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Rari Nantes
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E-book155 pagine2 ore

Rari Nantes

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Info su questo ebook

Un ragazzo romano qualsiasi, studente liceale e giocatore di pallanuoto, vive la sua tranquilla vita tra scuola e piscina. Durante una visita guidata al sito archeologico del foro romano viene catapultato in una dimensione parallela in cui imperversa una feroce guerra tra diverse fazioni. Il diciassettenne dovrà subire torture, allenamenti massacranti, battaglie sanguinarie e molto altro per perseguire il suo obiettivo di tornare a casa.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2020
ISBN9788835826095
Rari Nantes

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    Anteprima del libro

    Rari Nantes - Antonello Coggiatti

    XIX

    I

    2 Febbraio 2003

    Testa leggera. Quando esco dall’acqua dopo un allenamento è sempre così. Poco equilibrio, braccia e gambe pesanti ma testa leggera. Mi infilo le ciabatte, prendo la borsa dalla panchina, sfilo la cuffia, ne infilo un angolo nel costume, mi dirigo allo spogliatoio. Ahi! Qualcuno mi ha colpito alla schiena. Una manata? Mi giro a guardare: è Marco. Delicato come sempre.

    «Cazzone!».

    Mi cammina di fianco.

    «Hai giocato di merda questa sera, a che stavi pensando?».

    Non è leggero neanche a parole.

    «Durante gli allenamenti non do mai il massimo».

    Perché mi devo giustificare?

    «E gli allenamenti di domenica sera quando non abbiamo una partita di torneo non mi sono mai piaciuti, lo sai. Poi non lo so fare il centroboa, e sai pure questo».

    Fosse quello il problema. E lui lo sa.

    «È una cazzata!».

    Appunto. Marco è un amico: ruvido, istintivo, a volte inappropriato, ma sempre sincero. Arriviamo nello spogliatoio, poso la borsa su una panca, vedo che arriva anche il resto della squadra. Prendo velocemente lo shampoo, mi butto sotto una doccia prima che vengano tutte occupate. È importante essere veloci quando giochi in una squadra di pallanuoto con altri diciannove ragazzi e nello spogliatoio ci sono solo sei docce.

    «Non mi hai risposto».

    Si butta sotto la doccia a fianco alla mia.

    «Mi presti lo shampoo?».

    «Neanche oggi lo hai portato?».

    «Tanto c’è il tuo!».

    Ride.

    «Allora?».

    «Cosa? Allora cosa?».

    Gli passo lo shampoo. Che palle quando fa così. Io e Marco ci diciamo tutto ma già mi ha cazziato una volta.

    «Se stavi pensando a Marzia sei un deficiente!».

    Infatti già lo sapeva.

    «E chi ti ha detto che pensavo a Marzia?».

    Devo sviarlo, spero ci creda.

    «Nessuno. Ti conosco».

    Non ci crede.

    «Solo tu puoi andare a pensare a una come quella durante gli allenamenti. Lo sai che non ti pensa neanche per sbaglio?».

    Eccolo che comincia.

    «Se tuo padre non caca soldi, e tuo padre non caca soldi, quella non ti vede proprio».

    Lo sa, tanto vale parlarne.

    «Prestami il motorino».

    «No!».

    Lo sapevo.

    «Non te lo lascio neanche morto».

    «Come sei esagerato. Guido così male?».

    «Chi se ne frega di come guidi. Non te lo presto e basta!».

    «OK, ho capito».

    Taglio corto. Già mi ha messo in guardia, non voglio sentirlo di nuovo. Esco dalla doccia, vado alla panchina, prendo dalla borsa l’accappatoio. Marco arriva dietro di me, spero che non riparta all’attacco.

    «Domani mattina andiamo insieme?».

    Ha cambiato discorso, grande!

    «A che ora passi?».

    Se andiamo in motorino posso dormire di più.

    «L’appuntamento è alle otto e mezza, per le sette e mezza sto sotto casa tua».

    Sette e trenta? Addio sonno.

    «Ci vuole così tanto per arrivare?».

    «Arriviamo con calma così facciamo colazione a un bar lì vicino».

    Lo dice come se fosse ovvio.

    Finalmente usciamo dagli spogliatoi, sono quasi le undici e trenta. Passiamo davanti alla segreteria, salutiamo Aurelio che aspetta la fine delle partite ai campi di calcetto. Usciti dalla struttura sembriamo due alieni con le facce verdi per la grande insegna al neon che ci illumina: Rari Nantes Trastevere.

    «Mi dai uno strappo a casa?».

    Magari ha il secondo casco.

    «Non vado a casa!».

    Fa un sorriso larghissimo, riesco a vedergli tutti i denti. Ho capito.

    «Valeria?».

    «Bravo! Devi lasciar perdere Marzia e trovarti una tipo Valeria. Che ne dici di Giulia?».

    «Veramente…».

    «Una botta di vita non ti farebbe male, e non farebbe male neanche a lei, è dalla terza elementare che ti aspetta… Quello non è il quarantaquattro?».

    Indica alle mie spalle, mi giro, l’autobus passa dietro di me. Scatto verso la fermata. Non saluto Marco, non ho tempo. Non conviene perdere un autobus a Roma. Specialmente di domenica sera. Le gambe le sento appesantite ma reattive. La borsa sbatte ritmicamente sulla schiena, ma dà più fastidio la posizione del braccio: piegato all’indietro con il gomito verso l’alto. Non ci penso, tra poco è finita. L’autobus si ferma, apre le porte, io sono a una trentina di metri, provo ad accelerare, per quanto sia possibile. Sono a un paio di metri dalla porta posteriore. L’ho quasi raggiunta, si chiude davanti alla mia mano, do qualche colpo sul vetro, provo a chiamare l’autista, il bus riparte senza esitazioni. Urlo contro quel coglione. Niente. Non si ferma. Sono solo alla fermata e so quanto dovrò aspettare perché ne passi un altro. Non conviene perdere un autobus a Roma. Sistemo meglio la borsa, comincio a camminare, ci metterò meno a piedi che ad aspettare il prossimo quarantaquattro.

    II

    3 Febbraio 2003

    Sono sul motorino con Marco, ho dimenticato la sciarpa e ho il naso congelato. Lui dice che il casco integrale sul motorino è da sfigati. Io preferirei sembrare uno sfigato che congelarmi il viso. Oltretutto guida come uno scippatore in fuga; passaggi a pochi millimetri da uno specchietto, da un paraurti, le auto spesso inchiodano di botto per paura di prenderci, e poi segue la strombazzata di clacson e il mortacci tua del guidatore. Non mi diverto affatto ma non vogliono farglielo capire, anzi non vedo l’ora di scendere.

    Arriviamo a Via di San Gregorio, davanti all’ingresso dei fori, Marco inchioda, fa una leggera derapata, lascia una striscia di gomma lunga una decina di metri sui sampietrini. C’è puzza di gomma bruciata. Marco si guarda intorno.

    «Qui bar non ce ne sono».

    Penso che già lo sapesse.

    «Andiamo sotto al Colosseo!».

    Riparte a tutto gas, non faccio in tempo a dire nulla. Prende velocità, si allarga a sinistra, piega il motorino sulla destra, segue la corda della curva. È fissato con queste cazzate. Ora si allarga a destra, piega a sinistra. Al semaforo si butta a destra. Ci fermiamo sulla Piazza del Colosseo, scendiamo dal motorino, entriamo nel bar all’angolo. Io sono silenzioso, la mattina non mi va tanto di parlare e poi ieri sera mentre tornavo a casa ho pensato tutto il tempo a quello che ha detto Marco. Ha ragione, lo so, ma non lo faccio mica apposta, certe cose non si scelgono. Aspetto, non voglio iniziare io a parlare, voglio accodarmi alla prima cosa che dice. E a proposito di coda siamo in fila alla cassa per ordinare. A quest’ora è pieno di gente in giacca e cravatta che si fa la dose mattutina di caffè prima di avventurarsi in ufficio. Marco prende cappuccino e cornetto, io succo alla pera e bomba al cioccolato. Prendiamo le nostre cose, ci andiamo a sedere nell’angolo, all’unico tavolino libero.

    «Come mai ti sei messo la tuta della società?».

    Indica la scritta in caratteri latini che si intravede dalla zip aperta della giacca Rari Nantes trans Tiberim.

    «Come gli è venuto in mente di scrivere trans Tiberim invece di Trastevere?».

    «È la prima cosa che ho trovato nell’armadio».

    Sì, esteticamente non è granché, ma è calda e comoda.

    «La scritta è un’idea di Antonio».

    «Immaginavo».

    Ingoia un pezzo di cornetto.

    «Ha sempre idee sceme: Allena bene, amministra male!».

    Mangio la mia bomba al cioccolato, la mando giù aiutato dal succo alla pera. Infilo la mano nella tasca destra della giacca, c’è qualcosa, sono… gli occhialetti! Ho dimenticato gli occhialetti nella giacca. Li prendo, li guardo, li infilo nella tasca frontale della felpa. Finiamo di fare colazione. Marco chiede indicazioni per l’edicola più vicina. Usciamo dal bar, saliamo di nuovo in sella al motorino, bisogna correre a comprare il giornale. Polso a novanta gradi e si riparte. Prendiamo Via Labicana, superiamo l’incrocio con Via Merulana, arriviamo a Viale Manzoni. Altra frenata brusca, altra derapata, altra striscia di gomma a terra. Quanto spenderà all’anno per i pneumatici? Marco scende dal motorino, non lo spegne, non mette il cavalletto, affida la stabilità del suo bolide a me. Compra la Gazzetta dello sport, l’unico giornale che legge. Torna al motorino, mi passa il giornale, sale. Dà gas, polso a novanta gradi, siamo di nuovo sulla strada. Torniamo a Via di San Gregorio, all’ingresso dei Fori imperiali. Scendo dal motorino. Marco sale sul marciapiede, parcheggia, questa volta lo sistema sul cavalletto, apre il sottosella, prende la catena, lega il motorino, butta i caschi sotto la sella, chiude. Si siede sul motorino parcheggiato, io sul muretto lì vicino, apre il giornale, inizia a leggere gli articoli sulla Lazio. Il pareggio con il Chievo non gli va giù, lo dice apertamente anche agli stranieri di passaggio. Gli chiedo di farmi leggere qualche articolo sulla Roma ma lui si rifiuta. So già che ha vinto tre a uno contro il Bologna, non me ne importa nulla di calcio, voglio solo stuzzicarlo.

    «Oggi non la devi neanche guardare».

    Basta calcio?

    «Rimani vicino a me».

    «Ma cosa?».

    Oddio, di chi parla?

    «Marzia! Non devi guardare Marzia!».

    No, perché? Speravo di evitarlo.

    «Tranquillo».

    Spero di fermarlo.

    «Non ci stavo neanche pensando!».

    «Era ora!».

    Chi parla?

    La voce è alle mie spalle. Mi giro, vedo Augusto a un paio di metri da noi che si avvicina. Augusto è della nostra classe, un tipo magro e slanciato dalle guance scavate e gli occhi furbi. È un fuori gruppo, sta bene con tutti ma sta meglio solo, non è particolarmente legato a nessuno, va e viene a piacimento. È presente se deve, assente se vuole.

    «Sai che in classe lo diciamo tutti?».

    Augusto, ma che vuoi pure tu?

    «Cosa?».

    Tutti? Lo sanno tutti?

    «Che dovresti lasciarla perdere».

    Ecco! Combo Marco e Augusto!

    «È completamente fuori dalla tua portata».

    «Ed è troppo che ci sbatti la testa inutilmente».

    «È una presa in giro! E pure noiosa».

    «OK, ho capito!».

    Li devo fermare.

    «Infatti basta, non parliamone che ho già deciso di non pensarci più».

    Marco e Augusto si guardano. Non ci credono, lo so. Almeno li ho fermati.

    «Perché non ci provi con Giulia?».

    Augusto ma che te ne frega a te?

    «È carina, simpatica e secondo me gli piaci!».

    «Provaci tu!».

    Si stanno facendo un po’ troppo gli affari miei.

    «Giulia la conosco da quando siamo piccoli, è carina ma è un’amica, non riesco a vederla diversamente».

    «Basta con queste cazzate!».

    Marco ti prego smettila!

    «Non ti tira? Lo sai perché? Vuoi quello che non puoi avere e ti fai scappare le occasioni buone».

    «OK. Concetto afferrato. Parliamo d’altro!».

    Vedo che arriva qualcun altro. Dai che possiamo cambiare discorso. Saluto questo, saluto quella. OK! Forse sono salvo.

    Sono arrivati quasi tutti, mancano un paio di persone tra cui Marzia. Meglio. La Grossi, professoressa di Italiano e Storia è puntualissima, arriva alle otto e trenta spaccate. Fa un appello veloce per controllare chi c’è e chi non c’è. Inizia con le raccomandazioni. Una lunghissima serie di raccomandazioni. Non toccate questo, non toccate quello, non allontanatevi, state attenti, non strillate… Un’infinità di cose da non fare! So già che sarà dura. Non tanto per me quanto per Marco che non è per niente portato per queste cose, ha la capacità di attenzione di un pesce rosso. Finisce il pistolotto, va verso la biglietteria, salta la fila che già a quest’ora si è formata, ha un’amica alla cassa. Aspettiamo. Mi guardo intorno. No, non arriva nessun altro della classe. Peccato. No. Ma che peccato. Meglio! È molto meglio! Uhm… Giulia mi guarda. Mi sorride. È bella, ha un bel sorriso. Oddio mi sto facendo condizionare da quei deficienti! Giù lo sguardo. Devo stare buono! La Grossi torna da noi con i biglietti. Li distribuisce. Giusto in tempo per le nove, aprono i cancelli, noi siamo pronti a entrare.

    Camminiamo per i ruderi, la Grossi ci spiega l’importanza di una struttura, ha un’incertezza su una data, apre un quaderno, legge, ci conferma la data.

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