Una vittoria arcobaleno
Di Kiara Maly
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Info su questo ebook
Compagni di squadra, ma soprattutto amici, Ettore e Samuele non potrebbero essere più diversi. Il portiere, taciturno e riservato, maschera la propria omosessualità in un ambiente dominato dal machismo. L’attaccante, estroverso e solare, esibisce con disinvoltura la fama da donnaiolo.
È sufficiente un infortunio a scombussolare un legame consolidato. Basta un bacio per far esplodere un’attrazione latente e potentissima.
Mentre Samuele cerca se stesso, Ettore è costretto a prendere decisioni difficili. Tra ripensamenti, malintesi e intromissioni, la loro amicizia rischia di dissolversi. Eppure, è il collante che li aiuta a ritrovarsi dopo ogni distacco, a scambiarsi sorrisi e battute, a capirsi attraverso gesti che valgono più di mille parole.
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Anteprima del libro
Una vittoria arcobaleno - Kiara Maly
UNA VITTORIA ARCOBALENO
KIARA MALY
TRISKELL EDIZIONI
INDICE
Citazione
Prologo
Prima parte
Citazione
1. Ettore
2. Samuele
3. Ettore
4. Samuele
5. Ettore
6. Samuele
7. Ettore
8. Samuele
9. Ettore
10. Samuele
11. Samuele
12. Ettore
13. Samuele
14. Ettore
15. Samuele
16. Ettore
17. Samuele
18. Ettore
19. Samuele
20. Ettore
21. Samuele
Seconda parte
Citazione
22. Ettore
23. Samuele
24. Ettore
25. Samuele
26. Ettore
27. Samuele
28. Ettore
29. Ettore
30. Samuele
31. Ettore
32. Samuele
33. Samuele
34. Ettore
35. Samuele
36. Ettore
37. Samuele
38. Ettore
39. Samuele
40. Ettore
41. Ettore
42. Samuele
43. Ettore
44. Samuele
Terza parte
Citazione
45. Ettore
46. Samuele
47. Ettore
48. Samuele
49. Ettore
50. Samuele
51. Samuele
52. Ettore
53. Ettore
54. Samuele
55. Ettore
56. Samuele
57. Ettore
58. Samuele
59. Samuele
60. Ettore
61. Samuele
Epilogo
Ringraziamenti
Biografia
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.
Tutti i diritti riservati
Una vittoria arcobaleno – Kiara Maly - Copyright © 2023 Triskell Edizioni
Immagini di copertina: Mike Orlov Shutterstock; 103tnn Stock Adobe
Progetto grafico: Laura Di Berardino
Prodotto in Italia
Prima edizione – agosto 2023
Edizione Ebook 979-12-207-0627-8
Edizione cartacea: 979-12-207-0628-5
Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri.
Come io ho amato voi,
così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Vangelo secondo Giovanni 13:34
PROLOGO
ETTORE
Puoi conoscere tutto sull’amore, dalle definizioni presenti nei dizionari fino all’equazione matematico-quantistica, passando per il meccanismo chimico della liberazione delle endorfine. Ma quando arriva quello vero, e intenso, e travolgente, e quasi folle… ti coglie sempre impreparato.
Non che mi reputi un luminare in materia di sentimenti.
Se rifletto a ritroso sulla mia esperienza e utilizzo un metro di giudizio imparziale, devo concludere di non potermi lamentare. I miei genitori non mi hanno privato di nulla, mi hanno accudito e cresciuto in una famiglia come tante. Forse è mancato lo slancio che si sprigiona in abbracci stritolanti ed elogi convincenti, in compenso ho ricevuto un affetto costante che mi ha permesso di vivere l’infanzia in un ambiente sereno. La tensione, la mancanza di comunicazione e il distacco sono sopraggiunti dopo, a cominciare da quando ho scoperto chi sono.
«Ettore Gentili,» mi chiama il coach.
Balzo sull’attenti e distolgo lo sguardo dal responsabile della valanga che mi si è riversata con furia dentro l’anima. Talmente violenta da aver scaraventato a valle la mia attenzione. E benché mi senta, appunto, un principiante dei sentimenti, credo di aver appena sperimentato a livello empirico il proverbiale innamoramento a prima vista
.
«Gentili è un portiere formidabile,» attacca mister Marzio. «L’avevo adocchiato quando militava nella Primavera dell’Inter e gli unici goal che prendeva erano su rigore. Ho continuato a seguirlo nel biennio di gavetta che ha appena trascorso nelle Serie minori e ho fatto di tutto per strapparlo alla proprietà nerazzurra. Sono convinto che, pur giovanissimo, si rivelerà la nostra saracinesca.»
Debutterò nel campionato maggiore a ventun anni, fatico a crederci.
Un coro di apprezzamento si leva dalle panche attorno. Infilo di scatto una mano nei capelli, mettendoli ancora più in disordine, e lancio una rapida occhiata ai miei nuovi compagni di squadra. Di fronte agli armadietti di metallo, si staglia una fila ordinata di volti concentrati, fisici allenati, colori e corporature differenti. Tutti uniformati dalle divise oro-nere.
Gli occhi ricascano su di lui.
Di nuovo, la gola si occlude, lo stomaco compie un tuffo all’indietro e mi si stringe il cuore. Evito di menzionare ciò che succede al di sotto dell’elastico dei calzoncini. Un calore gradevole quanto imbarazzante mi si irradia sottopelle e spero non mi incendi il viso.
«Il secondo rinforzo di questa stagione è Samuele Dicente.»
L’oggetto del mio sguardo e dei miei pensieri si alza.
Lui e io, in piedi di fronte al gruppo.
Ettore Gentili e Samuele Dicente, i neoacquisti della Dream Milano, piccola squadra senza pretese nata una decina d’anni fa e risalita dalle Serie inferiori fino alla fresca promozione in Serie A. Sono autorizzato a prendermi ogni singolo secondo a disposizione per scandagliarlo, mentre l’allenatore ne tesse le lodi.
«Attaccante veloce come un fulmine.» E noto i quadricipiti scolpiti. «Dotato di una tecnica impressionante.» E scivolo fino alle caviglie che mi appaiono sottili, dal rilievo dei calzettoni. «Ma soprattutto di una visione del gioco a trecentosessanta gradi.» E torno verso l’alto, senza tralasciare i dettagli lungo il percorso. L’esplorazione di Samuele Dicente si arresta non appena mi soffermo a fissare le sue iridi turchesi e limpide, simili al cielo primaverile quando si scorge persino la luna.
Pure il mio cuore si arresta.
Il sorriso che mi rivolge, aperto, sincero e amichevole, decreta la mia fine.
Samuele
Dopo un istante di disattenzione, riconduco occhi e cervello su Tony Marzio, un nome che è diventato una leggenda del calcio nostrano. L’abilità strategica e la rara empatia gli hanno consentito di costruire una squadra solida in grado di raggiungere il campionato più prestigioso.
Serro le labbra, onorato che mi abbia scelto come supporto per la sua linea offensiva, e determinato a renderlo fiero delle mie prestazioni. Dopo le parole lusinghiere con cui mi ha presentato, ho la ferma intenzione di non deludere lui, la Dream Milano e meno che mai me stesso.
Tra l’altro, condivido la scelta di Gentili a salvaguardia della nostra porta.
Mi è capitato di incrociarlo, in passato, ed è uno dei pochi giocatori di cui conservo un ricordo netto. Sono rimasto impressionato dagli scatti incredibili all’ultimo secondo, dal volto imperscrutabile che riesce a farti dubitare di te stesso prima ancora di ipotizzare di calciare in porta. Per non citare il fisico longilineo e atletico, che quando ti si para davanti assume all’improvviso una dimensione colossale, quasi avesse triplicato il proprio volume. Trovo calzante il paragone con una saracinesca.
Mi sono anche rimasti impressi gli innumerevoli tentativi di segnargli un goal, andati tutti in fumo. E l’attenuante di essere più giovane di un anno reggeva soltanto nel campionato Primavera, forse nemmeno lì. Adesso sono felice di trovarmi nella metà campo giusta.
Mi avvicino a Gentili, non appena il mister ci invita a seguirlo fuori dagli spogliatoi per dare il via al primo allenamento della stagione.
«Ciao, è un piacere conoscerti.»
Forse sono stato troppo irruente, perché lo vedo sussultare lievemente.
«Oh, ciao. Dicente, corretto?»
«Giusto.» Sorrido e faccio un cenno affermativo con il capo. «Io mi ricordo di te.»
«Ci siamo già incontrati?»
Tergiverso. «Qualche volta.» Non intendo svelargli i particolari del mio fallimento nel bucare la rete alle sue spalle.
Gentili si infila una mano nei capelli e si tira indietro il ciuffo bruno. Nell’altra stringe i guanti. «Perdonami, quando gioco sono concentrato sulla palla, più che sui volti degli avversari.»
«Non c’è problema, rimediamo ora.» Tendo la mano. Lui l’afferra e la stringe.
«Bella presa, Ettore.» Gli strizzo l’occhio.
«Anche la tua non è male, Samuele.»
PRIMA PARTE
FISCHIO D’INIZIO
Quando proviamo amore e gentilezza verso gli altri,
questo non solo fa sentire gli altri amati e coccolati,
ma aiuta anche noi stessi a sviluppare pace e felicità.
Dalai Lama
1
ETTORE
QUATTRO ANNI DOPO
Concentrazione, respiro.
Orsini sta arrivando, ma resto immobile. Mi figuro il tono concitato del telecronista sportivo mentre descrive l’azione in corso. Il centravanti svizzero dribbla Maggioni, poi Lucescu, è quasi al limite dell’area.
Concentrazione, respiro. Non muovo un muscolo.
Orsini solleva la testa e visualizza la porta. Sta mirando al sette. Carica il destro e fa partire il tiro. È teso e angolato, può far male.
L’adrenalina accumulata, caricata al livello massimo, esplode di colpo. Scatto.
Gentili si tuffa all’incrocio dei pali, allunga il braccio, con la punta del guanto sfiora il pallone e… corner. Che parata, signori! Qui viene giù lo stadio. Sta salvando da solo il goal di vantaggio segnato nel primo tempo da Dicente.
I compagni mi raggiungono e gridano: «Vai, cazzo!» «Pigliatutto!» «Saracinesca!», prima di spararmi pacche incoraggianti sulle spalle. Non mi concedo neppure il tempo di sorridere.
Non è finita. I difensori oro-neri si schierano in area secondo lo schema provato in allenamento, in attesa che l’arbitro fischi il calcio d’angolo. Batto i guanti fra loro e assottiglio gli occhi, per inquadrare nel mio mirino i giocatori avversari.
Concentrazione, respiro. Una nuvola di vapore si espande dalle narici.
La partita si è tramutata in un duello personale tra me – il portiere meno battuto del campionato – e la squadra ospite, momentaneamente in testa alla classifica. In gioco c’è la vetta nel girone d’andata, prima della pausa natalizia. Ne siamo consapevoli tutti e siamo pronti a versare sangue, pur di ottenere la vittoria.
Orsini, ancora lui – il marcatore più prolifico e insidioso –, calcia un tiro a palombella che sorvola l’area di rigore. Nella mischia di fronte a me svettano due contendenti, entrambi agguerriti e bramosi di toccare palla. Johnson per fare goal, Dicente per allontanarla dalla porta.
Non dubito neppure per un attimo che abbia la meglio il nostro fulmine, la punta più veloce del campionato. Quel che segue però mi coglie alla sprovvista. Dicente si accascia a terra al termine dell’azione e si preme la testa tra le mani. Per la prima volta dall’inizio della partita, le mie gambe tremano e la vista si appanna. Il cuore mi martella nei timpani, più rumoroso di tutto lo stadio.
In mezzo a cori, urla e insulti provenienti dagli spalti, l’arbitro consente l’ingresso in campo del personale sanitario. Dicente viene issato sulla barella e trasportato oltre la linea di fondo, alla sinistra del mio palo. Mi impongo di mantenere la concentrazione sulla partita e ignorare l’angoscia che mi risale la gola.
Dobbiamo vincere. Per la squadra, per mister Marzio, per i tifosi che stanno già festeggiando il primato d’inverno, incuranti della scaramanzia. Per Samuele, che giace dietro di me, circondato dal medico e dai fisioterapisti.
Strizzo le palpebre e mi focalizzo sui compagni, che si battono con le energie residue a centrocampo per non perdere la palla o riconquistarla. Sono passati quattro anni dal mio ingresso nella quarta squadra cittadina, dopo Inter, Milan e Brera, che milita in Prima Categoria. Con costante gradualità, la Dream Milano si è trasformata da cenerentola a principessa del campionato. Senza l’aiuto di interventi fatati, ma per merito di un mix eccezionale di talento, sacrifici e amicizia.
Il triplice fischio segna la conclusione di una partita durissima e la nostra vittoria per una rete a zero. Nella bolgia festaiola che esplode all’istante, tra ola, Po-po-po
e cori di giubilo, mi ricordo a malapena di esultare per il primato in classifica. La mia testa è invasa da un solo pensiero, un’unica persona, un singolo nome.
Scatto per sincerarmi delle condizioni di Samuele. Lo esamino mentre è seduto a terra, la benda intorno alla calotta cranica e la sacca del ghiaccio premuta sulla tempia. Vengo attraversato da un brivido. Dicente si accorge della mia presenza e abbozza un timido sorriso.
«Tutto okay?» indago.
«Siamo primi!» Tipico da parte sua, pensare soltanto alla squadra.
Ricambio il sorriso. «Grazie al tuo goal da cineteca.»
«Grazie alle tue parate strepitose.»
«Come stai?» Tento di dirottare il discorso verso ciò che m’importa sul serio.
Mi risponde il dottor Costa. «Ha subìto un leggero trauma cranico, sarebbe prudente fargli trascorrere la notte sotto osservazione.»
«Scordatevi che vado in ospedale alla Vigilia di Natale,» bofonchia lui.
«Non è la Vigilia,» lo corregge il medico. «Inoltre, è necessario che qualcuno vigili sul tuo stato di coscienza nelle prossime ore. A maggior ragione, se intendi tornare a casa.»
Samuele solleva gli occhi fino al terzo anello in festa, mentre sbuffa e scuote il capo. Alcune ciocche dorate affiorano dalla fasciatura, inumidita di sudore, disinfettante e striature rosso sangue, evidenti sotto i fasci di luce accecante delle torri faro del Meazza.
Intuisco al volo la ragione della sua reticenza, d’altronde anch’io mi sottrarrei a un ricovero, a meno che non fosse strettamente necessario.
«Ci penso io, dottore. Veglierò io sul capitano.» Fatico a riconoscere la mia stessa voce, che si impone con determinazione e certezza assoluta.
Dicente torna a incrociare il mio sguardo e dischiude le labbra. Mi aspetto una vivace protesta. Invece, in silenzio, protende il braccio nella mia direzione.
Sfilo il guanto e gli arpiono la mano con forza, aiutandolo a tirarsi in piedi. Lo sento oscillare in equilibrio precario, pertanto lo sorreggo premendogli i tricipiti.
«Ci sono, Gentili, grazie,» annuncia Samuele, il viso sofferente a un soffio di distanza dal mio.
«Appoggiati a me. Ti accompagno negli spogliatoi, prima di portarti a casa.»
2
SAMUELE
Gentili parcheggia di fronte alla sua palazzina.
Deve passare dal suo appartamento e recuperare l’essenziale per trasferirsi da me stanotte. Inspiro l’aria calda sparata dai bocchettoni. Il grigiore che ha avvolto Milano nel pomeriggio si è dissolto e la serata è limpida. Osservo il buio punteggiato di lampioni gialli e fari rossi.
Ettore smorza il motore e gira la testa verso di me. «Te la senti di attendermi in macchina?»
«Sì, sto bene.» Sospiro. «Non sei obbligato a farlo.»
Avverto una morsa allo stomaco che non riesco a spiegare. Gentili e io siamo abituati a condividere la camera insieme quando occorre, eppure l’idea che stia accanto a me, a sorvegliarmi mentre dormo, mi crea disagio.
Le mani magiche del nostro portiere stringono il volante. «Obbligato a fare cosa?»
«Ad accudirmi. Passare addirittura la notte da me.» Rido in tono dimesso e abbasso lo sguardo. «E poi, ho lasciato la Porsche a San Siro. Domani ne troverò due.»
Con la coda dell’occhio mi accorgo che le sue nocche sbiancano. «Hai qualcuno da chiamare al posto mio?»
«No.» La mia famiglia vive nelle Marche e gli amici, be’, sono i miei compagni di squadra.
«Devo portarti in ospedale?»
Scuoto la testa lentamente, per non sentirla pulsare sotto la fasciatura. «No.»
«Allora, manterrò la mia promessa fino in fondo.»
È talmente risoluto da farmi sorridere. «Grazie, Ettore.»
Mi risponde il silenzio.
A volte mi domando se Gentili sia una persona reale, poiché sembra troppo perfetto per essere vero. Dopo quattro anni di conoscenza, non gli ho ancora trovato un difetto convincente. A meno di non considerare tale la perfezione assoluta.
«Non lo faccio per te.» Sogghigna, alla fine. «Mi sta a cuore la tranquillità del dottor Costa, del mister e della squadra.» Gentili è il numero uno persino nell’allentamento della tensione.
Gli invidio la sicurezza nelle proprie capacità, che gli permette di affrontare le sfide con determinazione. Sono consapevole di essere il suo opposto: una testa calda, un fascio di nervi, facile preda dello stress e dell’ansia da prestazione. Non a caso, lo cerco spesso nel prepartita e attingo all’energia positiva che irradia.
«Se la metti così, ci sto. Il bene della Dream prima di tutto. Ti aspetto qui.»
«Sarò un fulmine, come te!»
Ridacchio e lo seguo con lo sguardo. Agguanta la sacca sponsorizzata del team dal portabagagli e si avvia verso il mezzo grattacielo dotato di bosco verticale che sorge di fronte al parco di Trenno, dalla parte opposta del mio appartamento. Manco l’avessimo architettato di proposito, abitiamo a due chilometri di distanza in linea d’aria.
Approfitto dell’attesa per telefonare a mia mamma, dopo che l’ho rassicurata per sommi capi via messaggio.
«Samu, come stai?» mi chiede per prima cosa, con un tono tra il preoccupato e l’apprensivo.
«Bene, mamma.»
«Al TG hanno parlato di trauma cranico.»
«Sai che i giornalisti esagerano sempre, pur di fare notizia. Ho cozzato contro quella testa dura di Johnson, per forza mi sono fatto male. Comunque, adesso sto meglio e sono lucido e intelligente come al solito.»
«Dimentichi modesto,» si intromette una delle mie sorelle, la più pestifera a giudicare dalla voce.
«Tizi, quanto mi manca la tua lingua lunga!»
«A me mancano i tuoi abbracci.» Questa è l’altra gemella, la più dolce.
«Tra poco verrò a trovarvi, Tati.»
Le occasioni per stare insieme si sono rarefatte, da quando il calcio è diventato il mio lavoro e la mia vita. Però, ci tengo a trascorrere le feste in famiglia, soprattutto il Natale. Ci separano cinquecento chilometri e li percorro volentieri ogni Vigilia. A maggior ragione, al volante della mia auto confortevole e sportiva… sempre che domattina la ritrovi.
«Ridatemi questo coso,» gracchia la mamma. «Samu, sicuro che starai bene?»
«Sì, assolutamente. Se può rincuorarti, stanotte viene Gentili da me. Ci pensa lui a darmi un’occhiata.»
«Dici davvero?»
Ridacchio. «Se non ci credi, più tardi ti mando un selfie dimostrativo.»
«Magari, sai che Gentili è il nostro idolo!» Sghignazza pure lei. «A parte gli scherzi, saperti con lui mi rasserena parecchio. Forse stanotte riuscirò a dormire.»
«Dormi tranquilla, mamma, e manda un bacio alle due stronzette.»
«Samu!» mi redarguisce. «Ricambiano. Passa una buona notte pure tu.»
Dopo aver interrotto la chiamata, abbasso le palpebre e inspiro.
3
ETTORE
Macino velocemente sette piani di scale, incurante della stanchezza. Non appena metto piede sul pianerottolo, premo il campanello di fianco al mio. Attendo una manciata di secondi finché, incorniciata dal telaio massiccio della soglia, appare Camila, la mia fidanzata. O meglio, la mia fidanzata ufficiale.
Un delizioso aroma di arrosto e patate al forno si diffonde nell’aria e mi stimola l’appetito. In effetti, si sono fatte le sette di sera. Se tutto fosse diverso, se io fossi diverso, adesso… la stringerei fra le braccia e la scioglierei con un bacio da film, per festeggiare vittoria e primato.
«Come sta Dicente?» indaga lei, il caratteristico timbro militare in contrasto con il volto dai lineamenti angelici. Riesce a risultare bellissima persino con la tuta, gli occhiali da vista e lo chignon raffazzonato.
Ne intercetto le iridi nocciola. «Sembra a posto.» Quindi sospiro, con Camila posso permettermi di essere me stesso. «Starò con lui stanotte, per accertarmi che il trauma cranico non abbia conseguenze più gravi di un bernoccolo.»
«Come stai tu? Ce la farai?»
Mi passo le dita nel ciuffo, ancora inumidito dalla rapida doccia fatta allo stadio, e le scorro fino alla nuca rasata e asciutta. «Spero di farcela.»
«Ettore.» Le sue labbra si arcuano verso il basso.
Sorrido, nel tentativo di scacciare i pensieri negativi. «Milly, baderò alla sua incolumità e stop.»
«Okay, pensa a farlo stare bene. Ma attento a non far male a te.»
Camila è una mia cara amica. Approdata a Milano oltre un anno fa, è diventata in breve tempo una tra le modelle più gettonate dalle grandi firme internazionali. Da vicini di pianerottolo ad amici il passo è stato istantaneo, per merito del suo carattere gentile e accogliente.
Si è prestata ad accompagnarmi a diversi eventi della società, finché i paparazzi non hanno cominciato a collezionare fotografie della nostra presunta coppia. Abbiamo accolto i pettegolezzi con ilarità e ci siamo detti che, tutto sommato, potevamo ricavarne un compromesso proficuo per entrambi. Da quel momento, Camila è stata la mia fidanzata ufficiale.
Io posso celare indisturbato la mia omosessualità, che se venisse resa pubblica danneggerebbe la mia carriera calcistica, mentre Milly può dribblare proposte indecenti, stalker e personaggi viscidi dello show-biz. Siamo d’accordo che scioglieremo il patto se uno dei due dovesse incontrare l’amore. O, nel mio caso, un amore corrisposto.
Il colpo di fulmine per Samuele, che mi aveva folgorato a ventun anni negli spogliatoi della Dream, non accenna a dissolversi. Al contrario, si è alimentato giorno dopo giorno, grazie alla complicità degli sguardi e dei sorrisi. Alle battute e alle confidenze. A un legame d’amicizia sempre più stretto e inscindibile. E mi ritrovo venticinquenne, ancora perso per lui e privo di speranze.
Scocco un bacio sulla guancia arrossata di Camila, dopodiché mi precipito nel mio appartamento, a rastrellare l’occorrente per passare la notte fuori. Dal mio Samuele.
No. Da Dicente.
Devo calarmi al più presto nella parte di un solerte infermiere. Rigorosamente etero.
4
SAMUELE
Varchiamo l’ingresso del mio quadrilocale e Gentili entra con il passo sicuro di chi riconosce un ambiente familiare. Non riesco a trattenere un sorrisetto.
Invito spesso i compagni a far baldoria da me, specie quando si tratta di guardare un match importante in TV, per cui è obbligatorio gufare una delle squadre avversarie. Mi è capitato, più di rado, di ospitarli con le loro donne, ma soltanto se anch’io frequentavo una tipa in quel frangente.
Le mie avventure si possono classificare come fiammate passeggere: amo la libertà e cerco di preservarla. Sono consapevole di possedere una natura incostante. Mal sopporto i vincoli, preferisco variare e soprattutto, quando mi trovo sotto stress, ho necessità di trasgredire.
Non tutte le donne sono di vedute così ampie da apprezzarlo. Mi correggo, nessuna lo è.
Per questo, evito i legami affettivi e non pongo limiti alle fantasie sessuali. Costituiscono la mia valvola di sfogo per mantenere alta la concentrazione una volta sceso in campo.
«Devi fare la doccia,» tuona Ettore alle mie spalle, facendomi sobbalzare sul posto.
Mi tocco la testa per il