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Diario diurno
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E-book273 pagine3 ore

Diario diurno

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Nella storia della letteratura il diario occupa un posto speciale. Sono diari, in fondo, le Confessioni di Sant’Agostino e i Saggi di Montaigne, due dei libri più letti e amati di sempre. E venendo a tempi più recenti il Diario dei fratelli Goncourt è un testo imprescindibile per comprendere la grande Francia ottocentesca, e, a modo suo, è un monumentale diario in più volumi l’acclamato La mia lotta di Karl Ove Knausgård.

E lo è, ovviamente, il Diario notturno di Ennio Flaiano, libro meraviglioso che illumina il nostro dopoguerra e gli anni del boom. Proprio da Flaiano, che ha conosciuto personalmente quando era bambino, parte Enrico Vanzina per questo suo, affascinante, Diario diurno. Un diario adulto, iniziato da un uomo di 62 anni che non ne aveva mai tenuto uno. Un diario che racconta undici anni, racchiusi da due grandi crisi sociali, quella economica del 2011 e quella che stiamo ancora vivendo ed è legata alla pandemia. E in mezzo: la vita, le gioie, i dolori, gli attimi solo in apparenza insignificanti ma in realtà decisivi, la politica, i libri, il cinema, certo, il cinema, gli amici che si ritrovano o se ne vanno, gli incontri casuali, le strade prese o perse.

Perché un diario, se scritto da un grande autore, è molto di più del mero succedersi degli accadimenti, pubblici e privati che siano, è un’opera letteraria che sa far commuovere, sorridere, riflettere, rivelando verità spesso nascoste sul cuore umano.

Diario diurno, ora ironico, ora malinconico, ora spensierato, ora meditativo, e sempre lucido, è un meraviglioso racconto degli ultimi undici anni, una testimonianza fondamentale per capire, attraverso uno sguardo unico e originale, l’Italia di oggi, messa in scena con una leggerezza e una profondità implacabili da uno dei nostri più grandi intellettuali.

LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2022
ISBN9788830536555
Diario diurno
Autore

Enrico Vanzina

Enrico Vanzina è figlio del grande regista Steno, uno dei fondatori della commedia italiana. Nel 1976 ha iniziato a scrivere sceneggiature e da allora ha collaborato con i maggiori esponenti del nostro cinema. Nel corso degli ultimi quarant’anni ha firmato, insieme al fratello Carlo, alcuni dei più grandi successi al botteghino italiano. Ha realizzato anche moltissime fiction televisive. Ha vinto il Nastro d’argento, la Grolla d’oro, il Premio De Sica e il Premio Flaiano. Ma il cinema e la tv non sono la sua unica occupazione. Ha collaborato con il Corriere della Sera e scrive come editorialista su Il Messaggero. Ha pubblicato diversi libri, tra cui i recenti La sera a Roma (Mondadori, 2018) e, per HarperCollins, Mio fratello Carlo (2019), Una giornata di nebbia a Milano (2021), Diario diurno (2022).

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    Anteprima del libro

    Diario diurno - Enrico Vanzina

    2011

    2 dicembre

    Sono ad Acqui Terme, piccola cittadina in provincia di Alessandria, per presentare il mio libro Una famiglia italiana. A invitarmi è stato Carlo Sburlati, assessore locale alla cultura, un vulcanico ginecologo che ha trascorso la vita a nutrirsi di letteratura, arte e spettacolo. È un uomo di destra, della destra storicamente più interessante. Collaborò a Il Borghese. Fu ammiratore di Longanesi, Guareschi, Montanelli, Flaiano, Fulchignoni. Sburlati è un signore di provincia colto, pacato, pieno di buone intenzioni. Mi sembra che la sua voglia di evadere dalla noiosa strettoia della vita in provincia lo abbia portato a coltivare motivazioni alte. Ma di lui, tutto sommato, mi piace soprattutto il fatto che è un medico. È la stessa cosa che mi portava ad amare molto Dino Risi; in lui più che il côté del regista mi affascinava il côté médecin.

    Ogni volta che capito in provincia mi assale lo spleen per un’intenzione vagheggiata e mai realizzata: l’idea di mollare la grande città. La voglia di scappare in provincia è una curiosa costante per chi, come me, in realtà non può fare a meno della metropoli. Così ho passato l’esistenza in bilico tra sogni di fuga e ripensamenti oggettivi, che mi hanno fatto scegliere il teatro Eliseo e il ristorante Bolognese, a piazza del Popolo, piuttosto che una cartoleria del Piemonte dove andare a ciacolare con il farmacista locale.

    Durante la mia manieristica esibizione biografica parlo di Totò, Alberto Sordi, Dino De Laurentiis, Mario Soldati e di quella immensa schiera di italiani intelligenti che hanno fatto da colonna sonora alla mia vita famigliare e professionale. La platea ascolta, rapita. Adorano le piccole storie nelle quali a essere protagonisti sono Raimondo Vianello, Walter Chiari, Franca Valeri, Vittorio Caprioli, Paolo Panelli e Bice Valori. Il clou è raggiunto quando, con smaccata sfacciataggine, racconto le mie buffe frequentazioni con l’avvocato Agnelli, addirittura imitando la sua parlata snob. In Piemonte, il mito Agnelli resiste intatto. Le zie di un Piemonte che non c’è più sono aux anges. Aveva ragione Longanesi, ci salveranno le vecchie zie, custodi di un passato che si rigenera quando qualcuno lo riesuma.

    Sburlati mi regala un bellissimo libro su Flaiano realizzato dal suo assessorato, che divoro in aereo tornando da Genova. Il pezzo di Giovannino Russo, naturalmente, è sublime. Insomma, il mio breve soggiorno ad Acqui è stato un intermezzo divertente e istruttivo. Tra italiani veri che non mollano la barra della cultura.

    5 dicembre

    Domenica piovosa. Roma si prepara a indossare abiti natalizi. In questo rito, nella nostra capitale, c’è sempre qualcosa di miserabile. Siamo una città più mediorientale che europea. Me lo ricordano le palme di piazza Cavour. Qui, gli alberi di Natale sembrano quasi alieni. Regna quella bizzarra atmosfera di dépaysement che conosce bene chi ha viaggiato durante le feste di Natale a Tunisi o a Caracas. Il Natale non si amalgama con i paesi caldi. Le palle colorate sui rami degli alberi sembrano quelle luminarie kitsch dei ristoranti della Florida. Più che allegria mettono malinconia.

    8 dicembre

    Proiezione di Vacanze di Natale a Cortina. Carlo e io, autori della sceneggiatura, possiamo essere soddisfatti. È un buon ritorno al passato. Neri Parenti, il regista, dirige con sicurezza. De Sica e la Ferilli duettano da grandi attori. Aurelio De Laurentiis gongola. Adesso, però, dobbiamo aspettare il responso del pubblico. Quello di stasera (una ventina di persone) ha accolto il film con sinceri applausi. Ma il pubblico vero è quello che paga.

    10 dicembre

    Cena a casa di Jacques Schneider, mio amico svizzero, un uomo cosmopolita, molto simpatico e spiritoso. Vive nel blocco di San Luigi dei Francesi, in un bellissimo appartamento. Negli ultimi anni la sua vita è stata devastata dalla malattia di Nadine, sua moglie. È stata colpita dall’Alzheimer e adesso, ci dice Jacques, è una sorta di vegetale. La conversazione porta a chiederci a cosa serve insistere con le cure. Dio vuole davvero questo strazio? Quesito discusso ma, naturalmente, irrisolto.

    Jacques ci racconta anche di un suo viaggio in Giappone. Un racconto buffissimo che mette a confronto il nostro modo di vivere con quello nipponico. A me piace conversare con gente ancora capace di cogliere le differenze che esistono nel nostro mondo globale. Credo che bisogna mantenere e coltivare l’orgoglio dell’Occidente. Un luogo del pianeta forse in crisi ma che rappresenta ancora la forma più articolata del vivere civile. Sia in termini democratici che sociali.

    15 dicembre

    Anteprima al cinema Adriano di Vacanze di Natale a Cortina.

    La sala è gremita. È il pubblico delle grandi occasioni. Un po’ stiff e un po’ freddo. Ma il film viene accolto con risate e applausi. Penso che piacerà al pubblico pagante, più semplice e più desideroso di allegria. Il momento del paese è mefiticamente cupo. I giornali sembrano raccomandate di Equitalia: sempre conti da pagare. La gente è spaventata, disorientata. Ma gli italiani sono strani, incassano i cazzotti in faccia e trovano comunque il modo per reagire, difficile metterli al tappeto. Una delle risorse che usano è il buonumore che, dopo un po’, in loro riaffiora sempre.

    Dopo il film, grande party accanto all’ospedale Forlanini, dove s’intrecciano vari strati sociali della Roma 2011. La haute, quella vera, insieme a ragazzotte trampolate, tette esibite. Poi: botulinate, agentucoli dello spettacolo, giornalisti svoltafiletto, qualche politico che prova a galleggiare comunque, nemici, amici, nobili decaduti. Oggi alle feste mancano un po’ i ricchi. Esistono ancora? Il dilemma non è di quelli da farmi perdere il sonno.

    Mario D’Urso è il più elegante e non è una novità. Buffo scambio di sms tra Carlo Perrone e sua figlia. Fausto Brizzi fa il regista rock. Le mie nipoti, Isotta e Assia, sono molto carine. Carlo Verdone è sempre affaticato (per lui il lavoro è ’na gran fatica). Mio fratello Carlo e io riceviamo complimenti per aver raddrizzato il timone dei film di Natale, in caduta libera.

    16 dicembre

    Mario Orfeo, il mio direttore al Messaggero, mi ha lanciato una sfida: in tremila battute vuole un ritratto esauriente e veritiero dell’Italia di oggi. Prendo appunti.

    Questo è il paese d’ ’o sole, ma dove non si utilizza il sole per creare energia. È un paese per vecchi e di vecchi. Che non mollano la loro poltrona. E di giovani bambocci che fanno poco o niente per andarsene da casa di mammà. Questo è il paese degli aiutini. Dei ritocchini. Prezzi e tette. È il paese del Superenalotto. È il paese del ponte di Messina, ma anche del ponte del Primo maggio. Questo è il paese d’ ’o mare. Ma il pesce arriva dalla Tunisia. Siamo il paese dei furbetti, delle cricche, dei crack, dei Madoff dei Parioli. Siamo l’Italia che spende e spande in telefonini, ma tira la cinghia sulla ricerca. L’Italia che va in gita negli outlet. È l’Italia che lascia ammuffire i suoi monumenti. È l’Italia delle province. Delle auto blu. Degli enti inutili. Dei baby pensionati. È l’Italia del black out. È il paese delle Veline e delle Velone. Delle Miss che piangono. È un paese reale che assomiglia ai reality. È il paese che sogna di vincere ai pacchi per poter comprare il pacchetto calcio in tv. L’Italia di Bruno Vespa e Michele Santoro. L’Italia di Fede e Floris. L’Italia di Feltri. È il paese delle alluvioni. Degli incendi. Dei terremoti. È l’Italia degli appalti. Delle grandi opere miserabili. È l’Italia degli scioperi generali di venerdì. L’Italia dei weekend. È il paese dei No Tav. Ma anche del no ricevuta fiscale. È il paese degli ex comunisti. Degli ex fascisti. Degli ex democristiani. Degli ex socialisti. È l’Italia dell’unità d’Italia. E del secessionismo fiscale. L’Italia di Saviano. L’Italia di Moccia. L’Italia di Camilleri. È il paese di Vasco. L’Italia del Tapiro e del Gabibbo. E della Gabanelli. L’Italia dei saldi. L’Italia di Vacanze di Natale. È l’Italia di Benigni. Questo è il paese delle fiction. E delle ragazze che non riuscendo a fare le fiction fanno le escort. È il paese della nipote di Mubarak. Del rito ambrosiano. Del bunga bunga. L’Italia del lato B di Belén. Dei tatuaggi di Corona. È l’Italia della partita del cuore. E dei derby controllati a vista da mille poliziotti antisommossa. È l’Italia del che ci azzecca. Del mi consenta. Del quant’altro. Del dai. È l’Italia di Dolce & Gabbana. Questa è l’Italia svenduta a Vuitton. È l’Italia degli sbarchi. Dei Casalesi. Dei Cesaroni. È il paese dell’appartamento a Montecarlo. È il paese delle scorte. Dei telefoni sotto controllo. Dei pizzini. Dei più sani e più belli. Questo è il paese della seconda casa. Dell’Ici. È l’Italia di Roma Ladrona. E dell’’ndrangheta in Padania. È l’Italia di Checco Zalone. Di Scilipoti. Della Minetti. Di Beppe Grillo. È l’Italia delle primarie. È l’Italia del debito pubblico. Del pareggio di bilancio con il quale però si perde. Di Lotito. È il paese di Fiorello. È il paese di Yara e Sara. Questo è il paese del volemose male.

    E, per molti versi, è ancora l’Italia di Totò (e del butta la pasta).

    17 dicembre

    I primi risultati al botteghino di Vacanze di Natale a Cortina sono mosci, poco incoraggianti. Ma è solo il primo giorno e per dare una valutazione seria toccherà aspettare. Comunque, vada come vada; è un film commerciale dignitoso. Se dovesse essere l’ultimo della serie avrà fatto un’ottima uscita di scena. E, nello spettacolo, uscire di scena alla grande vale quanto un successo.

    Al cinema vedo Midnight in Paris di Woody Allen. Mi entusiasma. Quasi tutti i film di Allen mi entusiasmano. Stavolta, ambientando la storia nella Parigi del mito della pittura e dei grandi scrittori americani, ci riesce addirittura di più. Anche Federica è entusiasta. È una fortuna aver sposato una donna che considera andare al cinema la cosa più bella che capita durante la settimana.

    20 dicembre

    La Pro Loco di Fregene, della quale sono presidente, ha organizzato un concerto di Natale nella chiesetta locale. C’è molta gente. Una bella atmosfera natalizia. Suona una brava concertista polacca (Chopin, Debussy, Rachmaninov). Poi un quartetto jazz di Fregene composto da professori di musica. Davvero capaci.

    Molti applausi. Questo concerto viene vissuto come il segno di una possibile rinascita di Fregene. Cosa che mi auguro con tutto il cuore.

    21 dicembre

    Alla Feltrinelli compro il romanzo di Gianrico Carofiglio Il silenzio dell’onda.

    Cena con il sindaco Canapini di Fiumicino.

    25 dicembre

    Ieri sera, cena a casa di Serenita Papaldo.

    Diego, il mio nipotino, è al Bambin Gesù. È un Natale triste.

    26 dicembre

    Questi sono i miei princìpi. Ma se non vi piaccionone ho altri, diversi… Secondo alcuni lo ha detto Groucho Marx. Mi sembra che questa frase rappresenti bene anche i nostri tempi.

    In pochi giorni il film è salito in testa alle classifiche. È primo al botteghino. Ma si scatena una polemica stampa sugli incassi. Il nostro film è odiato e nessuno scrive che è primo. Un famoso giornalista fa un pezzo al vetriolo addirittura sulla morte del Cinepanettone tirando in ballo la sociologia (un po’ d’accatto) e, naturalmente, paragoni desueti con il berlusconismo. Quel giornalista forse non sa che quando si riaggiusta la Storia con i pregiudizi ideologici si compie un reato. Sembra che Mark Twain, quando divenne giornalista, scrisse: Non voglio diventare come quei giornalisti che sanno distinguere il vero dal falso e poi pubblicano il falso.

    27 dicembre

    Al teatro Sala Umberto, per la prima della nuova commedia musicale di e con Carlo Buccirosso, Napoletani a Broadway.

    Oggi a teatro vanno soprattutto i vecchi. In sala c’è un pubblico piccolo borghese che arriva dritto dritto dal bacino dei ministeri. Si sospetta che per portarlo a teatro esistano facilitazioni, sconti aziendali, robe poco chiare. Pochissimi giovani. Molti napoletani. È sempre così quando a teatro, lontano da Napoli, arriva uno spettacolo partenopeo: scossi dalla nostalgia i napoletani rispondo all’appello e arrivano in massa. E di napoletani in giro per l’Italia ce ne sono molti.

    La commedia è corretta. Carlo Buccirosso è bravissimo. Ma si porta dietro, per tradizione, quel po’ di antico dei comici diventati capi-comici. Si sente odore di camerini umidi, di trasferte in province poco amene. Tornano in mente quei racconti antichi quando tra primi attori e soubrette esisteva del tenero, consumato di nascosto in qualche camera d’albergo della tournée. Siamo sempre dalle parti di Polvere di stelle.

    Buccirosso è un ottimo interprete, ma forse non ha ancora il definitivo fiato compiuto del drammaturgo. Lo troverà, perché è davvero sensibile e intelligente.

    In sala incontro Pingitore. Da pochi giorni ha chiuso i battenti il suo storico Bagaglino. Lui però sembra tranquillo, sereno. È un uomo complesso che non rivela facilmente i suoi stati d’animo. È una maschera, come i personaggi che ha portato in scena per tanti anni.

    Mia moglie Federica, tedesca, non capisce bene lo spettacolo. Il dialogo è in napoletano abbastanza stretto e lei fatica a seguirlo. Ma il vero problema è un altro: anche se vive da quarant’anni in Italia, quando si tratta di umorismo la sua origine nordica le impedisce di ridere delle cose che divertono noi italiani. L’umorismo è la vera barriera, tra i nostri paesi così diversi, che l’Europa Unita non riuscirà mai ad abbattere.

    29 dicembre

    Vado al cinema a vedere The Artist. È un film muto, in bianco e nero, che racconta il rapido tramonto di una star del cinema di tanti anni fa, quando arrivò il sonoro. È un film francese, bellissimo. Sarebbe ingiusto se non vincesse l’Oscar come miglior film straniero. È ben girato, spiritoso, intelligente, recitato in maniera sublime. La musica è magnifica. È un film che mette buonumore e infonde gioia di vivere. Come dovrebbe sempre fare il buon cinema.

    30 dicembre

    Federica e io andiamo a Firenze, dove trascorreremo la sera di Capodanno in casa di Paolo Romanazzi. Si preannuncia un festone con i fiocchi. Alloggiamo in un piccolo albergo, Villa Liana, a pochi metri da piazza D’Azeglio, dove abita Paolo. Un luogo molto elegante che mi ricorda la zona del Parc Monceau a Parigi. Nel breve periodo in cui Firenze fu capitale d’Italia, il villino Liana ospitò l’ambasciata inglese. Ancora oggi si respira un british flavour fatto di trompe l’œil un po’ orientalisti, bric à brac vario, giardino di gusto britannico.

    È da più di vent’anni che non vengo a Firenze. Facciamo una lunga passeggiata a piedi nel centro storico. Devo ammettere (banalmente) che Firenze è ostile ma magnifica. Ci scorrono sotto agli occhi inebetiti il duomo, il battistero, Ponte Vecchio, palazzo Pitti, piazza della Signoria. C’è un incanto nelle proporzioni dei palazzi, delle strade, delle statue. Si capisce come mai, artisticamente, tutto ha avuto inizio qui. Tra la grazia del Botticelli, il genio di Leonardo e l’intelligenza di Galilei. Non dimenticando le qualità munifiche dei Medici, mecenati illuminati.

    Cena alla Cantinetta Antinori. Una vera lezione di cucina italiana doc. Semplice ma allo stesso tempo raffinata.

    31 dicembre

    Decidiamo di andare a visitare San Gimignano. Un autista logorroico, ma toscano sapiente, ci porta attraverso le stradine delle colline around Florence. Muretti, cipressi, una meraviglia assoluta.

    San Gimignano è illuminata da un sole invernale rubato a qualche quadro. Nel duomo perdiamo la testa davanti agli affreschi del Ghirlandaio e al San Sebastiano di Benozzo Gozzoli. Ma resto impressionato soprattutto dalle scene del Nuovo Testamento affrescate dai maestri della scuola di Simone Martini. Facendo una riflessione globale mi rendo conto che la pittura moderna comincia proprio dalla sua scuola e dagli affreschi esposti in questa chiesa.

    Poi ritorno a Firenze attraverso Fiesole. Tutti i quartieri chic del mondo sono un gradino sotto a questo habitat raffinato des alentours fiorentini.

    Festa da Romanazzi. La casa è spettacolosa: stile liberty fuori, ma settecentesco dentro. Un mix voluto dal principe Strozzi, che abitò in questo palazzetto. Cravatta nera, abiti lunghi. Faccio comunella con Ferdinando Frescobaldi, elegante marchese della città. Ha un savoir-faire mondano da perdere la testa. Conosco un’erede Gucci, anche lei simpatica, colta, molto gradevole. Nel viavai degli invitati, molti venuti anche da Roma, fanno bella figura ragazze russe, orientali e svedesi. Un fine d’anno allegro, annaffiato da ottimo vino e condito da un buffet di categoria.

    Finisce un 2011 che per me è stato disastroso. Cosa chiedere al 2012? Di calmarsi un po’.

    2012

    1° gennaio

    Messa in un monastero urbano di Firenze.

    La cerimonia cantata, con monaci e monache in bianco, è molto emozionante. I monaci appartengono alla Fraternità di Gerusalemme.

    3 gennaio

    Cena in casa di Eileen Tasca Federici, ereditiera americana a Roma. Una casa magnifica, sopra le Terme di Caracalla. Fa la produttrice a livello internazionale (il tutto è assai misterioso). Però è affabile, gentile, molto simpatica. Mi invita in una sua residenza a New Orleans dove, dice, life is splendid.

    Tantissimi invitati. Faccio una lunga conversazione con i registi Paolo Sorrentino e Mimmo Calopresti. Conversazione civile, pacata, intelligente. Loro due, infatti, sono intelligenti. Mi stupisce Calopresti quando mi dice che tutto il guaio del cinema italiano sta nei danni causati dalla visione politica sbocciata negli anni Settanta. Lui, allora, era un fiero contestatore e oggi ammette che quelle analisi manichee dei suoi compagni di lotta ideale non avevano senso. Il cinema è cinema, e basta. Paolo Sorrentino mi diverte con racconti su Aurelio De Laurentiis. Si frequentano, a parte per questioni di cinema, soprattutto per ragioni calcistiche. Paolo è un grande tifoso del Napoli. Mi piace Sorrentino, un po’ beat, un po’ artista, ma anche un po’ borghese napoletano. Quando sorride è simpatico. Credo di stare simpatico anch’io a lui. Tutte le volte che incontro dei veri cineasti sento che invidiano bonariamente il mio passato trascorso in un’antica famiglia di cinema. Hanno un grande rispetto per il cinema di tanti anni fa. Per Germi, Risi, Monicelli, Papà.

    5 gennaio

    Cena della Befana a casa di Manuela Papaldo. Il simpatico americanista Massimo Teodori ci spiega, con acume, i meccanismi delle elezioni presidenziali americane. Secondo lui Obama non è ancora fuori gioco, ha diverse possibilità di essere rieletto. Ci dice che l’unico candidato repubblicano che può batterlo è Mitt Romney, il miliardario mormone. Bisogna vedere, però, se Romney riuscirà a portare alle urne quei repubblicani oltranzisti e fondamentalisti che gli servono per vincere le elezioni. Insomma, anche se Obama è dato dai sondaggi attuali come perdente, da qui al giorno delle elezioni può succedere ancora di tutto.

    6 gennaio

    È il Befana’s Day.

    In strada, sotto casa mia, sciama una folla incredibile di romani (con pupi e pupetti) che si dirigono verso piazza Navona. Il rito resiste.

    Scendo e mi mescolo alla folla. Sono quasi tutti romani in trasferta. Dallo stupore che si legge nei loro occhi si capisce benissimo che il centro di Roma è un luogo che non frequentano, che non conoscono. Si muovono con la pesantezza dei turisti, senza sapere da che parte svoltare per trovare la via giusta. Però sono felici e sorpresi. Sembrano dire: Ammappa come è gajarda questa Roma nostra! È la conferma di una cosa che hanno sentito dire e che finalmente toccano con mano.

    8 gennaio

    Rileggo, con sommo piacere, La solitudine del satiro di Ennio Flaiano. È un diario, che parte dal 1952 e abbraccia la vita della nostra città fino agli anni Sessanta. Contiene riflessioni, pensieri, sarcasmo, elucubrazioni colte di tale spessore letterario da mettere i brividi a chi, come me, pensa scioccamente di poter seguire in qualche modo le orme di quel genere di letteratura. Mai nessuno come Flaiano ha capito Roma, e ha saputo raccontarla, con così tanto acume.

    Flaiano sostiene che vivere a Roma non è facile, perché è una città che offre divagazioni e piaceri che ammorbidiscono lo slancio vitale. Citando Sainte-Beuve, il quale sosteneva che la vita sarebbe sopportabile se non ci fossero i piaceri, Ennio dice che Roma non

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