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Storia di Sperandio: Carabiniere del Re (1862 - 1907)
Storia di Sperandio: Carabiniere del Re (1862 - 1907)
Storia di Sperandio: Carabiniere del Re (1862 - 1907)
E-book204 pagine2 ore

Storia di Sperandio: Carabiniere del Re (1862 - 1907)

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Info su questo ebook

Fedele al giuramento fatto al Re e all'Arma dei Carabinieri, basato sulla disciplina e lo spirito di sacrificio, Sperandio si mette a disposizione del recente Stato Unitario per garantire la sicurezza e la tutela dei valori umani e civili del nuovo popolo italiano nella società molteplice e complicata di fine Ottocento, dove sussistono aspetti di arretratezza sociale, il fenomeno del brigantaggio, il doloroso sradicamento di popolo dalle campagne verso le Americhe, le contestazioni dei primi movimenti operai.
Le azioni militari, basate sulla competenza e la correttezza di impegno, portano il brigadiere Sperandio a ottenere per meriti di servizio il ruolo di Comandante di Stazione. Il coraggio, la disponibilità e lo spirito di abnegazione che dimostra nel rendersi utile alla popolazione in momenti tragici fanno sì che gli venga conferita la medaglia d'argento al Valore Civile.
Una crudele morte, programmata da mente assassina, pone fine alla sua ancor giovane vita. 
Il romanzo è ambientato nel preciso periodo storico in cui il brigadiere Boselli Sperandio è vissuto. I fatti sono realmente accaduti; i personaggi correlati alla vita di Sperandio sono liberamente ricostruiti e narrati dall'autrice.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ott 2023
ISBN9791222463704
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    Anteprima del libro

    Storia di Sperandio - Grazia DeVizzi

    Capitolo 1

    30 novembre 1907.

    Un cielo plumbeo e basso, carico di un’imminente pioggia, sovrastava la piazza, la schiacciava e opprimeva sotto il grave peso di una coltre di nuvole grigie.

    Gli uomini, accalcati lungo i muri delle basse case antistanti la chiesa, lasciavano libera e vuota la piazza. L’intero paese attendeva nello sconcerto il termine del rito funebre.

    Le donne, avvolte in scialli neri e con il capo coperto da un velo, facevano capannello sulla soglia delle loro case o si sporgevano dalle finestre dei piani superiori. Nell’attesa che la cerimonia terminasse per accodarsi al corteo, si scambiavano con voce sommessa frasi di turbamento e dolore.

    «Hai sentito che tragedia?»

    «Ancora così giovane! Che ne sarà di sua moglie?»

    «E di sua figlia? Riuscirà a dimenticare questo triste avvenimento o il dolore la perseguiterà per tutta la vita? Povera bambina, ancora così piccola!»

    Gli uomini erano sopraggiunti anche dalle campagne vicine e attendevano in rispettoso silenzio. Qualcuno sospirava in risposta ai propri pensieri, e scuoteva il capo come a ribadire un No, non può essere vero.

    Non esistevano parole per arrendersi all’evidente crudeltà della morte inaspettata e violenta che si era abbattuta su un uomo ancora giovane e rispettato da tutti.

    I paesani vestivano l’abito buono della domenica, quando si ritrovavano con gli amici e i conoscenti al caffè della piazzetta per parlare dei fatti accaduti in settimana. Erano soliti ritrovarsi là per scambiarsi opinioni sul tempo che minacciava il raccolto nelle campagne, sulla vendita o l’acquisto del bestiame, mentre attendevano che le loro donne uscissero dalla Messa per poi tornare insieme a casa per il pranzo.

    Portavano sul capo un berretto di panno scuro e sulle spalle il largo tabarro, che li avvolgeva fino alle ginocchia.

    L’attesa era grave e pesante.

    L’antica chiesa parrocchiale, dedicata a sant’Agata e costruita verso la metà del ’700, imponeva sulla piazzetta la sua severa facciata romanico–barocca realizzata in mattoni a vista, resa più cupa dai paramenti funebri. Il portale centrale, chiuso, era ricoperto da lunghi drappi di velluto nero bordati da fregi ricamati in argento. Solo le basse porte laterali, di noce massiccio, permettevano l’accesso alla cerimonia funebre.

    Ai piedi del sagrato, i componenti della banda musicale del paese attendevano di imbracciare gli strumenti per suonare la solenne marcia di accompagnamento.

    Quando la cerimonia religiosa giunse al termine, gli enormi battenti del portale centrale si aprirono lentamente.

    Il parroco, con i paramenti viola indossati sopra la lunga tonaca nera e con il cappello a tre punte ornato da un fiocco rosso centrale, avanzò solenne, affiancato da tre chierichetti vestiti con la tunica bianca sotto un corto mantello di panno blu.

    Tenevano in mano, l’uno il turibolo d’argento con l’incenso, l’altro il secchiello e l‘aspersorio dell’acqua benedetta; il terzo, il più grande, sorreggeva la croce con il Cristo morto, saldamente ancorata alla cintura che lo stringeva in vita.

    I componenti della banda si schierarono su due file nel centro della piazza.

    Il feretro, ricoperto dalla bandiera tricolore con il regio stemma nel mezzo, seguiva il sacerdote. Era portato a spalla dalle maggiori autorità del paese: il sindaco, il medico, il maestro, il farmacista, e da altri due amici del defunto.

    Subito dietro la bara, Maria avanzava lenta, tenendo per mano la piccola Emma, la figlia di circa otto anni. Un lungo cappotto di panno nero, dal corpetto aderente, le scendeva a campana fin sopra le caviglie. I capelli, raccolti a crocchia dietro la nuca, e l’ancor giovane viso erano celati da una fitta veletta nera cucita alle falde larghe del cappello.

    La bimba che procedeva al suo fianco, aggrappata a lei e seminascosta tra le pieghe del suo abito, indossava un lungo cappottino di lana grigia, che lasciava intravedere i lucidi stivaletti di vernice nera stringati fino al polpaccio.

    Due trecce di capelli corvini, folti e lucidi, contornavano il piccolo viso paffuto e rotondo e scendevano lunghe sul petto, fermate da nastri di raso nero.

    I grandi occhi castani guardavano intorno perplessi, impauriti dai molteplici sguardi delle donne che si posavano continuamente su di lei mentre le loro bocche sussurravano parole incomprensibili. Sorridevano a lei, quelle donne, ma il loro sorriso non era quello gioioso di quando la incontravano nel negozio di sua madre o la incrociavano per la via in compagnia di suo padre.

    Era un sorriso strano, compassionevole e muto, per il quale la piccola Emma provava soggezione; per questo nascondeva il viso sotto il braccio protettivo della madre.

    Subito dietro di loro, marciavano il Comandante dei Carabinieri e l’Appuntato, rigidi e alteri, in grande uniforme.

    Scesero per ultimi i pochi parenti di Maria e, a mano a mano che il corteo procedeva nella piazza, gli uomini, a testa bassa e con il cappello in mano, e le donne, con la corona del rosario tra le dita, si accodarono in silenzio.

    La banda iniziò a suonare una marcia militare lenta e grave che contribuiva a rendere ancor più opprimente l’aria già pesante e umida per la fitta nebbia di fine autunno.

    Il lento scandire delle note solenni segnava il passo del lungo corteo che usciva dal piccolo paese e si dirigeva al cimitero. Al confine con le ultime case, infiniti si stendevano fino all’orizzonte i campi bruni e solitari, delimitati da alberi spogli.

    Il corteo percorreva la strada stretta e sterrata, affiancata da un largo fossato e ombreggiata nella bella stagione da un lungo filare di olmi. I loro rami, ormai senza foglie, si protendevano al cielo come braccia supplici dalle lunghe dita aperte.

    L’acqua del fossato, stracolmo per le abbondanti piogge d’autunno, scorreva rapida, metallica e buia, nel senso contrario alla processione, quasi a sfuggirla, quasi a voler rincorrere e richiamare la vita che, nel suo inesorabile percorso, aveva lasciato indietro e poi abbandonato un giovane uomo.

    Il lento corteo raggiunse il cimitero che, a fine autunno, si presentava triste e solitario. L’alto muro di cinta sfumava dal grigio del cemento nel verde del crescente muschio che risaliva dal terreno per l’umidità. Il grande cancello di ferro battuto era spalancato sul vialetto di ghiaia bianca, anch’essa macchiata di muschio, che conduceva alla Cappella centrale.

    Avvolte dalla fitta bruma che le ricopriva con una trama umida e spessa, nella terra scura le tombe apparivano indistinguibili. Solo le croci di pietra riuscivano a bucare quel triste velo grigio, trattenuto dai rami delle siepi basse di pungitopo e di biancospino che delimitavano le sepolture.

    Davanti al cancello il corteo si fermò, i musicanti smisero di suonare e le donne conclusero le preghiere. Un doloroso silenzio lasciò spazio allo sconforto e al sonoro scorrere dell’acqua del fossato.

    Un carretto a due ruote, spinto a mano da due uomini, uscì dal cancello e si avvicinò a coloro che tenevano in spalla la bara. Questi ve la deposero con rispetto. Il Sindaco si accostò, riavvolse la bandiera e la porse a Maria.

    La bara spoglia sul nudo carretto rammentò ai convenuti come la morte tutti eguagli all’interno delle sue assi scure.

    I presenti si allontanarono. Solo alcuni si fermarono al limitare del cimitero, per commentare, ancora increduli, l’immatura e tragica fine del brigadiere Sperandio, da pochi anni in congedo e Ufficiale alle Poste del paese.

    I necrofori spinsero il carretto all’interno, fino alla Cappella. Lo seguivano in lacrime silenziose Maria e la bambina e, poco distanti, l’Arciprete con i tre chierichetti.

    La fossa era già scavata, scura e profonda. Ai suoi lati era ammassata la terra umida e nera che avrebbe dovuto riempirla.

    Impartita l’ultima benedizione, l’Arciprete si allontanò con evidente fretta.

    La piccola Emma e sua madre si ritrovarono sole e in completo abbandono.

    Nella solitudine del cimitero, Maria riuscì finalmente a esprimere al marito tutto il dolore che aveva tenuto represso e nascosto alle persone che erano venute a farle visita durante la veglia funebre.

    «Che ne sarà di noi, dimmi, che ne sarà di noi, adesso che tu non ci sei più? Ti ho aspettato per lunghi anni e infine sei tornato, ma sei rimasto solo per poco e sei partito di nuovo… Questa volta per sempre!»

    La bambina la strattonava, in preda a una sconosciuta inquietudine causata dalle parole di dolore che sentiva uscire dalle labbra di sua madre. Aveva paura della morte che, prima di allora, non aveva ancora conosciuto. Le si era manifestata all’improvviso due sere prima, in tutta la sua crudeltà, sotto le sembianze di un drago alato che la inseguiva e poi la abbandonava, ferita nel petto, in un remoto angolo del cortile. Non paga di averle procurato dolore e paura, la belva feroce era poi rientrata in casa e aveva carpito la vita di suo padre.

    Emma voleva andare via, allontanarsi al più presto da quell’orribile luogo freddo in cui sapeva di dover lasciare per sempre il corpo del padre tanto amato.

    Fu invece costretta ad assistere, dall’immobilità di pietra della madre all’indifferente velocità dei badili dei necrofori, che, incuranti dell’altrui dolore, avevano fretta di ricoprirlo sotto cumuli pesanti di terra nera.

    Fuori dalle mura del cimitero, seminascosta dalla nebbia, era in attesa una carrozza signorile. A bordo, una nobildonna, col volto velato di nero, aveva assistito da lontano alla sepoltura dell’uomo che anche lei aveva amato.

    Da dietro la tendina del finestrino attendeva che Maria e la bimba uscissero.

    Il vetturino, sollecito, come le vide corse loro incontro.

    «La Contessa chiede se desiderate tornare a casa in carrozza. Dice che vi accompagnerebbe volentieri.»

    «Dica alla Contessa che conosciamo bene la strada di casa nostra e che sappiamo arrangiarci da sole», rispose Maria, con sguardo crudele e voce irritata. «Le dica anche che non abbiamo bisogno del suo aiuto e che non ci cerchi mai più!»

    Poi, presa per mano la figlia, che guardava smarrita verso la carrozza della sconosciuta, la trascinò con sé lungo il solitario viale del cimitero.

    Capitolo 2

    Sperandio era l’unico figlio di Gaetano Boselli, soprintendente alle acque dei numerosi corsi di origine risorgiva del suolo cremasco.

    Alla sua nascita, era il 1862, Gaetano volle imporgli il nome Giuseppe, in onore del Mazzini, negli ideali del quale credeva ardentemente, e dell’eroico generale Garibaldi che, sulla base degli stessi ideali, solo due anni prima, alla testa di un corpo di volontari, era sbarcato in Sicilia, aveva combattuto, rovesciato la monarchia borbonica e consegnato il meridione d’Italia al re Vittorio Emanuele II di Savoia.

    La moglie di Gaetano, donna di grande fede religiosa, volle aggiungere un secondo nome al figlio, Sperandio, come auspicio di una vita da vivere confidando nella costante presenza della misericordia di Dio al suo fianco.

    La famiglia abitava a Crema, ricca cittadina della bassa Pianura Padana, dove il soprintendente lavorava nel piccolo ufficio a lui riservato all’interno della Casa Comunale. Oltre al lavoro d’ufficio, Gaetano aveva anche il compito di recarsi nelle campagne per controllare la corretta erogazione delle acque di irrigazione e riscuotere le relative tasse dai proprietari terrieri.

    Già negli anni successivi all’annessione della Lombardia al Regno sabaudo, il governo di Cavour aveva iniziato un processo di modernizzazione del territorio, basato sul libero scambio e su una politica industrialista. Per valorizzare e accrescere le potenzialità dell’industria tessile, manifatturiera e agricola lombarda, il primo ministro aveva stabilito la realizzazione di una rete di canali che convogliassero parte delle acque dei fiumi verso le campagne, al fine di favorire un costante apporto idrico ai terreni nell’ovest della Lombardia e della bassa Pianura Padana. Nel caso specifico del Cremonese, fu decretata la bonifica del Moso, una vasta depressione del terreno nella zona del bacino idrico del fiume Serio, divenuta nei secoli paludosa a causa del ristagno delle acque piovane e di origine risorgiva.

    L’area, per secoli tenuta coperta da un vasto acquitrino per ragioni difensive, verso la metà dell’800 cominciò a essere sfruttata per l’estrazione della torba. Con i lavori di bonifica, l’acqua fu in seguito canalizzata in larghi fossati che delimitarono il perimetro di nuovi campi coltivabili. Scorreva in ampie rogge all’interno dei paesi che, sorti in conseguenza alla bonifica, disponevano solo di piccoli sentieri ai margini delle case per consentire ai pedoni di transitare.

    L’apporto idrico dei numerosi corsi d’acqua artificiali permise lo sfruttamento agricolo del suolo anche se, in estesi appezzamenti di terreno, continuarono a riaffiorare le risorgive che, dando vita alle marcite, vennero mantenute per permettere un’abbondante crescita di erba, sia spontanea che coltivata. Serviva per l’alimentazione del numeroso bestiame da allevamento della zona.

    Si costruirono parecchie cascine intorno al Moso, e un nuovo decreto del Governo avviò la progettazione del canale Vacchelli, che si sarebbe alimentato grazie a una chiusa sul fiume Adda, in provincia di Lodi.

    Uno dei punti di maggiore importanza per la bonifica e di passaggio del canale sarebbe stato il territorio del Comune di Trescore, dove al soprintendente Gaetano fu richiesto di trasferirsi per essere personalmente presente ai lavori.

    Il figlio Sperandio aveva da poco iniziato a frequentare la scuola di istruzione superiore a Crema con l’intento di conseguire un diploma e impiegarsi in seguito presso lo studio notarile dello zio di suo padre. Il dover seguire la famiglia in quel piccolo paese di campagna, dove esistevano a malapena alcune classi della scuola elementare, avrebbe significato per lui perdere ogni possibilità di proseguire gli studi.

    Suo padre gli prospettò l’idea di frequentare il collegio dei Padri gesuiti, che garantivano anche un convitto per l’intero anno scolastico. Sarebbe tornato al paese solo durante le vacanze estive.

    Il ragazzo, che non aveva alcuna voglia di venire rinchiuso in un collegio e ancor meno di seguire la famiglia in un paese che non gli avrebbe dato alcuna prospettiva per il futuro, non accettò di sottomettersi alla volontà del padre e per la prima volta osò ribellarsi.

    «No! Io, in quel paese sperduto tra rogge e campi, non ci vengo. Tu mi obblighi a lasciare lo studio che ho intrapreso, i miei amici, le mie abitudini. Io non intendo seguirti. Se devo entrare in un collegio per studiare, piuttosto che dai Gesuiti preferisco iscrivermi a una scuola militare. Da tempo sogno di far parte del Regio Esercito come carabiniere.»

    Ciò scatenò l’irritazione di Gaetano, non avvezzo alla disubbidienza del figlio.

    «Non ti permetto di contraddirmi», urlò a gran voce. «Da quando un figlio ancora adolescente si permette di mancare di rispetto al padre e di fare di testa sua? Finché vivi in questa famiglia, farai quello che dico io… e la scuola militare, scordatela!»

    Disorientato e intimidito dalla sua stessa irruenza, Sperandio pose fine alla discussione uscendo a precipizio da casa. Si rifugiò al piano di sotto, nell’abitazione del vecchio zio notaio con cui, fin da piccolo, aveva stabilito un rapporto di confidenza e fiducia.

    Questi, fratello della madre di Gaetano, era un severo uomo di legge che incuteva riverente rispetto. Sempre elegantemente vestito con abiti di fattura sartoriale, riusciva a dissimulare la bassa statura con un

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