Re minore
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Anteprima del libro
Re minore - Claudio Migliardi
UNO
Bari è cambiata, caro mio! Ma dove cazzo la trovi una città così bella, così piena di luce e di colori a dicembre. Altrove stanno già belli imbacuccati, giubbotti e sciarpe, e noi ci facciamo questa bella passeggiata fra mare e cielo.
Paolo aveva ragione. Il sole di quel mercoledì mattina era accecante, ancora basso sul mare che regalava sfumature di un azzurro intenso che avrebbero richiesto maggiore attenzione ed ispirato ben altra compagnia. Ma in realtà era lui la compagnia ideale per quella passeggiata sulla muraglia che separava la città vecchia dal mare, con quel sole ad abbagliarci e a scaldarci la faccia, con quel viavai di gente indaffarata e qualche turista mattiniero e fuori stagione. La muraglia, la passeggiata più bella della città, partiva da Santa Scolastica e portava al Fortino, per poi svoltare lungo una dolce discesa che finiva nelle piazze che, di sera, erano gremite di ragazzi, attraversate dai loro sguardi curiosi, sempre alla ricerca di un cenno d’interesse di altri cacciatori e cacciatrici, embrioni di lunghi amori o di pochi minuti di passione, chissà. Arrivammo davanti al Fortino e ci fermammo a guardarne l’ingresso.
Pochi giorni e qui ci sarà il casino – disse, entusiasta come un ragazzino – per l’inaugurazione abbiamo dovuto stampare il doppio degli inviti previsti. Sarà un casino.
Continuammo il nostro giro addentrandoci nei vicoli, le viuzze tipiche del borgo tornate a nuova vita dopo il rilancio urbanistico che le aveva fatte diventare di moda fra i benestanti e le menti illuminate della città. Con il centro a due passi e il mare a fare da cornice, del resto, abitarci era comodo per i proprietari dei negozi finalmente liberi dallo stress del traffico. Passammo davanti al forno più antico della città, con i panettieri bianchi come spettri e la proprietaria intenta nello smistare i prodotti affidandoli ad un paio di fattorini in bicicletta per le consegne. Dopo un lungo e lento giro, m’invitò a prendere un caffè a casa sua, sul balconcino che dava sul lungomare. Paolo era un fiume in piena, al suo proverbiale eloquio si univa il ronzare di api che aveva nella testa, l’entusiasmo per l’avventura che stava per iniziare. Passammo un paio d’ore a ridere e scherzare, poi interruppi il suo sghignazzare, mentre i suoi occhi chiari lampeggiavano per la gioia mista all’ansia, visto l’investimento che stava affrontando tutto solo, senza soci o finanziatori, senza aiuti familiari o reti di sicurezza. Per me era ora di pranzo, il sacro momento dedicato alla mia Chiara, il nostro tavolino, le nostre chiacchiere, la nostra piccola pausa dal mondo. Lo lasciai alle sue nuvolette nella testa e mi affrettai per la discesa, fino ad arrivare in Piazza del Ferrarese, circondata da tavolini ed ombrelloni bianchi, arrivando trafelato davanti al lei, seduta ed innervosita dal mio ritardo.
Sempre puntuale, eh… e sei pure in ferie… eri dal tuo amico, vero?
Mi misi seduto affiancato a lei, baciandola sulla guancia e richiamando l’attenzione del cameriere.
Ma devi sempre rompere le palle tu, eh? Sembri una moglie…
Mentre continuavo a stuzzicarla, arrivò un ragazzo bruno e magro ed ordinammo un pasto veloce con due spremute d’arancia.
Se fossi tua moglie faresti una brutta fine, non te la darei più!
Rise soddisfatta, mentre io le scuotevo un gomito come per mandarla a quel paese. Rimanemmo insieme a ciacolare, con panini imbottiti di verdure colorate e succo d’arancia, poi lei guardò l’orologio e si fece frettolosa. Andò a pagare la sua parte, come da contratto fin dal primo giorno dei nostri brevi incontri, e prese la sua roba.
Scappo. È periodo di chiusura dei bilanci e degli ultimi pagamenti. Dicembre… - sospirò.
Inforcò degli occhiali scuri che facevano contrasto con la sua pelle chiarissima ed andò via con passo rapido ed ansioso. Portava uno spolverino scuro sul quale danzavano lunghi capelli biondi e lisci, il suo marchio di fabbrica. Anche l’accento toscano lo era, ma ormai mi ci stavo abituando. Accompagnai con un sorriso affettuoso il suo camminare di fretta e la vidi sparire oltre la piazza, verso l’ufficio che l’aspettava per la seconda parte della giornata. Io no, non lavoravo in quei giorni. Avevo accumulato troppi giorni di ferie e mi avevano imposto uno stop fuori stagione. Pagai il mio conto e mi avviai verso casa, verso il greve grigiore delle mura domestiche e della loro regina. Dopo venti minuti infilai la chiave nella toppa, la casa era vuota causa palestra. Da un paio d’anni Rossella era stata presa dalla passione per lo sport, fra danze caraibiche e sedute con piccoli pesi, probabilmente oppressa dall’idea di approssimarsi ai quarant’anni, anche se le avevo più volte fatto notare che ne aveva ancora trentasette e che ogni parte del suo corpo era degno di una ventenne. Ma niente, andava così. E la casa sembrava in stato d’abbandono, trascurata e disordinata. Il soggiorno era molto luminoso a quell’ora e stendermi sul divano fu piacevole. La tv mi aiutò ad assopirmi, nell’attesa che la mia insoddisfatta compagna di vita rientrasse dopo le evoluzioni sportive. Il rumore della porta che si chiudeva mi svegliò, erano passate forse due ore e lei entrò con fare frettoloso.
Ciao. Faccio una doccia e scappo, sono un po’ in ritardo.
In ritardo per cosa… - chiesi distrattamente.
Cinema con amiche, poi faremo qualche altra cosa, che t’importa?
Non replicai. In effetti, non me ne fregava niente. La sentii affaccendarsi verso il bagno, lo scroscio d’acqua della doccia ed altri rumori consueti mi facevano intuire i suoi movimenti. Mi avvicinai al bagno, la porta era chiusa. Bussai.
Proprio adesso? Non puoi aspettare?
Non mi serve il bagno – dissi, aprendo la porta. Mi fermai sulla soglia, poggiato ad uno stipite a guardarla mentre sfilava l’accappatoio.
Ti fa proprio bene lo sport… quasi quasi…
Il mio approccio andò a vuoto. Lei si sfilò dal mio abbraccio e si affrettò con la biancheria intima. Ma io non demordevo.
E questi slip, lo sai che ti stanno proprio bene? Sono nuovi.
Dai, smettila che vado di fretta. Ma stai sempre arrapato? Dopo tutti questi anni…
Dieci, per la precisione. E dovremmo essere nel pieno della nostra attività sessuale. Dovremmo…
Sì, sì… facciamo che ne riparliamo, eh? – aveva finito di vestirsi e quasi mi passò sulla testa per farsi strada verso la camera da letto. Prese giacca e borsa e le squillò il cellulare. Rispose ansiosa, poi fu tutto un ridere pieno di misteriose allusioni. Sentivo la voce della sua amica fare altrettanto, mentre la vedevo infilare la porta con passo veloce. Feci un paio di telefonate, poi rimasi nel silenzio, con una sensazione di vuoto, assenza, inutilità. Controllai la posta sul computer. Dall’ufficio mi chiedevano indicazioni su alcuni fascicoli. Mi limitai a ricordar loro le regole di base, seguendole avrebbero trovato ogni cosa, l’archivistica è precisione, rigore, fedeltà alle regole iniziali, almeno in quei casi così semplici. Un paio di messaggi dalla segreteria del sindaco, voleva parlarmi ma avrebbe aspettato, dopo avermi imposto quei giorni di ferie senza darmi alternative. Guardai attorno a me, la casa era priva di vita. La cucina fredda e buia, la camera da letto disordinata ma c’era soprattutto un gran silenzio. Il telefono mi salvò da quella bolla senza tempo.
Torta? – chiese una voce sgarbata e senza tono
Sono Alex Torta, chi parla?
Comando Carabinieri di Bari, attenda in linea!
Attesi qualche minuto, poi un nuovo interlocutore prese vita. Questo aveva accento salentino e tono amichevole.
Dottor Alessandro Torta? È lei?
Sono io – dissi, infastidito ed impaziente – Lei chi è, per favore…
Tenente Marsano del Comando Provinciale Carabinieri. Vorrei convocarla per un incontro informale. Sarebbe disponibile domattina?
Per me andrebbe bene anche adesso… - replicai ansioso e curioso.
Non credo sia possibile, domattina alle nove al Comando di Bari, sa dov’è?
Certo…
Senta, l’incontro è molto confidenziale. Devo chiederle di non farne parola con nessuno, neanche in famiglia.
D’accordo, non abbia dubbi.
La telefonata terminò così, lasciandomi indifferente. Pensai che avessero bisogno di qualche tipo di consulenza per le loro carte. Feci una cena frugale e mi misi a letto in compagnia della tv. Quando Rossella rincasò non la sentii, immerso in un sonno profondo ed indifferente alle ansie del mondo.
Al mattino, come ormai accadeva spesso, lei dormì fino a tardi. Uscii di casa senza svegliarla e mi affrettai a piedi per tutto il centro percorrendo anche un lungo tratto del lungomare monumentale, quello fatto di edifici pubblici ed antichi palazzi nobiliari, fino alla caserma che mi era stata indicata. Arrivai in anticipo di buoni venti minuti, ma mi presentai al piantone, nella speranza di poter entrare e godermi la struttura interna, sapendo che certe caserme erano solitamente ben curate e ben strutturate. Non fui deluso, mi soffermai su alcuni particolari e su di una targa che ricordava qualche eroe in divisa che aveva dato la propria vita per lo Stato. Peggio per lui.
Lei dev’essere il dottor Torta…
La voce squillante e sicura proveniva da un ufficiale che mi si avvicinò per stringermi la mano. Una stretta virile accompagnata da un sorriso franco e piacevole. Alto e sottile, si fermò davanti a me per poi invitarmi a seguirlo lungo una scalinata e, infine, in una stanza che, più che un ufficio, sembrava essere il classico stanzino per gli interrogatori. Mi guardai attorno e ci accomodammo, separati da un tavolino rettangolare disadorno.
Il nostro incontro è assolutamente confidenziale. Se crede, può alzarsi e andare via adesso o quando dovesse ritenerlo opportuno. Se accetterà di stare ad ascoltare, la metterò al corrente di una storia che riguarda la sua vita.
Perplesso, feci cenno di andare avanti e lui non aspettava altro.
Lei lavora in Comune e fa l’archivista, abita in una casa di sua proprietà con una donna… la signora Rossella Corsari, da circa dieci anni. Non avete figli. È tutto esatto?
Sì – confermai, ora abbastanza seccato ma anche incuriosito.
La sua convivente ha un lavoro?
Non più, da circa… tre anni, credo. Perché?
Non ottenni risposta.
Fate vita comune, uscite insieme la sera, avete amici che frequentate?
Direi poco. Ma non le sembra di esagerare – replicai – state indagando sulle nostre vite?
La mia domanda era retorica. Ovviamente mi aspettavo un rassicurante no.
Sì – la risposta fu secca. Con aria dispiaciuta e solidale, l’ufficiale fece alcune smorfie ed accarezzò il pizzetto che gli contornava le labbra ed il mento. Seguì un silenzio lungo ed imbarazzante. Taceva, come se sperasse che intuissi il seguito della storia. Ma la mia testa, dura come un blocco di tufo, non mise insieme le scarne indicazioni. Tacqui con lui.
Vede, stiamo seguendo una vicenda delicata. Una piccola organizzazione ha messo su un ricco giro di usura, droga e prostituzione. Si muovono soltanto ad alto livello, c’è maggior guadagno.
Capisco, ma…
La sua compagna è coinvolta, dottore!
Ma che dice, Rossella non ha tutti questi soldi, come potrebbe fare l’usuraia!
Se mai, negli ultimi tre anni ha avuto un bel po’ di soldi in borsa, bei vestiti, qualche viaggio, la macchina nuova…
Parlava con tono pacato, mantenendo un’aria delicata, osservando ogni mia reazione.
E, finalmente, il cervello cominciò a funzionare. Macchina nuova, vestiti, bella vita, arroganza e distanza dal sottoscritto. E quei rientri a tarda notte e le cene e le volte che tornava ubriaca. Già, cominciai ad annuire…
Come avete certezza di quel che sta dicendo… sono accuse pesanti… - chiesi, sempre più confuso ed agitato.
Foto, video, registrazioni telefoniche…
Capisco – dissi, sconfitto. – Non potrebbe essere uno scambio di persona?
Può aiutarci a fugare ogni dubbio. Poi sarebbe molto utile se lei ci rilasciasse alcune dichiarazioni firmate. Un riconoscimento, per identificare qualcuno. Insomma, la signora…
Ma io non ho visto niente…
Con aria vagamente funebre, aprì un cassetto e ne estrasse una cartellina gonfia di documenti.
Se la sente?
No, ma andiamo avanti.
Avevo le gambe gelide. Aprì la cartellina e cercò. Era tutto in ordine alfabetico, tanti fogli sui quali erano stampate foto a colori. Si fermò ed ne estrasse alcune. C’era Rossella al mare, con un costume molto ridotto, in compagnia di un uomo dal fisico tozzo, il cranio lucido. Erano abbracciati con molta intimità. Le altre foto erano un delirio. Non mancava alcuna acrobazia sessuale, l’ambiente sembrava essere quello di una stanza di un hotel lussuoso. Il pelato non si faceva mancare nulla e lei sembrava entusiasta di appagare le sue voglie. Il suo viso era molto riconoscibile, così come quello del suo partner, non si poteva sbagliare. Restai in silenzio, gelato, sentii l’anima volare via come un pettirosso spaventato.
Che ne pensa… - chiese lui, come per sondare la mia anima ghiacciata.
Nulla – risposi – cosa può pensare uno che vede la propria casa andare a fuoco? Comunque, fra poco tutto questo sarà il mio passato.
No, invece. Devo chiederle di non farlo. Per una serie di cavilli che non sto a descrivere, questa indagine potrebbe essere invalidata. Serve una prova regina. Sua moglie, insomma la sua convivente, è in possesso di un gioiello, una spilla a forma di geco con due diamanti al posto degli occhi. L’ha mai vista?
Credo di no… no, non la ricordo.
Gliene mostrerei una foto, ma non ne abbiamo. È presente in un video, sempre se lei se la sente di assistervi. È molto… impegnativo…
Proceda.
Da un altro cassetto spuntò un computer, lui lo aprì, lo accese e fece partire il video. Mia moglie, l’avevo considerata tale per tanto tempo. Certo, sapevo che nella vita c’è da aspettarsi di tutto, ma questo era l’inferno di Dante. E allora, di fronte a tutte quelle fiamme, ordinai al mio cuore di ibernarsi. Registrai nella mia mente il geco, presente in tante scene fatte da corpi nudi e con una colonna sonora di sospiri ed urla improvvise, richieste azzardate e lascive concessioni. Poi chiesi di interrompere quella merda.
Ci guardammo, accettai di verbalizzare, mi fecero dichiarare che quella era Rossella e tutto il resto. Un verbale scarno, senza particolari che potessero diventare appigli per avvocati difensori feroci come caimani. Ce ne sarebbero stati a iosa, questo lo sapevamo già.
Le devo chiedere un ultimo sforzo, dottore. Dobbiamo prendere quel gioiello per essere certi che sia l’originale. Sotto la pancia del geco c’è una scritta che lo rende quasi unico.
Perché quasi
…
Perché in giro ce ne sono due, due spille identiche sottratte alla stessa donna, la legittima proprietaria.
Devo cercarla io la spilla?
No, non sarà necessario. Mi dica quando la casa sarà accessibile e ci penseremo noi.
Gli diedi indicazioni per l’indomani e andai via, accompagnato dal suo sguardo compassionevole e da mille parole di ringraziamento. Presi un taxi,