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Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia
Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia
Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia
E-book235 pagine3 ore

Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia

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Info su questo ebook

Dall’autrice del bestseller Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni

Perché i bambini danesi sono così educati e felici? Non fanno bizze, sono sereni e i loro risultati scolastici sono eccellenti. Un congedo di maternità più lungo e un reddito pro capite alto contribuiscono a formare genitori meno stressati, ma siamo sicuri che la questione possa essere liquidata così facilmente? La verità è che il modello educativo di alcuni Paesi sembra essere fermo da decenni, e ci troviamo a confrontarci, a scuola e in famiglia, con strumenti appartenuti ai nostri nonni, incapaci di far fronte a problemi tipici del nostro tempo, come l’eccessiva competitività o il bullismo. Desideriamo preservare i bambini dall’ansia e dallo stress, ma spesso otteniamo l’effetto contrario, trasmettendo paure che rendono difficile un sano cammino verso l’autonomia. In questo libro Jessica Joelle Alexander ci apre le porte di scuole e abitazioni danesi. Senza mitizzare il modello del Paese più felice del mondo, ci invita, con esempi, confronti e suggerimenti, a percorrere una nuova strada per accompagnare i nostri figli e diventare grandi, e felici, insieme.

In anteprima mondiale, un libro semplice e illuminante su come educare i nostri figli e farli crescere equilibrati e felici
Jessica Joelle Alexander
è una psicologa e giornalista da sempre appassionata di studi sulle differenze culturali. È spesso ospite di programmi televisivi e radiofonici sul tema dei figli e collabora con l’«Huffington Post», «The Copenhagen Post» e il «Local Denmark». Sposata con un danese, parla quattro lingue e da qualche tempo vive tra l’Italia e la Danimarca. Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni è diventato un bestseller internazionale tradotto in 25 Paesi e in Italia è stato per settimane nella classifica dei libri più venduti.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2018
ISBN9788822724748
Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia

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    Anteprima del libro

    Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia - Jessica Joelle Alexander

    467

    Traduzione di Martina Rinaldi

    Prima edizione ebook: agosto 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2474-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Jessica Joelle Alexander

    Il nuovo metodo danese per educare i bambini

    alla felicità a scuola

    e in famiglia

    Indice

    Introduzione. La mia storia

    Capitolo 1. Trust (Fiducia)

    Capitolo 2. Empathy (Empatia)

    Capitolo 3. Authenticity (Sincerità)

    Capitolo 4. Authenticity (Sincerità: la morte)

    Capitolo 5. Courage (Coraggio di sbagliare)

    Capitolo 6. Courage (Coraggio di fermare il bullismo)

    Capitolo 7. Hygge (L’arte di stare bene insieme)

    Ringraziamenti

    Note

    Trust (Fiducia). Il metodo danese per educare alla fiducia attraverso l’autostima, incoraggiando il gioco libero, aiutando a comprendere il perché dello studio e integrando nel programma scolastico le lezioni di contatto.

    Empathy (Empatia). L’empatia è una delle colonne portanti del sistema scolastico e dell’educazione in Danimarca. Qui esploriamo come imparano a leggere gli altri e perché l’insegnamento dell’empatia è importante per un benessere a lungo termine e per il successo nella vita.

    Authenticity (Sincerità). I danesi sono molto sinceri con i bambini su ogni argomento e su ogni emozione. Sono convinti che, se una cosa fa parte della vita, allora debba essere insegnata. Esploriamo come i due argomenti del sesso e della morte, spesso dei veri e propri tabù, sono parte dei programmi scolastici danesi e trattati in modo molto diretto. Questo approccio al sesso e alla morte – entrambe cose che possiamo star certi ci riguarderanno da vicino prima o poi – promuovono una maggior connessione, resilienza e benessere.

    Courage (Coraggio). Insegnare ai bambini ad avere il coraggio di sbagliare stimola una maggiore innovazione e creatività nell’apprendimento: due competenze di cui avranno bisogno nel futuro. I piani di prevenzione antibullismo diventati obbligatori in tutte le scuole danesi hanno ridotto i livelli di bullismo dal 25% al 6%: sono risultati davvero incoraggianti!

    Hygge (L’arte di stare bene insieme). Come e perché l’insegnamento della hygge (si pronuncia ügghe e significa stare insieme alle persone care in un’atmosfera intima, serena e accogliente) e del fællesskab (unione) è una parte fondamentale del sistema scolastico e dell’educazione familiare in Danimarca. Impariamo a entrare in connessione con gli altri attraverso un tempo dedicato al noi invece che al me, e a lasciare ai posteri un patrimonio di felicità.

    Introduzione

    La mia storia

    Parli il bambinese?

    Prima di avere dei figli non avevo alcun istinto materno, e non ero nemmeno sicura di volerli, dei figli miei. Parlavo ben quattro lingue, ma il bambinese non era una di quelle. Quando c’erano dei bambini in giro, facevo di tutto per dileguarmi. A dirla tutta, l’idea di diventare madre mi terrorizzava.

    Oggi mi ritrovo autrice del Metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni, diventato un bestseller e pubblicato in venticinque Paesi, tengo regolarmente conferenze in giro per il mondo per aiutare genitori, aziende e insegnanti a implementare alcuni dei princìpi fondamentali che hanno rivoluzionato la mia vita, a casa, al lavoro e quando vado nelle scuole per dei seminari sul metodo danese. Il fatto è che diciotto anni fa ho conosciuto mio marito, che è danese, e il mio mondo è completamente cambiato. Sposare la cultura danese e avere dei figli è stata l’esperienza più trasformativa e illuminante di tutta la mia vita.

    In Danimarca la sanno lunga

    La prima volta che sono stata in Danimarca e ho conosciuto dei bambini danesi, mi si è aperto un mondo. Erano felici, sereni, ben educati e rispettosi. Non li ho mai sentiti gridare o urlare. Mi hanno letteralmente conquistata, e all’epoca ricordo di aver detto a mio marito: «Se fossi sicura al cento percento di avere un bambino così, allora ne vorrei uno anche io!».

    Molti anni dopo, incinta di nostra figlia, ho dovuto trascorrere diversi mesi a letto per complicazioni legate alla gravidanza e in quell’occasione ho letto montagne di libri sull’educazione e la genitorialità, perché desideravo prepararmi a quello che mi appariva come il cambiamento più terrorizzante di tutta la mia vita.

    Tuttavia, dopo la nascita di mia figlia, è capitata una cosa strana. Invece di rivolgermi ai libri, ho iniziato a chiedere consiglio alla mia famiglia danese e ai miei amici sia sull’alimentazione sia sull’educazione, e devo dire che preferivo di gran lunga le loro risposte a quelle che trovavo nei manuali.

    Qualche tempo dopo aver avuto anche il secondo figlio, sfogliando il giornale mentre mio marito giocava con nostra figlia, mi saltò all’occhio una notizia sulla Danimarca: era stata designata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico come il Paese con la popolazione più felice del mondo… un’altra volta! Infatti per il quarantesimo anno di fila si piazzava tra i primi tre nella classifica dei Paesi più felici del pianeta!

    Da americana trovavo la cosa molto affascinante. Noi siamo culturalmente ossessionati dalla felicità. La felicità è indicata come uno degli obiettivi da perseguire persino nella Dichiarazione di Indipendenza, nero su bianco. I danesi invece, senza tanti proclama, erano davvero riusciti a essere felici e continuavano a esserlo ogni anno da quarant’anni. Qual era il loro segreto e perché nessuno l’aveva ancora scoperto?

    I bambini felici diventano adulti felici

    Non posso dimenticarmi l’esatto istante in cui sentii accendersi una lampadina nella testa. Erano anni che studiavo e cercavo di applicare nel quotidiano il metodo danese, attitudine che mi aveva cambiato profondamente non solo come genitore ma anche come individuo, e di colpo mi fu chiaro, addirittura lampante: la risposta ce l’avevo proprio sotto gli occhi.

    Il segreto è che i bambini felici diventano dei genitori felici, che cresceranno a loro volta dei bambini felici, in un ciclo che si ripete costantemente. Se il metodo danese aveva aiutato me, la donna che non spiccicava una parola di bambinese, allora poteva aiutare chiunque.

    Le cose da allora sono andate molto avanti. Ho studiato a lungo e collaborato con i maggiori esperti pedagoghi dell’età evolutiva, e sono davvero felice di aver potuto condividere, nel corso degli anni, questa esperienza trasformativa con tante persone interessate allo sviluppo e alla crescita dei bambini sia per motivi professionali sia affettivi, come numerosi genitori e nonni. Eppure c’era una domanda che continuava a venirmi posta, puntualmente sia per e-mail sia alle conferenze…

    Come la mettiamo con la scuola?

    Ho sempre tenuto deliberatamente una certa distanza dall’argomento: cambiare prospettiva sulla genitorialità e metterla in pratica nell’educazione all’interno della famiglia è un conto, anche non abitando in Danimarca, perché dipende solo ed esclusivamente da noi, non dalle istituzioni. Ma quando si parla della scuola il discorso cambia.

    Anche io, man mano che i miei figli sono cresciuti, mi sono trovata ad affrontare determinate sfide e ad avere dei dubbi su quale fosse il tipo di scuola migliore. Proprio come mi era successo quando avevo letto tutti quei libri sui diversi metodi educativi e sulle differenze nel concetto di genitorialità, ho iniziato a osservare le differenze tra noi e le altre culture, in particolare in relazione al rendimento scolastico, e a quello che ogni Paese considera come successo negli studi. Ho iniziato a domandarmi se ci fosse qualcosa che potevamo fare diversamente, qualcosa che fosse in grado di migliorare il nostro personale livello di felicità e quello dei nostri figli. In sostanza, ho cominciato a mettere in discussione le mie impostazioni di sistema, e cioè quello che ho sempre dato per scontato, per acquisito.

    Analisi del nostro sistema culturale predefinito

    Le nostre impostazioni di sistema sono le strutture mentali, le convinzioni che abbiamo ereditato dai nostri genitori e dalla cultura dominante della società nella quale siamo cresciuti. Sono così profondamente radicate in noi che è difficile osservarle con obiettività. Un po’ come la scheda madre dei computer. Sono il nostro marchio di fabbrica, il modo in cui siamo fatti.

    Per i norvegesi, ad esempio, è normale mettere i propri figli a dormire fuori casa con temperature fino a venti gradi sotto zero, così come è facile vedere i bambini spagnoli andarsene in giro a mezzanotte o quelli giapponesi prendere la metro da soli per andare a scuola già a nove-dieci anni.

    A noi sembrano delle abitudini quantomeno insolite, se non del tutto bizzarre. E, mutatis mutandis, la stessa cosa vale per la scuola.

    Siamo programmati per sostenere quale sistema culturale di appartenenza sia quello giusto e qualsiasi altro ci appare perlomeno strano, se non addirittura sbagliato. È necessario un vero e proprio cambio di paradigma per riuscire a guardare le cose con occhi diversi. Eppure, la capacità di osservarci dal di fuori può rivelarsi fondamentale quando l’obiettivo è quello di operare un cambiamento. Una volta che saremo riusciti a vedere, infatti, sarà impossibile fingere di non averlo fatto o comportarsi come se nulla fosse accaduto.

    Quindi, se provassimo davvero a osservarci da un’altra prospettiva? Se provassimo a uscire da noi stessi, cosa vedremmo?

    Bambini sotto esame

    Negli Stati Uniti i bambini sono continuamente sotto esame, più o meno per qualsiasi cosa. Anche quelli piccolissimi, di tre o quattro anni, devono superare dei test per essere ammessi a programmi speciali o entrare in scuole molto ambite. È incredibile, ma risulta che nelle scuole pubbliche delle grandi città, dal primo anno della materna fino all’ultimo delle superiori, gli studenti devono sostenere obbligatoriamente circa centododici esami. In media otto esami all’anno. Ovviamente non sono inclusi nel calcolo i compiti in classe e le verifiche, che spesso devono affrontare anche a cadenza settimanale.

    Le scuole che ottengono i punteggi più alti hanno diritto a maggiori finanziamenti, il lavoro degli insegnanti viene valutato in base ai risultati degli esami dei loro studenti, e così il circolo vizioso non ha mai fine. Quegli insegnanti che avessero intenzione di approfondire o allargare il raggio delle proprie lezioni con qualcosa che non è compreso nel programma non possono farlo. Non c’è il tempo per la creatività o qualsiasi altra attività potenzialmente utile ad arricchire l’esperienza formativa dei ragazzi.

    Il sistema didattico crea una fortissima ansia da prestazione negli insegnanti, che sanno benissimo che verranno valutati sulla base dei risultati dei test di fine corso, negli studenti che sono preoccupati di non superarli e nei genitori che si ritrovano a dover pungolare i figli perché si preparino a dovere. Messa così sembra davvero una specie di catena di montaggio, tipo quelle che ci sono nelle fabbriche, no?

    E infatti la pubblica istruzione, nei suoi intenti e nei suoi obiettivi, non è cambiata poi molto da quando è nata… proprio all’inizio della rivoluzione industriale. Lo scopo era quello per preparare le persone al lavoro in fabbrica. Gli insegnanti hanno ancora classi di venti-trenta bambini a cui propongono indistintamente lo stesso tipo di strumenti, aspettandosi che tutti raggiungano gli stessi risultati. Una catena di montaggio vera e propria suggerita anche dal modo in cui sono nettamente separate le materie, dalla standardizzazione dei programmi e dal suono della campanella che scandisce il tempo.

    Insomma, se tuo figlio non passa brillantemente gli esami non va bene. Qualsiasi altra cosa sappia fare, se non è valutabile con un test, non ha nessun valore. È un assunto del sistema educativo che abbiamo accettato come una sorta di assioma. E la consideriamo anche una cosa giusta.

    Sarah Harkness, che insegna sviluppo umano presso l’Università del Connecticut, ha studiato i sistemi didattici di diversi Paesi e ha scoperto che per descrivere i loro figli gli americani utilizzano le parole intelligente, talentuoso e dotato il 30% in più di quanto si faccia da altre parti. L’utilizzo smodato di questi aggettivi è dovuto al modo in cui misuriamo il livello di successo scolastico? E qual è il prezzo che pagano i nostri figli?

    Le statistiche hanno rilevato che negli ultimi quindici anni c’è stato un incremento netto e costante dei disturbi mentali nei bambini. Viviamo in uno dei periodi più intensamente stimolanti di tutti i tempi. Siamo travolti da un costante flusso di informazioni e sensazioni, grazie alle nuove tecnologie, eppure non facciamo che etichettare i bambini come affetti da disturbi dell’attenzione, e sgridarli perché in classe non riescono a concentrarsi sulle lezioni.

    C’è stato un aumento del 43% dei disturbi di ADHD, un 37% in più dei casi di depressione, un 200% in più di suicidi nei ragazzi tra i dieci e i quattordici anni e il numero di bambini a cui vengono somministrati regolarmente psicofarmaci è quadruplicato. I disturbi legati all’ansia sono al primo posto, e dagli anni Settanta è triplicata la percentuale di bambini obesi, tendenza che si sta diffondendo velocemente anche nei Paesi europei.

    E se ci fosse un altro modo?

    Trivsel: il test che misura la felicità

    In Danimarca, leader globale in tema di felicità, c’è un’attenzione molto alta nei confronti dello sviluppo emotivo e del benessere sociale che non risiede in voti o punteggi. Avere un alto livello di trivsel (benessere), come si chiama in danese, è di gran lunga più importante rispetto ad aver passato gli esami con voti alti. La convinzione alla base di ciò è che, a fronte di un benessere reale e solido, anche il rendimento accademico ha ottime probabilità di essere buono. Se stai bene, impari meglio. E infatti non vengono effettuati esami o assegnati compiti e voti ai bambini piccoli. Ma anche quando i ragazzini sono in grado di affrontare delle verifiche scolastiche e ricevere le valutazioni, si preferisce incoraggiare la collaborazione e la gentilezza tra i compagni di classe piuttosto che la competizione.

    Poiché il livello di felicità a scuola è uno degli elementi fondamentali su cui si basa la valutazione degli insegnanti, esiste un importante test standardizzato da ripetere ogni anno: il test trivsel.

    È uno strumento che serve a valutare gli insegnanti e misurare il livello di benessere nelle scuole di tutto il Paese. Tra le altre cose, il test mira ad assicurarsi che tutti si sentano inclusi nel processo di apprendimento, che si sentano accolti e ascoltati e che crescano bene sia da un punto di vista sociale sia emotivo. Questo test non prende minimamente in considerazione i programmi didattici né il rendimento scolastico tout court.

    I risultati sono poi utilizzati per implementare piani obbligatori che favoriscano il benessere, il cui unico obiettivo è che i bambini siano più felici e abbiano la possibilità di crescere. Ogni scuola in Danimarca è obbligata dalla legge a ideare un piano trivsel e metterlo in pratica nel corso dell’anno.

    Trivsel è un’antica parola nordica (treven, trivelig) presa in prestito dal linguaggio botanico: si riferisce infatti alle piante. Se consideriamo l’essere umano come un organismo vitale e complesso, e non un automa, il parallelo ha effettivamente senso: perché quest’organismo sia in grado di crescere e prosperare bisogna prendersene cura nella dovuta maniera.

    In Danimarca gli insegnanti sono formati appositamente per essere in grado di diversificare i loro studenti considerandoli come individui e riconoscendone punti di forza e punti deboli per aiutarli a crescere. Lavorano insieme agli studenti per comprendere in quali condizioni ciascuno di loro possa imparare meglio. I genitori fanno lo stesso.

    Anche i bambini, come le orchidee rispetto al tarassaco, hanno esigenze diverse. Non sono tutti uguali. Non crescono nello stesso modo, né allo stesso tempo. Le orchidee sono molto sensibili, se ricevono la giusta attenzione e la giusta cura crescono e danno splendidi fiori. Private di queste attenzioni, al contrario, soffrono e infine appassiscono.

    Qual è l’obiettivo della scuola?

    Ognuno è un genio. Ma se giudichi un pesce in base alla sua abilità di arrampicarsi su un albero, passerà tutta la vita a credersi un idiota.

    Albert Einstein

    All’età di otto anni Gillian stava passando un periodo molto faticoso a scuola. Non riusciva a star ferma né a concentrarsi. Era costantemente in movimento o in attività. La scuola mandò una lettera ai genitori per informarli che i docenti sospettavano un disturbo dell’apprendimento.

    La madre fece visitare Gillian da uno specialista e gli raccontò tutti i problemi che la bambina aveva a scuola: girava per la classe dando noia a tutti, ci metteva tantissimo a finire i compiti ed era sempre distratta e iperattiva – tutto questo succedeva quando l’ADHD non era ancora stato classificato come disturbo.

    Allora il medico disse a Gillian: «Ho ascoltato tutto quello che mi ha raccontato la tua mamma, e ora vorrei parlarle in privato se non ti dispiace». Uscendo dalla stanza il dottore accese la radio. Dal corridoio si voltò per guardare Gillian, che nel frattempo si era alzata e si era messa a ballare.

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