in qualche modo diverso dal solito. Era come essere sotto l’effetto di un filtro magico, di un sortilegio da cui egli era ormai dipendente.

    E così continuò, sera dopo sera, quel suo rituale segreto.

    Limitandosi a stare in silenzio e a osservare.

    3

    DISTANZA, O GUARDARE MA NON TOCCARE

    «Oliver, non hai una bella cera.»

    Evelyn, la padrona del café Black Rose, era intenta a squadrarlo con occhio critico attraverso le lenti degli occhiali, che aveva inforcato apposta per analizzarlo meglio. Oliver sapeva che odiava portarli, ma c’erano volte in cui dimenticava le lenti a contatto e la sua miopia diveniva un impedimento al lavoro, cosa impensabile per una donna ligia come lei. Era giovane ma molto scaltra, spigliata e fastidiosamente acuta, e il ragazzo si era ben presto reso conto di non riuscire a nascondere nulla al suo sguardo indagatore, che sembrava poter leggere fin dentro l’anima delle persone.

    «Scusa, non dormo molto ultimamente…» ammise. Era intento a sistemare su un piattino alcuni scones con marmellata ai frutti di bosco e clotted cream, che porse poi a un affamato Ben.

    «Ancora lo stomaco?»

    Oliver annuì ed Evelyn sparì in cucina con un gran sospiro.

    «Ancora al castello?» domandò il vecchio sottovoce, mentre un sorriso furbesco gli illuminava il viso rugoso.

    Oliver accostò un dito alle labbra per fargli segno di abbassare ulteriormente il tono.

    Ben ridacchiò. «Che ci troverai mai in quell’ammasso di pietra!»

    Chantal, seduta accanto a lui, perfetta come al solito nel suo cappotto color panna sul quale portava appuntata una spilla a forma di rondine, sorrise a quell’affermazione.

    «Gli hai parlato?» domandò al ragazzo, addolcendo la sua espressione.

    Oliver scosse il capo.

    «Cosa aspetti? Che sia lui a parlare a te?»

    «Non posso certo mettermi a urlare di notte. E poi nemmeno so il suo nome,» ribatté.

    La donna agitò una mano con noncuranza. «Tutte sciocchezze!»

    Ben, nel vederli così tranquilli riguardo all’argomento, si fece serio d’improvviso. Abbandonò la degustazione dei suoi dolci e li scrutò con aria torva.

    «Date retta a me, è meglio non immischiarsi con il barone e con i suoi affari. Quello è un tipo losco.»

    Oliver si mise ad asciugare alcuni bicchieri con energia, provocando qualche vibrazione acuta da parte del vetro inerme. «Infatti non voglio immischiarmi, mi limito solo a guardare.»

    Ben alzò l’indice con fare minaccioso. «Lo diceva anche Adamo. E guardaci ora, tutti dannati!»

    La donna corrugò appena la fronte all’udire quelle parole. «Ma che cosa c’entra? E soprattutto dove sta scritto che Adamo ha detto una cosa del genere? Le suggerisco di rileggere meglio la Genesi, caro Ben.»

    Il vecchio borbottò qualcosa, poi esclamò scocciato: «Non importa! Quel che conta è che per l’essere umano la formula guardare ma non toccare non funziona, in nessun caso!»

    «Sarà…Voi però sembrate essere un tipo che guarda e basta…» lo provocò lei con studiata malizia.

    Ben spostò il capo a destra e a sinistra velocemente, come faceva spesso quando era confuso e a disagio. «C-che

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1