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La scommessa del centravanti: La nuova indagine del commissario Marcenaro
La scommessa del centravanti: La nuova indagine del commissario Marcenaro
La scommessa del centravanti: La nuova indagine del commissario Marcenaro
E-book213 pagine2 ore

La scommessa del centravanti: La nuova indagine del commissario Marcenaro

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Info su questo ebook

Il talento uruguaiano Cardanyo è spompato da un paio di giornate, il Chiavari alla prima stagione in A annaspa come sempre e il viceallenatore preme col mister per dare un’opportunità a quella punta pescata da una serie minore nel mercato di riparazione. È il momento dell’esordio del non più giovane Roberto Galanti, e l’inizio di una parabola che porterà la terza squadra ligure a giocarsi una miracolosa salvezza scompigliando i piani di altri club. Ma dopo un epico match contro la capolista allo stadio Luigi Ferraris di Genova, il centravanti soprannominato l’Alchimista per le magie confezionate dal calcio d’angolo viene assassinato. Marcenaro dovrà allora concentrarsi sull’omicidio, delegando al vice Solani il compito di trovare il modo di acciuffare l’inafferrabile serial killer degli animali. Intanto, nell’appartamento del commissario a Capo Santa Chiara, gli occhi della piccola Eleonora Giulia sono ancora spenti. Lo sono da quando un gruppo di terroristi ha mutato per sempre l’ordine naturale delle cose, lasciandola sola sulla spiaggia di Saint-Malo tormentata dalla burrasca.

Daniele Grillo nasce a Genova il 7 gennaio 1979. Laureato in Giornalismo, editoria e comunicazione multimediale, da più di dieci anni racconta la sua Liguria sulle pagine de Il Secolo XIX.
Valeria Valentini nasce a Genova il 10 giugno 1978. Una laurea in Chimica, lavora all’Asl come micologa e ispettore di Igiene.

Il loro romanzo d’esordio, L’isola delle chiatte (II ed.), è stato pubblicato da Fratelli Frilli Editori nel 2012. La seconda indagine del commissario Marcenaro, Il dolore del fango (2014), ha meritato il Marchio Microeditoria di Qualità all’omonima rassegna di Chiari. L’inedito di De André, uscito nel 2016, è stato ristampato due volte a pochi mesi dall’uscita. Dalla penna di Daniele Grillo è nato anche il personaggio del maresciallo Corrado Pacone, protagonista dei racconti Il cielo capovolto e La casa delle bambole, entrambi segnalati al concorso Gialli sui laghi e pubblicati nelle due antologie Delitti di lago e Delitti di lago vol. 3, editi da Morellini (2014 e 2017). La prima delle due indagini è al centro del progetto per la realizzazione di un cortometraggio ambientato sul lago di Mergozzo (regia di Ildo Brizi, assistenza alla produzione di Ambretta Sampietro).
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2017
ISBN9788869432187
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    Anteprima del libro

    La scommessa del centravanti - D. Grillo

    Nota degli autori

    Questo è un romanzo di finzione. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e a persone esistenti o esistite nel passato è da intendersi come del tutto casuale e non voluto. Anche per questo motivo abbiamo scelto di non riportare i nomi reali di club o giocatori che abbiano disputato o disputino il campionato di serie A.

    Al gigante gentile

    che non ha mai smesso

    d’inseguire la sua felicità

    1.

    Sette punti sette, nel girone d’andata. Una media da retrocessione certa, maturata peraltro senza sfiorare neppure una volta i tre punti. E dire che ci avevano provato, i ragazzi del Presidente, a stare a galla. Soprattutto all’inizio. Ma ogni tentativo di buttarla dentro, anche nelle partite in cui il sole splendeva sul Comunale e le gambe degli undici rispondevano bene e tutto sembrava filare per il verso giusto, si era puntualmente trasformato in un contropiede bruciante degli avversari, più attrezzati a fare male e quasi sempre piuttosto determinati a calpestare le velleità dell’ultima delle neopromosse.

    – Facciamo entrare quello nuovo, Gian?

    – Non ancora.

    Gian Bistazzoni ci aveva creduto, nel progetto Chiavari, tanto da rifiutare una ghiotta proposta dall’estero, seconda divisione del campionato inglese. Una roba ben pagata, rispetto al modesto cabotaggio dei contratti ai quali era abituato. Però trasferirsi avrebbe messo troppi chilometri tra lui, Elisabetta e il nuovo arrivato Filippo, e a quarantacinque anni suonati se lo voleva godere senza troppo stress, quel momento inaspettato. Così si era lasciato convincere da un accordo al ribasso, rispetto all’opportunità piombata dal regno di Brexit. Al ribasso fino a un certo punto, perché diamine, ora allenava in Serie A! Lui, che il campionato dei campionati l’aveva vissuto fino a quella stagione solo da secondo di Zeman, molti anni prima di finire nel pantano maleodorante dei dilettanti con rare apparizioni tra i semiprofessionisti della Lega Pro. Certo, il Chiavari aveva guadagnato l’Olimpo con un pizzico di buona sorte. Persa la finale dei playoff per tre reti a una, era stata ripescata al posto della società vittoriosa nello spareggio, travolta dal solito scandalo di partite comprate. Ecco quindi, ad agosto, aprirsi la possibilità di un campionato tra le stelle del calcio. Peccato non averlo saputo prima, perché costruire una squadra in grado di competere con le corazzate di primissimo lignaggio, con poche settimane di mercato a disposizione, si tramutò in un’impresa proibitiva capace di logorare una bella fetta dell’entusiasmo maturato con la salita. La rosa si era dovuta sostanzialmente adeguare a quella della stagione precedente, salvo qualche piccolo innesto pescato dal mercato dei prestiti low cost.

    Gian Bistazzoni aveva accettato la sfida perché le avventure complicate gli erano sempre piaciute. Però adesso che si trovava lì, ad assistere all’ennesimo tracollo dei suoi, iniziava a rimuginare sulla possibilità di aver preso un bell’abbaglio, e che quell’azzardo l’avrebbe nuovamente scaraventato nei bassifondi del calcio. Guardò il suo secondo incontrandone il viso scavato e le occhiaie familiari, poi si voltò verso il campo e incappò nell’espressione disorientata di Cardanyo, l’attaccante più rappresentativo del Chiavari, acchiappato a fine sessione e accolto nel Tigullio come Maradona. Un giocatore di valore, senza dubbio, ma fortemente discontinuo. L’allenatore sospirò, poi girò ancora il naso bruciato dal freddo in direzione degli spalti. Ci saranno stati sì e no cinquanta tifosi, gli stessi che due stagioni prima avevano festeggiato la permanenza in serie B per un soffio.

    – Ce la fa secondo te? – chiese a Silingardi.

    – Chi?

    – Abel.

    – Cardanyo è due partite che è spompato, Gian – gli urlò in un orecchio il secondo – Per questo ti dicevo di far entrare quello nuovo.

    Scambiò un’occhiata muta col suo vice, poi passò in rassegna la panchina.

    – No. Faccio entrare Poli. Almeno ci copriamo un po’ dietro. Un altro quattro a zero non lo sopporterei, e i tifosi neppure.

    – Gian, ma almeno proviamoci! – insistette Silingardi – Siamo sotto solo di due!

    – Ci stanno massacrando Matteo…

    – Dammi retta!

    Un’azione offensiva degli avversari li costrinse a interrompere lo scambio di vedute. Due, tre passaggi al massimo, poi una verticalizzazione precisa sulla stessa punta che aveva segnato il secondo gol. Coordinazione perfetta, difensori in bambola. Palo pieno, di quelli che nei giorni successivi alle partite vengono ricordati nei bar e negli spogliatoi dei campetti recitando il mantra trema ancora adesso. Sulla ribattuta del legno, si materializzò la sagoma di Cardanyo, che di tacco, goffamente, riuscì ad allontanare la sfera dall’area dei biancoblù. Bistazzoni chiamò la sostituzione attirando l’attenzione del quarto uomo, poi disse al ragazzo di alzarsi dalla panchina. Roberto Galanti scattò in piedi, e iniziò i rituali del riscaldamento. Un accenno di corsetta, poi l’allenatore lo chiamò a sé.

    – Sei pronto?

    – Sì, mister – rispose il giocatore, già concentrato sul tappeto verde.

    – È il tuo debutto in serie A, ragazzo. Giocatela bene e ringrazia Matteo, perché fosse per me…

    – Ok mister, vado in copertura di...

    – No, adesso stammi a sentire – continuò l’allenatore costringendo Roberto a guardarlo negli occhi – ti butto dentro al posto di Cardanyo, ok?

    – Di un attaccante? – sgranò gli occhi l’altro – Ma non ho abbastanza corsa nelle gambe e…

    – Non voglio che fai niente che non sai fare, ci siamo capiti? – lo interruppe ancora una volta l’allenatore – non ti gettare nel mezzo, non provare a pressare, non fare nulla di nulla Roberto, hai capito? Solo quello che sai fare meglio. A procurarti l’occasione ci penseranno gli altri. Siamo intesi?

    – Sì mister.

    Roberto si lasciò irrorare dall’energia di molte sensazioni. Nel suo corpo di atleta relativo, forgiatosi e maturato in battaglie più materiali, di sostanza, rispetto alle raffinate corti in cui i calciatori vengono coccolati come ballerine, l’unica benzina concessa era il fuoco. Un fuoco alimentato dalla consapevolezza di trascinarsi dietro un deficit importante, in termini di qualità tecniche, e reso gagliardo dalla voglia di provarci, condita da un po’ di sana rivalsa nei confronti delle troppe opportunità mancate. Quella fornace che si sentiva nel bel mezzo del torace, la stessa che ora crepitava incontrando l’ossigeno della paura di essere ricordato solo per una sontuosa figuraccia, con un po’ di fortuna si sarebbe lasciata domare dal tocco del suo istinto magico. Era pronto, caldo e pieno di motivazioni per giocarsi la sua partita, Roberto. Il quarto uomo alzò il display luminoso dei cambi. Il giocatore baciò la medaglietta attaccata alla collanina, che raffigurava una candela accesa, e affrontò lo stadio senza più pensare a nulla.

    2.

    I due corpi erano accasciati, quasi seduti, contro la grande roccia che rompeva la continuità della spiaggia, a pochi passi dal mare in tempesta. Fantocci senza vita e senza teste. Quelle, tranciate di netto, erano state appese qualche metro più in alto, legate per una ciocca di capelli e in due punti diversi all’unico spoglio arbusto che dallo spuntone si affacciava sulla distesa di sabbia. Il cielo era basso, e lacrimava di una pioggia leggera, così diversa dalle centrifughe di spuma biancastra delle onde in burrasca.

    – La bambina dov’è? – fu la prima cosa che chiese l’ispettore Roughes.

    – Monsieur… Non riusciamo a trovarla. – Rispose l’agente che l’aveva accolto sulla scena del delitto.

    – Posso chiedere subito io una cosa a lei, ispettore?

    – Sì.

    – Perché non avevano più la scorta?

    – Il livello di protezione era sceso di due gradi – sospirò Roughes – sia per l’ambasciatore che per i suoi collaboratori più stretti e i parenti. Controllo a distanza, niente uomini al seguito. Non è bastato, ma non sono cose che ci riguardano, collega. Noi dell’Interpol facciamo il nostro, ci penseranno i geni di Scotland Yard, a capire come imbastire altri danni. A noi spetta il lavoro sporco, capisce? Fotografare, ripulire, beccare questi bastardi.

    – Capisco.

    – Però prima dobbiamo trovare la bambina, tenente.

    Mariele Poretti e Russel Matthew Parks vivevano insieme da un paio d’anni. La loro storia era iniziata poco dopo la fine di quella di lei con Rudolf Satriani, l’ambasciatore italiano a Londra. La bambina, da lì in poi, avrebbe vissuto prevalentemente con la mamma e il nuovo compagno. I due genitori erano arrivati alla conclusione più ragionevole in maniera pacifica: il padre rincasava troppo tardi per potersi occupare di lei, e il venir meno di una casa comune aveva imposto la scelta. Non per questo il diplomatico aveva rinunciato a fare il papà, e così capitava spesso che si riunissero tutti quanti per una cena a Soho, una serata all’Her Majesty’s Theatre o la visita a un museo. Rudolf e Mariele si erano separati di comune accordo, maturando il semplicecoraggio di dirsi in faccia, più o meno contemporaneamente e senza troppo clamore, che il loro amore si era dissolto. La bambina ne aveva sofferto, ma ben più doloroso era stato sopportare la blindatura conseguente alle minacce ricevute dal padre. Un fattore che un po’ aveva contribuito all’epilogo della sua storia con Mariele, una deviazione rispetto alla normalità che non sembrava voler troppo presto sfilar via dalle loro vite. Dopo quattro anni di scorta fissa, a ogni ora del giorno e della notte, il Ministero inglese aveva deciso di ridurre le misure di protezione riservate all’ambasciatore Satriani e alla sua famiglia, comunicando la variazione a tutti i corpi di Polizia d’Europa. Un errore, col senno di poi, ma anche una decisione ponderata, perché il gruppo di miliziani dello stato islamico che gliel’aveva giurata per alcune dichiarazioni rese alla stampa, secondo Scotland Yard doveva essere stato sgominato nel corso di un’operazione antiterrorismo portata a termine dalle parti di Birmingham. Non era così, evidentemente, e le teste dell’ex moglie e del suo nuovo compagno, appese davanti al mare agitato di Saint Malo, il luogo scelto per una breve vacanza fuori stagione, ne rappresentavano la più cruda testimonianza.

    – Ispettore Roughes! Ispettore Roughes!

    La poliziotta con i capelli fradici e il cappello in mano indicò col dito due colleghe distanti un centinaio di metri, poco oltre il termine dell’arco grigiastro della spiaggia.

    – L’hanno trovata – continuò – me l’hanno detto alla radio. Laggiù!

    Corsero come potevano sul tappeto molle e bagnato, abbandonando gli ombrelli aperti sull’arenile e lasciandosi i corpi decapitati alle spalle. Nonostante le condizioni estreme, un elicottero dominava sulla spiaggia a distanza ravvicinata. Eppure il suono delle pale sembrava distante, rarefatto da un’eco strana, rispettoso. Oltre un gruppo di rocce e un cumulo di tronchi trascinati a riva dalle onde, c’era la ragazzina. Era in piedi, ferma e di spalle, lo sguardo perso oltre un orizzonte per lei ormai invisibile. Oltre l’orrore al quale aveva assistito, e dal quale chissà come era riuscita a fuggire.

    – Eleonora? Eleonora Giulia? – chiese l’ispettore Roughes senza accorgersi di urlare.

    La ragazzina si voltò, i capelli lunghi chiari appiccicati alle guance, gli occhi spenti e il cuore pure.

    – Sono io.

    3.

    In allenamento era sempre stato un disastro, quel coraggioso acquisto pescato dalla serie D. Niente scatto, niente possesso, un’innata capacità di perdere palla a ogni ripartenza. Però quando si avvicinava a una bandierina, Roberto Galanti si trasformava. Diventava un leader sul dischetto del rigore.

    Il primo a essere contento della sostituzione fu Cardanyo, che proprio non ne aveva più. Bistazzoni diede una pacca sul sedere al debuttante, che con i suoi trent’anni ragazzo più non era, e lo spinse sul prato. Poi fece qualche gesto a Valbona, il capitano della squadra, mimandogli le seguenti parole: Cerca un calcio d’angolo. Galanti guadagnò la sua posizione, roteò il busto a trecentosessanta gradi e sorrise, di fronte a un Comunale quasi deserto di sostenitori amici, un bel po’ colonizzato da quelli neroverdi, assiepati in gran numero sulla tribuna Nord. Di certo sarebbero stati di più, i tifosi biancoblù, se solo avessero immaginato che quella partita avrebbe segnato il suo esordio in Serie A. Nonostante avessero colto le difficoltà di ambientamento del nuovo arrivato, Roberto era stato protetto dalla gradinata perché interprete di un sogno. Galanti non era soltanto un calciatore operaio che aveva pescato il jolly, ma era un bambino cresciuto sulla sponda destra dell’Entella e poi emigrato in società di fuori per manifesta inferiorità tecnica.

    L’uomo in abito scuro fischiò e il gioco riprese. I primi cinque minuti, dei dieci che mancavano alla fine del match, furono quasi imbarazzanti. Valbona gli servì un assist d’oro in area, ma pur coordinandosi in maniera accademica, Galanti sparò alto il pallone, attirando i fischi di quei cinquanta che poco prima ne avevano applaudito l’ingresso in campo. Nell’azione successiva, la squadra emiliana sfiorò il terzo gol a portiere battuto. Il Chiavari impostò l’ennesimo tentativo di reazione, riuscendo a portarsi vicino alla porta avversaria. Galanti si spostò sulla destra, ma quasi a fondo campo il difensore avversario gli soffiò il pallone. Il capitano era subito dietro, però, e intervenendo in tackle, non senza un pizzico di fortuna, guadagnò l’angolo. Era il suo momento.

    Il non più giovane attaccante era stato notato, in D, dal team manager del Chiavari Augusto Ponte. Su quel campo di ultraprovincia, il dirigente biancoblù c’era finito quasi per caso, accompagnando la fidanzata a vedere il fratello che giocava nella squadra avversaria. Si era preparato a sopportare una noiosa partita di calcio tra dopolavoristi, ma quanto si parò davanti ai suoi occhi lo basì non poco. Tanto da fargli proporre, assumendosi la responsabilità dell’eventuale cantonata, di acquistare il cartellino del giocatore nel corso del mercato di riparazione. Ché di riparare, il Chiavari, ne aveva davvero un gran bisogno. Ma il Presidente non aveva voluto spendere troppo: la realtà è che la società non aveva più risorse, e i risultati non le stavano dando una mano a trovare nuovi sponsor. Galanti venne via dalla Pezzanese per non più di 10 mila euro, una valutazione che venne perfino definita generosa dagli addetti ai lavori della palude dei dilettanti. Quel che contava è che adesso Roberto era lì, col suo metro e novanta di altezza, l’incedere un po’ scoordinato e il naso aquilino. Con i suoi quindici tatuaggi, l’ultimo realizzato un mese prima sul collo: un paio d’ali attorcigliate attorno a una bandierina da calcio d’angolo. Si avvicinò alla postazione del corner con lentezza ai limiti del regolamento, facendo innervosire l’allenatore ma non il suo vice.

    – Tranquillo, Gian… Ha bisogno

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