Quella invisibile fragilità: Un caso inquietante, un giallo dalle tinte noir
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Info su questo ebook
Silvana Canevelli è nata a Genova dove si è laureata in Lingue e Letterature Moderne. Insegnante e pubblicista, collabora con quotidiani e periodici con saggi e racconti. Tra le sue opere, traduzioni di volumi di narrativa, la silloge di racconti Sapore di sale (1981), il romanzo Una ragionevole abdicazione (1995), Diritto di parola, voci significative di scrittrici liguri (2006), Etica tecnologi mercato, una convivenza possibile? (2008), La villa arancione (2014). Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato i romanzi Di settembre a Camogli (2005) e La casa dei limoni (2008).
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Anteprima del libro
Quella invisibile fragilità - Silvana Canevelli
Febbraio 2012
Jessica uscì dal bar sbattendo la porta. Stava nevicando dalla mattinata, fiocchi che si posavano sui suoi capelli rossi scarmigliati che pizzicavano un viso molto bello, picchiavano contro un corpo morbido. Maledetta questa neve, lontano il senso di magia che provava quando era bambina. Ora il senso di magia riusciva solo ad acchiapparlo con bicchieri di alcool, con qualche estasiante pillola e con lui. Lui… bastava non calpestare la neve, lasciare nascosti i dubbi, le difficoltà, il senso di un amore impossibile, bastava non calpestare, non calpestare e godersi la superficie bianca in un’illusione di amore perfetto. Le era piaciuto subito. Un burattino magnifico lanciato sul palco per sbaglio. E gli occhi grigio verdi stupiti, imbarazzati, no, lui non doveva trovarsi lì, in quell’aula universitaria, l’ora di diritto del lavoro, a consegnare fogli all’esimio professore, a segnare il loro destino; i loro occhi si erano incontrati per un attimo, lei che si era accesa come mai le era capitato, lui che si era appoggiato al suo sguardo azzurro a lungo. Un breve sospiro prima di dissolversi oltre la porta. Però l’aveva trovato fuori dall’aula che leggeva un quotidiano. Lei lo aveva sfiorato con la sua ombra, lui aveva continuato a leggere. Allora Jessica si era voltata, gli aveva coraggiosamente chiesto: Ha bisogno di aiuto? Si è perso?
Aveva riso.
Lui l’aveva guardata serio, cielo come era affascinante, le labbra che si appoggiavano su un inizio di barba, il naso fragile, il corpo morbido, appena piegato.
No, grazie.
Scusa, ma sei un professore?
aveva detto lei, il tu le era venuto spontaneo, il bisogno di accorciare le distanze, di abbassarlo alla sua età anche se doveva essere oltre i quaranta. Lui si era dondolato un secondo, poi senza sorridere, aveva detto: No, lavoro in uno studio di avvocati.
Ah.
Lui allora aveva piegato il quotidiano, l’aveva guardata.
Posso offrirti un caffè? Eugenio…
Jessica
le mani calde che si toccavano. La loro storia era cominciata da un caffè, senza zucchero per lui, decaffeinato per lei.
Poche parole dopo aver sorseggiato in fretta.
Sei bellissima… sono sposato.
Lei l’aveva guardato dritto negli occhi.
Eh allora? Possiamo essere amici.
Certo… Andiamo? A casa tua?
aveva detto con dolcezza lui.
Lei aveva cercato la sua mano, aveva detto: Occupo l’appartamento con due studentesse… non è possibile.
Erano finiti a letto dopo mezz’ora, in un motel vicino all’università. Come se i loro corpi si conoscessero da sempre.
Ti vorrei rivedere, aveva detto lui dopo, ora però devo andare. Dammi il tuo cellulare… ti telefono io.
Fallo, eh, Genny… ti spiace se ti chiamo Genny…
Genny, certo… però ora ci separiamo…
Lui si era avviato al posteggio, lei verso la fermata dell’autobus.
Quella sera Jessica aveva fatto una telefonata.
Sono io. Volevo dirti che è meglio non vederci più. No, non ho trovato un altro, e poi se fosse… e non minacciarmi, capito? È finita vuoi capirlo. Ah vuoi continuare a rompermi… ma va’ al diavolo!
Aveva interrotto la comunicazione, aveva spento il cellulare. Genny aveva telefonato dopo due giorni.
Ti voglio… nello stesso motel?
Si incontravano un paio di volte alla settimana, sempre prima di cena.
E tua moglie?
aveva osato lei una volta.
Lasciala fuori… Questi sono i nostri momenti.
Quella sera le aveva regalato una collana d’argento con un ciondolo di topazio azzurro. Lei gli aveva sorriso mettendosela al collo.
Non me la toglierò mai.
Poi un giorno le aveva fatto capire che sua moglie era molto ricca, che gli era indispensabile.
Anche se sono pazzo di te, ho bisogno di lei…
Sei pazzo di me?
Sì.
Una sera d’autunno accarezzata da colori smaglianti, quasi otto mesi che si conoscevano, lui le stava dicendo con gli occhi lucidi, che la loro storia doveva finire, che sua moglie aveva intuito. Non le avrebbe mai più telefonato. Era andato via senza toccarla, senza guardarla, piegato in due. Lei aveva capito che era veramente finita dopo una settimana quando l’aveva incontrato per caso, era con una signora, elegante, piuttosto bella. Lui aveva fatto finta di non vederla. Aveva pianto tutta la sera, si era scolata un’intera bottiglia di whisky, si era svegliata la mattina dopo con un terribile mal di testa. Dopo un mese aveva incontrato Angy. Frequentava la sua stessa facoltà ma più i corridoi delle aule, e pareva un palestrato di periferia. Le arrivava alle spalle, spalle quadrate che incorniciavano un corpo robusto, gradevole. Ma era il viso che spandeva simpatia. Occhi che ridevano su di lei, la svegliavano dalla sua malinconia. Aveva poi saputo che abitava in una villa sulle colline di Albaro con i suoi. Si era messa con Angy per gioco, una mosca che però le ronzava attorno un po’ troppo. Le telefonava se non la incontrava, voleva sapere dove fosse, si inventava che l’aveva vista con un altro. E al suo diniego rispondeva puntualmente Sarà ma non ci credo.
Una storiella di poco conto perché lei pensava sempre all’altro. Una mattina furiosa di libeccio, Genny le aveva telefonato.
Ti devo vedere… mi manchi.
Dove? Quando?
La felicità che la inzuppava tutta.
Oggi, alle cinque, dove vuoi te… ti vengo a prendere…
Al capolinea del 15… ho un’amica che ci ospiterebbe
.
Bene… a presto.
Alle cinque in punto era salita sulla sua auto. Lui l’aveva sfiorata con lo sguardo
Dove mi porti?
Vai in corso Italia, poi verso la fine ti immetti nella corsia opposta e giri nella prima stradina a destra…
Erano arrivati dopo dieci minuti. Lei era scesa, si era avviata verso il portone dell’elegante palazzina, lui aveva posteggiato. Poi erano saliti. Aveva aperto una graziosa biondina, con un sorriso aveva detto a Jessica: Poi chiuditi la porta alle spalle. La casa è libera fino alle undici.
Grazie, Stella.
Di niente…
una rapida occhiata a lui Buona serata.
Ed era sparita nelle scale. Lei lo aveva preso per mano, lo aveva guidato verso una porta. La camera era piccola, occupata quasi per intero dal letto ad una piazza e mezzo. Si spogliarono con furia, i loro corpi incollati che scivolavano a destra, a sinistra, si disincollavano per riacchiapparsi con morsi che vomitavano saliva. Poi pause che covavano un desiderio che li riavvicinava… Alle undici meno cinque si erano rivestiti; erano scappati da quella camera, da quell’appartamento, erano saliti sull’auto bagnata di nevischio, frastornati, confusi, felici, disperati. Lui le aveva detto deciso: "Lascio mia moglie. Voglio stare con te per tutta la vita… Posso rivederti domani e dopodomani e… e per sempre.’’
Jessica disse di sì.
Però ti voglio portare in un posto che amo particolarmente, un posto dove faremo insieme un percorso all’indietro e da lì partiremo per essere te ed io soltanto.
Lei rise. Adamo ed Eva?
Sì nel nostro paradiso terrestre.
La guardò con dolcezza Ti amo, Jessica, per la prima volta amo. Il resto era solo una sovrapposizione di sensazioni… ti vengo a prendere con l’auto.
No, ci vediamo dal palazzo della Borsa. Le auto non riescono ad infilarsi nella mia stradina.
Ricordati di portarti un trolley, come facessi un viaggio lunghissimo e… e non dire a nessuno dove siamo, qualcuno forse ci odia, potrebbe farci, farti del male.
Lei annuì, pensando alle parole di un suo ex che non sopportava l’idea di essere stato tagliato fuori.
Una farfalla volò verso di lui.
Vieni… ho posteggiato qua dietro.
Lei lo seguì, il fiore su cui si sarebbe posata per sempre.
Guarda che ti porto in un posticino modesto. Ti porto a scoprire le mie origini, la casetta dove sono nato, ho vissuto con mia nonna e mia madre, mio padre navigava e non era quasi mai a casa.
Una traversa di corso Europa, palazzi vecchi che si sostengono a vicenda, una lunga scala e poi il portone a destra che si aprì con fatica e li immise in un atrio scuro.
Mi spiace, non c’è l’ascensore ma dobbiamo andare solo al terzo piano
rise. Vuoi che ti porti in braccio?
Oltre al trolley? Sei troppo vecchio per farlo
scoppiò in una risata allegra.
Allora lasciamo la valigia qua, tornerò a prenderla.
La sollevò, le baciò il piccolo neo sul collo e arrivò in cima senza fiato.
Hai ragione, sono un vecchio innamorato.
Ma va’, apri e mollami.
Un sentore di vecchio, rassicurante, si sprigionava da vissuti mobili in legno, una cucina col lavandino in marmo e una madia che nascondeva segreti.
Un anno che mia madre è morta, e la casa è rimasta vuota. Non ho più nessuno.
Un piccolo arco divideva la cucina dal tinello.
Io studiavo qua e annusavo il ragù della nonna e sognavo di incontrare una ragazza come te…
Io ho avuto un infanzia disastrosa… beh ora ho te.
Le prende la mano Vieni. Ti faccio vedere la mia camera
.
Un letto, un armadio, un tavolino, una sedia in legno chiaro, tanti libri e il fantasma di un ragazzino timido, bellissimo e poi le stanze dei suoi, della nonna, armadi fino al soffitto, letti vecchi intrisi di sospiri repressi.
Stamane ho fatto la spesa, ho aperto le finestre, ho messo lenzuola, coperte pulite nei letti.
"Mi piacerebbe dormire nel tuo letto.
Ci staremo stretti…
È quello che voglio.
Scendo a recuperare la valigia.
Jessica prese un bicchiere dalla madia. Lo riempì di acqua dal rubinetto, bevve avidamente. Poi si avvicinò alla finestra della cucina, spostò le tendine a fiori. Laggiù nell’aria della sera una figura stava ciondolando… Rabbrividì.
Hai freddo?
Le chiese Genny alle spalle. Toccò il calorifero Funziona
.
Non ho freddo, ho solo paura, ho sempre la sensazione che qualcuno mi segua… ma forse è una mia fissazione e poi con te mi sento al sicuro.
Lui mise su l’acqua, poi buttò