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I colori dell’anima
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I colori dell’anima
E-book164 pagine1 ora

I colori dell’anima

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Info su questo ebook

In questo libro, Elio ritorna su carta con un secondo diario: I colori dell’anima.
Un nuovo percorso personale dove l’autore racconta, nove anni dopo l’incidente che gli cambiò per sempre la vita, le sue giornate, mostrando ai lettori e alla propria anima l’evoluzione e le battaglie che ogni giorno affronta.
Questo diario vuole essere un confronto fra l’Elio di cinque anni fa e quello di adesso, per ispirare e incoraggiare altre persone a combattere per sé stessi e ad amare fortemente la vita, proprio come ha imparato a fare lui.
“Devo credere in me stesso e soprattutto rendermi la vita più leggera, perché non si può vivere sempre con la paura”. Lottare non è facile, ma rinunciare alla propria esistenza è peggio. Solo una grande forza di volontà e tanto amore possono farci sprigionare tutti i “colori del nostro arcobaleno”.
 
Aurelio Mariotti è nato a Sassari nel 1978. La sua famiglia, quando lui era ancora un bambino, si è trasferita in Costa Smeralda, dove successivamente lui ha frequentato il liceo scientifico. Durante gli studi ha lavorato nel settore alberghiero e ha viaggiato all’estero per apprendere la lingua inglese. Sin da giovane è fortemente appassionato di letteratura e politica.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788830651111
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    Anteprima del libro

    I colori dell’anima - Aurelio Mariotti

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Alla mia amata famiglia

    e, in particolare, alla piccola Swami,

    un angioletto venuto a togliere un po’ di peso dalla mia vita

    21/11/2018

    Ormai, fra tre mesi, saranno cinque anni che ho aperto una finestra sul mondo, dopo gli inviti di alcune persone che conoscevano la mia storia e mi consigliavano sempre di scrivere un altro diario.

    Io ero sempre contrario, perché lo trovavo noioso e ripetitivo; invece, tre giorni fa, a letto, stavo riflettendo e mi sono detto: "Voglio paragonare la mia vita di adesso a quella di cinque anni fa, quando stavo uscendo da una storia d’amore importante e stavo tentando di rientrare con difficoltà nella quotidianità, in cui, a parte lei e i miei, frequentavo pochissima gente.

    Ora, che sono rientrato appieno nel mondo, frequento molte persone, e, a parte il fatto che non trovo la mia Beatrice, conduco una vita normalissima e, perché no, a volte piena e soddisfacente, quindi ho deciso di rimettermi davanti al pc.

    Purtroppo, come Polifemo, a trasformare in parole le mie ansie, paure e fobie, ma anche la mia voglia di vivere e la mia gioia di essere in mezzo a tutti. Anche questo, non sarà un diario giornaliero, ma uno specchio che confronti la mia esistenza presente con quella passata e, speriamo, una mappa che mi guidi dentro me stesso, nel profondo, senza perdermici.

    23/11/2018

    Io vorrei sapere come ho fatto a dimenticarmelo! Non ho proprio testa. Nella nostra famiglia è arrivato un angioletto a portare felicità e gioia, e io ho il coraggio di scordarmelo. È proprio vero: non ho né memoria né attenzione.

    È nata Swami, figlia di Carla: un amore, proprio un angioletto biondo. È bellissima, come tutti i bambini di oggi, e intelligentissima. Vuole sempre guardare YouTube per ascoltare musica: dice Zio iaiaoo, e io capisco che vuole udire qualche brano.

    Da un paio d’anni, ogni mattina, vado a prendere il caffè con mio padre e, di solito, portiamo Swami con noi, ed è ormai tradizione che io le dia la schiuma del caffè, e, quando questo non succede, dice: Zio, la schiuma e io, ridendo, gliela porgo.

    Anche il caffè, per me, è diventato una sfida. La mattina, mi metto alla prova mentre loro dormono, mi alzo come al solito presto, perché l’equilibrio sogno-veglia se n’è andato. La notte, alle ore ventidue, ho un sonno da morire e, alle cinque e trenta, sono un grillo. Ma, ieri sera, ancora una volta, mi sono stupito: sono uscito con Andrea, un caro amico di Baja Sardinia che ho ritrovato da poco, e Carla. Ci siamo trovati a Olbia dove abita lei, e siamo andati al ristorante giapponese.

    Prima di arrivare, ci siamo scritti messaggi per due ore con Carla: Ci vediamo davanti allo Yumè, ci vediamo qui, mò ci vediamo lì….

    Eppure, quando siamo arrivati a Olbia, l’ho chiamata: «Siamo davanti al White Miller».

    E lei: «Guarda che si chiamava così quindici anni fa».

    Allora, capisco che la memoria a lungo termine mi è rimasta!

    Verso le ventuno, siamo arrivati, abbiamo preso tre spritz e, dopo, siamo andati al giapponese. Alle ventidue e trenta, avevo già gli occhi in gloria, quasi chiusi dal sonno, non facevo altro che strofinarli. Verso le ventitre, dopo una serata di ricordi e risate, siamo andati via.

    Siamo usciti, ci siamo seduti, perché non riesco a stare molto in piedi, ci siamo messi a scherzare fino all’ una, siamo tornati a casa all’una e mezza.

    Ancora una volta, ieri, ho capito che le fissazioni e le paure, soprattutto le mie, con non molta fatica, passano.

    Ero convinto di riuscire ad addormentarmi, ma ce l‘ho fatta… non manca molto…

    25/11/2018

    La vita è tutta un esempio.

    L’altro giorno, eravamo con quella povera donna di mamma, dall’amico Alessandro, il proprietario del Frisby, una tavola calda all’Iper-Standa di Olbia, dove si mangia benissimo e dove andiamo ogni settimana.

    All’entrata, becco Rosella, una donna che conosciamo da una vita. Quando ci incontriamo, facciamo i soliti discorsi convenevoli e, questa volta, le chiedo anche: «Come sta tuo marito?».

    E lei: «Ci siamo lasciati da una settimana».

    A me è preso un colpo. Stavano insieme da tutta la loro vita, erano fatti l’uno per l’altra: mai una crisi, mai un litigio; io li invidiavo. Per me, quest’evento è stato esemplare: mi ha fatto capire che non tutti gli amori sono infiniti, che anche quelli forti come l’acciaio possono arrugginirsi e sgretolarsi.

    Io, da ormai quasi nove anni, vengo continuamente messo alla prova, soprattutto da me stesso, e, nonostante abbia ormai metabolizzato i problemi, non riesco a trovare la quiete dopo la tempesta, come scriveva Carducci o Quasimodo, non ricordo (caso strano).

    Anche quando andiamo da Alessandro mi metto alla prova. Se non ci trova un tavolo comodo dentro, ci mettiamo fuori, dove i tavoli hanno gli sgabelli alti, e, quando mangiamo, sto attentissimo a non perdere l’equilibrio e a non rovesciare tutto. E, quando voglio strafare, vado da solo, mi scelgo la roba, dopo, sempre da solo, mi alzo, prendo la stampella, pago e a volte mi metto a chiacchierare con A. Rosa, la moglie di Alessandro, una persona simpatica, scherzosa e alla mano.

    Anche la chiaccherarata è una riprova: se non parlo come uno sbronzo e mi capiscono, allora io cerco di tenere la conversazione con Anna Rosa e Alessandro, parlo di viaggi, perché loro viaggiano molto, e ribadisco che vivrei sull’aereo; poi andiamo al bar di fronte, e anche lì nasce una sfida: prendiamo il caffè, ordino io e dopo mi alzo, vado, pago e vedo ce la faccio.

    Queste sono soddisfazioni, neanche tanto piccole, che, dopo quasi nove anni,

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