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A scuola di felicità e decrescita: Alice Project: Intercultura ed educazione alla consapevolezza nel cuore dell'India
A scuola di felicità e decrescita: Alice Project: Intercultura ed educazione alla consapevolezza nel cuore dell'India
A scuola di felicità e decrescita: Alice Project: Intercultura ed educazione alla consapevolezza nel cuore dell'India
E-book232 pagine2 ore

A scuola di felicità e decrescita: Alice Project: Intercultura ed educazione alla consapevolezza nel cuore dell'India

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Info su questo ebook

Alice Project è una scuola interculturale e interreligiosa che pone al centro del proprio programma la conoscenza di sé stessi e l’amore nei confronti del mondo e di ogni creatura vivente.
È stata fondata nel 1994 a Sarnath, in India, da Velentino Giacomin che, dopo aver lavorato come maestro in Italia ha deciso, insieme con Luigina De Biasi, di continuare la propria ricerca educativa e spirituale nel subcontinente indiano. Da allora, molte scuole sono nate dalle iniziative di studenti e ‘seguaci’, in Italia, Germania, Francia e Taiwan, e il progetto ha ricevuto in più occasioni l’apprezzamento del Dalai Lama, che gli ha conferito il suo patrocinio dal 2006.

Il libro è il risultato di numerose visite che l’autrice ha compiuto a Sarnath nel corso degli anni, colpita dalla serenità degli studenti e dall’educazione alla sostenibilità e alla pace.

Nel libro le parole e l’esempio di Giacomin si intrecciano con le voci dei molti pensatori (Terzani, Illich, Latouche) che in questi anni stanno smascherando i limiti e le contraddizioni dei modelli di conoscenza e di sviluppo dell’Occidente industrializzato.

Nel volume, capitolo dopo capitolo, si delinea la forza di un progetto che pone l’educazione alla consapevolezza, la non violenza, la ricerca di una felicità slegata dai beni materiali e dal consumo al centro, per cercare di costruire tutti insieme un mondo migliore.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2015
ISBN9788866810940
A scuola di felicità e decrescita: Alice Project: Intercultura ed educazione alla consapevolezza nel cuore dell'India

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    Anteprima del libro

    A scuola di felicità e decrescita - Gloria Germani

    Prefazione del Dalai Lama

    Dal discorso che S.S. il Dalai Lama ha tenuto all’Alice Project – Universal Education School, il 13 gennaio 2013.

    Il Dalai Lama ha conferito il suo patrocinio all’Alice Project – Universal Education a partire dal 2006. Traduzione in attesa di revisione dell’Ufficio del Dalai Lama. Il suo precedente discorso riguardo alla scuola tenuto il 9 dicembre 2006 è riportato nel Capitolo 8.

    Il mio ringraziamento va agli studenti, agli insegnanti, ai benefattori e a tutto lo staff di Alice Project. Voglio esprimere la mia ammirazione per quello che stanno facendo.

    Oggigiorno, molti amici, tra educatori e scienziati, avvertono che il sistema dell’educazione moderna è veramente carente della lezione dell’etica. È per questo, ovviamente che il XX secolo è il secolo della violenza. Secondo alcuni storici in questo secolo sono state uccise 200 milioni di persone con mezzi violenti. Sebbene la tecnologia e la ricerca scientifica siano state altamente sviluppate, questo sviluppo della tecnologia e della scienza è avvenuto senza una vera educazione. E questo è un male. L’istruzione attuale crea problemi. Nel campo economico c’è stato molto sviluppo, ma esso ha creato un baratro tra ricchi e poveri, non solo a livello internazionale, ma anche a livello di nazioni. Sembra che la gente più è educata, più è astuta. L’educazione dunque aiuta a fare azioni sbagliate. E questo è un punto molto importante.

    Sfortunatamente, la religione, sia a livello individuale che di comunità, è diventata corrotta. Essa dovrebbe essere fonte di compassione, di servizio verso gli altri, di aiuto degli altri, ma talvolta è usata per sfruttare e dividere le persone. Essa diviene allora una fonte di conflitto. Questo significa che la religione è sbagliata? Certamente no. Tutte le religioni insegnano la pratica della compassione e del perdono e alimentano il senso di fraternità. La risposta è che spesso le persone religiose non praticano con sincerità la loro fede. La loro religione è solo formale e non è religiosità vissuta con il cuore.

    E così, giudicando da questi fatti, appare chiaro che abbiamo bisogno di una maniera più universale per promuovere i principi morali nella società. Abbiamo bisogno di un metodo che possiamo mettere in atto ovunque: un sistema secolare di etica.

    Il nome «secolare» significa – almeno da tremila anni in India – rispetto per tutte le religioni e anche rispetto per coloro che non credono. Pertanto l’insegnamento secolare dell’etica è accettato da tutte le religioni se concepite propriamente, ed anche dai non credenti. L’India è l’unico paese dove le più grandi religioni del mondo, sia quelle locali che quelle che provengono dall’estero, vivono fianco a fianco in armonia. Questo costituisce un grande esempio per il mondo.

    La scuola di Alice già enfatizza i principi morali. Le comodità che fornisce sono piuttosto basilari, ma l’educazione che viene impartita qui è stupenda, stupenda! Il maestro stava cantando questa meravigliosa canzone che diceva: «il Signore non può mai essere trovato in un preciso posto sacro, ma solo qui in un villaggio, in una piccola, semplice scuola». Diceva: «ama i tuoi amici come i tuoi nemici, ama le creature di questo splendido mondo, ama la terra, ama la gente al di là dalla sua religione, al di là delle religioni e di ogni immagine di Dio...». Questo è esattamente quello di cui abbiamo bisogno.

    In quanto esseri umani, siamo tutti uguali, che crediamo o meno nella religione. Il nostro futuro, il futuro di ciascuno di noi dipende da quello di tutti gli altri. Così, prendersi cura degli altri è la maniera migliore per prendersi cura di sé. Mantenere la preoccupazione per gli altri è il modo migliore per acquisire forza interiore e fiducia. In questa direzione si può agire con trasparenza. Il risultato sarà meno stress, meno paura e meno sfiducia. Il risultato sarà che le persone diventeranno più felici, e più felici saranno le famiglie e le comunità.

    Proprio questa mattina, alla radio, ho sentito di un giovane di 24 anni, abbastanza famoso, ricco, che si è suicidato. Perché? Perché era depresso? E anche l’anno scorso il suicidio di una cantante famosa. E così tanti altri ancora. Questo chiaramente dimostra che i valori materiali e anche l’educazione materialistica non riescono a portare pace interiore. Un mio amico tibetano fu arrestato dalle autorità cinesi nel 1959 e tenuto in prigione per 18 anni. Quando finalmente ci rincontrammo, mi raccontò che aveva dovuto fronteggiare dei veri pericoli. «Quali pericoli?» – gli domandai. «Il pericolo di perdere la compassione verso questi cinesi. È estremamente necessario e importante mantenere la compassione verso i propri nemici». Questi sono i chiari risultati del mantenere la mente compassionevole, risultati sia per gli altri che per noi stessi.

    Tutta la tecnologia, tutta la conoscenza, tutte le comodità sono positive, ma alla fine sono essenziali i principi etici. Educare secondo principi etici secolari. Per mettere in pratica questa missione, la strada è quella dell’educazione combinata con i principi morali e lo sviluppo della mente. Sviluppare le qualità interiori.

    Ed è per questo che voglio esprimere di nuovo il mio apprezzamento per la scuola di Alice, agli insegnanti, ai fondatori e ai benefattori. Li ringrazio per quello che fanno e li prego di impegnarsi per portare avanti nel futuro questa grande pedagogia.

    Introduzione

    di Andrea Bocconi*

    Andrea Bocconi è scrittore, psicologo e psicoterapeuta, specialista in psicosintesi. È docente di scrittura presso la Scuola del Viaggio e Barnabooth.

    In questo libro Gloria Germani racconta una storia italiana che accade in India. Una storia che merita di essere conosciuta e diffusa, perché potrebbe essere una rivoluzione pedagogica nella scuola italiana. Il protagonista è un maestro elementare: Valentino Giacomin.

    Ma che ci fa in India questo maestro in pensione di Treviso? Insegna naturalmente, utilizzando il metodo che ha creato e sperimentato nella scuola pubblica italiana per dieci anni: è il Progetto Alice. Ha scritto a suo tempo un libro, Il maestro di Alice: bisogna lasciare la visione ordinaria della realtà, seguire il Bianconiglio. Il metodo tradizionale basato sulla mente solo analitica e sulla frammentazione dell’esperienza della realtà sui contenuti più che sui processi, è limitato, se non negativo. Germani, lo intervista, racconta la scuola di Sarnath dove è stata più volte, toccata dalla serenità dei bambini, ne illustra i presupposti psicopedagogici. Giacomin insegna la soggettività della percezione, senza negare la realtà esterna. Insegna a osservare la mente per capire come funzioniamo. Insegna l’interdipendenza di tutti fenomeni. Una collega, Luigina De Biasi, collabora con lui dall’inizio, insegna il metodo in Italia e in altri paesi, raccoglie fondi. Valentino Giacomin si trasferisce a Sarnath, villaggio sacro per i buddhisti e gli induisti, nel 1993: compra con la liquidazione un pezzetto di terra e ci costruisce un paio di aule. Per sei mesi forma dei maestri secondo il suo metodo. All’inizio vengono i figli dei contadini del villaggio, che non potrebbero permettersi di pagare le rette delle scuole: sono circa sessanta. Venti anni dopo la scuola di Sarnath ha novecento allievi. Utilizza tecniche meditative, lo yoga, propone ai bambini domande filosofiche, li guida nello sviluppo della capacità introspettiva e del controllo delle emozioni: mutua tecniche e concetti dalla psicologia analitica, dalla scienza della mente buddhista, dalla psicosintesi. Inventa storie pedagogiche illustrate, propone esercizi semplici e geniali: i bambini arrivano a scuola e mettono in un cestino una pallina bianca se tutto va bene, una nera se sono tristi o arrabbiati e poi ci si lavora. Ora arrivano alla scuola di Sarnath anche i figli dei benestanti, perché gli studenti del progetto Alice hanno ottimi risultati agli esami di stato, ma la retta mensile resta di 50 rupie per i poveri, 70 centesimi di euro. Altre due scuole si aggiungono, una a Bodh Gaya, sostenuta dal Dalai Lama, una sulle montagne dell’Arunachal Pradesh. Accoglie gratuitamente i Chakma, una etnia espulsa dal Bangladesh perché buddhista, che non ha mai ricevuto il passaporto indiano. Sono apolidi i ragazzi Chakma di Sarnath, vivono nella scuola e vanno a casa ogni due anni, con un viaggio che dura quattro giorni. Vogliono diventare insegnanti, lavorare nel sociale.

    Non è stato un cammino rose e fiori. Lo straniero, anche se fa lavoro sociale, è sempre a rischio: il rinnovo del visto è una perenne spada di Damocle. Ci sono i riconoscimenti della prestigiosa università di Varanasi, che gli ha conferito due premi per la qualità del suo metodo innovativo; una ricerca della Facoltà di psicologia mostra la superiorità degli studenti di Alice, anche sui ragazzi italiani: maggiore capacità di attenzione; buona memoria; più consapevolezza e tolleranza; non manifestano problemi di disciplina, socializzazione e bullismo.

    La scuola viene invitata ai convegni internazionali, altre scuole chiedono i suoi insegnanti per applicare il metodo, usano i libri scritti da Giacomin. Io stesso l’ho visitata più volte, lavorando con allievi e professori, e confermo la veridicità del racconto di Germani, che per il suo grande entusiasmo potrebbe far scattare un qualche scetticismo. Il merito di questo libro è anche nell’aver connesso il racconto di questa esperienza ad alcune correnti del pensiero contemporaneo: Latouche e la decrescita felice, e Tiziano Terzani.

    Una testimonianza e una proposta concreta che certe rivoluzioni paradigmatiche sono possibili: una sintesi pedagogica geniale tra Oriente e Occidente. E la scuola ne ha un bisogno grandissimo.

    Capitolo 1

    Educare alla decrescita

    Solo fino a qualche anno fa, il nostro sembrava il Migliore dei Mondi Possibili. La Civiltà più Evoluta nella Storia dell’Uomo. Era la Civiltà della Scienza, la Civiltà delle verità scientifiche dimostrate. Era il TINA:There Is No Alternative.

    Eppure, almeno dal 2007, due cataclismi si sono scaraventati su di noi: una gravissima crisi ambientale e una crisi economico-finanziaria di proporzioni gigantesche che mina le basi stesse del nostro sistema di vita. Le due cose sono strettamente correlate. Infatti era facile intuirlo, le cause del surriscaldamento globale e della crisi climatica sono riconducibili al 95% all’impatto del sistema industriale sull’ecosfera; dunque sono imputabili alla vorticosa azione che l’uomo ha intrapreso soprattutto negli ultimi 50 anni. Lo hanno dimostrato indiscutibilmente i vari rapporti dei 2500 scienziati dell’International Pannel for Climate Change – premiati con il Premio Nobel nel 2007 – e moltissime altre indagini a partire da quelle degli anni ’70 del Club di Roma. Lo dimostrano malgrado il fatto che tutti i massmedia - figli della produttività tecnologica e legati al marketing della modernità - tendono ad occultare in ogni maniera questo legame strettissimo e a distrarci e a confonderci con ogni genere di informazione e di spettacolo. In fondo la crisi ambientale non è immediatamente visibile. Una pioggia in più o un’estate particolarmente torrida si possono diluire nell’attenzione con il passare dei giorni e delle tante stagioni della vita.

    Molto più pregnante ed incisiva è la crisi economica. Ascoltare i notiziari ossessionati dallo spread e dall’andamento delle borse, venire a sapere di persone che perdono il lavoro, o che non arrivano alla fine del mese, o che giungono a gesta di suicidio, nonostante il divieto del governo di pubblicare notizie del genere, impressiona e sciocca. L’economia era diventata negli ultimi decenni il centro propulsore di tutte le nostre politiche, l’obiettivo unico di tutti i nostri governi – sia di destra che di sinistra. L’unico valore riconosciuto ovunque nel mondo.

    Ma l’Impero dell’Economia si è bloccato. Ormai, nel 2013, sono molte le voci e le correnti della società civile che cominciano a capire che non è l’economia a dover essere indirizzata meglio, e neppure che ci dobbiamo inventare un’economia sostenibile o una economia verde. La crisi è talmente grave e onnicomprensiva che occorre ripensare, da capo, l’economia e i suoi presupposti di base: il concetto di Crescita e quello del PIL.

    Perché il problema economico nasce semplicemente dal fatto che produciamo molte più cose di quante non riusciamo a comprare. «Perché la sovrapproduzione di merci ha raggiunto un livello tale che se non si acquistasse a debito, crescerebbe la quantità di merci invendute e si scatenerebbe una crisi in grado di distruggere il sistema economico produttivo fondato sulla crescita infinita e sul PIL.

    L’unico modo di incrementare la domanda è l’indebitamento. Perciò la crescita non è la soluzione. È il problema!» – scrive Maurizio Pallante nel Manifesto Appello del Movimento per la Decrescita Felice.1 La scrittrice e attivista Helena Norberg Hodge – Premio Nobel Alternativo nel 1987 – sostiene con molte e acute argomentazioni nel suo bellissimo documentarioL’Economia della Felicità: «Il sistema economico che ci ha condotto alla Globalizzazione è costruito su una giustificazione falsa: quella della Crescita! – ed esorta con slancio – Non possiamo lasciare l’economia agliesperti».2

    Solo se scendiamo a questo livello di lettura – più elementare, ma anche più profondo – possiamo afferrare al volo la connessione, da una parte, tra economia, industrializzazione e globalizzazione e, dall’altra, crisi ambientale e surriscaldamento globale. Ormai, in svariati ambienti si sente ripetere il motto: «Colui che pensa che sia possibile una crescita infinita in un pianeta finito, o è un pazzo o è un economista!».3

    Il più importante teorico della Decrescita, Serge Latouche, ha giustamente sottolineato il bisogno di usare lo slogan De-crescita per rompere con l’illusione dello sviluppo e anche dello sviluppo sostenibile. Occorre riconoscere che l’immaginario ha svolto un ruolo centrale nella costruzione dell’economia attuale. «Noi sosteniamo la necessità di rifiutare l’immaginario della crescita e la religione dello sviluppo economico. Questa decolonizzazione dell’immaginario precede qualsiasi costruzione di una via alternativa».4

    In altre parole, l’economia che invade i nostri telegiornali, l’egemonia dei soldi della nostra epoca, non è affatto qualcosa di naturale o che c’è sempre stato. Al contrario, Aristotele parlava sì di Oikònomos, ma si riferiva all’amministrazione della casa, mentre usava il termine crematistica per riferirsi all’arte diacquisire ricchezza con la ricchezza e questa pratica in antico era sempre biasimata e condannata.5

    Il perseguimento della ricchezza per la ricchezza non è saggio, diceva Socrate e lo ribadiva con forza Platone. Il commercio è pericoloso e fare soldi prestando soldi (senza fatica) è usura e pertanto un peccato capitale, ripete all’unisono tutta l’antichità cristiana almeno fino al Rinascimento. L’interesse sui prestiti è contrario alla morale, e quindi vietato, ripete ancora oggi l’Islam.

    Dobbiamo renderci conto che c’è stata L’invenzione dell’economia – così come Latouche intitola uno dei suoi saggi6 – e questa invenzione è avvenuta in tempi relativamente recenti. Il fatto che il mercato sia neutrale è, invero, un artificio culturale di non più di un secolo. Se per uscire dalla gravissima crisi economica e ambientale che ci sta attanagliando, occorre rimettere in discussione l’idea della Crescita (insieme forse ad altre idee come quelle di Economia, di Sviluppo e di Progresso) questa stessa Decolonizzazione dell’Immaginario può aiutarci a mettere a fuoco un’altra crisi molto grave anche se, spesso taciuta: quella esistenziale dei giovani e delle giovani generazioni. Anche se non ci piace saperlo e, tendenzialmente, facciamo di tutto per sviare lo sguardo, oggi assistiamo allo sbandamento

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