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Auto da corsa disastrose: Storie di uomini e mezzi che hanno clamorosamente fallito
Auto da corsa disastrose: Storie di uomini e mezzi che hanno clamorosamente fallito
Auto da corsa disastrose: Storie di uomini e mezzi che hanno clamorosamente fallito
E-book262 pagine3 ore

Auto da corsa disastrose: Storie di uomini e mezzi che hanno clamorosamente fallito

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Info su questo ebook

Motori che si rompono dopo nemmeno un giro di pista, tempi lenti in maniera imbarazzante, totale disorganizzazione...

La storia delle corse automobilistiche non è fatta solo di auto veloci, vincenti e famose: ci sono anche quelle disastrose, che non hanno mai vinto nulla e che si sono rivelate un fiasco più totale. Dietro a questi mezzi ci sono stati però personaggi creativi, tenaci e coraggiosi, che hanno cercato senza succeso di realizzare i propri sogni oppure di introdurre grandi innovazioni.

Queste persone e queste automobili hanno fallito clamorosamente ma – a modo loro – hanno contribuito alla grande epopea delle corse automobilistiche.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ago 2023
ISBN9791221494303
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    Anteprima del libro

    Auto da corsa disastrose - Stefano Biava

    Introduzione

    Uno degli aspetti più affascinanti degli sport motoristici è senza dubbio lo strettissimo legame tra sfida umana e competizione tecnica. Progettare un’automobile o una motocicletta vincente infatti non è una scienza esatta ma piuttosto un’arte delicatissima. Si tratta di mescolare, non conoscendo la ricetta, vari ingredienti in modo che siano in perfetto equilibrio tra loro. Competenze tecniche, capacità gestionali, risorse economiche, intuizione, tempismo e naturalmente fortuna… se manca anche solo uno di questi elementi, il mezzo non potrà mai essere vincente. Il bello del motorsport però è anche questo: che noia se tutti sapessero con precisione matematica come costruire un veicolo perfetto, veloce ed affidabile!

    Naturale quindi che, mentre da un lato vi sono mezzi incredibili che hanno conquistato un numero enorme di vittorie, dall’altro vi sono mezzi pessimi che hanno avuto prestazioni scarsissime e non hanno mai vinto nulla.

    Non c’è dubbio che i veicoli belli, veloci e vincenti siano i più meritevoli di fama e abbiano perciò ricevuto un gran numero di pubblicazioni in proposito. Eppure anche le vetture poco competitive e meno famose hanno vicende interessantissime e meritevoli di essere raccontate. Da qui l’idea di scrivere un libro dedicato proprio alle auto da corsa disastrose, quelle che non hanno mai vinto nulla, che hanno fallito clamorosamente i loro obiettivi e che spesso hanno avuto una carriera effimera. A loro modo hanno anch’esse contribuito a scrivere la grandiosa storia delle competizione motoristiche, quindi è giusto che qualcuno racconti le loro avventure.

    Selezionare quali auto da corsa possano essere considerate disastrose è un’impresa complicata ed estremamente soggettiva. I criteri di base sono naturalmente la mancanza di velocità, l’inaffidabilità, la carenza di preparazione e il fallimento globale del progetto. Il campo sarebbe però troppo ampio e più che un libro bisognerebbe scrivere un’enciclopedia. Si è quindi deciso, seppur con qualche eccezione, di prediligere il più possibile la disastrosità assoluta piuttosto che quella proporzionale al prestigio del marchio. Per fare un esempio, la Ferrari 643 F1 che Alain Prost definì pubblicamente un camion (venendo di conseguenza licenziato) non trova spazio in questo libro: i suoi due secondi posti e quattro terzi posti senza alcuna vittoria sono certamente un bottino misero per il Cavallino Rampante ma costituirebbero invece un grande successo se ottenuti da una piccola scuderia. D’altro canto però le competizioni motoristiche sono state popolate fin dagli albori da un numero pressoché infinito di creazioni artigianali che non hanno mai ottenuto alcun risultato e spesso non sono mai andate oltre i campionati minori. Altra discriminante prescelta è quindi il fatto che le macchine selezionate abbiano corso in serie di alto livello. In ultima istanza ho tenuto conto anche dei fallimenti più clamorosi, delle storie più curiose e finanche delle disavventure più divertenti.

    Moltissimi lettori avranno sicuramente da ridire sulla scelta di includere un’auto piuttosto che un’altra e io stesso mi sono trovato in molti casi indeciso fino all’ultimo. Per questo è importante specificare che questo libro non vuole essere una classifica o una selezione delle auto da corsa più disastrose ma semplicemente una raccolta di storie.

    Nonostante contenga spesso episodi divertenti e tragicomici, quest’opera non vuole essere nemmeno una presa in giro o una denigrazione nei confronti di nessuno. Al contrario, si propone di far conoscere storie poco conosciute di uomini coraggiosi che hanno intrapreso la difficile impresa di costruire e portare in gara una macchina da corsa. Essendo l’elemento umano e quello tecnico indissolubilmente legati, ho cercato di non limitarmi ad illustrare le fasi della progettazione e i risultati in gara con l’aggiunta di qualche aneddoto curioso qua e là. Ogni capitolo si propone invece di avere un respiro più ampio e di spiegare anche il contesto storico nel quale queste auto sono state concepite e sono scese in pista, le ragioni alla base di determinate scelte, le cause dei fallimenti e la piccola eredità che le vetture, insieme ai loro progettisti e ai loro piloti, ci hanno lasciato. Partendo dalle vicissitudini delle macchine ho spesso deciso di divagare un po’ raccontando anche le storie di personaggi ad esse legati che spesso hanno ottenuto meno soddisfazioni di quelle che avrebbero meritato visti la loro tenacia e il loro coraggio.

    Questo libro quindi è dedicato a tutti i perdenti, a coloro che hanno dato tutto per inseguire un sogno ma non ce l’hanno fatta.

    Ford V8 Special: epic fail

    1935

    Quando si parla della Ford nel mondo delle corse vengono in mente automobili bellissime e vincenti come la GT40 oppure motori in grado di sbaragliare la concorrenza come il Cosworth DFV… Eppure…

    Eppure la prima grande discesa in campo della casa dell’Ovale Blu nel mondo delle corse non è stata esattamente un successo. Anzi, si è risolta in un vero e proprio disastro. Ma andiamo con ordine. Dopo aver motorizzato l’America e cambiato la storia della produzione industriale con la Model T, prodotta per quasi vent’anni e venduta in milioni di esemplari, nel 1932 la Ford Motor Company lancia il motore V8 Flathead mettendo a segno un altro grande successo commerciale. Il nuovo propulsore infatti è il primo V8 destinato ad automobili di produzione di massa e, montato su un gran numero di modelli, resta in produzione fino al 1953. Inoltre viene ben presto imitato da tutti gli altri produttori statunitensi, rendendo così il propulsore con 8 cilindri disposti a V il motore americano per eccellenza. Tuttavia manca ancora una cosa per consacrarne il valore: il successo nella regina delle corse americane.

    Nel frattempo il visionario venditore di automobili ed ex-dipendente Ford Preston Tucker sta cercando di lanciarsi nel business delle auto da corsa. Convince così Edsel Ford, figlio del fondatore Henry, ad appoggiare il progetto di costruire un mezzo in grado di vincere la 500 Miglia di Indianapolis spinto dal motore V8. Edsel convince a sua volta il padre e il management dell’azienda, prospettando la partecipazione alle corse come un’ottima pubblicità per la marca, vista soprattutto la crescente concorrenza commerciale da parte della rivale Chevrolet.

    Il progetto e la costruzione della macchina vengono quindi affidati al più geniale costruttore americano di auto da corsa dell’anteguerra: Harry Miller.

    Harold Arminius Miller nasce il 9 dicembre 1875 nel Wisconsin da genitori di origine tedesca e inizia a lavorare come meccanico all’età di quindici anni, distinguendosi subito per la propria inventiva. Dopo aver operato in varie officine e fabbriche, nel 1907 apre un proprio laboratorio a Los Angeles: qui inizia a produrre dei carburatori che ottengono immediatamente un grande successo.

    Dopo la Prima Guerra Mondiale inizia la costruzione di auto da competizione complete: nel 1917 infatti il pilota Barney Oldfield commissiona a Miller la progettazione e costruzione di un innovativo mezzo con carrozzeria chiusa, conosciuto come Golden Submarine. Nel 1922 arriva la prima vittoria di un motore Miller alla 500 Miglia di Indianapolis (Murphy Special, con telaio Duesenberg, guidata da Jimmy Murphy¹) e nel 1923 la prima vittoria di un auto completamente costruita dal progettista del Wisconsin (HCS Special, guidata da Tommy Milton). A queste fanno seguito altre dieci vittorie di vetture Miller, come auto completa o solo come motore. Inoltre piloti alla guida di vetture costruite dalla Harry A. Miller, Inc. si aggiudicano più di dieci volte il campionato nazionale AAA (American Automobile Association).

    Le monoposto Miller degli anni ’20 sono lo stato dell’arte tra le auto da corsa e impressionano anche in Europa: qui ben figurano nei pochi Gran Premi a cui prendono parte, stabiliscono nuovi record di velocità nella loro categoria e due esemplari vengono acquisiti da Ettore Bugatti per studiarne il motore con doppio albero a camme in testa.

    Harry Miller è un progettista eclettico e geniale, capace di lavorare su diversi progetti contemporaneamente, con motori che vanno dai quattro fino ai sedici cilindri, sovralimentati o ad aspirazione naturale, utilizzati non solo sulle automobili ma anche sui motoscafi. Tuttavia le sue capacità a livello ingegneristico non vanno di pari passo con le capacità manageriali e, complice anche la Grande Depressione, nel 1933 la Harry A. Miller, Inc. dichiara la bancarotta. In cerca di nuove opportunità, Harry viene contattato da Preston Tucker e i due fondano una nuova società.

    Nel febbraio 1935 viene quindi firmato il contratto tra la Ford Motor Company e la Miller-Tucker, Inc. per la realizzazione di ben dieci auto da corsa: Ford fornisce motori, trasmissioni e freni mentre Miller e Tucker si occupano di telaio, sospensioni e carrozzeria, oltre che della gestione in gara. I tempi sono strettissimi: la corsa di Indianapolis infatti è il 30 maggio, tuttavia Tucker ha garantito di poter completare le macchine in soli quattro mesi. Harry Miller e i suoi uomini lavorano praticamente giorno e notte finché, a soli venti giorni dall’inizio delle prove libere, il primo esemplare è pronto.

    La Ford V8 Special (indicata come Miller-Ford nelle statistiche) è bassa, lunga, filante e aggressiva: a vedersi sembra una macchina destinata a scrivere la storia e a far sognare migliaia di appassionati. L’auto è spinta ovviamente da un motore Ford Flathead V8 vicinissimo alla serie, con cilindrata di 220 pollici cubi (3600cc) e potenza di circa 150 cavalli. Altre caratteristiche sono il cambio Ford a due rapporti, la trazione anteriore e le sospensioni indipendenti, queste ultime una novità assoluta nel campo delle competizioni per vetture a ruote scoperte.

    La prima Ford V8 Special arriva ad Indianapolis il 12 maggio, quasi due settimane dopo l’inizio delle prove e ad una sola settimana dall’inizio delle qualifiche ufficiali. Il 15 maggio l’auto scende in pista per la prima volta con Pete DePaolo (vincitore della gara nel 1925), Cliff Bergere e George Barringer, rivelandosi decisamente lenta. Bergere decide allora di lasciare la squadra, seguito poco dopo da DePaolo.

    Nel frattempo arrivano ad Indianapolis altre otto Miller-Ford ma, a tre giorni dalla gara, nessuna è ancora riuscita a qualificarsi. Il primo pilota a riuscirci è il debuttante Ted Horn, seguito dai neoacquisti Johnny Seymour e George Bailey. Successivamente riesce ad assicurarsi un posto sulla griglia di partenza anche l’altro rookie Bob Sall, mentre non ce la fanno Billy Winn, George Barringer e Dave Evans. Wesley Crawford e L.L. Corum (vincitore nel 1924) non effettuano neanche un tentativo di qualificazione. La decima auto infine viene assegnata al rookie Johnny Rae ma non è pronta in tempo e di conseguenza non scende in pista.

    Bilancio delle qualifiche: solo quattro macchine su dieci qualificate per la gara. Ted Horn, il pilota meglio piazzato, parte dalla ventiseiesima posizione, seguito da Johnny Seymour in ventisettesima, George Bailey in ventinovesima e infine Bob Sall in trentatreesima e ultima posizione. Henry Ford, che come spettatore non si perde da anni un’edizione della 500 Miglia di Indianapolis, decide di non presenziare…

    Si arriva così al giorno fatidico della gara, il 30 maggio, ma in casa Miller-Ford gli animi sono abbastanza rassegnati. A onor del vero si vede una Ford V8 davanti a tutti... ma è solo è la pace car!

    Al quarantasettesimo dei duecento giri previsti Bob Sall si ritira con lo sterzo bloccato: esso infatti passa troppo vicino al tubo di scappamento e il calore prodotto da quest’ultimo ne fa espandere gli ingranaggi, rendendolo durissimo da manovrare fino ad arrivare al bloccaggio. Un problema non certo insormontabile ma che la mancanza di tempo e di test ha impedito di individuare e risolvere. Seguono poi i ritiri di George Bailey al sessantacinquesimo giro e di Johnny Seymour al settantunesimo, tutti per lo stesso problema. L’ultimo a doversi arrendere infine è il giovane Ted Horn, che resiste fino alla centoquarantacinquesima tornata prima di rientrare ai box esausto, anche lui con lo sterzo bloccato. Bilancio finale della corsa: solo quattro macchine su dieci qualificate e nessuna al traguardo.

    Per la cronaca la gara viene vinta dall’italoamericano Kelly Petillo con la sua Gilmore Speedway Special spinta da un motore Offenhauser. Si tratta della prima vittoria ad Indianapolis per questo propulsore, che diventerà dominante per quasi cinquant’anni sugli ovali americani. Anch’esso è derivato da un progetto di Harry Miller in quanto Fred Offenhauser, collaboratore del geniale progettista, aveva rilevato il materiale della Harry A. Miller, Inc. in seguito alla bancarotta da parte di quest’ultima.

    Dopo una sconfitta così catastrofica ci si potrebbe aspettare che la Ford metta in moto un massiccio programma di test e sviluppo per rendere la macchina vincente e cancellare l’onta subita. Ciò invece non avviene ed Henry Ford, umiliato dalla titanica figuraccia, mette sotto chiave le dieci auto nello stabilimento di Highland Park. Si rifiuta categoricamente di farle scendere di nuovo in pista sperando che in questo modo la debacle venga presto dimenticata. Da questo momento in poi la Ford Motor Company non si impegnerà più in modo diretto nelle competizioni per quasi trent’anni.

    Harry Miller cerca invano di ottenere almeno due auto in modo da continuarne lo sviluppo, entrando però in disaccordo con Preston Tucker su chi dei due debba detenerne la proprietà. Si arriva perciò alle vie legali, che pongono fine anche alla breve esistenza della società Miller-Tucker.

    Negli anni successivi Miller avvia una collaborazione con la compagnia petrolifera Gulf, la quale gli commissiona la realizzazione e la gestione in gara di una nuova auto da corsa per competere ad Indianapolis. Il futuristico mezzo scaturito da questa collaborazione sarà il culmine dell’estro per il geniale progettista, con soluzioni tecniche assolutamente all’avanguardia: motore centrale-posteriore, trazione integrale, quattro freni a disco, sospensioni indipendenti... Tuttavia anche questo progetto si rivela un fiasco e, tra il 1938 e il 1940, raccoglie solamente un ventiseiesimo posto come miglior risultato alla 500 Miglia di Indianapolis. Conclusa la collaborazione con Gulf, Harry Miller torna a collaborare con Tucker per alcuni progetti di veicoli militari e partecipa anche allo sviluppo della prima Jeep, per poi morire nel 1943 in povertà e solitudine.

    Preston Tucker si lancerà invece in nuove avventure finanziarie, culminate nella creazione della Tucker Corporation, fabbrica di automobili dalla vita brevissima che cercherà di sfidare senza successo i Big Three di Detroit. L’azienda di Tucker cercherà peraltro di promuoversi anche attraverso le competizioni portando in gara una delle auto Miller progettate per conto della Gulf.

    E le dieci bellissime Ford V8 Special? Dopo più di due anni di reclusione, alcuni esemplari iniziano ad essere venduti. Due di essi finiscono in mano a Lew Welch, ex-dipendente Ford, che ne schiera uno a Indianapolis nel 1938 affidandolo a Herb Ardinger. Il motore V8 viene sostituito con un quattro cilindri in linea Offenhauser ma il risultato è sempre un ritiro. Il team di Welch ritorna anche nel 1939 con Cliff Bergere alla guida e questa volta arriva finalmente un ottimo risultato: terzo posto! Nel 1940 il pilota è Ralph Hepburn (ritirato), mentre nel 1941 il motore Offenhauser viene sostituito dal nuovissimo Winfield V8 sovralimentato. Con questa nuova configurazione Hepburn ottiene il quarto posto. Nel frattempo ricompaiono a Indianapolis altri esemplari di Miller-Ford, tutti spinti da motori Offenhauser: nel 1940 con George Robson alla guida (ritirato) e nel 1941 con Mel Hansen (ritirato) e Louis Tomei (undicesimo).

    Passata la Seconda Guerra Mondiale si riprende a gareggiare utilizzando le vecchie macchine d’anteguerra e tra queste non mancano le Miller-Ford: nel 1946, a ben undici anni dal catastrofico debutto, altri due esemplari vengono di nuovo schierati a Indianapolis. Il primo, guidato da Shorty Cantlon (ritirato), è spinto da motore Offenhauser, mentre il secondo monta un V8 Ford come in origine. Con il debuttante Danny Kladis alla guida il risultato è sempre un ritiro ma la GranCor² V8 Special - così viene chiamata la macchina - segna il debutto ad Indianapolis di Andy Granatelli, il più famoso ed estroso team manager nella storia degli ovali americani. Nel 1947 l’auto viene quindi guidata dal rookie Pete Romcevich fino al dodicesimo posto finale. Nel 1948 è lo stesso Granatelli a mettersi alla guida ma un terribile incidente durante le qualifiche pone fine alle sue velleità di pilota.

    Altri esemplari di Miller-Ford scendono in pista fino al 1950, ben quindici anni dopo la catastrofe del 1935. Tutto sommato niente male per una macchina che è nata fin da subito non competitiva! Segno che molto probabilmente la base non era così scadente e che, con un adeguato programma di sviluppo, la vettura avrebbe potuto diventare un mezzo vincente.

    Conclusa la loro carriera nelle corse, le Ford V8 Special hanno quindi iniziato il loro iter nelle mani dei collezionisti. Riportate alla loro configurazione originale, sono ancora oggi tra le macchine più ammirate nei musei e nelle manifestazioni per auto d’epoca grazie alla loro linea filante ed aggressiva e al rombo del motore V8.

    ¹ Caratteristica delle corse americane negli anni ’20 è proprio la rivalità tra i due costruttori Miller e Duesenberg. Curiosamente la prima vittoria di entrambi alla 500 Miglia di Indianapolis è proprio questa, di fatto ex aequo!

    ² Acronimo di Granatelli Corporation.

    Novi Special: la bestia feroce

    1941-1966

    Può un’auto da corsa disastrosa essere la preferita del pubblico e correre ad altissimo livello per ben venticinque anni? Possibile, soprattutto se stiamo parlando di un mezzo capace di raggiungere prestazioni elevatissime e di esaltare il pubblico con la sua velocità ma anche di inanellare una serie pressoché infinita di rotture e di dare la morte a due grandi piloti. Signore e signori, ecco a voi una delle automobili più controverse della storia: la mitica Novi.

    Tutto inizia nel 1935 quando Lewis W. Welch, dipendente Ford, si mette in proprio e fonda una propria azienda a Novi, in Michigan, per produrre componentistica destinata alle auto della casa dell’Ovale Blu. Fin da subito ha inizio anche l’attività sportiva nel campionato nazionale AAA: nel 1935 infatti il team di Lew Welch schiera alla 500 Miglia di Indianapolis due auto a motore Ford V8, che però non riescono a qualificarsi per la gara. Anche se nessuna fonte certa lo conferma, si dice che Henry Ford stesso abbia aiutato finanziariamente la squadra viste le non poche perplessità che il progetto Miller-Ford stava iniziando a creare. In ogni caso il risultato è stato anche peggiore.

    Il team di Welch si ripresenta a Indianapolis solo nel 1937 con una nuova auto: telaio costruito in proprio e motore quattro cilindri Offenhauser sovralimentato. Il pilota Herb Ardinger, già alla guida nel 1935, parte dalla terza casella dello schieramento ma in gara è costretto al ritiro. L’anno successivo la squadra si presenta con nientemeno che una delle dieci Ford V8 Special, fino a quel momento tenute sotto chiave dopo il fiasco del 1935. Grazie ai suoi legami con Henry Ford, Lew Welch è infatti riuscito ad acquisirne due esemplari. Il motore V8 Flathead è però sostituito da un quattro cilindri Offenhauser. Con questa configurazione l’auto ottiene un onorevole sesto posto, sempre con Ardinger al volante. È durante questa edizione che Lew Welch stringe amicizia con il meccanico e progettista californiano William Bud Winfield, che si trova infatti ad Indianapolis insieme al fratello Ed per seguire la sua ultima creazione: un motore otto cilindri in linea sovralimentato progettato insieme a Leo Goossen e Fred Offenhauser per conto del pilota Louis Meyer, già tre volte vincitore della 500 Miglia.

    Nel 1939 la Miller-Ford Offenhauser di Lew Welch ottiene un sensazionale terzo posto con Cliff Bergere alla guida, mentre l’anno successivo il team manager nativo del Michigan unisce finalmente le forze con l’amico Bud Winfield. L’auto di Welch prende il nome di Bowes Seal Fast Special (dalla sponsorizzazione della Bowes, azienda che produce toppe per la riparazione degli pneumatici) e partecipa alla 500 Miglia 1940 nelle mani dell’esperto Ralph Hepburn, il quale è però costretto al ritiro per un problema allo sterzo.

    I motori quattro cilindri Offenhauser stanno iniziando a mostrare il fianco agli otto cilindri sovralimentati della Maserati, il cui modello 8CTF ha vinto la prestigiosa corsa nel 1939 e 1940. Welch decide allora che è tempo di dotare la sua auto di un nuovo propulsore. Bud Winfield ed il fratello Ed propongono la loro idea a Fred Offenhauser, che a sua volta assegna il progetto al prolifico ingegnere freelance Leo Goossen.

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