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Scacco a Teodolinda
Scacco a Teodolinda
Scacco a Teodolinda
E-book161 pagine2 ore

Scacco a Teodolinda

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Info su questo ebook

La Corona di Teodolinda, esemplare tra i più belli dell’oreficeria longobarda, sta per essere esposta presso il Castello Visconteo di Pavia. C’è grande fermento attorno all’evento, attesissimo dalla comunità e dalle autorità cittadine, e Ambra non ha saputo dire di no all’invito di una vecchia amica, Monica, all’anteprima della prestigiosa mostra. Il trasferimento del prezioso monile dal Museo del Duomo di Monza e le successive operazioni finalizzate all’esposizione dello stesso, sono tasselli di un’organizzazione perfetta, blindatissima, pianificata nei minimi dettagli. Eppure qualcosa va storto e all’apertura del cofanetto in velluto che la contiene, la Corona non c’è.
Inizia così da parte delle Forze di Polizia un’indagine serrata cui Ambra, giovane e appassionata giornalista, decide di dare il suo contributo; è un mistero irresistibile che stimola la sua curiosità, e più il caso va complicandosi, più il suo acume la spinge sulla strada della verità. 
Scacco a Teodolinda è un cozy mistery perfettamente orchestrato, la cui soluzione è affidata a un’investigatrice improvvisata, forte di brillanti intuizioni nonché di un pizzico di fortuna.

Claudia Celé nasce a Pavia, città in cui vive tuttora. Sposata e mamma di due ragazze, è laureata in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni e lavora nel settore amministrativo. I suoi hobby principali sono la cucina e i viaggi.
Fin da ragazzina si appassiona alle storie poliziesche, mistery e crime.
Il suo primo romanzo, Samantha e il mistero di Valmont, esce nel 2021 ed è un giallo pensato per un pubblico young adult, ambientato in un collegio svizzero.
Nel 2022 pubblica Samantha e il segreto di Alina.
 
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9788830680234
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    Anteprima del libro

    Scacco a Teodolinda - Claudia Celè

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prologo

    Al Museo del Duomo era quasi tutto pronto, ancora poche ore e i gioielli sarebbero partiti per la mostra allestita al Castello Visconteo di Pavia. Il dottor Valerio Furlan, uno dei massimi consulenti di arte orafa longobarda, era stato incaricato di organizzare le operazioni di sicurezza e di sovrintendere alla predisposizione dei magnifici oggetti da inviare all’esposizione. L’esperto in preziosi aveva fatto preparare personalmente le custodie per il trasporto dei gioielli e si era recato direttamente all’azienda produttrice dei cofanetti. Furlan aveva scelto il modello, la dimensione e la forma; aveva definito lui stesso il sistema di sicurezza da adottare. Tutto era stato progettato nei minimi dettagli, i preziosi cimeli non potevano essere più protetti di così.

    «Dove sono le custodie? Voglio vederle e controllare ancora una volta» disse il dottor Furlan a Grassi, il direttore del museo. «Non possiamo correre rischi, devono essere perfette».

    «Vieni con me, le ho fatte mettere al sicuro in una stanza chiusa a chiave» rispose il direttore incamminandosi lentamente e facendogli cenno di seguirlo.

    «Ottimo, un bel lavoro, sono proprio come le avevo richieste» mugugnò rigirandole tra le mani, «sono veramente stupende».

    «Una meraviglia, un vero capolavoro della tecnologia» si affrettò a replicare Giorgio Grassi.

    «Allora ci vediamo domani alle diciotto per le operazioni di chiusura».

    Uno

    C’era un po’ di nebbia quel giorno come capita spesso in Pianura Padana agli inizi di marzo e anche nelle settimane d’autunno. Ambra aprì le persiane della finestra del bagno ma non riuscì a vedere nitidamente il palazzo di fronte. Il cielo era grigio e si prospettava una giornata triste, uggiosa, senz’altro deprimente; la cosa la infastidiva e la metteva di cattivo umore. Il gatto Jerry stava già miagolando perché aveva fame e voleva le coccole del mattino; era abituato bene ed era viziato, del resto lei lo trattava come un pascià, diceva che era il suo principino: dormiva con lei, si svegliava con lei ed era la sua unica compagnia. 

    Ambra si guardò allo specchio e anche quella mattina, tanto per cambiare, non si piaceva. Fisicamente non era assolutamente messa male: era alta, asciutta ma si rammaricava per il poco seno e per i capelli corvini troppo dritti. Si vestì pigramente, quasi in modo automatico, tanto sarebbe stata una giornata monotona come le altre, alla ricerca dell’ispirazione che non veniva da un po’ di tempo. I suoi primi tre romanzi erano andati bene ma non avevano sfondato e lei era ancora in attesa di trovare una storia che finalmente le consentisse di emergere. Certo la sua città non offriva molte opportunità; nonostante fosse capoluogo di provincia, era pigra, sonnacchiosa, un luogo chiuso e pettegolo arroccato attorno alla sua università che tirava le fila del potere economico.

    Aveva deciso di uscire per fare un po’ di spesa prima di andare al lavoro, un impiego part-time presso un’agenzia pubblicitaria che non la entusiasmava, ma le permetteva di avere una fonte di reddito certo per mantenersi. Scrivere, quello sì che la affascinava ma purtroppo di scrittura non sempre si campa, bisogna essere continui, prolifici, farsi supportare da un gruppo editoriale di buon livello e al momento per lei non era così.

    Lasciò la sua Toyota Yaris blu in uno degli spazi a pagamento lungo viale della Libertà e s’incamminò verso l’agenzia con passo sostenuto. Betty, la sua collega, era di buon umore come al solito; aveva un marito, due figli piccoli, un mutuo trentennale sulle spalle eppure era sempre contenta. 

    «Ciao Betty». 

    «Ciao Ambra, anche oggi ti trovo raggiante» le disse in tono sarcastico.

    «Si vede eh? Infatti, non sono di buon umore, ecco».

    «Tanto per cambiare» replicò, «avresti bisogno di rilassarti un po’, uscire a divertirti, andare da qualche parte, invece di stare con il tuo gatto».

    «Lo so, hai ragione, però non mi va».

    «Hai trentadue anni, se non ti godi la vita adesso non lo farai più, il tempo passa e non si può recuperare, devi darti una mossa, magari trovarti anche un uomo».

    «Sto bene così, non ho tempo, ho da fare».

    «Fare cosa?! Guardare il soffitto e sperare che ti arrivi l’ispirazione? Scrivere, scrivere e ancora scrivere» sbuffò Betty sapendo che le sue parole sarebbero state inascoltate.

    Squillò il telefono; era un cliente che aveva bisogno di informazioni per realizzare un sito web attraverso il quale pubblicizzare la sua azienda di trasporti e facchinaggio. Che noia – pensò Ambra – non vedo l’ora di andarmene.

    Comunque la mattinata passò in fretta, si era fatta già l’una ed era ora di chiudere per la pausa pranzo. Betty si era portata il solito scaldavivande con la pasta che si era preparata la sera prima, Ambra invece sarebbe tornata a casa a mangiare perché non faceva rientro nel pomeriggio.

    Salutò la collega, uscì di fretta incamminandosi velocemente per raggiungere la macchina, un po’ rannicchiata con le mani in tasca, urtò leggermente una passante. «Oh, scusi, mi dispiace» disse alzando lo sguardo.

    «Ambra, Ambra Rossini?».

    «Sì» rispose distrattamente. 

    «Allora non mi sto sbagliando, sei proprio tu, non ci si vede da un po’ ma in viso non sei cambiata molto in questi anni».

    Ambra si fermò, la guardò bene e finalmente la riconobbe: Monica Conti, la sua compagna di banco del liceo. Lei sì che era diversa, era diventata più bella, il brutto anatroccolo si era trasformato in un cigno.

    «Come stai? Vai di fretta oppure possiamo prenderci una cosa insieme?» disse la donna.

    «Devo tornare a casa per il pranzo» si affrettò a rispondere Ambra nel tentativo di troncare la conversazione.

    «Devi preparare da mangiare per la tua famiglia?» insistette l’altra.

    «No, non sono sposata e non ho figli, abito da sola».

    «Allora possiamo concederci mezz’ora per un toast così facciamo due chiacchiere, che ne dici?» propose Monica indicando il bar che si trovava sul lato opposto della strada.

    «Va bene, andiamo» replicò in tono rassegnato.

    Si sedettero a un tavolino per due e ordinarono.

    «Viviamo nella stessa città ma non ci siamo incontrate per anni, curioso no? Chissà perché ci siamo perse di vista eppure andavamo d’accordo, eravamo molto amiche» osservò Monica.

    «Hai ragione, dopo il primo anno di università abbiamo preso strade diverse e non siamo rimaste in contatto, forse la causa è stata quel tuo ragazzo… come si chiamava, Gianni?».

    «Giacomo» la corresse Monica.

    «Ah, sì, lui. Siete ancora insieme?».

    «Ma va, quello non era il tipo giusto per me».

    «Lo immaginavo, mi sono allontanata proprio perché non mi piacevano i suoi modi, mi sembrava un tantino cafone, a dire la verità».

    «E avevi visto giusto, ero io che ero troppo accecata da lui e non me ne ero resa conto ma ciò che importa è che me ne sono liberata. Adesso sto con Marco, lui sì che è veramente fantastico. Ora che ci siamo riviste, voglio fartelo assolutamente conoscere».

    «Non esco spesso, lavoro tantissimo, sono molto impegnata».

    «E ti vedi anche con qualcuno, immagino».

    «No, non ho nessuno».

    «Effettivamente, permettimi di dirlo, non mi sembri molto in forma, sei un po’ sciupata, pallida, sciatta, struccata. Ti ho riconosciuta perché in viso sei uguale ma fisicamente ritengo proprio di no».

    «Dritta come un fuso all’obiettivo, eh?» le rispose Ambra un tantino seccata. «Però devo ammettere che hai ragione».

    «Se posso permettermi, comincerei col dirti di metterti

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