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Uscire volando
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E-book154 pagine2 ore

Uscire volando

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Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se potessimo volare veramente? Immaginate di spiccare il volo dalla finestra di casa vostra, di girare in alto sopra la città, di scoprire cosa succede dietro le finestre degli altri. Immaginate di sentire il vento fra i capelli e il freddo sulla pelle mentre planate verso il basso, sicuri di atterrare in un posto morbido e sicuro.

Peter Pan è stato il sogno di molti di noi, ma perché limitarsi a sognare? Perché non cercare di trasformare il sogno in realtà? Non è questo il vero scopo della vita? Trovare il modo di rendere reale ciò che finora è sembrato impossibile?
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2023
ISBN9791221436952
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    Anteprima del libro

    Uscire volando - Siamoh

      1  

    Si può uscire volando dalla finestra. Volando veramente, intendo dire, non come vorrebbe fare Lina quando si aggrappa alle ringhiere del balcone e mamma corre col batticuore perché teme che cada con la testa in giù e se la rompa, la testa, sul marciapiedi di sotto. Così sono capaci tutti: difficile è volare all’insù, staccarsi dalla ringhiera e salire verso il cielo, specie quando non c’è vento e non puoi sperare che una corrente d’aria fortissima ti trascini lontano, dove poi devi sperare ancora che ci sia un posto morbido per atterrare, come un mucchio di paglia o una fabbrica di cuscini scoperchiata.

    A volare ho pensato tante volte, Peter Pan è sempre stato nei miei sogni. A me, però, è bastato un sogno più piccolo, senza pirati e isole che non ci sono: semplicemente avrei voluto saltare dalla finestra, allargare le braccia e scivolare come un aliante sull’aria, fare quattro giri sopra la città e tornarmene in casa, piena di brividi di freddo e di felicità. Ho immaginato tutto: la gente piccola piccola vista dall’alto, le finestre dietro le quali, scendendo radente i muri, riuscivo a distinguere famiglie a tavola, bimbi nei loro letti, qualche compagna di scuola ancora impegnata coi compiti per il giorno seguente. Mi è capitato, a proposito, di preoccuparmi un po’: sono sempre nel dubbio di non aver fatto tutti, e bene, i miei compiti.

    Purtroppo i sogni sono sogni: non so se siano buoni o cattivi, perché somigliano così intensamente alla realtà che quando ti accorgi che sono svaniti, che era tutto finto, che sei stata solo tu così piena di desiderio da farli diventare quasi veri, ecco allora che quelle storie bellissime diventano addirittura odiose, ti viene voglia di piangere.

    Mamma dice, quando mi vede con la faccia che sembra un rospo triste, che le storie sono la vita e che la vita è fatta di storie: io non capisco bene e soprattutto non capisco come questa informazione potrebbe farmi passare il malumore, ma ogni volta sento una mano fra i capelli e una voce che mi dice che in mezzo ci ha trovato un fiore. Allora mi viene da ridere: i miei capelli non sono un prato ma credo che mi piacerebbe se lo fossero.

    La scoperta l’ho fatta ieri notte: non per caso, devo confessare, perché da qualche giorno stavo piuttosto in guardia, in attesa del momento giusto. Ero certa che sarebbe successo qualcosa di straordinario: succede sempre, tutte le volte che mi sveglio durante la notte per periodi abbastanza lunghi, una o due settimane, o quando ho frequentemente prurito al naso o, ancora, in quei periodi in cui mi capita di rovesciarmi addosso le schifezze o la roba da mangiare. Beh, questo è proprio uno di quei periodi, anzi, sono giorni davvero terribili, in cui mi sento come tirata da ogni parte e le cose che ho detto mi stanno capitando tutte insieme. Vengo svegliata nella notte da un irresistibile prurito al naso, con una fame che mangerei perfino i finocchi crudi, che non mi piacciono per niente ma, come arrivo in cucina, sarà perché nel buio ci vedo davvero male, sembra che i recipienti mi facciano i dispetti e in un attimo mi rovescio addosso acqua, latte, yogurt e tutto ciò che si trova nei paraggi. Bella seccatura, perché poi devo lavare e asciugare il pavimento nell’oscurità e non è proprio un’esperienza divertente. Ci riesco male, oltretutto, tant’è che l’altra mattina il Cerino, mossi due passi in cucina, ha esclamato rivolto a mamma: «Questo pavimento è una carta moschicida, adesso gli do una bella lavata» ed è partito a ramazzare con uno spazzolone talmente bagnato che alla fine abbiamo fatto colazione nel tinello, perché non si può certo stare con le gambe sollevate un quarto d’ora. Il Cerino è fatto così, tutto deve essere risolto subito ed è meglio esagerare, non si sa mai; sarebbe simpatico, se non fosse che è anche un po’ antipatico, anzi, dovrebbe esserlo e ci riuscirebbe se solo io lo volessi con più decisione.

    Mamma ride quando capitano queste cose, anche se è autunno fatto e tenere la finestra aperta dopo aver lavato il pavimento non è esattamente piacevole. Ride spesso, da qualche tempo, e io non capisco davvero cosa ci sia da ridere con uno che ti combina disastri ogni volta che fa qualcosa. Poi mi vergogno, perché in fondo la colpa è stata mia: se non avessi rovesciato un vaso di yogurt o se non avessi pulito malissimo il pavimento della cucina, allora il Cerino se ne sarebbe stato buono buono a mangiarsi la sua colazione e io non avrei avuto freddo ai piedi. veramente il Cerino non è un tipo calmissimo: ha sempre qualcosa, mille cose da fare e mille discorsi da pronunciare. Che cosa faccia, non è chiarissimo, infatti i suoi interventi non modificano molto la nostra vita di tutti i giorni, tant’è che io credo che quel modo di fare le cose serva proprio a lasciare tutto com’è. Credo che se domani mamma dovesse chiamare qualcuno per riparare definitivamente la maniglia che il Cerino ha già aggiustato, si fa per dire, dodici volte, forse lo renderebbe meno felice. Già, felice! Perché il Cerino è veramente un tipo felice, tanto felice che quando lo guardo un po’ a lungo – lo faccio tante volte, di nascosto – mi viene voglia di essere felice come lui; naturalmente resisto, non sarà lui a distrarmi dai miei problemi o a scacciare le mie lacrime di ragazza.

    Certo, mentre parla il Cerino fa come le lucine e gli scoppi di un temporale allegro, quando ti bagni ma fa caldo intorno e non hai paura dei lampi perché senti che c’è un’aria buona. Lancia parole colorate che mi cadono tutt’intorno e fanno strizzare gli occhi a mamma e correre Lina come una trottola impazzita. A volte resto lì, lo ascolto senza guardarlo, perché mi accorgo che ogni tanto mi lancia un’occhiata e non voglio farmi sorprendere; ma dentro ho anch’io gli scoppi e le lucine e mi piace essere me. Non glielo dirò mai, però.

    Ho divagato, lo sapevo. Mi succede quando sono emozionatissima e adesso lo sono. Anzi, non sono mai stata così emozionata in tutta la mia vita, che non è ancora lunghissima, ma è comunque la vita di una persona che ne ha già passate parecchie e alcune non del tutto piacevoli. Mamma dice che il passato se n’è ormai andato e non deve avvelenarci il futuro, ma io so che non è ancora finita e allora sto attentissima.

    Da qualche tempo, mia madre e il Cerino sono come straniti: intendo dire che mamma somiglia sempre più a quei personaggi che, nei film di paura, cominciano a un certo punto a cambiare, a diventare un po’ soprannaturali, se si dice così. Ma mentre nei film cambiano in un modo spaventoso, voglio dire che ti aspetti che improvvisamente quel certo personaggio digrigni due canini da pantera o cominci a parlare con una voce da sarcofago, per mamma è diverso, è come se stesse su una nuvoletta tutta sua, pronta a... prendere il volo. Dio mio, tremo nel dirlo, ma mi sembra di avere usato proprio le parole giuste. Il Cerino è sempre stato strano, nemmeno di lui ho paura; solo sarebbe meglio se non ci fosse, anche se qualche volta mi diverto un sacco a sentire quel che dice. Ma posso farne a meno quando voglio, sia chiaro.

    Un giorno, per dir la nostra, accade che mamma cominci a far discorsi sulla luna. È in camera da letto e parla a voce bassa con il Cerino ma io, che sto all’erta, sento quasi tutto, piuttosto chiaramente.

    «Così da vicino sembra un oggetto di famiglia» dice,

    «in particolare a me ricorda una macchia sul muro che guardavo da bambina prima di dormire. Sai», la sento dire, mentre immagino che stia guardando negli occhi il Cerino con uno sguardo con cui dovrebbe guardare solo me e anche un po’ Lina, «le mie notti di bimba cominciavano con una luna privata sulla parete di fronte. Non l’ho mai confidato a nessuno perché pensavo che mia madre avrebbe subito fatto imbiancare il muro, temendo che la luna mi tenesse sveglia la notte». veramente questa mi pare davvero una roba da matti, nonna non è certo tipo da spazzar via le lune dei bambini. Mamma, però, è proprio strana; se fosse mia figlia, forse mi verrebbe voglia di cancellarla, la sua luna, così la sua paura avrebbe un motivo. Sì, credo davvero che darei una bella sistemata al muro, tanto al Cerino cosa vuoi che importi delle lune? Lui ci vive sopra, ma a una tutta sua, piuttosto difficile da scoprire. Se la trovo gliela copro di calce, così vedo se cade giù e se diventa come tutti gli altri papà, anzi, uomini del mondo.

    E infatti il Cerino risponde in un modo che mi lascia di stucco: «Hai visto tutto questo da una distanza ancora tanto grande? Ce ne vuole, perché ti avvicini davvero alla luna». Il Cerino è sempre sorprendente, ma questa...

    Ascolto con attenzione, trattengo il fiato per non coprire con il rumore del mio respiro i bisbigli leggeri. Sento di nuovo mamma: «Troppe antenne sui tetti, le case sembrano... E bisognerebbe ripararle, quelle tegole... Ma sei sicuro che quella fosse la casa dei... vista da qui... Una buona volta ci portiamo un sacco di patate e bombardiamo il quartiere...» e il Cerino: «Forse faresti bene a concentrarti sugli atterraggi...»

    È la parola magica: atterraggi. La rivelazione che aspettavo. Da quel momento mi faccio un po’ imprudente, socchiudo la porta della camera e vedo che mamma e il Cerino sono seduti sul davanzale della finestra, nel buio fitto fitto di una notte senza luna e senza stelle, piena di nuvole scure che minacciano pioggia da un momento all’altro. Non vedo bene, perciò cerco di avvicinarmi ancora: quasi non respiro, un po’ per la paura e un po’ perché non voglio fare il minimo rumore. Striscio per terra, infilo quasi tutta la testa nella stanza. Devo strizzare gli occhi per tentare di distinguere qualcosa ma il buio è veramente fitto, non come nei racconti dove per le finestre passa sempre quel tanto di luce che basta a illuminare l’interno della stanza. Questa è una finestra difettosa, perdiana! La apri ed entra altro buio.

    Ma io non sono una ragazzina paurosa e soprattutto non mi arrenderò proprio ora che sono vicino a scoprire il segreto del Cerino, che ha trasformato la mia mamma in una cosa che non capisco più, anche se mi vuol bene come un tempo e in più ride tanto, in un solo giorno, come in tutti i giorni in cui l’ho vista prima messi insieme. Mi concentro e vedo, vedo, vedo che... Dio mio! Mamma e il Cerino hanno la faccia rivolta al vuoto oltre la finestra e le gambe penzoloni. Parlano tra loro a voce sempre più bassa, dandomi le spalle. Certo, è per questo motivo che non mi hanno notato: mi accorgo, infatti, di essere ormai ben visibile con tutto il busto che sporge all’interno della stanza.

    Ho appena il tempo di rendermi conto di quella situazione tanto pericolosa che accade il fatto: i due s’inclinano in avanti tenendosi la mano; mamma è a sinistra del Cerino e indossa un pigiamino fatto di maglia e braghetta corta, come i miei, mentre il Cerino è vestito, non si capisce come ma sembra un topo notturno. Improvvisamente spariscono, cadendo in avanti, senza un rumore, né un sussurro, né un movimento dell’aria. Davanti a me resta solo la cornice della finestra vuota e un terrore mi riempie il cuore e m’informicola la testa e le orecchie.

    Mi alzo di scatto, esco dalla stanza e mi precipito per le scale: in un attimo sono al pianterreno dove vorrei gridare disperata che mamma e il Cerino sono morti dopo essere precipitati dalla finestra della loro camera da letto. Ma è una cosa troppo complicata da fare per una che ha perso la voce improvvisamente e ha il cuore che sembra un tamburo, e non ha in casa altro aiuto che quello di Lina, figuriamoci, addormentata come un sasso per giunta. Resto quasi stordita per non so quanto tempo, poi, improvvisamente, mi riprendo.

    Non saprei dire perché, decido di risalire le scale e di tornare nella camera di mamma. D’altra parte vado sempre là quando qualcosa mi fa paura; un po’ meno,

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