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Appendice: Fine vita
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Appendice: Fine vita
E-book160 pagine2 ore

Appendice: Fine vita

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Info su questo ebook

La diagnosi di una malattia incurabile coincide con l’inizio di un’appendice della vita, un tratto terminale nel quale i giorni diventano davvero contati e l’o-rizzonte di cui siamo fatti inizia ad assumere contorni più certi e definitivi. Chi scrive questa sorta di diario-appendice – un cinquantenne di cui ignoriamo il nome,  impiegato da sempre nel ramo assicurativo-bancario – ha appena rice-vuto una simile diagnosi in Canada, dove risiede da sedici anni. Il parere medico, che arriva nel momento in cui volge al termine il rapporto con la moglie Annelise, spinge quest’uomo a tornare in Veneto, al suo paese d’origine, per trascorrere vicino ai genitori i mesi che gli restano. Tuttavia, in seguito alla morte ravvicina-ta di entrambi, si troverà invece solo, senza legami parentali, con un’improvvisa obbedienza alla scrittura e con la compagnia ondivaga di un custode cimiteriale segaligno e imprevedibile, con il quale inizierà a trascorrere buona parte delle giornate.
Con riluttanza il malato segue il piano di terapie che gli consentono di con-durre una vita quasi normale per alcuni mesi, di vagare e osservare, di ricordare e scrivere con continuità, persino di nuotare qualche vasca in piscina e montare su pagina i pezzi di una vita. Nel testo che prende forma, meditazioni e frammenti di passato si alternano agli incontri e agli accadimenti del presente.
Che fare? Vivere o scrivere? Per il protagonista la scrittura diventa un’“inter-ruzione della vita”, prima dell’interruzione definitiva che la medicina gli ha già prospettato. Eppure, proprio scrivendo, succede qualcosa di inatteso: alcuni per-sonaggi della narrazione, il custode e gli amici ritrovati al paesello, i conoscenti e la signora che talvolta lo raggiunge per un’iniezione, la madre e la sua morte misteriosa, quel che rimane del rapporto con Annelise e della corrispondenza di questa con il suocero, le frequentazioni amorose del passato, iniziano a conver-gere verso una fine, anzi, verso la fine che ogni storia sempre pretende.
E questa fine sarà a sua volta un’appendice, un’appendice di un’appendice, dove resta sospeso un pensiero dubbioso su quanto abbiamo iniziato a chiamare fine-vita e che per ora pare non avere un nome migliore.
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2023
ISBN9791259601520
Appendice: Fine vita

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    Anteprima del libro

    Appendice - Alberto Cellotto

    Appendice

    Alberto Cellotto

    perché anche tra noi due l’attesa è sacra

    e la diffidenza necessaria.

    Piero Ciampi, L’incontro.

    MOSCHETTONE

    In meno di due mesi ho accompagnato al cimitero mia madre e mio padre. Per la verità questo inizio è inesatto, come spesso capita negli inizi, che sono tutti momenti di esagerazione: ho infatti lasciato mio padre prima della cremazione e sono ritornato soltanto ieri per capire cosa era successo ai fiori mandati dai colleghi dell’ordine. Con mia madre invece, nel giorno più caldo di luglio e credo di tutta l’estate, non mi sono scontato nulla e dalla dispersione dei partecipanti sono rimasto a camminare sulla strada stretta di collina che fiancheggia uno dei due cancelli d’entrata, fino all’arrivo del custode.

    Subito mi sono reso conto di come avevo sbagliato a immaginare il suo volto. Quando ho capito che era lui, in baruffa con un mazzo di chiavi assicurato alla cintura con un moschettone da ferrata, ho tirato fuori il tono insulso di chi si scusa per una presenza anomala, precisando che era mia madre quella sotto la terra appena smossa. Come se lui non lo sapesse.

    Il suo esordio con me fu annegato dentro un riso: per lui i cadaveri andrebbero gettati via più dello sterco. Ci siamo stretti la mano e dopo due battute sulla cappa di caldo gli ho chiesto se finito di lavorare mi raggiungeva in un bar per bere. Ero certo che avrebbe accettato il mio invito, ma mi colpì quando soggiunse che il giro serale terminava proprio con quei due cancelli.

    Tuttora non saprei dire perché quelle ultime parole mi sorpresero, più della battuta scatologica o del fatto che sapesse che mio padre, per la sua ora, aveva già scelto un loculo perimetrale dalla parte opposta rispetto a mia madre. Di questo e altro parlò dopo poco, quel giorno di luglio, davanti a una Tassoni senza ghiaccio.

    13 SETTEMBRE

    Ho incominciato a scrivere. Continuando non dimenticherò che questo è un testo che sto scrivendo per chi lo leggerà. Non farò finta che queste righe siano altro. Anche chi lo legge ricordi che ne sono consapevole e sia questo il nostro patto. Se si parla di patto col lettore sono d’accordo con Ignatz che in una striscia sbraita a Krazy Kat : sei solo un’idea di inchiostro su carta. Se si partisse da assunti del genere, sarebbe sempre tutto più semplice e utile. Lo so che questo preambolo assomiglia al teatro nel teatro, ma vedrete che c’entra soltanto un pochino, perché questo non è teatro, purtroppo.

    CANADA

    Il 24 maggio di quest’anno sono tornato dal Canada e ho chiuso con quei luoghi dopo sedici anni di cui non posso tracciare un consuntivo. Quegli anni assumono adesso tutta l’aria di una parentesi e con le parentesi va sempre così: o si possono omettere o diventano più interessanti del testo. Sul volo KLM di ritorno verso Amsterdam si è spappolato il disco fisso e ho pensato a una benedizione tardiva: potevo fare finalmente a meno di un computer dopo buona parte della vita buttata davanti a un vetro. Inoltre, avere perso certe fotografie mi era sembrata una liberazione dai sensi di colpa che quei volti incastrati in certi luoghi sapevano procurarmi.

    Scrivo riempiendo alcune agende della banca rimediate negli anni da mia madre. Ci sentivamo sempre la sera del primo dell’anno per commentare il concerto di Vienna e mi rassicurava ogni volta che ne aveva mendicata una in più per me dall’impiegato della filiale, sempre stitico con gli omaggi di Natale. Puntuale, al mio solito ritorno a marzo, non stavo lì a spiegare che non le ho mai usate in vita mia, che potevo procurarmele con agio e che comunque marzo è già tardi per iniziare a vergare un’agenda, se uno è abituato ad adoperarla. È finita che le lasciavo tutte a prendere la polvere su un tavolino appoggiato alla parete del corridoio, di quelli segati, semicerchi che possono stare solo addossati a un muro, altrimenti sembrano incompleti, instabili, fuori posto, per quanto abbiano comunque quattro gambe. Non se ne è mai accorta perché i miei in questa casa dai pavimenti di troppe piastrelle non ci hanno mai messo piede in sedici anni. Quell’inverno che chiesi il loro aiuto per la caldaia e i tubi che potevano scoppiare mandarono da solo Leo l’idraulico, l’unica persona per la quale credo di aver provato invidia.

    VENDETTA

    È conclamato che inventiamo scritture per la gloria e poco altro. Sempre meno si scrive per campare, e oltre al denaro si pensa per forza alla gloria. Davvero poco altro c’entra in questa secolare prostituzione della scrittura: la memoria a volte, quella può c’entrare, ma non fandonie come l’esprimersi. A volte scriviamo per vendetta, piuttosto. Sono tutte faccende che mi sono chiarito chiacchierando col custode, la prima sera e anche altre volte, sebbene con lui non abbia mai sfiorato l’argomento dei libri.

    I medici del migliore ospedale dell’Alberta sono stati franchi e mi hanno lasciato intendere che ben che andasse mi restava circa un anno. Mercoledì 25 aprile. Va da sé che non si sono espressi così, ma con qualche giro di frase: nessuna sentenza nessuna speranza. Prima che mi imbottiscano di morfina e tutto intontito creda di avere ancora qualche possibilità di scamparla, ho deciso di scrivere, ma ancora non so bene cosa. Ho osservato a lungo gli altri che scrivono saggi, poesie, sceneggiature senza mai provare un desiderio di imitazione. Ora, secondo il più scontato dei copioni, mi metto a scrivere al limite di vita, con la differenza che non c’è alcun testamento e alcuna eredità. Ho la presunzione che da questo momento scrittura e vita diventeranno rette parallele che però incroceranno. Del resto, se c’è un rimpianto e uno solo, è sapere che le geometrie sono tante e non avere fatto nulla per uscire da quella di Euclide.

    LISTE

    Erano dodici anni che non impugnavo una penna per scrivere qualcosa che fosse più lungo di una lista della spesa e fidarmi dei quadretti o di un numero in cima a ogni pagina è davvero invitante. Penso sia rassicurante, se paragonato a un inizio su una pagina bianca dotata di un cursore che pulsa. Assomiglia a un diario con le date sbagliate o frastornate. A esempio in questa pagina c’è il 9, che non è il giorno in cui ho iniziato a scrivere e non ha nulla a che vedere con la morte dei miei genitori. Al funerale di mio padre mi ha punto un’ape sull’indice mentre spostavo una corona di gladioli e ho ancora delle difficoltà a stringere la penna.

    A proposito di liste, da neofito sono convinto che la scrittura sia una questione di liste, si dovrebbe ricercare in una infinità di liste e potrebbe stendersi solo a partire da un cumulo di liste. Che si tratti di introspezione, oggettivazione, invenzione, narrazione o descrizione, tanto cosa cambia? Il mondo precipita di continuo in una lista di valori separati da virgole, come in un file a celle, la quale non può di certo esaurirlo e ancora di meno può esaudirlo. La trama di ogni vita è desiderio, mentre la trama di una scrittura non può esserlo. Anche chi non ha risolto i propri bisogni primari non è immune dal desiderio e non mi hanno mai convinto quelle distinzioni rassicuranti tra bisogni e desideri, come se i secondi fossero una faccenda borghese, di chi in poche parole ha già la pancia piena.

    In una lista potrei dire quante volte ho preso in mano il telefono oggi strusciando il pollice e per quali motivi, i diversi clic silenti e insignificanti dai quali però ricaveranno dati aggregati per gli affari, quello che ho mangiato, le persone che mi sono venute in mente e con quali moti d’animo (la galleria odierna è dedicata ai bidonari), gli oggetti che ho acquistato dall’inizio del mese. Eccoli: un astuccio verde chiaro a tubo con cerniera difettosa che però non ho reso, le lettere di San Paolo, un caricatore universale per vari voltaggi, la prima tardiva traduzione italiana del Tristram Shandy iniziata da Giovanni Rabizzani e conclusa da Ada Salvatore con le xilografie di Benito Boccolari, un regalo per la vicina di casa che certi giorni viene a farmi le punture alle cinque, due guarnizioni calamitate per la doccia, il nuovo libro di poesie in francese della mia ex moglie, prima che me lo mandi lei – strano averla ascoltata parlare così poco quella lingua e trovarla ora su pagina. È un libro molto bello, come spesso sono quegli scritti che provengono da una vendetta che assume alla fine ogni direzione. In una poesia è riuscita a dire quello che ha sempre taciuto, se non a qualche cena tra amici fidatissimi: fosse stata lesbica, in questo frangente avrebbe fatto una carriera più scoppiettante. A ogni modo, pur piacendole gli uomini, si è difesa bene e oggi è una delle storiche dell’arte fiamminga più rispettate del mio paese precedente. Diceva che l’importante è filtrare sin da subito ogni progetto di studio o ipotesi alla luce di quelle tre o quattro parole chiave, passe-partout, che comandano in accademia in un dato periodo.

    Non possiamo sprecare il tempo a dibattere e a scrivere articoli, libri o post per aumentare il volume di un messaggio che già crediamo giusto, per esempio che il contributo delle donne alla vicenda umana è vasto, inestimabile e misconosciuto oppure che gli omosessuali hanno tutte le ragioni, tanto per dirne due. È l’esibizionismo isterico a essere insopportabile, inutile del tutto, stopposo. Quando gli amici gay affermavano che la loro battaglia non è terminata, rispondevo che questa non si porta a termine facendo sfilare l’orgoglio. Poi mi turba quando si dice che qualcuno diventa omosessuale, come se si trattasse di un divenire e non di qualcosa che riguarda chi si è, come si vive e con chi ci piace andare a letto, fin che ci piace. E tanto lo sappiamo che lo scenario di oggi, ingessato tra politicamente corretto e scorretto, porta a una polarizzazione stolta: da un lato chi, prono, avalla il messaggio del conformismo zelante spacciato per militanza battagliera, dall’altro quelli che godono nell’infrangere il politicamente corretto, che comunque continua da secoli a rappresentare

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