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a cuore fragile
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E-book176 pagine2 ore

a cuore fragile

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Info su questo ebook

Giada ha 32 anni, è bella, intelligente ed è economicamente indipendente; potrebbe avere tutto ma le sembra di non possedere niente. La sua fragilità e la sua insicurezza le impediscono di essere obiettiva e la condannano a una incessante e frenetica ricerca dell’amore, senza il quale lei sembra non poter vivere. Ogni sua lacrima ha una ragione e un significato. Questo romanzo è uno sguardo introspettivo nei sentimenti di una donna come tante, ma è anche una riflessione, a tratti psicologica, sulla fragilità femminile e come possa influenzare l’esito di un’intera esistenza.
Compassione, rabbia, incredulità, ma anche una grande sensazione di suspence vi terranno legati fino all’ultima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2019
ISBN9788899001858
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    Anteprima del libro

    a cuore fragile - Barbara Piccinini

    1 - Papà

    Sto fissando un punto nel vuoto, non so nemmeno io che punto sia, so solo che mi sta distraendo, anche solo per un istante, da tutto ciò che sta accadendo attorno a me. Passo una mano sul mio volto bagnato da lacrime incontrollabili. Sono le lacrime più vere che io abbia mai versato in tutta la mia inutile vita. Riesco a guardare ovunque, meno che di fronte a me; perché mai dovrei possedere la forza di osservare una cosa che non posso umanamente accettare? Tutta la gente attorno potrebbe anche sparire per sempre che non me ne importerebbe più nulla.

    Un braccio mi cinge le spalle per darmi un sostegno, di cui adesso non sento il bisogno. Non necessito carezze, parole di consolazione, abbracci ed effusioni di alcun tipo, ho solo bisogno di sprofondare in un immaginario buco nero che sia capace di farmi riunire a quello che fino a ieri era mio padre.

    «Coraggio!», mi dice la voce appartenente al braccio sulla mia destra. È la voce più familiare che io conosca perché è quella di mia madre. Ma non dovrei essere io a trasmetterle fiducia nel futuro?

    Eppure non ne sono in grado e non posso pretendere nulla di più da me stessa.

    Trovo il coraggio di guardare la bara, ancora una volta e purtroppo so che non sarà né la prima né l’ultima. Chissà quanti altri sofferti sguardi divideranno me e mio padre, prima della sepoltura.

    Il prete parla parla e la sua voce mi appare fastidiosa e insensata. Non vedo l’ora che finisca e che io possa uscire da questa chiesa stracolma di gente ammassata e sofferente; quasi tutti mostrano il proprio dolore senza filtri e, in alcuni casi, senza ritegno. Non mi domando se la sofferenza altrui sia reale o meno; è una cosa che non mi interessa.

    «Andiamo tesoro, è finita!», mi dice, fra le lacrime, mia mamma.

    «Finalmente!», rispondo soffocata dal pianto.

    «Voglio venire in macchina con te!»

    «Va bene, come vuoi.»

    È successo tutto troppo in fretta. Fino a tre giorni fa avevo un padre, oggi siamo rimaste sole io e mia madre. Non ho fratelli e non ho sorelle e una necrosi di una parte del muscolo cardiaco se l’è portato via. Si chiama infarto, ma io lo chiamerei pugnalata al cuore, al mio però.

    Gli volevo bene, solo come una figlia unica sa fare. Gli ero sempre appiccicata, mi piaceva farmi coccolare e rassicurare. Forse lui era l’unico in grado di farlo. Sono una donna molto insicura e quindi ho bisogno di sostegno psicologico, o almeno credo. Aveva solo sessantadue anni e dovrebbero rendere illegale la morte a quest’età. La cosa che mi rimarrà sempre stampata nel cuore è il suo sguardo dolce e perennemente distratto e quell’aria da eterno ragazzino birbante.

    Ho preso sia lo sguardo sia i capelli da lui: quindi occhi azzurri e capelli scuri; dovrebbe essere un’abbinata vincente, invece mi sembra una fregatura e basta. Il mio amico Simone dice che la mora dagli occhi chiari è un cult estetico da urlo, ma io grido guardandomi allo specchio.

    Se potessi essere obiettiva con me stessa, non potrei definirmi una brutta donna o giovane donna o ragazza matura, ma purtroppo non possiedo affatto un ego smisurato e convivo ogni giorno con i miei complessi annessi. Odio il mio carattere. Se esistesse un qualsiasi stregone, guru o folle psichiatra capace di cambiarmi i connotati mentali, mi abbandonerei al suo sadico gioco. Tutti dicono che sono troppo magra, temono che io possa diventare anoressica; in realtà ho un fisico snello e sano, ma, nonostante ciò, non mi piaccio per niente.

    Non indosso mai la gonna perché non amo le mie gambe magre e ossute, ma allo stesso tempo, non le vorrei più guarnite, mi troverei molto a disagio a metterle in mostra.

    Faccio la receptionist in un centro estetico in centro a Verona e non avrei potuto scegliere lavoro peggiore. Quotidianamente incontro decine e decine di donne e immancabilmente ne viene sconfitta la mia autostima. È vero, non sono tutte bellissime e forse nemmeno migliori di me, ma sicuramente più sicure.

    Ce n’è una in particolare che invidio molto per la sua disin-voltura, si chiama Mara ed è brutta, magrissima, rugosa, con un naso che non s’addice al suo viso e nemmeno alla sua figura, ma si sente bella, bella sopra ogni altra cosa e piace a dismisura. Quindi forse è proprio vero che chi si ama, fa innamorare anche gli altri, ma io non ho mai trovato un cristo che mi volesse bene e l’unico uomo che mi faceva sentire veramente importante è morto giusto tre giorni fa.

    2 - L’amico del cuore (sei mesi dopo)

    «Che casino Simone! Mi si sta per rompere la testa! E che brutta musica, andiamo via dai!»

    «Neanche per sogno! Siamo appena arrivati!»

    Lo so che non posso combattere contro la codardia del mio miglior amico. Lui è fatto così: è affascinante, muscoloso e testardo come un mulo, ma è la cosa più cara che io possieda, dopo la morte di mio padre.

    «Non fare la guastafeste! Adesso ci sediamo un attimo.»

    «Ecco, bravo, visto che mi fanno male i piedi.», dico, sofferente.

    «Vado a prenderti un Mojito, aspettami qui! E non farti abbordare!»

    Simone è la persona più protettiva che io conosca. È dolce e gli voglio davvero un gran bene. Mi ritengo davvero fortunata ad avere un amico uomo. Tutti guardano il nostro rapporto con sospetto e malizia e non credono che fra di noi non vi sia un legame di sesso. Eppure, pur trovandolo attraente, non l’ho mai considerato sotto questo punto di vista. E, ovviamente, nemmeno lui me! Non sono certo la più bella donna che potrebbe portarsi a letto. Simone ha molte meno donne di quelle che potrebbe avere. È un ragazzo serio e attento al particolare, nel senso che non si sofferma al solo aspetto fisico e cerca di andare sempre oltre. È bello e profondo: cosa volere di più dalla vita? Io che sono consciamente succube degli uomini, come posso non aver mai subito il suo fascino? Me lo sono domandato spesso, onestamente, e non sono ancora riuscita a trovare una risposta. A volte siamo meno stereotipati di ciò che crediamo e forniamo segnali diversi da quelli che la gente si aspetterebbe da noi.

    Sono seduta su di un divano un po’ stile art déco e mi sto osservando attorno. È pieno di ragazzi e ragazze sfatti dai fumi dell’alcol e chissà da quali altri intrugli malefici e sembrano davvero tutti presi da un’alta soglia di eccitazione. Sembra esistere una regola non scritta che dice che chiunque entri in discoteca e abbia un’età compresa fra i trenta e i trentacinque debba forzatamente procurarsi un indizio di scopata: traducibile in un numero di cellulare salvato sul proprio telefono e qualche effimera promessa annessa. Io non sono in cerca di facili avventure. Vorrei trovare un uomo serio, amarlo ed essere corrisposta, ma penso che sia una chimera che inseguirò per tutta la vita. Sono trentadue anni che ci provo e non ci sono mai riuscita.

    Mia mamma mi dice sempre che attuo una ricerca spasmodica e smisurata nei confronti dell’altro sesso e che ne sono ossessionata. È vero, possiedo un vero e proprio invasamento nei confronti del maschile: più desidero gli uomini e più loro si allontanano da me. È come un gatto che si morde la coda: più li rincorro e più loro sfuggono e più loro sfuggono e più io mi deprimo e inizio a inseguirne subito dopo un altro. È un meccanismo insito in me, al quale non posso sfuggire. Ora sono single e quindi triste. Non c’è scopo, lavoro, hobby o interesse che mi possa far gioire come quello di avere al mio fianco un uomo. Senza l’altro sesso mi sento priva di significato, quasi non legittimata a vivere. Simone mi dice sempre che tutto ciò è assurdo e che devo trovare una gioia al risveglio ogni mattina, che non implichi, forzatamente, un uomo. Ma lui, che donna non è, come fa a comprendermi? Cosa esiste di più bello al mondo dell’essere innamorati? Provare quella sensazione che ti scalda il cuore e ti tappa le ferite dell’anima? Come posso rinunciarci e accontentarmi di un misero vivere quotidiano fatto di banalità e rassegnazione? Non ho hobby, non ho passioni, a parte quella di controllare l’ago della bilancia ogni mattina.

    Sono sempre più rintronata e, lasciandomi andare a un dolce affondo, mi rilasso sul divanetto socchiudendo gli occhi. Penso che Simone abbia incontrato qualche dolce fanciulla perché è assente ormai da troppo. Entro quasi in uno stato di trance, quando avverto una leggera pressione sulle mie labbra e un, tutt’altro che soffice, tocco al mio seno sinistro. Di primo acchito non realizzo assolutamente cosa mi stia accadendo, ma appena apro gli occhi, lo capisco più che bene. Un uomo sui quaranta, belloccio, atletico e calvo mi sorride.

    «Cavolo sorridi a fare, stronzo!», gli urlo con fare minaccioso e violento. Aggressivo più nel pensiero che in altro, visto e considerato che mi rendo perfettamente conto di non essere in grado di affrontare una simile mole e prego tutti i santi del paradiso affinché Simone ritorni il più velocemente possibile. Ma come sempre, le mie speranze rimangono vane.

    «Chi sei? Come ti permetti?! Adesso chiamo subito la sicurezza!»

    «Mi chiamo Tommaso.»

    «Ti chiami Tommaso? E a me che cavolo me ne frega di come ti chiami?! Ti rendi conto che mi hai palpato una tetta e stavi per baciarmi? Approfittando del fatto che io stavo riposando?», dico e vorrei essere più incisiva, più cattiva, ma le parole faticano a uscirmi di bocca, sono sconvolta e inerme di fronte a quest’uomo che ha abusato della mia fragilità.

    «Scusami, ma eri troppo seducente!», risponde il fantomatico Tommaso, e come se non bastasse aggiunge: «vuoi che ti porti un drink?»

    «Un drink? Ma sei pazzo?!», dico urlandogli in faccia e mi alzo dal maledetto divanetto che è stato teatro di un agguato. Lo considero tale, ma non riesco a reagire più di quanto io stia già facendo e la soluzione che trovo più idonea ed efficace è mettermi a piangere in modo evidente e sconsolato. Sono in piedi, inerme, davanti a un malefico sconosciuto e sto piangendo come un’ebete. Nessuno mi guarda e sembra essersi accorto dell’accaduto: ognuno preso dal proprio circuito mentale.

    «Allora se non vuoi un drink, io me ne vado.», dice il maledetto.

    «Vattene! E ringrazia che non chiami nessuno!», dico fra le lacrime.

    Tommaso se ne va, voltandomi repentinamente le spalle.

    Con passo barcollante mi dirigo in bagno; non voglio che Simone mi veda ridotta in questo stato e spero di poter riordinare le idee in modo autonomo e sensato. So di non essere una persona giudiziosa e previdente, ma spero che il dedicare due minuti a me stessa possa fornirmi un minimo di autonomia mentale. Entro, ma comprendo subito che fra tutto questo via vai di donne mi sia impossibile pensare a qualcosa di vagamente sensato. Mi guardo allo specchio e noto che mi si è sbavato il mascara e che ha formato una lunga striscia nera sulle mie guance. Mi vedo orrenda, più brutta del solito. Apro subito un getto d’acqua in modo frenetico, ci passo le dita sotto e incomincio a sfregarle vigorosamente sul viso: le guance si arrossano, ma al tempo stesso, si puliscono velocemente. Sono praticamente struccata e ho una faccia da serial killer: cupa, tesa, cattiva. Prendo il pettine dalla borsa e mi do un’aggiustatina ai capelli e per ultimare l’opera bagno le labbra per togliere via il sapore di quel Tommaso. Esco dal bagno alla disperata ricerca di consolazione.

    «Ma dove diavolo ti eri cacciata? Ti ho cercato ovunque! Ti ho preso il Mojito.», mi dice sconsolato, Simone.

    Non riesco a rispondergli e lo abbraccio calorosamente.

    «Cosa ti è successo?»

    «Mi è successo che un certo Tommaso mi ha toccato una tetta e ha tentato di darmi un bacio.»

    «Ma stai scherzando?! Ma cosa stai dicendo? Ma quando? Ma dove?», continua a chiedermi in modo concitato, Simone, «ma queste sono molestie sessuali! Dimmi chi è quel bastardo che gli vado a spaccare la faccia!»

    Non voglio che Simone intervenga; so che potrebbe fare del vero male a quello stronzo di Tommaso, ma non desidero essere il fulcro di nessun problema. Vorrei solo scomparire e basta, rendermi invisibile e inaccessibile a chiunque, ma non posso fuggire di fronte all’unico uomo capace di darmi un po’ di conforto.

    «Portami a casa, per favore, non voglio altro che andare a casa.»

    Simone mi guarda per nulla persuaso dalla mia richiesta.

    «Non lo trovo giusto, ma se davvero è ciò che desideri, ti accompagno.»

    * * *

    Appena entro in casa avverto il bisogno impellente di bere litri d’acqua, che butto giù a fiumi nella speranza che mi rendano evanescente. Mi illudo sempre di ogni cosa: penso che fare un semplice gesto possa aiutarmi a semplificarmi la vita, a rendermela meno subdola, ma il più delle volte non è così.

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