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Mancavi tu
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E-book356 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Lucia vive con quattro amiche in un appartamento da studenti nel centro di Bologna. Si è appena laureata in medicina e sogna di fare la virologa. È da sempre tifosa della Virtus Basket Bologna. Giacomo è il capitano della Virtus. Il suo obiettivo è andare a giocare nell’NBA e, se vincerà il campionato, potrebbe finalmente riuscirci. È stufo delle ragazze che si interessano a lui perché è famoso e preferisce uscire solo con alcuni amici e compagni di squadra. In una Bologna universitaria e vivace, si conoscono ad una festa e si innamorano. Sembra il coronamento di due vite perfette, ma la sorte li metterà di fronte a delle prove per le quali non erano pronti.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2022
ISBN9791221336450
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    Anteprima del libro

    Mancavi tu - Giuseppina Sarni

    ​1

    Lucia

    Le squadre fanno il loro ingresso in campo. Come ogni anno, un brivido di eccitazione mi percorre la schiena. Dalla mia posizione non riesco a distinguere i visi dei giocatori e devo fare affidamento sui numeri che hanno sulle maglie per capire chi sono, ma questi posti sono il massimo che mi posso permettere ed è comunque un altro mondo rispetto a guardare le partite in televisione.

    C’è una grossa novità: Jackpot Russo è diventato capitano. È il giocatore migliore di tutto il campionato, in molti dicono che potrebbe andare a giocare nell’NBA. Lo chiamano Jackpot, perché sono quattro anni di fila che ha una media di almeno ventitré punti a partita. Lo osservo palleggiare e rimango ipnotizzata dai suoi movimenti veloci e precisi. Si guarda intorno, studia gli avversari e poi parte all’attacco. Protegge il pallone con il corpo, non teme il contatto, cerca con ostinazione un varco mentre il pivot dell’Olimpia tenta in tutti i modi di interrompere la sua azione. Effettua un passaggio teso verso Dario Benvenuto alla sua sinistra e scatta fin sotto il canestro; Benvenuto gli ripassa la palla, lui salta, tira e segna! In tanti anni non ho mai visto qualcuno giocare così, sembra che oggi abbia una marcia in più, forse è l’effetto della fascia da capitano.

    La Virtus domina la partita e i nostri giocatori non abbassano la guardia, si buttano su ogni pallone come se fosse quello decisivo. Che sia veramente questo l’anno in cui finalmente vinceremo il campionato?

    Abbiamo vinto 96 a 67 e il palazzetto sembra esplodere per l’esultanza di tifosi e giocatori. La gola mi brucia e la mia voce è roca, mentre per la millesima volta intono: «Totalmente dipendente, non so stare senza te…»

    Peccato che Elena si sia persa tutto, tra l’altro in negozio non può nemmeno guardare il cellulare e sarà sulle spine. Così, prima di tornare a casa, passo a trovarla.

    «Com’è andata?» mi chiede appena mi vede, senza nemmeno salutarmi.

    Mi metto a ridere. «Abbiamo vinto, alla grande! La partita è stata fenomenale e devo dire che il nuovo capitano era super carico oggi. Ciao anche a te, comunque!»

    «Alla faccia di quei presuntuosi di Milano. Ah, giusto, ciao! Mi scoccia un sacco non esserci stata alla prima di campionato, la prossima non me la voglio perdere!»

    «Lo spero bene, senza di te non sapevo con chi esultare.»

    «Comunque speravo che saresti passata» mi dice Elena appoggiandomi davanti una pila di abiti accuratamente piegati.

    «E questi cosa sarebbero?»

    «Vestiti?»

    «Spiritosa! Intendevo dire: perché li hai messi di fronte a me?»

    «Non provare a fare l’ingenua con me e vai a provarli.»

    «Che palle! Non ne ho voglia!» «

    Sei impossibile! Sai quante ragazze ucciderebbero per avere gli sconti che ho io in questo negozio? E tu non li vuoi nemmeno provare!»

    «Non mi servono!»

    «Allora dimmi: che cosa ti metterai sabato alla festa?»

    «Non lo so! Troverò qualcosa.»

    «Dove? Nel tuo armadio? Avresti maggiori possibilità se cercassi in ospedale tra gli effetti personali dei morti.»

    «Non so nemmeno se ci verrò alla festa.»

    «Devi farlo! O rinunci a fare il medico ed entri in convento oppure ti dai una mossa e ti cerchi un ragazzo con cui divertirti un po’.»

    «Cosa credi che non lo vorrei un ragazzo? Ma non è facile, il centometrista era quello che prometteva meglio e hai visto che delusione è stato?»

    «Va bene, ma sono passati otto mesi. Forse dovresti provare a cercare fuori dall’ospedale, cosa ne dici?»

    «Se sono sempre lì dentro, dove lo dovrei incontrare questo ragazzo?»

    «Alla festa o meglio alle feste. Devi uscire! Con tutto quello che hai studiato puoi arrivare alla pensione senza più aprire un libro.»

    «Ho capito! La festa di sabato: hai vinto, ci vengo. Ma ti ricordo che nemmeno tu hai un ragazzo.»

    «Io però non sono otto mesi che non esco con nessuno. Magari non sono storie serie, ma che posso farci se mi piace divertirmi?»

    «Lasciamo perdere! Ora vado a casa.»

    «Va bene, ma comincia a pensare cosa metterti sabato.»

    Elena non molla.

    «Certo, certo, stai tranquilla» alzo gli occhi al cielo. Lei ricambia con una linguaccia e io esco dal negozio.

    Mi sa che ha ragione: se non voglio finire fidanzata con il mio fonendoscopio è meglio che mi dia una mossa e provi a conoscere qualche ragazzo.

    ​2

    Jack

    Stiamo per fare il nostro ingresso in campo. Prima partita di campionato, in casa, contro l’Olimpia Milano. È la mia prima partita da capitano ed è contro la mia ex squadra, il destino a volte è strano. Quando tre anni fa sono venuto a giocare a Bologna è stato un azzardo. I compagni all’inizio mi guardavano con diffidenza, perché venivo da una squadra con la quale la Virtus ha sempre avuto una forte rivalità. Ci sono voluti mesi per farmi accettare per davvero, ma ne è valsa la pena. Ora sono legato alla squadra come non mi era mai successo prima.

    Quest’anno è il nostro anno, siamo fortissimi. Voglio vincere il campionato e voglio andare a giocare nell’NBA! È tutta la vita che lavoro per questo momento.

    «Totalmente dipendente, non so stare senza te…»

    Il coro dei tifosi ci accoglie caloroso come sempre, sono eccezionali! La vibrazione delle loro voci è potente, in armonia con il battito martellante del mio cuore e questo mi porta pensare alla mia prima partita.

    Il palazzetto dello sport di Corciano è un po’ cadente, forse per questo si giocano qui le gare dei bambini di otto anni. Oggi per la prima volta comincio la partita da titolare. L’allenatore mi ha detto che posso farcela, ma io non sono per niente convinto. In allenamento ci sono altri che corrono più di me, che saltano più di me, è vero che sono più grandi, ma sono anche più bravi. Voglio fare bene, ma mi sudano le mani, mi tremano le gambe. L’allenatore avrebbe fatto meglio a far giocare Luca al posto mio, lui è bravo, anche se ha otto anni come me. La partita comincia e il mio cuore batte fortissimo, lo sento rimbombare nelle orecchie. Ho fatto due passaggi e li ho sbagliati tutti e due. Fabio continua a prendermi in giro. Ma perché non mi lasciano in pace? Mi viene da piangere, ma non voglio dargli soddisfazione. Finalmente riesco a fare un canestro, ma stiamo perdendo. «Giacomo fai schifo!» mi dice Fabio, prima di negarmi un passaggio e segnare. Alla fine, riesco a entrare un po’ in partita, ma ormai è tardi e i compagni non si fidano di me. È finita, ho segnato qualche canestro, ma abbiamo perso. È tutta colpa mia! Corro via senza nemmeno andare a farmi la doccia. Ad aspettarmi, fuori dal palazzetto, c’è mio papà, con un sorriso mi accoglie a braccia aperte, io mi tuffo sul suo petto e mi metto a singhiozzare. Lui mi lascia sfogare un po’ accarezzandomi la schiena, poi mi dice: «Perché piangi?»

    «Papà, non so giocare, faccio schifo, i miei compagni non mi vogliono, ho deluso tutti!»

    «Piccolino, non hai deluso tutti. Sicuramente non hai deluso me! Io lo so che sai giocare benissimo, anche se sei fra i più piccoli della squadra. Lo sai perché non riuscivi a giocare oggi? Perché ci tenevi troppo. Perché tu hai cuore e hai testa, ci tieni agli altri, a fare bene e pensi a quello che fai. Per questo oggi eri in difficoltà, perché ti sentivi addosso tante responsabilità, che i tuoi compagni nemmeno immaginavano. Ma è per questo che diventerai il più bravo di tutti, se lo vorrai. Se continuerai a impegnarti, un giorno, arriverai a giocare nell’NBA, ne sono sicuro!»

    «Sarebbe stato meglio se avessero fatto giocare Luca al posto mio, lui non ha i miei problemi.»

    «Forse il tuo allenatore vuole farti imparare a superare le tue difficoltà, perché sa che sei bravissimo e nessuno ti può fermare, solo la tua paura può farlo. Forse non gli importa perdere qualche partita se presto avrà il giocatore più forte del campionato.»

    «Fabio continua a dirmi che faccio schifo.»

    «Fabio sa di essere meno bravo di te e ha molti meno amici.

    Lui ti invidia e quindi cerca di farti star male. Ne incontrerai tantissime di persone come Fabio, ma tu ascolta solo quelli di cui ti fidi e che ti vogliono bene. Quando senti gli altri che ti insultano, immagina di sentire l’acqua che scorre nel gabinetto e fatti una bella risata!»

    Io guardo mio papà e finalmente riesco a sorridere, mi è caduto da poco un incisivo.

    «Dai campione sdentato! Ora vai a fare la doccia e parla con l’allenatore.»

    Vedo l’assist di Dario, prendo il pallone e scarto l’ala piccola dell’Olimpia. Vorrei tirare, ma sono in una posizione pessima, Bulkovic è sotto il canestro, il mio passaggio è teso e preciso, lui protegge la palla e poi trova il varco e schiaccia. Si appende al ferro. Quando il gioco riprende gli dico: «Ehi Nik, che ne dici di fare una tripla?»

    Mi piace fare lo sbruffone, ma cerco di non offendere mai nessuno, non ho bisogno di quello per vincere.

    Nik è su di giri e si sente invincibile. «Agli ordini, capitano!» In meno di dieci secondi io segno un canestro da 3 punti. Sono sotto il canestro, l’ala piccola dell’Olimpia cerca di fermarmi. Io sono più veloce, ma lui non si arrende, mentre mi sto piegando sulle gambe per saltare mi dà una gomitata sulla spalla. Fa molto male, ma io sono concentrato sul mio obiettivo e salto lo stesso: tiro e la palla entra. Quando tocco di nuovo terra il colpo si ripercuote nella spalla e sento una fitta di dolore. Stringo i denti e faccio finta di niente. Dopo poco accenno un movimento e sembra tutto a posto. Un brivido mi percorre la schiena, avrei potuto farmi male per davvero.

    Alla fine della partita la stanchezza comincia a farsi sentire e l’Olimpia riesce a segnare tre canestri di fila, sono bravi, non possiamo permetterci distrazioni. Dario difende ogni pallone, come se fosse quello decisivo, e finalmente suona la sirena della fine: abbiamo vinto 96 a 67! L’allenatore è al settimo cielo.

    «Che inizio ragazzi. Bravi! Li abbiamo stesi! Non dovete sedervi sugli allori, però. Vi voglio concentrati. Quest’anno possiamo e dobbiamo vincere il campionato. L’anno scorso abbiamo perso per un soffio e quest’anno voglio il titolo. Quindi domani vi voglio vedere alle due in palestra a sudare come sempre.»

    «Coach, non potremmo fare, almeno, alle tre? Stasera mi vorrei un po’ divertire.»

    «Va bene Cerri, dalle due alle tre niente allenamento per te… solo scatti.»

    «Ma…»

    «Non farmi incazzare, oggi che sono contento.»

    Carlo è sempre il solito coglione. Non capisce dov’è il limite. Non capisce che non è più alle scuole medie e che questo è lavoro. Meraviglioso, divertente, strapagato lavoro.

    «Allora ragazzi inauguriamo la stagione del Crazy Moon?» domando quando siamo negli spogliatoi. Riesco a camuffare lo sbadiglio che mi scappa mentre parlo, solo Dario se ne accorge e ride sotto i baffi.

    «Sì!» dicono in coro gli altri.

    «Speriamo che ci sia movimento anche se è domenica sera» replica Vlad.

    Il locale è molto affollato, c’è un gruppo che suona dal vivo e noi, come al solito quando giochiamo in casa, abbiamo un tavolo riservato.

    La mia mente vaga, non riesco a concentrarmi su quello che dicono gli altri, sento un fuoco dentro, sono vicino come non mai alla possibilità di giocare nell’NBA. D’improvviso l’ansia mi stringe lo stomaco. È la mia ultima possibilità, e se qualcosa andasse storto?

    A un certo punto sento una mano sulla mia spalla, mi giro e vedo una bella ragazza, molto bionda e molto giovane, direi non più di vent’anni. Non la conosco.

    «Ciao, Jack. Volevo farti i complimenti per la partita.»

    Mi butta le braccia al collo e mi bacia sulle guance.

    Forse sono un ingrato, ma queste scene mi hanno stufato da molto tempo. Non le voglio queste ragazze che, solo perché sanno il mio nome, pensano di avere il diritto di venirmi a parlare come se fossimo amici. Che poi non vogliono parlare, vogliono appartarsi da qualche parte a scopare. Non c’è nemmeno niente di male, l’ho fatto tante volte, ma ormai mi mette tristezza. C’è qualcosa di vuoto in quel sesso, è meccanico e poco eccitante. All’inizio pensavo che non mi piacesse, perché in qualche modo sentivo di usare quelle ragazze e di certo non avevo voglia di vederle una seconda volta. Poi ho capito che ero io a essere trattato, da loro, come un oggetto: sono delle collezioniste. Alcune si sono fatte l’intera squadra, tranne me e Dario che non siamo disponibili. Cerco comunque di essere gentile, anche se me la voglio levare di torno il più in fretta possibile.

    Non rispondo ai suoi baci.

    «Grazie, ma ci conosciamo?»

    «No, ma potremmo farlo ora…»

    «Sei gentile, ma sono qui coi compagni a festeggiare.»

    «Beh magari più tardi possiamo bere qualcosa insieme.»

    «No guarda, penso che andrò a dormire presto.»

    «E vuoi dormire tutto solo?» insiste accarezzandomi un braccio.

    «Grazie, ma veramente ho intenzione di dormire.»

    A questo punto mi giro, dandole le spalle, sperando che orienti le sue attenzioni verso qualcuno più interessato di me.

    Una volta a casa guardo il cellulare e, oltre ai messaggi di congratulazioni di mia mamma e mia sorella, trovo un messaggio di Ian: «Allora ci vieni alla festa sabato? Ci saranno anche le nostre amiche così potremo finalmente presentartele.»

    È una vita che Ian e Giova mi parlano di queste amiche e devo dire che sono un po’ curioso. Poi il fatto che io sia stufo delle facili conquiste di una sera, non vuol dire che mi dispiacerebbe un po’ di compagnia femminile.

    «Mi avete convinto! Sabato esco con voi.»

    «Veramente? Incredibile! Vedrai che ci divertiremo. Ci sentiamo nei prossimi giorni per metterci d’accordo.»

    Rispondo a mia mamma e a mia sorella, poi mi metto a letto sono stanco, ma soddisfatto.

    Buonanotte papà, la vittoria di oggi è per te. Spero che da lassù si vedano bene le partite.

    ​3

    Lucia

    Non è per niente facile decidere cosa mettermi alla festa, Elena mi ha lasciato sul letto un po’ di vestiti, suggerendomi degli abbinamenti, ma lei è più alta e magra di me e i suoi vestiti non mi entrano. Mi conviene tirare fuori qualcosa dal mio guardaroba. Dopo aver estratto l’intero contenuto del mio armadio e averlo sparpagliato sul letto, mi rendo conto di avere circa dodici paia di jeans tutti, più o meno, dello stesso colore e tutti dello stesso taglio: sono comodi e pratici per andare in ospedale. Ottimi per tenere alla larga perfino ex detenuti appena usciti di galera. Poi ho almeno venti magliette delle più svariate fantasie, ma tutte con maniche a tre quarti, che vanno bene un po’ in tutte le stagioni, larghe e di tessuto morbido, tre o quattro cardigan di nuovo tutti della stessa forma, ma di colori diversi... insomma probabilmente non mi vesto in modo decente da mesi, forse anni.

    Per fortuna, nonostante sia quasi ottobre, è ancora caldo e io sono ancora leggermente abbronzata, così tra i vestiti estivi riesco a trovare qualcosa di un po’ più femminile. Alla fine, scelgo un vestitino senza maniche in fantasia geometrica sul giallo, un colore che sta bene col castano dorato dei miei capelli. Sopra ci abbino un cardigan di maglia sottile e ai piedi dei sandali color bronzo con la zeppa. Mi trucco leggermente, solo con matita e mascara, e sono pronta.

    Quando esco dalla mia stanza trovo le mie quattro coinquiline, che sono anche le mie migliori amiche da tutta la vita, schierate tipo plotone di esecuzione. Sono di gran lunga quella di loro che dedica minor tempo a vestiti, trucco e parrucco e sono anche l’unica che rifugge i vestiti scomodi. Appena mi vedono partono con una raffica di commenti e suggerimenti: «Ma non potevi metterti qualcosa di quello che ti avevo lasciato?» mi dice Elena.

    «Almeno potevi metterti dei tacchi anziché le zeppe» dice Giulia, l’unica ingegnera ambientale che trova anche il tempo per fare lo scrub due volte la settimana.

    «Vai a una festa e non ti sei nemmeno messa lo smalto?» dice Anna, che ha sempre il trucco abbinato ai vestiti che indossa.

    «Veramente non avevi qualcosa di più attillato, per far vedere un po’ di tette?» mi dice Valeria l’unica che nemmeno da ragazzina ha avuto problemi con il proprio aspetto.

    «Ragazze, basta! Se volete che venga alla festa mi dovete prendere così come sono, altrimenti mi giro e me ne torno in camera e voi andate senza di me. Non è una serata di gala, quindi vado benissimo vestita così. D’accordo?»

    «Va bene, fa’ come vuoi, ma poi non dire che non ti si fila nessuno» dice Elena esasperata.

    «Dai su lasciamola stare, se a lei va bene così alla fine deve andare bene anche a noi» dice Giulia.

    Finalmente usciamo. La festa è in una mega villa sui colli. Quando entriamo ci troviamo di fronte un enorme salone con le portefinestre spalancate sul giardino con piscina. La casa è molto elegante, ma la festa è di tipo universitario, con bibite e alcolici da servirsi da soli nei bicchieri di carta e da mangiare solo patatine e noccioline.

    Noi entriamo in gruppo e nessuno ci chiede niente, anche se i nostri amici non sono ancora arrivati. Ian e Giovanni studiano lettere come Valeria e Anna e sono sempre a casa nostra, ma esclusivamente come amici, dopo alcuni tentativi più romantici con Valeria ed Elena, e, beh sì, anche con me, completamente falliti all’inizio dell’Università. Sono bolognesi doc, conoscono valanghe di persone e ci invitano sempre a un sacco di feste, questa è una di quelle.

    C’è molta gente e devo dire che vedo passare anche qualche ragazzo niente male.

    Prima di buttarci nella mischia, però, cerchiamo un posto dove fare due chiacchiere e ci accomodiamo su un divanetto in un angolo tranquillo. Anche se viviamo insieme, sono poche le occasioni in cui abbiamo tempo di aggiornarci sulle novità.

    È Valeria quella che ha più voglia di raccontare. È reduce da un appuntamento totalmente disastroso e vuole condividere con noi lo choc.

    «Allora, è stato Giova a convincermi a uscire con questo suo amico. Io avevo dei dubbi, ma alla fine ho accettato di vederlo per un aperitivo. Ci siamo dati appuntamento in quel bar nuovo, in centro, che ha un mega buffet. Questo tipo, anche carino, si presenta con una maglietta nera con su scritto: " Istruttore di sesso: prima lezione gratuita! . Già il mio primo istinto è stato quello di scappare, ma ho resistito, volevo essere gentile, in fondo era un amico di Giova. Abbiamo cominciato a parlare, o meglio, io ho provato a dire qualcosa, ma lui ha fatto un monologo sui suoi studi di economia, sulla sua passione per il surf , sulle sue vacanze esotiche... io ogni tanto assentivo, anche se lui non dava segni né di desiderarlo, né di apprezzarlo. Dopo un po’ quello che diceva era diventato un rumore di fondo per me. Ero ormai completamente concentrata sulla necessità di cambiarmi lo smalto, quando, a un tratto, lui si fa serio e, con il tono di chi sta dicendo qualcosa che mi cambierà la vita, mi dice: Un mio amico, che fa il dottorato in biologia molecolare, mi ha detto che il declino fisico della donna comincia a diciannove anni, tu penso che ne abbia più o meno venticinque; quindi, dovresti darti una mossa a trovare un ragazzo, sei stata fortunata a incontrarmi". Vi rendete conto dell’assurdità?»

    A quel punto Valeria si deve fermare, perché non riesce più a parlare per quanto sta ridendo e anche noi abbiamo tutte le lacrime agli occhi dal ridere. Rido talmente tanto che mi fanno male gli addominali, forse non troppo allenati.

    «E tu cosa hai fatto a quel punto?» le chiedo quando riesco di nuovo a parlare.

    «Che cosa vuoi che abbia fatto? Dopo un attimo di incredulità, mi sono messa a ridere, più o meno come ora, e dopo gli ho detto: Ma ti ascolti quando parli? L’ho piantato in asso senza aggiungere altro. Appena vedo Giovanni lo uccido! Quando gli ho telefonato ieri mi ha preso in giro, mi ha detto che non credeva che ci sarei cascata. Lo stronzo mi ha fatto uno scherzo.»

    «Dai, non prendertela troppo! In fondo questa è una delle scene più divertenti che mi siano mai state raccontate. Sarebbe perfetta anche in un film, magari il tuo personaggio lo potrebbe impersonare Scarlett Johanson.»

    «Certo, sarebbe una di quelle commedie romantiche con risvolti comici e tu alla fine ti fidanzeresti con Chris Hemsworth» aggiunge Anna.

    «Sicuro, come no, ridete, ma il mio declino fisico dura ormai da sei anni e io non faccio sesso da oddiomiononcivogliopensare quattro mesi!»

    «Non cominciamo questo discorso, perché lo sai che io ti batto senza nemmeno sudare, con un otto mesi e l’ultimo è stato il centometrista.»

    «Va bene, hai vinto! Ora, se vogliamo migliorare la statistica, sarà meglio che ci diamo una mossa e proviamo a conoscere qualcuno.»

    Stiamo per alzarci dal nostro angolino, quando vedo Elena sbiancare e poi bisbigliare: «Non vi muovete, non vi girate per nessun motivo, sono arrivati Ian e Giova, ma non crederete mai con chi sono.»

    «Con chi sono?»

    «No, non è possibile… non può essere…»

    «Dai Elena, lo dici o mi giro.»

    «No, non ti girare! Sono con Jackpot Russo.»

    «Cosa? Mi prendi per il culo? Guarda che non è per niente divertente.»

    «Non sto scherzando, Lucia, è proprio lui.»

    «Ma dai! Ora mi giro…»

    «No, non così, sono troppo vicini, faremmo la figura delle oche!»

    «Ti voglio dare fiducia, quindi che cosa proponi?»

    «Andiamo verso il giardino e, quando saremo abbastanza, lontane cercheremo il modo di vederlo. Poi spero che quei due idioti si ricordino di noi e ce lo presentino.»

    «Facciamo in fretta, non so per quanto ancora resisterò alla tentazione di guardare.»

    Ci allontaniamo come se nulla fosse, o quasi, e una volta arrivate in giardino ci rendiamo conto che, come era prevedibile, intorno a lui si è formato un assembramento di gente.

    Mi piacerebbe conoscere il capitano della Virtus, ma non sono certo il tipo che si mette in coda, sbavando per conoscere il personaggio famoso di turno. Tra l’altro Ian e Giova ce lo presenteranno prima o poi, spero.

    Passo la serata chiacchierando qua e là, però mi ritrovo fin troppo spesso a cercare con gli occhi Jackpot Russo. Non so cosa mi succeda, mi rendo conto che quel ragazzo è fuori dalla mia portata e non dovrei nemmeno perderci tempo, ma è più forte di me! Da lontano lui sembra gentile, anche se, ogni tanto, mi pare di cogliere un lampo di esasperazione nei suoi occhi. Forse, dopo tutto, non ama essere al centro dell’attenzione.

    Si sta facendo tardi, è l’una passata, e io comincio a voler andare a casa. Sono in giardino con Giulia e stiamo parlando della spesa settimanale che dobbiamo prenotare online. Alzo gli occhi e vedo Jackpot, a meno di un metro da noi, che ci guarda. Da vicino è bello da togliere il fiato! Non ha i capelli legati come quando gioca e i riccioli neri gli sfiorano quasi le spalle, le luci artificiali fanno risaltare i riflessi verdi dei suoi occhi, e ha un maglione di cotone blu che mette in evidenza le sue spalle muscolose.

    «Ciao ragazze, scusate se vi interrompo, sapete mica se qua vicino c’è una fermata dell’autobus? Ah, io sono Giacomo comunque!» dice e ci tende la mano, sorridendo. Ha un leggerissimo accento perugino, che non avevo mai notato nelle interviste post-partita.

    Sollevo la testa per guardarlo negli occhi. «Ciao, io sono Lucia e lei è Giulia. Non so se ci siano fermate dell’autobus qui, comunque credo che a quest’ora, sui colli, non passi nessun mezzo. Come mai lo chiedi?»

    «Ho avuto la pessima idea di venire in macchina con due amici, ma loro sono molto impegnati

    Fa un cenno con la testa a Giova e Ian che si stanno allontanando insieme a due ragazze molto più belle di quelle che riescono a rimorchiare di solito.

    «Non voglio rovinargli la festa, ma domani mattina comincio gli allenamenti molto presto e devo dormire un po’, se no non sto in piedi.»

    «Ecco, i soliti cretini!»

    Giacomo rimane stupito dal mio commento, così mi affretto a spiegare: «Scusa se mi sono permessa, ma si dà il caso che i tuoi amici siano anche nostri amici, anche se stasera erano troppo impegnati perfino per venirci a salutare. Comunque, quando dico cretini lo dico con cognizione di causa!»

    «Ah, voi siete quelle Lucia e Giulia. Ian e Giova parlano sempre di voi, ma non dovreste essere cinque?»

    «Sì, Anna, Valeria ed Elena sono in giro da qualche parte. Ci siamo date appuntamento qui per tornare a casa, dovrebbero arrivare a momenti. Se hai pazienza di aspettare, ti possiamo riportare a casa noi. Siamo venute

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