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Mayerling
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E-book198 pagine2 ore

Mayerling

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Info su questo ebook

Mayerling è un romanzo avvincente che racconta la storia di un amore proibito tra il principe ereditario Rodolfo d'Asburgo e la giovane baronessa Maria Vetsera. Ambientato nella Vienna del 1899, il libro segue i due amanti mentre cercano di sfuggire alle convenzioni sociali e ai loro doveri reali per vivere la loro passione. Ma quando l'amore si scontra con la politica e l'ambizione, le conseguenze possono essere tragiche. Basato su eventi realmente accaduti, "Mayerling" è un romanzo storico intenso e commovente che cattura l'essenza dell'amore proibito. 
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2023
ISBN9791281436053
Mayerling

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    Anteprima del libro

    Mayerling - Claude Anet

    Romanzo Storico

    MAYERLING

    PROLOGO

    Una grande stanza, con un soffitto alto, arredata in modo ricco, le cui due finestre si affacciavano su un parco con alberi alti, troppo vicini. Un paravento separava in modo insufficiente il letto centrale dal resto della stanza, sul quale era distesa una giovane donna. I suoi capelli castani, accuratamente intrecciati, si stendevano sul cuscino, formandole un'aureola. Il viso, sebbene i tratti fossero contratti dal dolore, era bello; le sopracciglia aggrottate disegnavano una linea retta. Dalla bocca sottile e ben delineata a volte sfuggiva un gemito e, sotto il lenzuolo che lo copriva, si vedeva il corpo irrigidirsi. Vicino al letto si trovava un gruppo di persone attente, un anziano in frac, una decorazione appuntata sul bavero del suo abito, un uomo più giovane dal volto intelligente, in camice bianco, e due infermiere. All'ora in cui ogni donna, ferita nel corpo e nella pudicizia, ha il diritto di essere sola, diverse persone erano riunite intorno a questa donna che soffriva. Apparteneva, infatti, a una casta in cui né dolore né gioia possono essere tenuti segreti e l'imperatrice d'Austria, Elisabetta, ventenne, era costretta a partorire in pubblico.

    In una delle finestre, un piccolo uomo rotondo con gambe corte, S.A.I.R. l'arciduca Ranieri, stava in piedi. Parlava a bassa voce con il consigliere intimo Carlo Ferdinando, conte di Buol Schauenstein. Tre altri personaggi in uniforme guardavano silenziosamente il parco con viali rettilinei su cui cadeva l'ombra. Due signore sedute in un angolo sussurravano. Un uomo di circa trent'anni in uniforme verde scuro da generale degli ulani, si appoggiava al camino. Era di statura media, magro, con gambe lunghe; il viso era incorniciato da lunghi favoriti biondi uniti a spesse baffi. I capelli, tagliati corti, erano già diradati sulle tempie, il naso era un po' grosso sulla punta, gli occhi senza molta espressione. Per quanto fosse padrone di sé - e la vita che aveva condotto negli ultimi dieci anni come imperatore d'Austria e re d'Ungheria lo aveva obbligato a controllare e nascondere i suoi sentimenti - non poteva nascondere un grande nervosismo che traduceva facendo schioccare le dita della mano sinistra sulla mano destra. Quando lo schiocco diventava troppo forte, se ne accorgeva, si fermava improvvisamente e, tirando rapidamente i baffi, camminava velocemente dal camino alla finestra. I suoi stivali stridevano sul parquet. Alla lunga, questo rumore infastidì la giovane donna sdraiata e, con la mano, gli fece segno di stare fermo...

    Si fermò immediatamente.

    « Chiedo scusa, cara », mormorò.

    In punta di piedi, come un bambino colto in fallo, tornò al camino.

    Un'ora passò così. La notte arrivava e l'imbarazzo che gravava sulle persone presenti era aumentato al punto da diventare insopportabile. Ognuno capiva, senza che fosse necessario esprimerlo, che non stava assistendo a una cerimonia di corte, ma al più commovente dei drammi umani. Gli abiti variopinti e le uniformi sembravano insultare quel povero corpo di donna che tremava nel dolore. Il silenzio veniva turbato solo dai gemiti che, a intervalli sempre più ravvicinati, provenivano dal letto della paziente. L'imperatore, sempre vicino al camino, a volte non poteva fare a meno di far cigolare i suoi stivali. Valletti in livrea variopinta e indifferenti portarono dei candelabri con candele accese. La loro fiamma illuminò qualche bagliore sui diamanti delle decorazioni e le dorature delle boiserie.

    Ci fu un movimento nel gruppo dei dottori attorno al letto. Uno di loro si chinò sulla giovane donna che si contorceva negli ultimi dolori; passò ancora un istante, poi un gemito più forte fece sobbalzare i testimoni di quella scena drammatica; l'imperatore, non potendone sopportare oltre, lasciò sfuggire un «Mein Gott » supplichevole e si prese la testa tra le mani. Ci fu un grido, poi un silenzio così totale che ognuno sentiva i battiti del proprio cuore, e improvvisamente si levò un vagito, così semplice, così umano, così fresco, così inaspettato nonostante tutto, che gli occhi degli astanti si riempirono di lacrime.

    «È un maschio!» disse la voce forte del dottore.

    «Dio sia lodato!» rispose l'imperatore rialzandosi.

    Mentre i medici si affrettavano dietro il paravento, le porte furono spalancate sul salone adiacente e la lieta novella fu comunicata. Il nome scelto per l'erede fu annunciato. Si sarebbe chiamato Rodolfo, in onore del fondatore della dinastia millenaria dei Falconi che avevano lasciato le foreste della Svizzera per venire a librarsi sull'Austria. Un'ora dopo, il neonato battezzato, l'atto di nascita redatto secondo le forme e datato 21 agosto 1858, al castello di Laxenburg non rimanevano che i medici e i funzionari di corte in servizio.

    L'imperatrice chiese che le fosse portato il bambino. Era appena stato fatto il bagno e l'ama glielo porse, avvolto in asciugamani caldi.

    A lungo l'imperatrice lo osservò. Era così fragile, gracile, che sembrava non dovesse vivere. Le ore appena trascorse le tornarono alla memoria. Tanto sfarzo, tanti interessi e vanità riuniti intorno a lei - e lì quel bambino, che aveva solo il respiro. Sentì pesare su di lui il peso di un passato pesante e tragico. Apparteneva a una razza fine, sensibile, troppo debole per sopportare, non solo il fardello del potere, ma quello della vita, razza di esseri malinconici, inadeguati al loro destino, che a volte la follia portava lontano dal mondo degli umani. Quale dono aveva fatto a quel piccolo essere vagiente dandogli la vita? Su di lui più tardi peserebbero responsabilità immense. Ne sarebbe schiacciato.

    In quel momento, si udì cigolare sul parquet gli stivali dell'imperatore. Si avvicinò e, chinandosi verso sua moglie e il bambino, disse con voce sonora:

    «È magnifico, nostro figlio. Sarà un ragazzo felice.»

    Ma gli occhi della madre si riempirono di lacrime; con un gesto appassionato, strinse il piccolo al suo cuore.

    PRIMA PARTE

    I

    Principe Imperiale

    Trent'anni dopo, un ufficiale galoppava su un purosangue nei viali del Prater, i cui alberi cominciavano a spuntare teneri germogli verdi. Nonostante la sua giovane età, indossava la divisa da generale di dragoni. Arrivato all'estremità del viale, rallentò il cavallo e lo mise al passo. Era un uomo snello, di statura media e ben proporzionata, con bei occhi e lunghi baffi. Altri cavalieri lo incrociarono e lo salutarono con deferenza. Lui ricambiò cortesemente il loro saluto.

    Scendendo da cavallo nel punto in cui il viale principale giunge alla piazza chiamata Stella del Prater, circondata da case, consegnò il cavallo a un attendente e rimase solo un istante sul marciapiede, aspettando il calesse che doveva venirlo a prendere. Presto lo scorse dall'altra parte della piazza e fece alcuni passi verso di esso. Mentre costeggiava un atelier di moda, delle giovani operaie uscirono correndo, spintonandosi. Una di loro gli si scontrò contro distrattamente e quasi cadde. Lui la sostenne, la rimise in piedi, le rivolse un sorriso gentile, e proseguì per la sua strada. La giovane operaia lo guardava sbalordita.

    Tuttavia, le altre la prendevano in giro.

    «È così che ti getti tra le braccia delle persone!»

    Ma una delle sue compagne, la più anziana, seguendo con gli occhi l'ufficiale che si allontanava, le disse con tono di rimprovero:

    «Non ti vergogni, Greta, di aver spintonato il principe imperiale!»

    Tutte le ragazze rimasero stupite. Si voltarono per guardare il famoso principe a Vienna. Era davvero lui che era apparso in mezzo a loro come per miracolo? A pochi passi di distanza, quell'eroe salì su un calesse e il cocchiere gli porse le redini. I cavalli si impennarono e partirono. Mentre l'equipaggio passava vicino alle operaie, ora ferme e a bocca aperta, il principe le salutò. Delle mani si levarono nel gruppo, sorrisi gioiosi illuminarono giovani volti. «È così bello! È così affabile!» si sentiva dire.

    *** *** ***

    «Mi sentirete in confessione, signora?»

    Questa domanda era posta da padre Bernsdorf, superiore dei collegi gesuiti in Austria, a una signora un po' alta, dalla figura robusta, vestita senza troppa eleganza, che non era altri che S.A.I.R., la principessa Stefania, moglie del principe imperiale.

    Si trovava nel gabinetto di padre Bernsdorf nel convento dei gesuiti in via dei Bernardini. Nulla di più semplice di questa stanza imbiancata a calce, con pavimento in mattoni rossi. Un tavolo di legno, due poltrone rivestite di stoffa, due sedie di paglia e un inginocchiatoio costituivano tutto l'arredamento.

    Alla domanda del gesuita, la principessa rispose con un pizzico di imbarazzo:

    «No, padre, sono venuta semplicemente a parlare con voi. »

    Si sedette in una delle poltrone e fece cenno al padre gesuita di prendere l'altra. Il tavolo li separava.

    Bisogna credere che l'argomento di cui doveva parlare con il padre gesuita fosse delicato, perché la principessa esitò un po' prima di affrontarlo. Vedendo ciò, il suo interlocutore la soccorse e diresse la conversazione sul principe imperiale. La salute del principe era buona?

    «Abusa di se stesso», disse la principessa. «Come resiste? Lo sapete, padre, fa tutto con passione, il lavoro, la caccia, l'equitazione. Le sue giornate sono piene...»

    «La sua salute è molto preziosa per tutti noi», disse il gesuita. «Ma non potreste esercitare qui una buona influenza e ottenere da lui un'ora o due di riposo?»

    Il volto della principessa si contrasse.

    «Non lo vedo mai».

    Si fermò bruscamente come se si pentisse di aver parlato troppo in fretta. Il tono di questa breve frase illuminò il gesuita. Non ne mostrò nulla e continuò:

    «La sera, però...»

    «La sera», disse la principessa con imbarazzo... «usciamo. Se mi porta all'Opera o al Burgtheater, non resta molto con me; va nei corridoi, dietro le quinte. Poi cena con degli amici... Non mi invita, e per buoni motivi.»

    C'era rabbia nello sguardo della principessa. Ma il padre seguiva il suo pensiero e con voce indifferente :

    «E dopo?»

    À questa domanda troppo precisa, non ottenne risposta... Era necessario chiarire un altro punto e il padre aggiunse dopo alcuni secondi:

    «Da quanto tempo?»

    Ancora un silenzio che si prolungò. Il padre, che aveva parlato con gli occhi bassi, li alzò e vide davanti a sé una donna imbarazzata, che arrossiva e che evitava lo sguardo. Passò almeno un minuto, lento e pesante. Finalmente la principessa parlò, rivolgendosi al tavolo, e sussurrò:

    «Dopo un anno.»

    Anche se fosse un maestro di sé stesso, il padre non poté trattenere un movimento. Una lite di un anno nel matrimonio del principe imperiale, la cosa era grave, le conseguenze incalcolabili... Bisognerebbe pensarci con calma, agire con prudenza... Quando riprese la parola, la sua voce non mostrava alcuna agitazione.

    «Perché non avete parlato prima? chiese.

    «Ciò era così delicato, padre mio» disse la principessa sempre imbarazzata. «La situazione poteva cambiare da un giorno all'altro. Non c'era stato nulla tra di noi, capite, che potesse separarci. Ogni sera pensavo che forse Rodolfo sarebbe tornato...»

    La calda passione con cui pronunciò queste parole mostrava quali fossero i suoi sentimenti verso un marito infedele.

    «Un anno», ripeté il padre scuotendo la testa, «un anno. E vostra figlia quanti anni ha oggi, mia figlia?»

    «Era la prima volta che l'aveva chiamata così quel giorno».

    «Lei compirà presto cinque anni, padre.»

    Il gesuita stava riflettendo.

    Il padre rispose infine: «Condivido le vostre preoccupazioni. La corona non ha eredi... Ma le vie di Dio sono imperscrutabili. All'ora che Egli sceglierà, vi riporterà il vostro sposo. Dio non abbandonerà questo impero su cui vigila specialmente, ne ho la prova. È necessaria pazienza, mia figlia. Saprete agire da sposa cristiana; non mostrerete umore - scivolò questa frase senza che sembrasse toccarla - è necessaria molta mitezza. In questo modo preparerete le vie di Dio. Bisogna anche pregare. Ah! qui potrò esservi d'aiuto... (la sua voce era forte e sicura all'idea del sostegno che portava), ordinerò una novena, disse scandendo le parole, in tutti i nostri collegi affinché la casa antica degli Asburgo rifiorisca in un giovane erede...».

    La principessa non sembrò così entusiasta come sperava per la grandezza del sostegno che le stava offrendo. Lo ringraziò comunque e poi aggiunse:

    «Vorrei chiedervi, padre, di vedere il principe e parlargli.

    Il padre ebbe un gesto di terrore.

    «È difficile, mia figlia, è delicato...»

    «Nulla è difficile per voi, padre mio», continuò la principessa.

    «Bisogna chiedere un'udienza», disse il gesuita «e indicare il motivo di tale richiesta... Non posso dirvi...»

    «Non sarete in difficoltà a trovare una ragione per incontrare il principe», disse. «Sapete come me quali interessi sono in gioco.»

    Il padre pensò per un istante.

    «Avete ragione, mia figlia», disse. «Vedrò il principe.»

    Pochi istanti dopo, la principessa e la sua dama di compagnia risalivano in carrozza.

    Il volto del padre Bernsdorf, mentre rientrava nel suo ufficio, era preoccupato. «Un anno, pensò, è già passato! Perché me l'ha nascosto? Qual è la donna che guadagnerà influenza sul principe? È più debole di quanto si pensi. Quante intrighi intorno a lui! Quante influenze perniciose! La posizione è già occupata?» Alzò le spalle. «Lo scoprirei... in ogni caso, dobbiamo indagare.»

    *** *** ***

    Lo stesso giorno, verso mezzogiorno, due persone stavano parlando in una piccola stanza adiacente all'ufficio direttivo del Neues Wiener Tagblatt. Uno di loro era il direttore editoriale di questo giornale, il signor Szeps, un uomo di media statura, magro, i capelli rasati già bianchi, anche se non era anziano, il viso un po' giallo; l'unica parte carnosa del suo volto ossuto era l'estremità del suo naso, che aveva una netta curva semita. Giornalista ben noto a Vienna, stava dirigendo con abilità, in un periodo difficile, un organo d'opposizione liberale al governo conservatore e quasi autocratico del conte Taaffe. I suoi colleghi e le persone ben informate dei circoli governativi si chiedevano come mai il Neues Wiener Tagblatt pubblicasse di tanto in tanto notizie esatte e inaspettate su questioni acute di politica. Ma esse venivano sempre presentate in una forma così moderata, così inoffensiva, che l'ufficio stampa non riusciva a lanciare i suoi fulmini e a sospendere il giornale. «Dove diavolo trova Szeps le sue informazioni?» si chiedevano. C'era abbastanza materiale per esercitare l'acume dei conoscitori. Ma nessuna risposta soddisfacente era stata trovata. Perciò Szeps godeva di un prestigio e di un'influenza che non sarebbero stati giustificati dal tiraggio piuttosto limitato del suo giornale.

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