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Il tram n° 97
Il tram n° 97
Il tram n° 97
E-book213 pagine3 ore

Il tram n° 97

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Info su questo ebook

Una raccolta di racconti che sono le tessere di un mosaico con sfumature rosa.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2023
ISBN9791222405025
Il tram n° 97

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    Anteprima del libro

    Il tram n° 97 - Viviana Solmi

    Viviana Solmi

    Il Tram n° 97

    UUID: 43c74840-83f5-411e-bc13-6c25cd861c13

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    L’universo letterario femminile ha da sempre attirato l’attenzione di pubblico e critica nel corso degli anni, rivoluzionando l’idea stessa di letteratura (poesia, narrativa e teatro in particolare), scuotendo o plasmando le coscienze con uno stile elegante e raffinato, delicato ed efficace.

    A Doll’s House di Ibsen e The Awakening di Kate Chopin smascherano ogni forma di ipocrisia tramite le protagoniste Nora e Edna la cui epifania finale coincide con la fine di un’era e l’inizio di una nuova vita. La donna prende coscienza di sé tramite una riflessione molto profonda su ciò che ha dentro, la parte di sé che giace ben nascosta nel fondo dell’anima.

    Una volta acquisita tale consapevolezza, la donna assume un atteggiamento diverso nei confronti del mondo esterno, un comportamento che alcuni faticano a comprendere all’inizio dell’interazione con la nuova identità cui ci si confronta sul piano formale ed informale.

    Non solo forme e contenuti, ma anche una variazione netta di registri linguistici e lessicali, una sperimentazione che porta verso l’innovazione.

    I venti racconti della Solmi rappresentano dei piccoli quadri di vita realmente vissuta dalle donne protagoniste, quel che esse vivono e sperimentano sulla propria pelle ogni giorno.

    Proprio come nei Dubliners di Joyce, la rivelazione improvvisa che le donne hanno mentre osservano un dettaglio insignificante all’apparenza per esempio porta ad una agnizione, un riconoscimento del proprio ruolo che prima non avevano. Tale scoperta le porta a prendere una decisione netta, senza tuttavia rinnegare se stesse, senza annullarsi per altri, cogliendo la vera essenza della propria esistenza.

    FABRIZIO SPIOTTA

    Il Tram n° 97

    I lampioni del viale erano ancora accesi, soffiava un vento gelido, cadeva una pioggerella di gocce appesantite da cristalli di ghiaccio.

    Il tram arrivò puntuale, era più affollato del solito, evidentemente alcuni passeggeri avevano scelto di prendere il tram anziché un mezzo privato.

    Salì e si accomodò su un sedile accanto al finestrino. Assorta e anche un po’ assonnata, sbirciava il cielo che si manteneva cupo e non prometteva nulla di buono. Infatti ecco i primi fiocchetti di neve appiccicarsi al vetro del tram.

    Il giorno tardava a venire, il tram era sempre più affollato, molti passeggeri erano in piedi, non vedeva l’ora di scendere, anche perché si sarebbe fermata, come ogni mattina, al caffè-pasticceria della piazzetta vicino alla banca dove lavorava, come impiegata, ormai da diversi anni. Quel momento mattutino che era solita prendersi era per lei molto piacevole e irrinunciabile: sorseggiava il suo cremoso cappuccino dove tuffava un friabile croissant traboccante di crema, riuscendo ad estraniarsi da tutto il resto.

    A poco a poco la neve stava imbiancando e ricoprendo strade, tetti, alberi, auto illuminando e rischiarando quella mattinata così opaca. La sua fermata sarebbe stata la prossima, fece per alzarsi dal sedile quando, una frenata un po’ brusca, la fece barcollare fino a perdere l’equilibrio. L’uomo che le era davanti se ne accorse e la sorresse tenendola dalla vita. I due si guardarono per un attimo negli occhi poi lei, con un po’ di imbarazzo, si scusò, molto gentilmente ringraziò l’uomo e velocemente si affrettò a scendere in quanto il tram era già arrivato alla sua fermata e le porte stavano per aprirsi.

    Aprì l’ombrello, camminò fino al Caffè, entrò e si accomodò come di consueto al tavolo vicino alla grande vetrata. Mentre sorseggiava il suo cappuccino, si era incantata ad ammirare quel paesaggio che pareva dipinto da mani esperte e capaci per rendere quel quadro così affascinante. Era ora di andare, gli impiegati dovevano entrare nei loro uffici almeno quindici minuti prima dell’apertura al pubblico della Banca. Durante il breve tragitto ripensò all’uomo che l’aveva aiutata a non cadere, rivide il suo sguardo che le pareva avere un qualcosa di già visto. Tra sé e sé pensò che forse l’avrebbe rincontrato la sera al ritorno sempre sul tram, chissà perché l’idea la stuzzicava e quasi ci sperava.

    Sul tram, sul sedile, era rimasto un fazzoletto bianco, con una lettera ricamata in un angolo, la lettera A di colore verde. Anche se un po’ stropicciato era piegato in quattro, evidentemente era scivolato alla donna o dalla tasca del cappotto o dalla borsa. L’uomo lo vide, lo prese, guardò fuori come se volesse vederla per ridarglielo, poi lo guardò e se lo mise nella tasca. Quasi certo di non rivederla più sarebbe stato un ricordo di quella giornata trascorsa in città. Lui, infatti, era arrivato con il treno quella mattina per motivi di lavoro e sarebbe ripartito la sera. Tuttavia aveva per un attimo pensato anch’egli che, se il caso avesse voluto, l’avrebbe potuta rivedere sullo stesso tram la sera.

    Non sapeva ancora, infatti, che la sera l’avrebbe accompagnato alla stazione un collega, dopo aver mangiato insieme.

    Per fortuna la neve si era trasformata in pioggia, erano già le sei di sera e Anna stava arrivando alla fermata del tram. A causa del nevischio scivoloso sui marciapiedi camminava lentamente facendo molta attenzione ai numerosi piccoli cumoli di neve che si intervallavano insidiosamente. Era quasi arrivata alla pensilina della fermata quando vide sfilarle sotto agli occhi il tram 97, quello che avrebbe dovuto prendere lei.

    Pazienza si disse, aspetterò l’altro, poi aggiunse che l’abbia perso proprio perché sul prossimo vedrò l’uomo che questa mattina mi ha salvata?

    Il tram arrivò in orario, salì, si guardò attorno, c’erano pochi passeggeri, non vide nessuno che conosceva, si mise a sedere vicino al finestrino guardando il traffico di auto e gente che andava di fretta sotto agli ombrelli colorati.

    Infilando la chiave nella serratura della porta di casa e sentendo il tram 97 che se ne stava andando pensò: Forse domani mattina prenderà lo stesso tram di oggi, così lo vedrò, almeno avrò l’opportunità si salutarlo, visto che l’ho solo ringraziato per l’aiuto poi sono scesa di fretta senza aver avuto il tempo per salutarlo.

    L’indomani mattina non vide nessuno.

    Antonio, arrivato a casa e ripreso la vita di sempre, non si capacitava di non ricordare dove aveva già veduto quel volto. Quando apriva il cassetto del comodino e vedeva quella A ricamata di verde su quel fazzoletto gli tornava in mente il tram 97 e quell’insolita passeggera. Una sera, mentre si stava preparando la cena, rimestando gli spaghetti ormai quasi pronti da scolare, lasciò il forchettone di legno che reggeva per rimestare la pasta e si diresse verso la camera da letto, aprì un cassettone del comò dove conservava tutte le foto raccolte in più contenitori, prese quello dove erano raccolte quelle che risalivano agli anni del liceo. Prima ginnasio, l’intera classe insieme all’insegnante: la temutissima ma bravissima professoressa Rossi, eccola, è lei, è proprio lei, Anna! Improvviso si era diffuso un odore acre di bruciato, corse in cucina, gli spaghetti si erano attaccati al fondo della pentola abbrustolendosi decisamente troppo. Da buttare, non si arrabbiò minimamente, era troppo soddisfatto di aver riconosciuta Anna. Pensò che si sarebbe fatto portare una pizza, in fondo ne aveva voglia e, tutto sommato, era quasi contento di dover rinunciare agli spaghetti.

    Non era cambiata, era sempre bella, lo sguardo gentile, solo i capelli erano allora più lunghi, ma sempre scuri, come i suoi occhi, incorniciati da ciglia molto lunghe che rendevano quegli occhi ancor più profondi e difficili da dimenticare.

    Si avvicinava la primavera, le gialle forsizie erano già fiorite, i prati inverditi erano ravvivati dalle piccole margherite e dai nontiscordardime. Quando saliva sul tram 97, saliva con lei, silenziosamente, anche lui, quel pensiero era diventato il suo compagno di viaggio e la faceva sorridere.

    Aveva ferie arretrate, prima o poi doveva consumarle, altrimenti sarebbero andate perse oltre un certo periodo di tempo. Decise che era venuto il momento di cominciare a farlo. Controllò gli impegni lavorativi, le scadenze più vicine, gli appuntamenti, gli incontri, le riunioni. Pensò che la giornata di venerdì della settimana seguente sarebbe stata ottima. Naturalmente doveva recarsi in città un giorno lavorativo per avere qualche possibilità di incontrarla sull’ormai mitico tram 97. Essendoci poi il fine settimana avrebbe potuto fermarsi anche il giorno seguente o, addirittura, l’intero fine settimana. Aveva pianificato ogni cosa, non rimaneva che comunicarlo in ufficio al personale.

    Scese dal treno molto presto, faceva piuttosto freddo, e d’altra parte era montagna e anche in piena estate poteva capitare di sentirsi accarezzare da una brezza frizzantina.

    Stessa fermata, stesso orario, il tram 97 stava arrivando, salì, si guardò attorno, sul momento non vide nessuno, cercava di accettare quella probabilissima delusione che aveva preso in seria considerazione, ma un conto è pensarci alle situazioni, un conto è trovarcisi. Aveva comunque deciso di scendere alla stessa fermata in cui era scesa lei quel giorno. Guardandosi intorno l’attenzione si fermò su una signorina o signora seduta accanto al finestrino, con i capelli neri, disinvoltamente raccolti dietro la nuca, il profilo di quel volto mostrava un nasino piccolino, un po’ all’insù e soprattutto le ciglia sembravano particolarmente lunghe e curate. Fece per avvicinarsi quando la donna si alzò e si avvicinò alla discesa. Lui la seguì, quando il tram arrivò alla fermata aprì le porte, la donna scese, lui dietro a lei.

    Prese il fazzoletto con la lettera A ricamata di verde, le si accostò e le sussurrò:

    «Le è scivolato il fazzoletto». La donna si girò, gli sguardi si incontrarono, «Anna», «Antonio». Erano proprio loro, cari e lontani amici e compagni di scuola,

    Una infanzia e una adolescenza trascorse insieme, quante condivisioni, quante avventure, quante marachelle, quanti giochi, quanti sorrisi, quanti bisticci, quanti abbracci, forti abbracci, indimenticabili abbracci.

    S’incamminarono verso il Caffe dove Anna era solita fermarsi a fare colazione, quella mattina la colazione di Anna fu particolarmente piacevole e, soprattutto, inaspettata, unica e indimenticabile. Chiacchierarono, risero, scherzarono, rivissero aneddoti del loro passato, amici, compagni e chissà quant’altro dovevano ancora dirsi, scambiarsi, raccontarsi.

    Anna doveva andare al lavoro, lui l’accompagnò fino alla Banca, si diedero appuntamento all’ora di pausa del mezzodì per mangiare insieme e poi lui l’avrebbe rivista all’uscita nel tardo pomeriggio per la fine della giornata.

    Passeggiò lungo le vie cittadine, entrò nella cattedrale, arrivò ai giardini, si mise a sedere su una panchina vicino al laghetto, guardò le papere, poi il cigno, che lento e maestoso scivolava sull’acqua, in quell’immagine vide Anna, il suo ritrovato e segreto amore mai a nessuno rivelato, forse neanche a sé stesso.

    Arrivò davanti alla Banca, lei uscì, sorridente, avvolta nel suo soprabito chiaro, un foulard svolazzante le incorniciava il volto e i capelli. Erano alla fermata del tram. Arrivò il tram 97, salirono, fu il viaggio più bello su quel tram 97, che qualche volta aveva anche detestato, o per il ritardo o per l’affollamento o solo perché quella mattina l’avrebbe evitato volentieri.

    Arrivarono alla fermata, scesero, si avviarono verso casa, sentirono il tram ripartire, si voltarono, videro il tram 97 che si allontanava, poi non lo videro più, si guardarono, sorrisero, si abbracciarono, si baciarono e……. chissà se vissero tutti felici e contenti……

    La culla vuota

    Tailleur grigio, valigetta ventiquattr’ore, borsa Prada, décolleté nere.

    «Buona giornata tesoro, ci vediamo questa sera».

    «Buon lavoro Louise, cerca di non stancarti troppo».

    Louise arrivò al Palazzo di Giustizia, parcheggiò nel cortile e, prima di salire in studio, si recò a prendere un cappuccino al Cafè Central della piazzetta.

    Louise era un magistrato molto noto nel settore e si dedicava soprattutto a processi inerenti a reati penali. La sua era una professione particolarmente delicata che richiedeva profonde conoscenze, massima serietà e professionalità, unitamente alla consapevolezza di molteplici rischi e pericoli.

    Louise era sposata con Jean da quasi tre anni, felicemente sposata ma, come le ricordava spesso il marito, era felicemente sposata anche con il suo lavoro!

    Il loro amore era stato un colpo di fulmine che era esploso durante una crociera. Entrambi si stavano godendo una vacanza a bordo della grande e affascinante nave Atlantide. Dopo essersi conosciuti diventarono subito amici, poi qualcosa di più: nel giro di pochi mesi si erano fidanzati e, l’anno dopo, si erano sposati.

    Soprattutto Louise era molto impegnata con la sua attività lavorativa, spesso doveva andare fuori città per udienze, confronti, incontri. Proprio per questo avevano deciso, di comune accordo, di aspettare qualche anno per un eventuale ampliamento della famiglia, questo eventuale ampliamento era stato particolarmente sottolineato da Louise.

    Jean avrebbe voluto accelerare un po’ i tempi ma preferiva non parlarne a Louise, visto che lei cercava sempre di deviare i discorsi sull’argomento oppure si limitava ad annuire con il capo e ripetere, come un ritornello: sì, ci penserò, poi vedremo, prima o poi succederà.

    Quel giorno, quando Jean arrivò in ufficio, vide nella sala riunioni un vassoio argentato colmo di confetti azzurri con fiocco che annunciava l’arrivo di Luc, il primo figlio del suo collega e carissimo amico d’infanzia. Ammirò il vassoio, il fiocco, prese un confetto, se lo mise in bocca e pensò: sono trascorsi tre anni, è arrivato il tempo, tra pochi giorni ricorrerà il nostro anniversario di matrimonio, farò a Louise una meravigliosa sorpresa!

    Ebbene fu sì una sorpresa, un sorpresone, anche se per Louise non fu poi così meravigliosa.

    19 aprile, un normale mercoledì lavorativo. Come sempre Louise sarebbe rimasta al lavoro fino al tardo pomeriggio, anche Jean aveva fatto intendere di dover affrontare una giornata piena e impegnativa, infatti si erano accordati per rimandare i festeggiamenti il sabato successivo, quella sera si sarebbero limitati a una cena al contempo romantica, intima e semplice.

    In realtà Jean si era riservato il tempo necessario per preparare una serata particolarmente romantica e intima e tutt’altro che semplice, ma molto elegante.

    Quando Louise fece ritorno era tutto perfetto: tavolo elegantemente apparecchiato, candele e petali profumatissimi di rose rosse adagiati sul pavimento, sul tappeto, sulla tavola.

    Jean accolse la moglie donandole una rosa, le disse di prepararsi per la cena prendendosi tutto il tempo che le occorreva, lui l’avrebbe attesa nella sala.

    Louise rimase, sulle prime, un po’ stordita, incredula, non riusciva ad immaginare il seguito, ancora non aveva visto niente, se non Jean elegantissimo.

    Si fece un bagno rilassante, indossò un abito rosso, molto elegante, attillato e con una profonda scollatura sul dietro. Gli unici gioielli erano gli orecchini e al dito lo smeraldo che aveva coronato il loro fidanzamento. Quando arrivò, Jean le fece trovare sul tavolo un prezioso e raffinato collier che lui stesso provvide a farglielo indossare.

    Era una serata da sogno, incantevole, ma l’evento più emozionante doveva ancora accadere……

    «Louise, la gioia più grande per me è quella di volerti donare tutto il mio amore perché tu possa essere mamma ed io papà!»

    Se poco prima si era sentita stordita ora si sentiva confusa, esterrefatta, incredula; non riuscendo ad emettere sillaba lo abbracciò forte e stretto, come mai aveva fatto. Non avrebbe voluto staccarsi per non mostrare il suo imbarazzo e la sua meraviglia, era spiazzata, non sapeva come comportarsi, balbettò qualcosa. Jean non aveva dubbi: Louise stava provando una gioia incontenibile. Purtroppo la verità era che per Louise diventare mamma era l’ultimo dei suoi pensieri, non sentiva quel senso materno che potesse farle desiderare di avere un bambino. Per non rovinare una serata che era cominciata in modo così unico e bello e soprattutto per non dare un dispiacere al marito, con una lacrima che le stava rigando il viso come se fosse arrivata in suo aiuto, disse: «sì, sarebbe meraviglioso», lasciando poi cadere l’argomento.

    Ma le sorprese non erano finite: Jean, che cercava di contenere il suo entusiasmo, la prese per mano e l’accompagnò nella cameretta, ancora

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