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Stendhal in bicicletta: Itinerari cicloturistici d’autore e bike economy
Stendhal in bicicletta: Itinerari cicloturistici d’autore e bike economy
Stendhal in bicicletta: Itinerari cicloturistici d’autore e bike economy
E-book198 pagine2 ore

Stendhal in bicicletta: Itinerari cicloturistici d’autore e bike economy

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Info su questo ebook

La bicicletta è l’unico mezzo in grado di farci provare un senso di libertà, sperimentare emozioni forti ma anche una profonda connessione con il mondo che ci circonda. Per questo sempre più persone, anche intere famiglie, scelgono i viaggi in bici per le loro vacanze. In Italia il cicloturismo genera un giro di affari di cinque miliardi, una cifra che potrebbe però crescere rapidamente se venissero fatti investimenti adeguati. Appassionato cicloviaggiatore, da anni Manlio Pisu sostiene il cicloturismo come motore della bike economy, racconta i percorsi che ha sperimentato in prima persona, fornisce consigli pratici e utili. Dalla Via Francigena alle meraviglie del Lombardo-Veneto, dall’Eroica nelle Crete Senesi alla Via dei Tramonti nella Sicilia occidentale, ogni lettore si scoprirà cicloturista e non vedrà l’ora di salire in sella. Un libro che aiuta a scoprire il piacere che si prova rallentando, godendo del viaggio intrapreso e investendo in una forma di turismo più sostenibile.

“La ricchezza di dati e dettagli sui percorsi mirabilmente descritti in questo libro fanno venire voglia a chi legge di prendere la bici e pedalare per scoprire e annusare ogni chilometro, per assorbire come una spugna le sensazioni che solo la bici sa liberare.”

Gianluca Santilli
Presidente dell’Osservatorio Bikeconomy
LinguaItaliano
Data di uscita4 ago 2023
ISBN9791254841976
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    Anteprima del libro

    Stendhal in bicicletta - Manlio Pisu

    PARTE I

    ELOGIO DEI VIAGGI IN BICI

    Estetica del cicloviaggio

    La macchina della felicità

    Un viaggio in bici è tante cose insieme. È un’immersione profonda nel territorio che andiamo a visitare. È fatica, divertimento, adrenalina, avventura, contemplazione, cultura. È ricarica e rigenerazione. È un mezzo di riconciliazione con il mondo. È amicizia. È sballo. È gioco. È euforia.

    Ogni volta che saliamo in sella per un cicloviaggio, la bici ci regala tutto questo. È la macchina della felicità, die Glücksmaschine, come dicono i tedeschi. Forse i medici e i neurologi sapranno spiegare in termini scientifici perché mai una pedalata sia accompagnata e seguita da questo senso di benessere, di pienezza, di buonumore; quale mix di ormoni, enzimi e altri agenti biochimici provochi nel nostro sistema nervoso lo stato di appagamento che un ciclista prova a fine giro. Sarà il rilascio della dopamina; saranno le endorfine. Sta di fatto che di ritorno a casa, al momento di riporre la bici, inevitabilmente si pone la domanda: «Quando si riparte?». «E per andare dove?». Sì, perché la bici genera assuefazione e dipendenza. Una gradevole dipendenza, alla quale volentieri ci si abbandona, perché migliora – e di molto – la qualità della vita. La stanchezza? Passa con una dormita. La mattina dopo ci si sveglia carichi, pronti ad affrontare il mondo. E in un angolo del cervello si comincia a elaborare l’uscita successiva.

    A chi non pratica il cicloturismo queste considerazioni potranno sembrare strampalate. Ma chi va in bici conosce bene queste sensazioni. E a scanso di equivoci è utile chiarire qual è la chiave di accesso a questo mondo. Non è la bici da corsa. Non è il ciclismo agonistico del Giro d’Italia, del Tour de France o della Vuelta. Al contrario, il cicloviaggio è ciclismo lento, ciclismo contemplativo, quello che vorrebbe dilatare all’infinito il tempo di una discesa panoramica, perché quella discesa è godimento allo stato puro, che regala attimi di felicità.

    Nel cicloturismo, velocità, watt, potenza sono fattori irrilevanti. Il ciclismo da corsa, con i suoi stress e le sue ansie da prestazione, è distante anni luce. Appare, addirittura, come una declinazione paradossale del ciclismo, perché la bici, per definizione, non può essere un bolide né un razzo, ma nasce come mezzo di trasporto lento. Di conseguenza il concetto stesso di bici da corsa risulta essere un ossimoro, una contraddizione in termini. Chi vuole correre, non va in bici; semplicemente sceglie un altro mezzo, magari un jet supersonico, uno shuttle della Nasa o di Elon Musk.

    Non ci sono sponsor nel cicloturismo né finanza, carovane Tv, elicotteri, star system, cocktail illeciti per aumentare le prestazioni né podi su cui salire con le Magnum di champagne da agitare in segno di vittoria. E non è neanche il mondo del cosiddetto ciclismo dilettantistico, che riproduce in piccolo le dinamiche dell’agonismo internazionale a cominciare dalla piaga del doping. Non c’è Gran Fondo o altra garetta locale di paese dove non circolino prodotti venduti sottobanco, propinati da medici e sedicenti allenatori senza scrupoli.

    Unico doping ammesso le tagliatelle all’uovo

    L’unica forma di doping ammessa nel cicloturismo sono le tagliatelle all’uovo. È un mondo fatto di amici, di chiacchiere, di gente che vuole divertirsi e stare bene insieme; ma anche di viaggiatori solitari o di famiglie che vogliono vedere un po’ di mondo, educando i propri figli al rispetto della natura.

    È popolato da un’umanità varia, d’ogni forma e d’ogni età, compresi anziani e ultraottantenni. Sì, ultraottantenni, che ancora hanno la forza e la voglia di godersi la vita. Perché fra i tanti pregi del cicloturismo lento c’è anche quello di poter essere praticato in età molto avanzata. Rientra tra le attività motorie leggere, consigliate dai medici per preservare la salute, contrastare i processi degenerativi dell’invecchiamento, rafforzare il sistema immunitario, mantenere il più a lungo possibile la funzionalità delle articolazioni, dell’apparato motorio, di quello cardiocircolatorio e respiratorio ma anche dei riflessi e dell’equilibrio.

    La Bike Therapy è un toccasana per giovani e diversamente giovani. Già, perché fin quando si va in bici, non ci si può considerare vecchi. Il fanciullino che è in ognuno di noi continua a giocare e a divertirsi e nel far questo ci tiene giovani anche quando l’anagrafe certifica che l’involucro in cui siamo avvolti porta i segni di una lunga storia. La vecchiaia inizia quando la bici finisce appesa a un chiodo in garage.

    Non è mai troppo tardi

    Per giunta il cicloturismo lento è una di quelle attività per le quali non è mai troppo tardi. Si può cominciare anche quando il tempo ha scavato i suoi solchi sulla nostra fronte. L’importante è la gradualità. Per chiunque si avvicini al cicloturismo, a prescindere dall’età, la regola aurea è che il divertimento deve sempre prevalere sulla fatica. Se la fatica prevale sul divertimento, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. In quel caso il dosaggio è eccessivo e va ridotto. Naturalmente la soglia oltre la quale il divertimento lascia il posto alla fatica è una soglia mobile. Si sposta verso l’alto, mano a mano che aumenta l’allenamento. E l’allenamento a sua volta dipende da vari fattori, tra cui il divertimento e il tempo. Se in bici ci si diverte, ci si prende gusto. Poco alla volta si pedala di più, più a lungo, per distanze maggiori, con più dislivello. Non è uno sforzo di autodisciplina. Non c’è autocostrizione. Viene da sé.

    La prima uscita sarà in pianura e per pochi chilometri, anche solo cinque o sei. Per chi non sale in bici da quando era ragazzino, già un’uscita di questo tipo è sufficiente per provare stanchezza. Ma se tornando a casa si porta con sé oltre che la stanchezza anche il divertimento, allora dopo uno o due giorni di riposo si potrà affrontare un’uscita un po’ più impegnativa. E così via. Attenendosi a questa regola aurea, nel giro di poche settimane il corpo si abitua, prende dimestichezza con la sella, con i pedali, con la postura e il manubrio. Si riattivano muscoli e capacità rimasti inattivi per decenni. Nel giro di un paio di mesi si arriva facilmente a percorrere i 50, i 60 chilometri. E se ci si prende gusto, si comincia a guardare con interesse anche alle salite. Sì, perché le salite sono bellissime. Sono il sale della bicicletta. Danno una grandissima soddisfazione. Appagano. Anche perché, arrivati in cima alla salita, la strada spiana e arriva il momento di godersi la meritata discesa.

    Determinante ai fini dell’allenamento è il tempo. Quanto più tempo si può dedicare alla bicicletta, tanto più aumenta l’allenamento. È per questo che non di rado i padri in pensione sono più forti dei figli che lavorano: perché hanno più tempo per allenarsi. Il fattore allenamento è ancora più importante dell’età. E se aumenta l’allenamento, si alza di conseguenza la soglia oltre la quale il divertimento diventa fatica. Dunque si possono fare più cose. Dunque ci si diverte di più. Dunque si è sempre più allenati. È così che nasce la dipendenza dalla bici.

    Alla larga da asfalto e motori

    Quando si pianifica un cicloviaggio, è bene scegliere con cura l’itinerario. Dev’essere remunerativo. Deve farci tornare a casa più ricchi di quando siamo partiti. Lasciate perdere le strade statali, le arterie a scorrimento veloce, dove automobili, camion e Tir sfrecciano a 100 e passa all’ora, sfiorando pericolosamente l’estremità sinistra del manubrio e rischiando di travolgere il ciclista anche soltanto per lo spostamento della massa d’aria. Tenetevi quanto più possibile su strade e stradine della viabilità secondaria, a bassissima densità di traffico. Meglio ancora: tenetevi alla larga dalle strade asfaltate. Per le vostre pedalate scegliete piuttosto piste ciclabili (quando e dove ci sono), strade bianche, carrarecce, sterrati, argini, strade vicinali e poderali. Se avete la bici adatta e le capacità tecniche di guida, concedetevi anche le mulattiere.

    Lì, nel silenzio, al riparo dal rombo dei motori, inizia l’immersione nel territorio. Nelle orecchie il fruscio del vento. Nei polmoni l’aria fresca e profumata di un bosco, di una pineta, di un sentiero di montagna o sul mare. Negli occhi il verde dei prati, l’azzurro del cielo, i colori della campagna, delle rocce, l’effetto ricreativo della messa a fuoco all’infinito dopo giorni in cui lo sguardo è stato costretto negli spazi angusti dei quattro muri di un ufficio o di casa.

    Un cicloviaggio è per sempre

    Apprezzate l’odore della cacca delle mucche e dei cavalli. Imparate a leggere il terreno, a cogliere i segni del passaggio degli animali. Godetevi il cinguettio degli uccelli. Ammirate le farfalle. Evitate di schiacciare gli insetti sotto i copertoni delle vostre ruote. Abbiate rispetto per i luoghi che attraversate. Non lasciate alcun segno del vostro transito, neanche una buccia di mandarino. Fermatevi a fare merenda con i fichi, le more o i corbezzoli che trovate sul vostro cammino. È così che entrate nella disposizione d’animo giusta per assorbire il territorio, acquisirlo e sedimentarlo nella memoria. Un cicloviaggio è per sempre. Le immagini si archiviano indelebilmente nel cervello. Se un giorno, anche a distanza di vent’anni, tornerete a pedalare su quel sentiero, vi ricorderete nitidamente di ogni metro percorso.

    Siate curiosi. Sforzatevi di ascoltare la storia che il territorio vi racconta. Provate a decriptare i segni grandi e piccoli che testimoniano il passaggio delle generazioni che vi hanno preceduto nei secoli e nei millenni. Immaginate come saranno quei luoghi tra cento o tra mille anni. Depurate il paesaggio dai vincoli dell’istante nel fluire del tempo. In questa dimensione temporale dilatata, in cui passato e presente coesistono, vi appariranno, come in una visione, i Fenici, gli Etruschi, i Greci, i Cartaginesi, i Romani, le orde dei Goti, dei Visigoti e dei Vandali, gli eremiti, i monaci del Medio Evo, i pellegrini, i mercanti, i papi, i Lanzichenecchi, gli eserciti dei conquistatori e giù a scendere fino al mondo di oggi.

    Paesaggi narranti da ascoltare in sella alla bici

    Tutta l’Italia è un immenso paesaggio storico, segnato e modellato dalla mano dell’uomo nel corso dei millenni. Natura e storia si compenetrano fino a confondersi l’una nell’altra al punto che spesso diventa difficile distinguere che cosa è prodotto dalla natura e che cosa, invece, è frutto dell’intervento umano. Non c’è chilometro quadrato del nostro Paese che non possa raccontare una storia plurimillenaria.

    Il nostro è un paesaggio narrante. E la bici è lo strumento ideale per mettersi in modalità di ascolto. Un cicloviaggio in Italia è sempre anche un’esperienza culturale profonda. Che si faccia una sgambatina alle porte di Roma, nella Valle dell’Aniene o sull’Appia Antica fino ai giardini papali di Castel Gandolfo, lungo le coste della Sicilia, nella Tuscia o nei Campi Flegrei, ci imbatteremo sempre, pedalando, in un patrimonio archeologico e storico-artistico sbalorditivo, unico al mondo. Potrà essere trascurato, abbandonato, offeso, talvolta addirittura deturpato. Ma pur sempre sbalorditivo. Questa è la cifra che contraddistingue il cicloturismo nel Belpaese rispetto ad altre destinazioni.

    Lo sgomento e l’estasi

    Mettete in conto, però, oltre all’estasi anche lo sgomento e l’indignazione. Talvolta, a fronte di tanta incuria e tanto spreco, sarà difficile trattenere la collera. Tesori che altrove sarebbero tirati a lucido e presentati con i guanti bianchi su un vassoio d’argento giacciono da noi negletti e dimenticati. A volte semplicemente coperti dai rovi; a volte addirittura fatti a pezzi dagli stessi locali sotto i cingoli dei trattori e poi nascosti, affinché le Soprintendenze, percepite come un nemico, non vedano e non intervengano. Contribuiscono allo sdegno le mille e passa discariche abusive, grandi e piccole, sparse ovunque nelle macchie nostrane e nelle scarpate, gli incontri ravvicinati con carcasse di lavatrici e televisori, con copertoni esanimi, con le file interminabili di rifiuti gettati ai bordi delle strade. Così come i cartelli perforati dai colpi d’arma da fuoco o, peggio ancora, le costruzioni obbrobriose, spesso incompiute, e gli scheletri in cemento armato abbandonati e fatiscenti, segno di un’inciviltà diffusa. È l’accanimento di un popolo contro il proprio territorio, dunque contro se stesso e i propri figli, come se qualcuno si mettesse di buona lena a devastare casa sua, inconsapevole dei danni che arreca a sé e a tutta la comunità. Non è così, per fortuna, in tutto il Paese. Ma è un’esperienza fin troppo comune per chi batte l’Italia palmo a palmo in sella a una bici (e non

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