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Il cavaliere della chimera
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Il cavaliere della chimera
E-book262 pagine3 ore

Il cavaliere della chimera

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Info su questo ebook

Donna in un mondo di cavalieri spietati: che fare, subire in silenzio, oppure adattarsi alle circostanze?Pubblicato nel 1938, "Il cavaliere della chimera" ci trasporta in una Venezia medievale, sospesa fra intrighi politici e superstizioni antichissime. Adrietta, strappata dal fratello adottivo Marco a un villaggio che accusava la madre di stregoneria, intraprende un'avventura straordinaria, che la farà diventare, sotto mentite spoglie, il famigerato cavaliere della chimera. Coinvolti nella congiura contro il doge Marino Faliero (1355), i due fratellastri ne vivranno di tutti i colori, sperimentando lotte, tradimenti e, immancabilmente, amori. -
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2023
ISBN9788728513385
Il cavaliere della chimera

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    Il cavaliere della chimera - Alfredo Pitta

    Il cavaliere della chimera

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1936, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728513385

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Il cavaliere della chimera

    I.

    Spinalonga.

    Il temporale — un vero temporale estivo, violento quanto breve — era cessato. Per meglio dire, non imperversava più su Treviso atterrita dai frequenti scoppi di tuono e dal lampeggiare quasi ininterrotto, ma si vedeva dileguarsi lontano a occidente. Ancora qualche vivido guizzare di baleni e un sordo rombare minaccioso venivano dal ciglione di nere nuvole che appena un quarto d’ora prima erano passate sulla città, sinistre apportatrici di distruzione e di morte. Su di esse un timido chiarore purpureo si affacciava, ultimo saluto del sole al tramonto; e poco lontano l’arcobaleno si disegnava agile e trionfale nella gloria dei suoi tenui colori, simile a una promessa di pace o per lo meno di tregua.

    A quell’incerto chiarore un uomo, avvolto in un mantello inverosimilmente grondante d’acqua, un lembo del quale era sollevato da una lunga spada, si affrettava sulla strada che da Treviso menava alla laguna, sguazzando nella mota a mano a mano che s’inoltrava in quello che era divenuto, dopo l’acquazzone, un vero pantano. Spesso si soffermava a guardarsi attorno, come cercando di riconoscere, dai loro particolari, luoghi che pure dovevano essergli piuttosto familiari; e l’acqua che ancora gli grondava dal cappellaccio a larga tesa, sgocciolandogli sugli ispidi baffi rossicci, gli faceva dare a volte una scrollatina, quasi che egli volesse liberarsi da quel fastidio, per quanto poca cosa potesse essere dopo l’infuriare del temporale che pareva avergli rovesciate addosso le cateratte del cielo. L’andatura e la spada avrebbero fatto comprendere a chi lo avesse incontrato che trattavasi di uno di quei venturieri di cui da qualche tempo anche la Serenissima Repubblica si serviva; ma in quel momento egli pareva essere senza soldo, oppure andava attorno per sue faccende, si sarebbe detto, poichè non aveva la cuffia d’acciaio, principale distintivo, in quei tempi, del soldato.

    Giunto là dove un vialetto, che era tutto una pozzanghera, si apriva sul lato destro della strada, unito a questa da un sommario ponticello che sovrastava alla roja, il viandante si soffermò ancora una volta, come per orientarsi. Scòrse a una cinquantina di passi lontano, come sperduta fra gli alberi sgocciolanti d’acqua, una quasi diruta casetta, dal cui comignolo usciva un filo di fumo, e parve allora non avere più incertezze. Volse risolutamente pel sentieruolo, e verso la casetta si avviò.

    Un cane, legato a un anello infisso nel muro della piccola costruzione, lo scòrse, o meglio lo sentì. Si raddrizzò guardingo, ringhiò sordamente, poi proruppe in latrati irosi, tendendo violentemente la catena che lo tratteneva, come se volesse liberarsene per balzare contro lo sconosciuto. Quasi subito l’impannata di una finestretta si socchiuse, e il viandante scorse in parte un viso dai grandi occhi neri che sembravano osservarlo inquieti. Poi l’impannata si richiuse, e si udì nell’interno della capanna un mormorio di voci concitate.

    — Zitto, zitto, chè sono un amico! — rise l’uomo dalla spada, il quale, aperto il mantello inzuppato, accennava al cane che si chetasse. Poi alzò la voce: — Ohè, della casetta! Sono io, Marco. Aprite! Ohè, dico, Lisa! Migaleto! Non abbiate paura anche se non mi riconoscete, che diamine!

    Nuovo sussurrìo nell’interno della casetta; e di nuovo l’impannata si socchiuse. Questa volta apparve un viso rugoso, dal naso a becco; e la brezza che ancora si faceva sentire agitava intorno a quel viso scomposte ciocche di capelli grigi. Poi un grido di riconoscimento:

    — È Marco! Proprio tu, vissere mie! Apri, Adrietta! Taci, Turcheto, stupida bestia! Oh, Marco, figlio mio!

    Quasi subito la porta si spalancò, e sulla soglia apparve una fanciulla sui quindici anni, alta, snella, dalla figura di adolescente ancora, e tuttavia di espressione fiera e quasi audace nel viso bello. Il naso, piccolo e ben fatto, aveva una lieve incurvatura aquilina, i grandi occhi neri parevano lampeggiare mentre guardavano il nuovo venuto fra dubbiosi e sorpresi. I capelli ella aveva tagliati a zazzera poco più in giù del collo, così come usavano portare i giovani allora; e quel particolare contribuiva a darle un aspetto quasi maschile, addolcito però dalla bella bocca rossa e tumida, che spiccava nel viso pallido. Il viandante, che stava per entrare, si fermò di botto a quell’inattesa apparizione, squadrando la fanciulla con un’espressione evidentemente ammirata negli occhi. E forse così entrambi sarebbero stati a scrutarsi a lungo, se dietro la fanciulla non fosse apparso il viso della vecchia che aveva riconosciuto il visitatore, e che esclamò, stendendo le magre braccia tremanti:

    — Qua, figliuolo, qua che ti abbracci! Sei proprio tu! Oh, quanto ti abbiamo aspettato!… Ebbene, e non entri? Anche dopo dieci anni di assenza, non è tua la casa di mamma Lisa? Se avessi ancora sane le gambe ti sarei corsa incontro…

    Quell’appassionata invocazione parve decidere Marco, il quale si avanzò e, stando ancora sulla soglia, abbracciò con effusione la vecchia, la quale, appoggiatogli il capo sulla spalla, ora singhiozzava. Poi ella si sciolse da quell’abbraccio del figlio adottivo e, trascinandosi penosamente appoggiata al bastone, poichè aveva una gamba paralizzata, gli prese la mano e lo condusse nell’interno della casetta, presso il semplice camino in cui, nonostante si fosse in giugno, ardeva un focherello. La fanciulla, che non aveva detto parola, richiuse la porta e andò a mettersi accanto a lei, in un atteggiamento fra amorevole e protettivo.

    — Oh, che sorpresa! Che sorpresa! — diceva la vecchia fra il riso e il pianto, mettendo le mani sulle spalle del visitatore e toccandolo come per accertarsi che non fosse quella una visione. — Dopo dieci anni, benedeto! E da dove vieni? Come sei cresciuto! E quanto sei bello!… Oh, una cicatrice alla guancia! Chi è stato?… Dopo tanti anni, dunque, non sono più mamma Lisa, ma soltanto Lisa, eh?… Lo so, son vecchia, ormai, a cinquantatrè anni, e non mi riconosci… E dunque, non abbracci tua sorella? Anche tu, Adrietta, che te ne stai incantata a guardare!… Non lo riconosci, proprio? È Marco, il nostro caro Marco! Eh, abbracciatevi, piàoli! Adesso più niente paura, figliuola, che c’è qui Marco. Oh, che spada!… Se venissero i birri dovrebbero fare i conti con te, vero, ragazzo? Tu la difenderesti, la tua mamma, lo so…

    Pareva che in quel profluvio di parole i due giovani stentassero a raccapezzarsi. Marco guardava come incantato la sua sorella adottiva, che aveva lasciata bimbetta di cinque anni appena nell’andare ad arruolarsi fra le truppe del re di Boemia, e che ora gli appariva come una rivelazione di risoluta eppur dolce femminilità; Adrietta scrutava a sua volta quel giovinottone che doveva avere ventisei anni, ormai, e che ella ricordava confusamente come il suo protettore, il suo inseparabile compagno di giochi, il fratello maggiore che l’accontentava pazientemente in tutti i suoi capricci. Non era propriamente bello, Marco, e la cicatrice che gli deturpava la guancia non contribuiva certo a dargli avvenenza; ma nell’insieme piaceva, con la sua espressione quieta e virile, i lunghi baffi rossicci, gli occhi di un turchino molto cupo. Ora che si era tolto il mantello, la casacca di cuoio, stretta alla vita da una cintura pure di cuoio, gli dava un aspetto anche più soldatesco. Poi, come sospinti da uno stesso impulso, i due giovani si abbracciarono con grande amorevolezza, mentre Lisa continuava a chiacchierare sconnessamente.

    Fu Adrietta la prima a sciogliersi da quell’abbraccio. Era commossa, ma non voleva farlo vedere; sicchè disse, con un sorrisetto che ricordò a Marco una delle graziose smorfie che ella faceva da bambina:

    — Mi hai bagnata la veste, vedi… Ma dunque, sei inzuppato sino alle ossa?

    — Eh, l’ho presa tutta! — esclamò gaiamente il soldato, riavendosi, si sarebbe detto, da una certa emozione che lo aveva stranamente pervaso. — N’è venuta giù, dell’acqua! Pareva il diluvio universale.

    — Presto, presto, accanto al fuoco! — fu sollecita a dire Lisa, che si mangiava con gli occhi quel suo figliuolo adottivo pel quale tanto aveva sospirato in quei lunghi anni di separazione. — E tu porta del vino, Adrietta: i soldati bevono volentieri, e il vino riscalda.

    La fanciulla ubbidì silenziosamente, andando nella cameretta attigua, che con l’altra e uno stanzino formava tutta la misera casetta. Ne ritornò poco dopo con un orciolo, che mise sulla piccola tavola accanto a Marco; il quale, senza cerimonie, in una sola bevuta lo vuotò a mezzo. Poi ella si mise a sedere su una bassa scranna accanto alla madre, e stette, col gomito sulle ginocchia e il mento nel cavo della mano, a guardare intenta il nuovo venuto.

    — Ebbene — esclamò questi gaiamente — ora che comincio a riprendermi da una certa uggia che mi aveva preso un po’ per la pioggia e un po’ perchè temevo di non ritrovarvi qui, vogliamo stare a guardarci, senza dirci un po’ che cosa n’è stato di noi in tutti questi anni? Quanto a me è presto detto: ho girato come un mercatante, e ne ho visto di mondo! Ho combattuto, naturalmente, e se mi han fatto parecchi occhielli un po’ dappertutto, anch’io non me ne sono stato con le mani in mano. E non tutti quelli che hanno avuto a che fare con me l’hanno poi potuta raccontare, sapete! Sono un po’ più conosciuto di quanto credessi; e oggi, per esempio, quando sono entrato in Treviso per andare da Ser Faliero a portargli una certa lettera di Ser Piero Civran che lo ha fatto saltare alto così dal seggiolone, un soldato di guardia alla porta mi ha riconosciuto, e mi ha chiamato festosamente: «Ehi, Spinalonga! E come mai a Treviso? Ti credevo a Zara». «E da Zara vengo», gli ho risposto. «E come vanno le cose, laggiù?». Vi domando io se era proprio il momento di dirgli come faccia Ser Piero Civran, il nostro grande capitano, a metter giudizio agli Zaratini, e come si prepari a dire una parolina al re d’Ungheria, che si dice voglia venirci addosso con un esercito mai visto. Così ho cercato di tirar di lungo, un po’ perchè avevo fretta di vedere Ser Faliero, un po’ perchè mi tardava di venir da voi. E lui mi grida dietro: «Ohè, non devi insuperbirti così perchè una volta mi salvasti la vita laggiù in Boemia!». Gli avevo salvata la vita, diceva, e non lo riconoscevo! Questo per dirvi che c’è chi mi vuol bene, un po’ dappertutto. E poi al palazzo del Podestà tutti a chiamarmi: Spinalonga di qua, Spinalonga di là, che pareva ci fossimo lasciati ieri… E io a non ricordarmi di nessuno, proprio!… Questo per dire che mi si conosce… Oh, ma che importa che vi parli di me, bestia che sono? Ditemi di voi, invece.

    — Ma perchè ti chiamano Spinalonga? — domandò Adrietta, che non distoglieva gli occhi da lui.

    — Oh, sarebbe una storia lunga quanto la spina, a volervela raccontare per intero! — rise Marco. — In due parole, fu un tale che un giorno, per farmi uno scherzo, mi punse al braccio con una spina. Non me la sarei presa calda, perchè agli scherzi ci so stare, io; ma quel maledetto boemo aveva voluto fare una spavalderia, come capii al vedere un gruppo dei suoi compagni che sogghignavano, e allora mi risentii e gli dissi che se volevamo giocare a punzecchiarci con le spine, come ragazzi, io ne avevo una più lunga della sua da fargli assaggiare. L’amico mi rispose con parole di scherno. Era due volte più grande e grosso di me, che avevo allora vent’anni sì e no; eppure gli balzai contro tenendo in mano il pugnale, che era la spina di cui avevo parlato. Egli trasse il suo, e per un pezzo stemmo a colpirci, furibondi; infine riuscii ad avere la meglio, e il boemo andò a fare lo spaccamonti in paradiso… o all’inferno. Era un briccone, e non me ne dispiacque più che tanto. «Davvero, che spina lunga ha Marco!» gridavano ridendo i miei amici. E da quel giorno fui chiamato Spinalonga, che nessuno me l’ha tolto più, questo nomignolo: cosa di cui non mi dolgo, visto che non ho altro nome… — E qui il viso del soldato si rabbuiò. Ma egli si riprese subito, e conchiuse: — Via, non pensiamo a malinconie, ora. Dunque, volete dirmi di voi, sì o no? Cercate di sciogliere la lingua, mie care: io debbo ritornare a Zara con la risposta di Ser Faliero al mio capitano; e potrebbe darsi anche che ripartissi domani stesso. Perciò sbrigatevi. E prima di tutto, come sta quel caro Migaleto? Uno dei suoi soliti viaggetti a Venezia, forse? Mi dispiacerebbe di partire senza rivederlo.

    Madre e figlia si scambiarono uno sguardo espressivo; poi, improvvisamente, la vecchia si mise a piangere.

    — E dunque, che vi prende ora? — fece Spinalonga, meravigliato e inquieto; e poichè Lisa non rispondeva, egli si volse alla fanciulla: — Parla tu, Adrietta; è forse accaduta qualche cosa a Migaleto?

    Lisa singhiozzò più amaramente che mai; e fu Adrietta che, quietamente, rispose:

    — Marco, non vedrai più lo zio Migaleto, che tanto ti voleva bene. Sarà un anno che… che è morto; e si può dire che sino all’ultimo momento ha parlato di te. Eri come un figlio per lui, e lo sai.

    — Morto! — esclamò Marco con doloroso stupore. — Questa sì che non me l’aspettavo… Ma morto di che cosa, lui che era tanto robusto? Non arrivava ancora a cinquant’anni, direi. Oh, quanto, quanto me ne dispiace!

    — Di che è morto, domandi? — E gli occhi di Adrietta balenarono fieramente. — Te lo dico subito… No, no, mamma, Marco deve sapere…

    — Taci, per amore della Vergine! — singhiozzò la vecchia.

    — Ma che cosa sono questi misteri, e con me? — fece Spinalonga, guardando l’una dopo l’altra le due donne. — Non sono più un figlio per te, mamma Lisa, e un fratello per Adrietta? Voglio saperlo: com’è mòrto Migaleto? O credete forse che io, per quanto indurito alla guerra e ai massacri di ogni genere, possa disinteressarmi della sorte di un uomo che mi raccolse quando, a due o tre anni appena, ero abbandonato in una barca, e mi tenne luogo di padre?

    — Ascolta — rispose risolutamente Adrietta; e Lisa, invece di impedirle di parlare, questa volta, si limitò a scrollare dolorosamente la testa. — Saranno due anni, ci cominciarono ad accadere le cose più impensate e più terribili. Una contadina che abitava allora a poca distanza da noi, in quella capanna presso i due meli che tu certo ricordi, si ammalò di un male stranissimo, per cui si gonfiò tutta; e morì in due giorni. Aveva avuto a che dire con mamma prima di ammalarsi, per via di certe mele che ero andata a prendere sull’albero, come facevi tu quand’eri ragazzo, se te ne ricordi…

    — Per darle a te — interruppe Spinalonga. — Ma continua.

    — Appunto, per darle a me — convenne la fanciulla, con la gravità che pareva in lei consueta; ma misc la mano sul ginocchio del soldato, affettuosamente. — Dunque, quella disgraziata morì; ed ecco che il marito cominciò a spargere la voce che… che mamma l’aveva stregata, insomma.

    — Stregata! — esclamò Spinalonga inorridito. E in verità tale era in quei tempi il terrore per le streghe e per tutto ciò che sapeva di stregoneria, che egli quasi fece atto di scostarsi dalla madre adottiva. Tuttavia si riprese subito e soggiunse, con voce strozzata: — Ma… non era così, naturalmente!

    — Naturalmente! — ripetè Adrietta, con un lieve sorriso quasi di scherno che le contrasse le labbra bellissime. — Io non so se sian vere, tutte queste storie che si raccontano di streghe e di maleficii; ma so bene, invece, che mamma era ed è innocente quanto… quanto innocenti si può essere. Tuttavia la voce si sparse; e i vicini non passavano più di qui senza farsi il segno della Croce. Un giorno s’incendiò un fienile, poco lontano; e la colpa fu data anche questa volta a mamma. Un bambino cadde da un albero e si spezzò una gamba: lo stesso. Presero a tormentarci. Zio Migaleto mise a dovere i più scalmanati, a suon di bastonate; ma erano in troppi… E una sera una quarantina di contadini vennero ad assalirci, dicendo che volevano ardere la Scònzega, chè così avevano soprannominata mamma, e la sua maledetta casa. Lo zio si difese accanitamente, e ruppe la testa a più d’uno; ma sarebbe andata a finir male se io non avessi fatto in modo da uscire e correre a Treviso a chiamare gli uomini del Podestà, i quali giunsero appena in tempo a liberare la mamma e lo zio. Oh, se vi fosse stato mio padre, di cui ancora adesso si parla con terrore in città! — E gli occhi di Adrietta brillarono fieramente.

    — È vero, era un uomo terribile quanto buono, tuo padre; nostro padre, dovrei dire — convenne penosamente Spinalonga. — E si vede che hai il suo sangue nelle vene, se, a tredici anni, chè tanti dovevi averne allora, potesti avere il coraggio di uscire di qui per andare a Treviso a chiamar gente…

    — Oh, fu una cosa tanto semplice! — replicò superbamente Adrietta. — E poi, io non ho paura di nulla, sai? Ma lasciami continuare… No, no, dirò io tutto, mamma: so che per te il parlare di queste cose è dolorosissimo. Ti hanno fatta invecchiare prima del tempo. Dunque, per quella volta la cosa finì così. Ma qualcuno andò a riferire al Vescovo che qui, nei Campi di Tadin, c’era una strega, la Scònzega, che faceva maleficii a tutti. Il Vescovo tentò la prova dell’acqua santa, che riuscì bene, naturalmente; e per qualche tempo fummo lasciati in pace. Poi una notte, quasi un anno dopo, lo zio Migaleto fu ucciso a tradimento, con un colpo di zappa dietro la testa; e non si riuscì a trovare chi lo avesse ucciso. Cioè, noi lo avevamo capito, che era il marito della contadina morta; ma non riuscimmo a dimostrarlo. Si sarebbero potuti accontentare di quel sangue, mi sembra — proseguì cupa e quieta la fanciulla; — invece no, siamo state perseguitate più che mai. Ieri, per esempio, un altro contadino, Piero Gialin, se te lo ricordi, che era divenuto da nostro amico uno dei più accaniti a perseguitarci, si è rotto il collo per una caduta da cavallo; e son certa che già si va dicendo che è stata mamma a fare accadere la disgrazia.

    — Quasi che non fossi ora storpiata anch’io, con questo male alla gamba! — protestò singhiozzando Lisa. — Ma tu non lo credi, che sia una strega; vero, Marco?

    E stringeva appassionatamente le mani del figlio adottivo, così dicendo.

    — Certo che no — rispose Spinalonga, torvo in viso. — Ma siete in grave pericolo, voi due, vero o non vero che sia ciò che si dice. Basterebbe che si persuadesse il Vescovo e… Ma no, lasciamo andare. Piuttosto, come vi dicevo, non siete ormai sicure, qui, e bisognerà provvedere diversamente. Spero che Ser Faliero non avrà bisogno di rimandarmi subito a Zara, e allora vedremo di aggiustar le cose. Ad ogni modo, egli è il Capitano e il Podestà, e si ricorda di me, che ho combattuto ai suoi ordini: me l’ha detto oggi; gli parlerò della cosa, perchè in qualsiasi evenienza vi prenda sotto la sua protezione. Quando Marin Faliero protegge qualcuno, vi so dire io

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