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Troppo ...
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E-book154 pagine2 ore

Troppo ...

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Info su questo ebook

Un ragazzo innocente viene condannato a scontare trentacinque anni per l’omicidio di una sua compagna di scuola che ama, non riamato. Superato il periodo di detenzione e di nuovo libero potrà finalmente smascherare il vero assassino?
“Troppo …” non è un giallo.
E’ la storia di un uomo, della sua vita, un melodramma.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2020
ISBN9788835849179
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    Anteprima del libro

    Troppo ... - Paolo Locatelli

    Paolo Locatelli

    Troppo ...

    Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistite è puramente casuale

    Per informazioni sull'autore e le sue opere consulta il sito:

    www.paololocatelliscrittore.it

    Per altre informazioni o richieste scrivi a:

    postmaster@paololocatelliscrittore.it

    UUID: cd70a5b3-0775-4f08-92fa-4326860cde45

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Ringraziamenti

    Ringrazio mia moglie Lucia e la mia cagnolina Osso

    Illustrazione di copertina

    Interno furgone bar

    Matitone di Enrico Locatelli (1960)

    Indice dei contenuti

    Ringraziamenti

    Prefazione di Fabio Rossi

    Breve nota dell'autore

    LA FORZA DEL DESTINO

    AL CIMITERO

    TROPPO ...

    SILVIA

    MALEDETTE BRIGATE ROSSE!

    NON V’È CHI NON VEDA!

    LA RESA DEI CONTI

    UN VECCHIO SFINITO

    IL DIARIO DI TROPPO

    L'EREDITA'

    SONO IO CHE NON HO VOLUTO ANDARE

    SCELSI IL MIO NOME

    TOCCARE IL CIELO CON UN DITO

    CADERE ALL’INFERNO

    LIBERO

    NE VALE SEMPRE LA PENA!

    UN BRIVIDO LUNGO LA SCHIENA

    EPILOGO

    LA FINE DI UNA VITA

    AL CIMITERO

    Prefazione di Fabio Rossi

    Paolo Locatelli ci regala un nuovo romanzo con il suo stile inconfondibile e la sua scrittura semplice e genuina che spingono alla bella lettura: quella appassionata e senza soste. La sua ampia Cultura è sempre presente e si rivela nei titoli dei diversi capitoli ma non investe il lettore semplice come me bensì lo solletica delicatamente ad approfondire.

    Così come presenti sono i suoi forti e incrollabili valori a cui senza compromessi invita.

    La prima parte assume le connotazioni di un giallo: avvincente e ricco di suspence.

    La seconda è un nido di memorie, ricordi che scorrono veloci, fluidi, senza ostacoli, emozionanti come lo scorrere inarrestabile di un grande fiume, quale è la Vita.

    Leggetelo, è troppo, Troppo … Bello.

    Buone Emozioni!

    Fabio Rossi

    Breve nota dell'autore

    Ho scritto questo romanzo durante la terribile pandemia che ha colpito il mondo. Lo avevo in testa da quattro anni. Bastava scriverlo. Dovevo solo ritrovare la mia capacità di isolarmi e dedicargli un po’ di quel tempo che non si trova mai. Sono stato punito per la mia pigrizia, tutti noi siamo stati puniti per un motivo. Anche se non sono stato contagiato ho avuto paura. Anche di morire. Mentre ero comodamente seduto in casa mia a scrivere, circondato dai miei affetti più cari, fuori c’erano tante persone, donne e uomini che mettevano a rischio la propria vita per curare gli ammalati e garantire a quelli come me la vita. Per rispetto a loro abbiamo dovuto tutti compiere il sacrificio che ci è stato richiesto: stare a casa. Ma per me che ho la passione di scrivere che sacrificio è? Mi è stato concesso un tempo enorme per fare ciò che più desidero fare: scrivere. Ho sentito forte in me la responsabilità di non sprecare quel tempo, di non buttarlo via inutilmente. Conosco una ragazza, una di quelle che era là, fuori. Si è laureata nel novembre del 2019 e ha iniziato a lavorare a inizio febbraio 2020. Il suo primo lavoro, quello che desiderava fare. Credo che come prima esperienza sia stata quanto di più difficile potesse capitarle. L’ha superata nel migliore dei modi, con eccezionale volontà e grande responsabilità. Le auguro che la vita da ora in avanti sia una lunga e facile discesa tracciata con tante gioie e pochi, pochissimi inevitabili dolori.

    E’ mia nipote.

    Dedico a lei questo libro.

    A Gemma, un’infermiera.

    LA FORZA DEL DESTINO

    Ouverture

    dall’opera omonima di Giuseppe Verdi

    (anno 1862)

    Direttore: Arturo Toscanini

    NBC Symphony Orchestra (1952)

    AL CIMITERO

    E’ una giornata fredda e piovigginosa questa del mese di marzo dell’anno 2019. Anche qui al cimitero di questa cittadina sulle sponde del fiume Adda, a pochi chilometri da Lecco, ti entra un umido nelle ossa che ti sembra di essere in una cella frigorifera dove tengono i quarti di bue appesi con i ganci di ferro. E ti arrabbi! Ti arrabbi perché queste maledette goccioline che scendono dal cielo grigio non si decidono a diventare vere gocce di pioggia e tu non sai se tenere l’ombrello aperto o chiuso. E’ il cimitero, ne sono sicuro, è il cimitero il posto più freddo e umido di tutta la cittadina: più gelido dell’interno della piccola cappelletta in cima alla vetta della collina e più umido del sentiero in terra battuta adiacente alla riva destra del fiume, giù, in basso. Non mi sono mai piaciuti i cimiteri, fin da piccolo quando mi ci portavano per onorare i nonni defunti io sentivo troppo freddo o troppo caldo e comunque non mi piaceva il posto. Non capivo perché dovessi andarci. Non l’ho capito nemmeno vent’anni fa quando morì mio padre e ricordo le poche liti fatte con mia madre perché non andavo a trovarlo. L’ho amato mio padre, tanto e forse per questo non volevo rassegnarmi a vedere una foto su un loculo. Poche liti perché poi me ne sono andato di casa. Ho fatto il corrispondente di guerra prima come free-lance e poi per una importante testata giornalistica.

    Così ho avuto la scusa per non andarci più.

    Poi, quando tre anni fa è morta anche mia madre e rispettandone le ultime volontà l’ho fatta cremare e mettere nel loculo accanto a mio padre, ci sono tornato al cimitero e … ho capito. Un po’ tardi forse, visto che sono allo scoccare dei quarant’anni, ma ho capito. Un cimitero è una casa della memoria e come tale va mantenuta in ordine per rispetto a chi la abita. Avevo appena smesso di fare l’inviato di guerra e troppi morti avevo visto gettati in fosse comuni o bruciati perché non vi erano posti dove metterli; loro non avevano una casa dove riposare e non per scelta, che allora sarebbe stato ben diverso, quindi improvvisamente mi appariva chiaro tutto ciò che avevo cercato di nascondere a me stesso per tanti anni: l’incapacità di accettare l’idea della morte se non come fatto di cronaca. Scriverne e passare oltre per poi ogni giorno ricominciare a scriverne ancora, senza un attimo di tempo per fermarsi e ricordare … per piangere. Ho capito, sì ho finalmente capito e ho accettato l’offerta di un vecchio collega divenuto direttore di un quotidiano provinciale che mi aveva proposto di fare il capo redattore delle pagine dedicate allo sport. Francamente mi fa ridere il lavoro che faccio ora, io che dopo aver visto quanto di peggio si possa immaginare sono oggi dedito all’analisi dettagliata dei tempi di recupero dopo un infortunio del centravanti o del portiere delle locali squadre di calcio che gareggiano nelle serie inferiori. Che emozione raccontare della gara ciclistica dei dilettanti, dei cestisti e dei pallavolisti che si affannano per conquistare i play-off di accesso a serie superiori che non sono né la A, né la B e forse raramente la C! Che palpitazioni nel descrivere la spettacolare gara di pesca sportiva e che soddisfazione raccogliere le interviste di protagonisti la cui popolarità ad andar bene non travalica i confini della provincia. Che soddisfazione immensa sapere che la gente compra il tuo giornale proprio perché solo lì trovano eco siffatte imprese e non gliene frega nulla di un articolo in seconda pagina dove un pirla qualunque che ha fatto un viaggio fino all’inferno schivando pallottole ed evitando di saltare in aria per aver messo il piede su una mina, cerca di raccontarti di come si uccidono nello Yemen e perché! Che andassero tutti a cagare e che si pulissero il culo con la mezza pagina dedicata alla guerra in Siria. Ma si, ho mollato e non me ne vergogno. Non ce la facevo più e quando è così quasi certamente sei un candidato per il primo proiettile vagante in cerca del primo reporter. Sono tornato a casa e mi sono deciso a prendere dimora fissa nella vecchia casa di famiglia qui a due passi dal fiume. Arrivo persino a pensare che mia madre sia morta per aver smesso di avere un motivo per pregare Dio: far tornare suo figlio a casa!. Vecchia non era, a settant’anni ne hai ancora da vivere se non ci sono particolari problemi di salute. Ma lei è sempre stata così! Convinta di non poter spuntarla con un figlio che aveva fatto tutto l’opposto di quello che aveva sempre sperato per lui, un posto fisso, una moglie e dei nipotini, deve aver deciso di accontentarsi. La povera donna deve aver pensato che, nonostante il mio ritorno ed il fatto di essermi ripreso la mia stanza da adolescente in casa, non sarebbe riuscita a spuntare nulla di più. Come darle torto ad onor del vero?

    Una notte ha pensato bene di togliere il disturbo, naturalmente mentre io ero fuori casa impegnato in un’ennesima impresa di poco sforzo con l’ennesima donna di cui non mi importava nulla. Tornato la mattina l’ho trovata morta nel letto con un sorriso stampato in faccia come a dirmi adesso ti tocca andarci al cimitero.

    L’ho capito, sì l’ho capito mamma. A modo mio, capisco che è un po’ dura da spiegare, ho voluto bene a mia madre. Non come a mio padre ma le ho voluto bene e ora sono qui.

    In questo cimitero con questo cazzo di umido che mi entra nelle ossa, a portarti questo cazzo di mazzo nuovo di fiori finti perché ho giurato a me stesso che almeno due o tre volte all’anno ci devo venire. Perché non posso più sopportare di vedere la lapide sporca con un dito di polvere che ne rende opaco il colore. Sono qui mamma, in questo freddo pomeriggio con lo straccetto in mano e la bottiglietta dell’acqua per pulire la lapide.

    Ecco fatto. Per qualche mese è tutto a posto e nessuno passando davanti alla lapide potrà dire "Ma questi due non ce lo avevano un figlio?".

    Sono soddisfatto e mi avvio rapido verso l’uscita quando odo dei gemiti. E’ un pianto, un pianto continuo e … disperato. Non resisto. Come quando in guerra sentivo un pianto e rischiavo la vita per poter individuare di chi fosse così ora seguo quel suono per capire chi lo emette. Scorgo un uomo, un vecchio in ginocchio su una tomba con il braccio teso e la mano appoggiata sulla foto della lapide. Mi fermo, forse non è il caso di interrompere quel momento di dolore così intenso ma lui non cessa di piangere e il mio istinto, lo stesso che per tanti anni mi ha spinto ad avvicinarmi ad ogni pianto anche solo per appoggiare una mano su una spalla, mi dice Vai!.

    Raggiungo il vecchio, lui non si è accorto della mia presenza.

    «Signore, si sente bene?»

    Lui si scuote e mi guarda. E’ uno sguardo di disperazione. Lascia cadere la mano prima appoggiata sulla foto della lapide e vedo che le foto sono due: una ritrae il viso bellissimo di una donna molto giovane e l’altra un volto che più che un volto sembra una brutta maschera di carnevale. Il mento è storto, le orecchie ed il naso sono troppo grossi. Se fosse un uomo sarebbe un uomo brutto e molto più anziano della donna della foto a fianco.

    Immediatamente penso: non sono marito e moglie e se lo sono lui è molto più vecchio di lei. Almeno trent’anni di differenza.

    «Sto bene grazie … mi scusi.»

    «Mi scusi lei, forse non dovevo … intromettermi»

    «Intromettersi?»

    «Intendevo … sì ecco forse non dovevo disturbare il suo pianto.»

    «Disturbare? Nessun disturbo. Sono solo un vecchio disperato

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