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Desiderio proibito: Harmony Collezione
Desiderio proibito: Harmony Collezione
Desiderio proibito: Harmony Collezione
E-book168 pagine2 ore

Desiderio proibito: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

I Fitzroy 1
Entra nell'aristocratica famiglia Fitzroy, dove scioccanti segreti conducono a scandalose seduzioni.


Su una carrozza di prima classe, ma senza biglietto: non è certo questa la situazione ideale per conoscere Kit Fitzroy, ricco e celebrato fratello del suo amico Jasper. Sophie Greenham ne è consapevole, ma l'attrazione che si sprigiona fra loro è tanto forte quanto inaspettata.
Nonostante non si sia mai fermato davanti a niente, Kit è spaventato dal ritorno al maniero di famiglia. Per fortuna la contagiosa allegria della bella Sophie riesce a far disperdere le ombre della sua tormentata anima, lasciandolo però con un irresistibile desiderio per l'unica donna che non può avere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788858984215
Desiderio proibito: Harmony Collezione
Autore

India Grey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Desiderio proibito - India Grey

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Craving the Forbidden

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 India Grey

    Traduzione di Paola Mion

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-421-5

    1

    Signore e signori, benvenuti a bordo dell’East Coast Mainline delle 16.22 in servizio da King’s Cross a Edimburgo. Questo treno ferma nelle stazioni di Peterborough, Stevenage...

    Il cuore che batteva forte per la corsa lungo il binario con la valigia ricolma fino a scoppiare, Sophie Greenham si appoggiò alla parete interna della carrozza e lasciò andare un lungo sospiro.

    Ce l’aveva fatta.

    Per la verità, il suo sollievo era forse un po’ fuori luogo, dal momento che arrivava direttamente dai casting di un film sui vampiri e indossava ancora un vestito nero di seta con tanto di corsetto che le copriva a malapena il sedere e un paio di stivaloni dal tacco altissimo, più da vamp che da vampiro. Ma l’importante era che era riuscita a prendere il treno, così non avrebbe mancato l’incontro con Jasper. Doveva solo tenere chiuso il cappotto, in modo da non essere arrestata per oltraggio al pudore.

    Non che fosse sua intenzione toglierselo, pensò stringendosi addosso l’indumento di foggia militare mentre il treno cominciava a muoversi con un piccolo scossone. Erano settimane ormai che la neve continuava a cadere da un cielo grigio peltro e tutti i giornali non facevano altro che parlare del Grande gelo. Anche Parigi era stata devastata da quell’inverno polare, anche se almeno là la neve sembrava un po’ più pulita. Quando Sophie aveva lasciato il suo piccolo appartamento in affitto due giorni prima, una sottile lastra di ghiaccio si era formata sulle finestre. Le sembrava di avere freddo da una vita.

    Stava già facendo buio. Le finestre illuminate degli uffici scorrevano lungo la linea della ferrovia, rovesciando quadrati di luce sulla neve sporca. Nel cambiare binario, il treno oscillò sotto di lei e la colse impreparata, facendola vacillare su quegli stupidi tacchi, tanto che quasi cadde contro un allarmato studente che tornava dalla carrozza ristorante. Doveva davvero trovare il modo di cambiarsi per essere un po’ più presentabile, ma adesso che si era finalmente fermata si sentiva sopraffatta dalla stanchezza. Sollevando la pesante valigia, barcollò verso il vagone successivo.

    Ebbe un tuffo al cuore. Era ovvio che i posti erano tutti occupati e il corridoio era ingombro di pacchi, valigie e indumenti pesanti. Chiedendo scusa per gli urti, proseguì a fatica per tutto lo scompartimento. Quello dopo era come il precedente. La sensazione di trionfo che aveva provato quando era riuscita a salire sul treno stava lentamente scemando mentre percorreva una carrozza affollata dopo l’altra, finché giunse in una che sembrava meno gremita.

    Per un attimo rilassò le spalle doloranti, ma poi si tese di nuovo quando notò il corridoio rivestito di moquette, le luci discrete ai tavolini e le protezioni degli schienali con la scritta Prima classe.

    Accidenti.

    Gli occupanti erano perlopiù uomini d’affari che non si degnarono neppure di alzare lo sguardo dai loro laptop o dai giornali. Finché il suo cellulare prese a squillare. La suoneria Je ne regrette rien le era parsa spiritosa a Parigi, ma in quel vagone silenzioso perdeva un po’ del suo fascino. Reggendo la valigia con una mano, frugò nella tasca del cappotto con l’altra nel tentativo di fermare la suoneria, mentre l’indumento si apriva rivelando il suo abbigliamento horror e le teste dei presenti si giravano con occhi che la guardavano al di sopra degli occhiali o al di sotto delle tese dei cappelli. Nella disperazione, Sophie buttò praticamente la borsa contro il tavolo più vicino e riuscì a tirar fuori il telefono giusto in tempo per vedere il nome di Jean-Claude sul display.

    Accidenti di nuovo.

    Due mesi prima avrebbe avuto una reazione molto diversa, pensò, premendo il pulsante per rifiutare la chiamata. Ma due mesi prima l’immagine di Jean-Claude come artista parigino dallo spirito libero era ancora intatta. Le era sembrato così riservato quando l’aveva notato, mentre portava dei quadri sul set del film nel quale lei stava lavorando. Riservato e a dir poco meraviglioso. Non certo una persona possessiva, soffocante, o...

    No. Non avrebbe ripensato al disastro che era stata la sua ultima storia d’amore.

    Si lasciò cadere sulla poltrona più vicina, improvvisamente troppo stanca per andare oltre. Non puoi muoverti all’infinito, si disse con cupo umorismo. Sul sedile di fronte era seduto l’ennesimo uomo d’affari nascosto dietro un giornale, sul retro del quale era in bella mostra la colonna dell’oroscopo. Per la verità non era completamente nascosto. Sophie poteva vedere le sue mani che reggevano il giornale. Abbronzate, dalle dita lunghe e forti. Non erano le mani di un uomo d’affari, pensò, distogliendo lo sguardo e cercando il segno della Bilancia. Preparatevi a lavorare sodo per fare una buona impressione, lesse. La luna piena del giorno 20 sarà l’occasione perfetta per lasciare che gli altri vi vedano come realmente siete.

    Cavoli, era proprio quel giorno il 20! Era pronta a una recitazione da Oscar per impressionare la famiglia di Jasper e l’ultima cosa che voleva era che la vedessero come realmente era.

    In quel momento Edith Piaf prese a cantare di nuovo sul suo cellulare. Sophie fece una smorfia. Perché Jean-Claude non le dava tregua? Prese il telefono per rifiutare di nuovo la chiamata, ma in quel momento il treno si inclinò e accidentalmente lei premette il tasto di risposta. Un attimo dopo la voce del suo ex, impastata di Merlot, risuonò chiaramente alle sue orecchie... e a quelle di una quindicina di uomini d’affari. «Sophie? Sophie, dove sei?»

    Pensò in fretta, interrompendolo prima che potesse continuare. «Risponde la segreteria telefonica di Madame Sofia, astrologa e cartomante» recitò, gettando indietro la chioma rossa e socchiudendo gli occhi al riflesso che il finestrino le rimandava dall’oscurità. «Se lasciate il vostro nome, numero e segno zodiacale, vi invierò le informazioni su ciò che il fato ha in serbo per voi.» Si fermò di colpo, dimenticando il senso di ciò che diceva, una scarica di elettricità che la percorreva mentre si rendeva conto che stava guardando dritto negli occhi l’uomo seduto di fronte a lei.

    O meglio, che lui la stava fissando dal riflesso nel finestrino. La testa era abbassata, il viso sembrava quello di un fantasma nel vetro, ma gli occhi scuri la guardavano con insistenza.

    Per un attimo Sophie non poté fare altro che guardarlo a sua volta. Contro il bianco lucente della camicia la sua pelle appariva abbronzata, il che sembrava in qualche modo poco consono alla sua espressione austera e scarna. Pareva l’immagine di un cavaliere medievale di un dipinto preraffaellita, bellissimo, esangue e remoto.

    In altre parole, tutt’altro che il suo tipo.

    «Sophie... sei proprio tu? Riesco a malapena sentirti. Sei su un Eurostar? Dimmi a che ora arrivi e verrò a prenderti alla Gare du Nord.»

    Ops, si era dimenticata di Jean-Claude. Riscuotendosi, riuscì a distogliere lo sguardo dal riflesso dell’uomo nel finestrino e a riportare l’attenzione al problema che aveva letteralmente per le mani. Avrebbe fatto meglio a essere chiara, o il suo ex avrebbe continuato a chiamarla per tutto il weekend che avrebbe trascorso con la famiglia di Jasper, rovinando l’immagine che voleva dare di una dolce e affettuosa fidanzata. «Non sono su un Eurostar. E non tornerò questa sera.»

    «Alors quando?» domandò lui. «Il quadro... ho bisogno di te qui. Devo vedere la tua pelle, sentirla, per catturare il contrasto con i petali dei gigli.»

    Nudo con gigli era il titolo della visione che Jean-Claude diceva di avere avuto quando l’aveva vista in un bar a Marais, vicino al set del film che stava girando. Sophie, lusingata dai complimenti stravaganti che lui le aveva rivolto – la pelle candida come i petali dei gigli e i capelli fulvi come fiamme vive – aveva pensato che farsi fare il ritratto poteva essere un’esperienza stuzzicante.

    La realtà si era rivelata sia emotivamente fredda che mentalmente noiosa. Ma, se lo sguardo di Jean-Claude avesse suscitato in lei una reazione simile a quella provocata dagli occhi dell’uomo nel finestrino, la faccenda sarebbe stata molto diversa.

    «Oh, caro. Magari puoi disegnare qualche altro giglio in modo da coprire la pelle?» Respinse una risatina e continuò in tono più gentile. «Ascolta, non so quando sarò di ritorno, ma quello che è accaduto fra noi non era una cosa... per sempre, no? Davvero, è stato solo sesso...»

    Piuttosto opportunamente, in quel momento il treno entrò in una galleria e la linea cadde. Contro l’oscurità all’esterno, il finestrino rifletteva la luce accesa all’interno del vagone e per un attimo Sophie colse gli occhi dell’uomo di fronte a lei e seppe che la stava guardando ancora. Il grigio della sera all’uscita della galleria fece impallidire il riflesso prima che lei avesse il tempo di leggere l’espressione di quel viso, ma non aveva dubbi sul fatto che fosse di disapprovazione.

    In quel momento aveva di nuovo otto anni, la mano in quella di sua madre, consapevole che la gente le guardava e le giudicava. L’antica umiliazione le bruciò dentro come se sentisse la voce di sua madre nella testa, stridente. Ignorali, Summer. Abbiamo diritto quanto qualsiasi altro di essere qui...

    «Sophie?»

    «Sì» disse, d’improvviso più conciliante. «Mi dispiace Jean-Claude, non posso parlare di questo adesso. Sono in treno e non c’è molto campo.»

    «D’accord. Ti chiamo più tardi.»

    «No! Non puoi chiamarmi questo weekend. Io... devo lavorare e sai bene che non posso portare il telefono sul set. Senti, ti chiamo quando tornerò a Londra lunedì. Potremo parlarne allora.» Era una cosa stupida da dire, pensò adirata chiudendo la comunicazione. Non c’era nulla di cui parlare. Quello che lei e Jean-Claude avevano condiviso era stato divertente, ma finiva lì. Era una romantica avventura d’inverno a Parigi, punto e basta. E adesso era arrivata alla sua naturale conclusione ed era ora di cambiare.

    Di nuovo.

    Facendo scivolare il telefono nella tasca, si girò verso il finestrino. Fuori aveva ripreso a nevicare e Sophie vide i lampioni accesi lungo le vie di un’anonima città, file di casette ordinate con le loro tende chiuse contro la fredda sera invernale. Immaginò le persone dietro quelle tende: famiglie sedute assieme davanti alla TV, coppie abbracciate sul divano, tutti uniti contro il gelido mondo esterno.

    Un velo di depressione le scese addosso. Tornando da Parigi l’ultima volta aveva scoperto che, in sua assenza, il ragazzo della sua coinquilina si era trasferito da loro e adesso l’appartamento si era trasformato nel quartier generale di una deliziosa coppia della buona società. L’atmosfera di allegra noncuranza in cui lei e Jess avevano vissuto era svanita. La casa era immacolata, c’erano nuovi cuscini sul divano e candele sul tavolo della cucina.

    La richiesta di S.O.S. lanciatale da Jasper – che la supplicava di recarsi nel Northumberland nella casa di famiglia per impersonare il ruolo della sua ragazza per il weekend – era arrivata come una perfetta via di fuga. Ma questo era il modo in cui andava sempre, pensò tristemente Sophie, mentre la città spariva dietro di loro e il treno proseguiva la sua corsa nell’oscurità della campagna. Tutti si accoppiavano e lei era l’unica a restare sola, l’unica che non desiderava una relazione o un legame impegnativo. Anche Jasper mostrava segni preoccupanti di cambiamento da quando le cose con Sergio si erano fatte serie. Ma perché essere seri, quando ci si può divertire?

    Afferrò la valigia e, alzandosi in piedi di colpo, la infilò nella rastrelliera sopra la sua testa. Non fu un’operazione facile e, mentre si allungava, sentì che l’abito già ridotto saliva ancor di più e, peggio, che il cappotto si apriva lasciando intravedere il bustino nero e una quantità indecente di pelle nuda. Sentendosi formicolare per l’imbarazzo, spiò il riflesso nel finestrino. L’uomo di fronte a lei non la stava guardando affatto. La testa adesso era reclinata all’indietro contro lo schienale, il viso spento e remoto come se fosse assorto nella lettura del giornale. In qualche modo la sua indifferenza la contrariò più della sua precedente disapprovazione.

    Chiudendo il cappotto, tornò a sedersi, ma nel farlo le sue ginocchia urtarono quelle di lui sotto il tavolino. Raggelò e una doccia di scintille lucenti sembrò percorrerla. «Scusi» mormorò, scostando le gambe e piegandole sotto il proprio sedile.

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