Salsedine
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Info su questo ebook
Angelo Tecchi ha all'attivo i romanzi “Gli orecchioni fuori stagione” (SBC Edizioni, 2012), “Il cenacolo di Bea” (Edizioni Montag, 2015), “Quando vacillerà il loro piede” (Edizioni Montag,2017), “Digitalis purpurea” (Edizioni Montag, 2020) e “Il collezionista di parole” (Edizioni Montag, 2022). Ha scritto anche raccolte di racconti di cui molti sono stati pubblicati in antologie.
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Anteprima del libro
Salsedine - Angelo Tecchi
Collana
LE FENICI
Angelo Tecchi
SALSEDINE
MONTAG
Edizioni Montag
Prima edizione gennaio 202
Salsedine
© 2024 di Montag
Collana Le Fenici
ISBN: 9788868927486
Copertina: Angelo Tecchi
Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è
puramente casuale.
A Danila, Sabrina, Monica, Patrizia, Giordana,
Matteo, Andrea, Martina, Lorenzo, Flavia e Sofia.
Con amore.
Prologo
È una notte dolce di prima estate.
Dalla porta finestra che si apre sul terrazzo della casa esposta a settentrione mi giunge il profumo del mare aldilà della collina, un afrore delicato di sale granuloso sulle labbra. Un effluvio leggero che richiama alla mente il ricordo di un’altra estate indimenticabile, pregna di cose, di paure, di tensione, di passione.
Seduto al tavolo della cucina tengo in mano una cartolina postale con un’effigie raffigurante la caricatura policroma di un teschio ghignante arricchito da ornamenti floreali, gli occhi di stelle nere che mi fissano sbeffeggianti.
Mi sono informato: è una maschera funebre messicana chiamata calavera legata al Dia de los Muertos. Sul retro della cartolina è incollato un francobollo messicano.
Devo prendere una decisione ma sono incerto e spaventato.
Questa inquietante cartolina mi ripropone alla memoria tutto quel che accadde quell’estate, stimolandomi a rievocane nei particolari gli episodi, i momenti, i sentimenti.
Capitolo Primo
Una partita a tennis
Lui mi odia. Lo percepisco perfettamente il suo odio feroce dallo sguardo cupo, concentrato su di me, che filtra dalle fessure delle palpebre strette per evitare che il sudore gli coli negli occhi, dalla smorfia che gli scopre i denti (denti perfetti, devo ammettere) e dalla tensione rabbiosa della sua mano destra che impugna il manico della racchetta. Lancia in aria la pallina gialla mentre porta la racchetta, dall’alto verso il basso, sin dietro la testa con uno spostamento all’indietro del corpo che pare contorcersi. Mentre la pallina, raggiunto il punto più alto dell’ascesa, discende la racchetta la colpisce con la forza di tutto il corpo spinto in avanti. Nel colpo c’è coordinazione e potenza ma non precisione: infatti la palla (che non avrei mai potuto raggiungere) sibila alla mia destra e sbatte con uno swooosh rabbioso sulla terra rossa del corridoio, a due dita dall’angolo destro inferiore della zona di battuta. Gli faccio segno che la palla è fuori. Lui risponde scrollando il capo, come se dubitasse della mia buona fede ma fosse ormai rassegnato alla mia slealtà. Quell’insopportabile cretino, se si desse la pena di avvicinarsi a rete, vedrebbe perfettamente lo stampo della pallina sulla terra. Ma no, lui adora fare la vittima che regala punti all’avversario sleale! Arrogante d’un bastardo! E pensare che il risultato della partita, che dovrebbe essere del tutto amichevole, non è per niente in discussione. Capirai! Lui ha venticinque anni ed io cinquanta; lui tira cannonate impressionanti mentre io la palla l’accarezzo; lui è allenato quasi come un professionista mentre io sono spompato dall’età, dalla vita sedentaria e dal fumo.
Non c’è storia: contro di me quello stronzo vincerebbe sempre senza problemi. Ma la sua irridente protervia mi ha fatto girare le palle e quindi sto usando tutti i trucchi di una vita giocata in difesa: smorzate, smorzate e smorzate con pallette corte che cadono poco oltre la rete, tiri tagliati a giro che gli mandano la pallina fra le gambe oppure pallonetti vigliacchi a effetto, quando lui sale a rete, che lo costringono a precipitosi recuperi all’indietro. È chiaro che lui vince ugualmente, lo stronzo, ma così la partita se la deve sudare. Per questo mi odia, perché non interpreto correttamente il mio ruolo di sparring partner che palleggia in profondità consentendogli di maramaldeggiare con i suoi colpi potenti e precisi. Ma io non lo so fare quel tipo di gioco eppoi mi ci annoio eppoi mi fa incazzare quello sbruffone palestrato che si compiace della sua tecnica perfetta e ci gode ad umiliarmi. È un periodo questo in cui sembra che tutti ci godano ad umiliarmi, a schiacciarmi sotto i tacchi. Io non ci sto più e quindi lo faccio correre, avanti e indietro, dropshot e lob, pallette carogna a destra e a sinistra, così liftate che sfuggono dalla sua racchetta come anguille scivolose.
Ha cominciato ad odiarmi fin dal secondo game.
Ma come cazzo giochi?
Non mi è piaciuto il tono, così gli ho risposto di brutto: Come mi pare.
In questo modo è naufragata la finta cordialità intrisa di sufficienza con cui si rivolgeva a me.
Mi aveva avvicinato il giorno precedente, quando stavo scaricando le mie cose dalla macchina per sistemarle nella casetta del campeggio presa in affitto. Aveva adocchiato la racchetta da tennis appoggiata sulla valigia, una bella racchetta in grafite di un modello ormai superato, con il manico accorciato e il piatto-corda ampio e allungato.
Giochi a tennis?
Aveva chiesto.
Un po’ mi aveva scocciato che uno sconosciuto ragazzone mi si rivolgesse dandomi del tu. Non avevo proprio voglia di parlare con qualcuno. E non sapevo neppure perché mi fossi portato dietro quella racchetta, con tutti i problemi in cui ero infognato.
Qualche volta.
Gli avevo risposto mentre trasportavo i bagagli nella casetta.
Lui era entrato dietro di me, senza neppure chiedermi il permesso.
Qui ci sono due buoni campi in terra rossa. Che ne dici di farci una partita domani? Due scambi, tanto per tenerci in forma. Ci stai?
In quel momento io volevo soltanto che si togliesse dalle scatole, per dirla in modo garbato. Acconsentire è più facile e sbrigativo che opporsi e quindi acconsentii.
D’accordo. Ma non ti aspettare gran che.
Non ti preoccupare, farai quello che potrai. D’altra parte non sono in molti quelli che mi possono battere!
Ecco, quell’osservazione strafottente, del tutto superflua, da smargiasso, mi aveva infastidito.
Buon per te. Ma ora, per favore, lasciami sistemare le mie cose.
Okay capo, ti cerco domani. Tanto abito nella casetta di fianco alla tua, quella là, a destra. A proposito, io mi chiamo Ermanno.
Io Saverio. Ci vediamo.
Finalmente se n’era andato.
Ora sono qui col sudore che mi ruscella sugli occhi, sulla gola, sulla schiena, sul petto, a rispondere al servizio di un ragazzone incazzatissimo che picchia sulla palla con rabbia assassina. Non ci sono santi: se quello mette dentro la prima io manco la vedo. Se provo a salire a rete lui mi spara sul corpo e poi alza una mano per scusarsi, col fair play ipocrita d’un coccodrillo. Eh no! Vieni tu a rete, stronzo, ché ti alzo un bel passante e poi, quando hai sgambettato per bene all’indietro, fin alla linea, ti addormento con una palletta moscia moscia d’un palmo oltre la rete. Corri, stronzo, corri, suda anche tu ché ti fa bene!
Comunque il primo set finisce 6 a 4 per lui: ma quanto se l’è sudato!
Al cambio di campo lui mi fa:
Hai intenzione di andare avanti così?
Perché, non volevi allenarti? Corri e allenati ché poi li stracci tutti al tuo tennis club!
Guarda che al mio circolo nessuno gioca come te; se poi si può chiamare gioco il tuo!
Certo che mi odia di brutto!
Allora ti va di fare un altro set o vuoi piantarla qui? Io, per me, andrei volentieri a farmi una doccia.
Continuiamo pure. - come se mi stesse facendo un favore – però ti sarei obbligato se giocassi come un uomo e non come una signorina.
Siamo arrivati agli insulti.
Senti, la mia tattica me la scelgo da solo e se non ti va, lasciamo perdere.
No, va bene. Però preparati a soffrire.
Come se la sofferenza non fosse la mia compagna fedele in questi giorni!
Così si prosegue con lui che spara cannonate ed io che, quando posso, smorzo, taglio, alzo e, preferibilmente, gli lancio pallette fra le gambe.
Mi odia sempre di più; vince ma mi odia.
Alla fine di un breve scambio (i nostri scambi sono sempre brevissimi) io taglio di rovescio, dall’alto al basso, una pallina che si arrampica sul nastro, lo percorre incerta per qualche palmo e, infine, cade dalla sua parte. Lui, che non si è mosso da fondo campo certo di aver fatto il punto, s’incazza di brutto: scaglia a terra la racchetta (e sì che è una signora racchetta in carbonio, costosissima) e si sfoga in attutiti commenti sulle dimensioni del mio didietro.
Alle mie spalle risuona una risata: mi giro e scorgo una figura femminile, giovane, stagliata contro il verde della vegetazione, che si copre la bocca con una mano per frenare le risa. Poi toglie la mano dalla bocca per applaudirmi. Io mi inchino. La figura femminile, una macchia chiara e snella contro il verde scuro dello sfondo, risponde con una riverenza quindi si gira e si allontana.
A Ermanno la pantomima non deve essere molto piaciuta perché continua a borbottare fra sé, istericamente.
La partita riprende e prosegue nervosa come e più di prima.
A un certo punto mi ritrovo a rete al seguito di un passante alto che lui ha respinto a fatica. La palla scende verso di me ed io sono pronto, con la racchetta dietro il capo, a colpirla con tutta la mia forza. Vedo con la coda dell’occhio Ermanno che, allarmato dalla violenza del tiro che sto preparando, mi volta spaurito la schiena. Esulto e, per spregio, cambio il tiro appoggiando la palla morbidamente al di là della rete. Lo spietato cannoniere della terra rossa ha avuto paura di me! L’ipertrofico gradasso è un bluff. D’accordo, a tennis è molto più bravo di me, ma come persona è molle come un budino.
Alla conclusione del secondo set, che lui vince sempre per 6 a 4, Ermanno non mi porge la mano, come l’etichetta del tennis pretenderebbe, ma afferra le sue cose e si allontana frettolosamente senza nemmeno salutarmi.
Eh sì, sono davvero riuscito a farmi odiare!
Dopo la doccia mi stendo sul letto. Sono a pezzi: i tendini delle cosce saltano come grilli, i muscoli della spalla destra tirano, la mano destra mi trema, la schiena si è irrigidita ed ho l’impressione che le ginocchia, specialmente quella destra, mi si siano gonfiate. Eh no, Saverio, alla tua età e nelle tue attuali condizioni non è proprio il caso di fare il cretino! Hai ben altro a cui pensare!
Dalla porta della casetta, lasciata aperta per poter godere di un filo di brezza, vedo la vegetazione scurirsi e le foglie agitarsi ad un soffio di vento più forte. Goccioloni pesanti si stampano sulla ghiaia del vialetto: sembra che stia arrivando un temporale. Dopotutto siamo soltanto alla metà di giugno e il tempo è molto instabile. Da quel poco che ho potuto vedere, nel campeggio c’è ben poca gente: a me sta bene così.
Già mi danno fastidio quei due che occupano la casetta di fronte alla mia, dall’altro lato della strada. Sembra che stiano tutto il giorno seduti al riparo della veranda, ai lati di un tavolino. Lui è atticciato, con un robusto giro vita, sui settanta e oltre; lei scarnificata, dal cattivo sguardo accusatore. Lui parla più spesso; con voce cavernosa rotola parole incomprensibili che lei interrompe rabbiosamente con brevi e definitivi suoni acuti, ugualmente indecifrabili. Quando mi vedono si azzittiscono e seguono i miei gesti con attenzione sfacciata. Evidentemente io rappresento una digressione, per quanto minima, alla noia mortale delle loro giornate. Mi fissano con tale intensità che pare vivano, in quei momenti, soltanto attraverso gli occhi. Mi verrebbe voglia di voltarmi verso di loro e sbottare: Embé?
Non piove più: è stato solo uno spruzzo ma è servito ad esaltare il profumo dei lillà rosa pallido che formano una siepe nei pressi della mia casetta.
Il campeggio si chiama Il bosco
e sarebbe, in effetti, un aggrovigliato e disordinato germogliare di eterogenea vegetazione, orizzontale e verticale, se le motoseghe dei giardinieri, la ghiaia bianca e l’asfalto non avessero provveduto a tracciare stradine e spianare radure per accogliere roulotte, camper e tende, oltre a casette prefabbricate in legno e materiale plastico. Svettano pini marittimi, tigli, lecci, ginepri, robinie, siepi di ligustro, gelsomino profumato e arbusti di tutti i tipi o quasi. Sono stati aggiunti, evidentemente per allontanare le zanzare, imponenti eucalipti dai tronchi levigati e maculati.
Sulla spiaggia si alzano dune ricoperte da cespugli spinosi.
Nelle zone comuni, reception, market, ristorante, si esibiscono palme nane e stente buganvillee a cui fanno contrasto i colori vivi dei più domestici oleandri.
Non ho nessuna voglia di prepararmi qualcosa per cena.
Penso che andrò al ristorante del campeggio che inalbera una scritta poco allettante: Bar - Ristorantino – Pizzeria – Take away
.
Spero di trovarci qualcosa di commestibile.
Capitolo secondo
Gualtiero
Sorprendentemente ho mangiato bene: un fritto misto di pesce di paranza, con verdure pastellate, annaffiato da un fresco Falerio, che mi ha riconciliato con l’umanità. Il gestore del ristorante, certo Gualtiero, che, come ha tenuto a sottolineare, è anche gestore dell’intero campeggio, non avendo granché da fare dato che il locale è semivuoto, si è seduto al mio tavolo e mi ha offerto un caffè all’anice.
La stagione è solo all’inizio ma vedrà la gente a fine settimana!
Un tipo cordiale, con una gran pancia, a cui i miei complimenti per il fritto hanno fatto molto piacere.
Dato che ce l’ho a disposizione mi levo qualche curiosità.
Chi sono quei due che stanno davanti alla mia casetta, inchiodati sotto la veranda?
Le danno fastidio?
No, ma non mi tolgono gli occhi addosso, sembrano un gufo e una civetta.
Lui ridacchia divertito.
"Ha proprio ragione, sono così i coniugi Bavosi: un gufo e una civetta! Vengono tutti gli anni, da Cinisello Balsamo. All’apertura del campeggio, metà maggio circa, sono già qui e non se ne