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Cronache di una vita straordinaria
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E-book174 pagine2 ore

Cronache di una vita straordinaria

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Info su questo ebook

Quando le proprie certezze vanno in frantumi, un buon modo per provare a mettere ordine nel caos è quello di fermarsi e mettere tutto nero su bianco, come ha sentito l’esigenza di fare la protagonista della presente autobiografia, Mirella. È un’esperienza estremamente utile per fare un bilancio della propria vita, di quell’esistenza che ha regalato all’autrice un’incredibile quantità di esperienze sorprendenti e davvero poco convenzionali che l’hanno fatta maturare e l’hanno resa capace di accettarsi e piacersi per ciò che è, con tutti i pregi e i difetti del suo carattere e della sua personalità.

Mirella Sterzai, nata a Trieste nell’aprile 1956, consulente marketing associativo, gestione d’impresa e docente. Responsabile vendite presso la filiale in Messico di un gruppo italiano leader nel settore della progettazione e realizzazione di soluzioni tecnologiche industriali. Poliglotta. Ha pubblicato articoli per riviste e blog sulla cultura e civiltà precolombiane delle quali è appassionata conoscitrice. Nel 2019 ha pubblicato Com’eravamo, stampato dalla Grafica Vallelunga.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9791220134422
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    Anteprima del libro

    Cronache di una vita straordinaria - Mirella Sterzai

    Introduzione

    Cara lettrice, caro lettore,

    vi sarete chiesti il perché di questo titolo… Ebbene, il libro parla in maniera disordinata di un viaggio a ritroso nel tempo, nei luoghi, nei ricordi, nelle emozioni e nei sentimenti della protagonista. È stato scritto in una fase della mia esistenza in cui tutte le mie certezze erano andate in frantumi, quindi sentivo un forte bisogno di mettere tutto o quasi nero su bianco, di fare un bilancio della mia vita per poi tirare le somme. La mia vita! Devo dire che c’è stato davvero poco di normale o di comune; di esperienze – diciamo – poco convenzionali ne ho vissute davvero tante: alcune cercate, altre capitate. Ma, insomma, in questo guazzabuglio a tinte forti che ha colorato tutta la mia storia davvero mi ci ritrovo. Ed ora, finalmente, mi piaccio: mi sono accettata per ciò che sono, con tutte le mie intemperanze, le mie incongruenze e le mie stranezze che un tempo mi andavano strette. Ho scoperto solo ora che sono coraggiosa ed un po’ (piacevolmente) incosciente, anticonformista, passionale ed incauta, dotata comunque di un ottimo istinto di sopravvivenza e tanta curiosità da fare invidia ad un bambino.

    Ho scritto queste pagine nella speranza di trasmettere a chi lo legge un po’ del mio sano ottimismo ed anche la capacità di dare una risposta proattiva ai mille problemi che la vita inesorabilmente ogni giorno ci pone dinnanzi. Vorrei riuscire anche a trasmettere un po’ di speranza ai più giovani, aiutarli a combattere la loro quantomai inutile timidezza, malcelata dietro lo schermo di un computer piuttosto che quello di un telefono portatile o un tablet, aiutarli a superare la loro fragilità. In ogni caso, acquistando questo libro vi siete impegnati ad aiutare dei ragazzi che meritano di essere compresi e supportati più di ogni altro: gli autistici. Buona lettura.

    Capitolo 1

    La partenza

    Eccomi qua. Sono le 12:45 ora locale del 14 gennaio 2019. Il ristorante dentro l’aeroporto di Heathrow brulica di camerieri e cameriere frettolosi, baristi, manager e garzoni; il vociare sommesso dei clienti unito alla musica jazz di sottofondo contribuisce a rendere l’ambiente rilassante e quasi soporifero. Il colore dominante all’interno è il grigio: e pure grigio è il cielo che si intravvede attraverso le vetrate.

    Sto pensando che – forse – è una fortuna che il mio volo sia stato ritardato di quasi due ore, così avrò più tempo per pensare, per riflettere. Mi trovo a meno di venti chilometri da dove in questo momento sta lavorando mio figlio. Mio figlio è un tipo atletico, sui trent’anni, fisico asciutto, capelli bruni, cortissimi e barbetta da intellettuale. Denti bellissimi che ostenta con fierezza ad ogni sorriso. Occhi scuri e penetranti. Davvero un bel ragazzo… Lo chiamo al telefono per un saluto prima della partenza. Mi risponde sottovoce invitandomi bonariamente a tagliare corto; non ama essere disturbato quando è in attività. «Buon viaggio, vecchia» e basta. Mi chiedo se davvero ci sia un momento del giorno o della notte in cui ami essere disturbato. Credo di no. In fondo, mi somiglia. Telefono alla mia figlia adottiva. Anche lei vive in Inghilterra. Daria è una ragazza alta e rotondetta, capelli lisci e lunghi, castani, bei lineamenti. A volte si veste in modo un po’ bizzarro, ma dopotutto… siamo a Londra, no? Si trova là per motivi di studio. L’apparecchio suona a vuoto. Quando può, risponde sempre con entusiasmo e cordialità a meno che non sia occupata sui libri o sia impegnata per lavoro o in faccende di cuore. Si vede che oggi non è giornata. Dopotutto meglio così, posso rimanere da sola con me stessa in mezzo a questo turbinio di gente di tutte le razze ed età o, piuttosto, in compagnia della mia solitudine, come io sono solita dire. Mi piace farlo sempre più spesso. Guardo in giro fra i tavoli per vedere se noto qualcosa che catturi la mia attenzione, qualche volto di cui posso leggere le espressioni per intuire dei dettagli sulla vita di questa o quella persona, fantasticare sulle sue possibili abitudini ed attività osservando come si muove, come si veste, cosa mangia. Prima, ad esempio, davanti a me c’era seduto un signore di razza bianca e di età compresa fra i trentacinque ed i quarant’anni. Faceva danzare le dita agili e sottili al pari di un chirurgo, mentre stava mangiando un piatto di fish and chips. Le mani erano curatissime e la grazia dei loro movimenti le facevano sembrare simili alle zampe di un ragno che tesse con altrettanta cura un bozzolo attorno ad una preda appena catturata. L’uomo estraeva una ad una le chips da una specie di barattolo in ceramica adagiato sul grande piatto di portata che teneva davanti a sé e le infilava in bocca addentandole a piccoli morsi, quasi come fa un bambino quando è costretto a sedere a tavola. Poi, ogni tanto, sezionava il fish con molta cura, ne staccava una piccola porzione che adagiava sulla forchetta aiutandosi con il coltello, per poi portarla alla bocca eseguendo un leggero movimento del capo. Birra piccola alla spina. Modi molto educati. Capelli scuri, pettinati con accuratezza all’indietro, taglio eseguito di fresco. Abito impeccabile. Sembrava appena uscito dal college con vent’anni di ritardo. Abbigliamento da studente ricco. Terminato l’intervento chirurgico al pesce-con-patate (intervento riuscito!) ha estratto un libro di piccolo formato dalla tasca ed ha incominciato a leggerlo avidamente. Avvocato? Consulente finanziario? Certamente in viaggio per lavoro. Nessuna fantasia sessuale. Tutto sommato un bell’uomo, asettico, istituzionalizzato. Probabilmente britannico.

    Il cameriere mi porta il conto e si rivolge a me in italiano. Chiede se voglio lasciare una mancia. Lascio dieci dollari alla ragazza polacca che poco prima mi aveva servito. È stata puntuale e gentile. In Gran Bretagna molti odiano i polacchi, non si capisce il perché; quindi spero che si goda quei soldi alla faccia degli inglesi. Chiedo al manager del ristorante (una biondina efficiente e naturalmente garbata) di chiamare il servizio di sedia a rotelle per condurmi alla sala di partenza del mio volo (posso farcela a camminare ma questa volta le valigie sono belle grosse e non posso ancora sollevare pesi eccessivi). Le chiedo da dove viene. Bulgaria! Bulgaria, capite? E poi Polonia! Italia! Ma che fine hanno fatto gli inglesi???

    Il servizio di wheelchair è arrivato. Molto bene. Adesso il mio volo è stato annunciato in partenza alle 15:00 all’uscita B48 e sono le 14:03. Non mi piace ritardare: si tratta di un vizio che ho preso recentemente, da quando vivo in Messico, dove la puntualità non è di casa e pertanto io che sono un bastian contrario sono diventata puntualissima.

    Guardo il cielo, che si è fatto ancora più scuro e grigio. La one-minute-steak che ho mangiato con le crudités à la vinaigrette (bistecca ed insalata, per capirci), innaffiata con pinot grigio e seguita da un ottimo gelato alla vaniglia (tutte cose che in Messico non ci si possono permettere per il rischio di trangugiare assieme al cibo una quantità industriale di germi patogeni) adesso sta andando su e giù. Stress da viaggio. Il volo subisce un ulteriore ritardo di trenta minuti per problemi tecnici. Chissà che l’aereo non si schianti al decollo? Quasi quasi…

    Per un attimo ricordo che al ristorante, poco fa, avevo notato un uomo molto simile a Marino, mio fratello. Ho provato un brivido e poi un nodo alla gola. E adesso, al ricordare questo dettaglio, mi ha preso nuovamente l’angoscia, sto rivivendo gli attimi di panico e dolore in quel 3 di gennaio di due anni fa, che credevo di aver seppellito nella memoria. Eh già, ancora non mi è passata, se mai certe esperienze possono smettere di lasciare il segno… Forse il desiderio di spostarmi continuamente e spesso in giro per il mondo altro non è che un tentativo di fuggire lasciandomi alle spalle le ferite. Una scusa per scappare. Da chi? Da cosa? Dai miei fantasmi? Dalle mie paure?

    Chiamo mia figlia al telefono, tanto per lenire il dolore e la tristezza. Meno male che c’è lei! Un’aureola di capelli bruni afro sovrasta il suo visino piccolo, dai lineamenti delicati. Gli occhi d’ambra, accuratamente nascosti dietro gli occhiali rotondi e grandi, non perdono mai d’intensità. Ha dei denti bellissimi, un sorriso irresistibile e contagioso… Al sentire il suono della sua voce mi passa tutto, gli spiriti se ne tornano in un angolo recondito della mia memoria, la malinconia prende il posto della disperazione e la sensazione di vuoto va pian piano attenuandosi. Eva mi vuole bene sottovoce, in maniera discreta, ma al tempo stesso è molto attenta ai dettagli e cerca di interpretare emotivamente ogni mio sospiro e ogni mia pausa, perciò intuisce subito se c’è qualcosa che non va; quindi taglio corto, tanto il breve colloquio con lei ha già sortito il suo effetto terapeutico.

    Le hostess della British Airlines sono attempate ed efficienti, a testimonianza di come gli anni di esperienza lavorativa contino molto agli effetti della qualità del servizio. Noto in tutte le persone che si avviano con me verso l’aereo qualcosa di stravagante: un dettaglio di moda, un taglio di capelli originale, un’espressione del volto sognante… Nel frattempo da un gruppetto di giovani messicane circondate da numerosi, vivacissimi pargoli si levano voci e suoni entusiastici. «Si parte, si parte». Poi il gruppo si mescola al resto della folla e s’incammina a bordo dell’aereo. Salgo lentamente anch’io. Adesso il cielo è veramente cupo, inoltre si sta facendo buio e sembra che da un momento all’altro stia per piovere.

    L’aereo si muove lentamente verso la pista di decollo, noto alcune gocce disegnate sul vetro del finestrino: la pioggia è venuta a salutarmi. Altro viaggio in Messico, altra avventura. Si va!

    Capitolo 2

    Città del Messico

    Città del Messico si presenta come un immenso agglomerato disomogeneo e discontinuo di costruzioni di ogni tipo, intervallato qua e là da ampi spazi verdi consistenti in rilievi disabitati: case, casupole, ville immense, palazzi storici, grattacieli, catapecchie, tuguri, bidonville, capannoni cadenti, installazioni sportive, università e strade, superstrade, autostrade, le une sopra le altre, che si intersecano in labirinti inestricabili e trafficatissimi, vicoli e scalinate, ponti pedonali: il tutto coesiste in un ammasso urbano disordinato ed estesissimo che alberga – sissignori! – trentadue milioni di abitanti secondo le stime (anche se ufficialmente i dati parlano di un numero inferiore). Dall’alto dell’aereo tutta questa desolazione si palesa spudoratamente. Le piccole e flebili luci giallastre e bluette, opacizzate dalla pesante cappa di smog da inquinamento, evidenziano ancor più impietosamente, durante la notte, le scarse attrattive estetiche di questa città, cresciuta selvaggiamente e mostruosamente, senza regole, dove interi quartieri residenziali convivono al lato di barrios fatiscenti, in cui non c’è impianto idrico né elettrificazione. Nel quartiere di Tepito puoi comprare di tutto, basta che sia illegale: dall’auto rubata al rene da trapianto, ma attenzione! Si rischia di non uscirne vivi. Quotidianamente vi avvengono omicidi, stupri, rapine sugli autobus di linea, accoltellamenti e quant’altro. Qualche mese fa sono stati scoperti casualmente ad Ecatepec i delitti di un uomo ed una donna. Lui stava spingendo in mezzo alla strada un carrello da supermercato colmo di membra, capelli ed occhi umani in avanzato stato di decomposizione. Risultò che i due avevano ammazzato più di trentadue ragazze madri, per lo più giovanissime; poi, causa l’odore insopportabile dei cadaveri, i due serial killers avevano deciso di trasportare lontano da casa i corpi smembrati delle povere giovani donne. In pratica, stavano facendo pulizia, così come si fanno le pulizie di Pasqua, capite? Quello che da noi può sembrare surreale o assurdo, qui si trasforma in realtà. Le cifre dicono che una bimba su cinque sia stata stuprata prima dei dodici anni e, tra i maschietti della stessa fascia di età, si parla di uno su tredici.

    Città del Messico, insomma, è una città strana e difficile, per usare un eufemismo. Si trova ubicata a 2.500 metri di altitudine sul livello del mare ed è equamente distante (circa 400 chilometri) dal Pacifico ad Ovest e dal Golfo del Messico ad Est. La temperatura esterna varia tra i quattro ed i ventisette gradi centigradi, c’è una forte escursione termica tra il giorno e la notte. La temperatura può oscillare di molto anche a seconda delle condizioni atmosferiche: se c’è il sole fa comunque abbastanza caldo e se piove o ci sono le nuvole può fare relativamente freddo. Esistono sostanzialmente due stagioni, la stagione del secco, che va da metà novembre a metà maggio circa e quella delle piogge torrenziali nel resto dell’anno. Durante il periodo delle piogge torrenziali si inonda tutto, spesso viene chiusa la metropolitana causa allagamento e le strade diventano corsi d’acqua. Quindi non esistono praticamente gli avvicendamenti dei periodi di semina e di maturazione della frutta, nel senso che gli alberi non perdono mai del tutto le foglie. Nel giardino su cui si affaccia il mio terrazzino, ad esempio, c’è contemporaneamente un albero fiorito, uno con la frutta mentre uno sta parzialmente spogliandosi. Aggiungiamo al tutto il fenomeno dei terremoti che qui sono abbastanza frequenti (mediamente due scosse al giorno, anche se

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