Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

F1 Confidential
F1 Confidential
F1 Confidential
E-book411 pagine16 ore

F1 Confidential

Valutazione: 3 su 5 stelle

3/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"F1 Confidential" è un'analisi a tutto tondo del mondo della Formula 1 che, con graffiante ironia e documentata precisione, conduce il lettore alla scoperta degli aspetti tecnici e politici del "Circus" più blasonato del pianeta. Un approfondimento, ricco di testimonianze dirette e interviste, capace di stuzzicare la fantasia dei neofiti e soddisfare le curiosità e il palato degli appassionati.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2016
ISBN9786050468311
F1 Confidential

Correlato a F1 Confidential

Ebook correlati

Sport e tempo libero per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su F1 Confidential

Valutazione: 3 su 5 stelle
3/5

2 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    F1 Confidential - Alberto Saiu

    Alberto Saiu

    F1 Confidential

    UUID: b7547900-3dd7-11e6-b625-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    INSTALLATION LAP

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    BANDIERA A SCACCHI

    LAP OF LIFE

    ALBERTO SAIU

    di ALBERTO SAIU

    con la collaborazione di Salvo Sardina

    Progetto Grafico della copertina Jason Walley – Hors Catégorie (hors-categorie.co)

    Prima Edizione.

    L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore.

    Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota o in futuro sviluppata).

    A mio padre,

    If your dreams don't scare you, they aren’t big enough

    Ellen Johnson Sirleaf

    INSTALLATION LAP

    Stavo pensando di scrivere una tesina sul nostro sport. Potrei intervistare un po’ di gente, chiedere in giro cosa c’è che non va e cosa potrebbe essere migliorato. Magari viene fuori qualche bella idea…. Dicembre 2015, pochi giorni dalle festività natalizie. Dall’altra parte della cornetta c’è il mio amico Alberto Saiu. Lui, avvocato genovese di origini palermitane ma dal cognome sardo che nessuno riesce a pronunciare correttamente, è un grande conoscitore di NFL e NBA, più in generale di cultura statunitense dopo aver vissuto qualche tempo Oltreoceano. Il nostro sport però è la Formula 1, la tesina con qualche bella idea è lievitata pagina dopo pagina fino a prendere le forme di F1 Confidential, il libro che state per leggere. E che ho l’onore di introdurvi.

    Il concept di base parte dall’arrogante presupposto che la Formula 1 sia lo sport più bello al mondo. D’accordo, non disconosciamo la possibilità che la stima sia stata arrotondata per eccesso ma, se vi trovate a leggere questo testo, con ogni probabilità siete affetti dalla nostra stessa malattia per le corse. Sfida costante alle leggi della natura, adrenalina, velocità. E poi, storie di straordinaria follia e passione, ventidue uomini speciali che, curva dopo curva, giro dopo giro, flirtano con la morte a bordo di affascinanti astronavi che rappresentano il massimo della tecnologia disponibile sul Pianeta. Scintille, fuoco, fiamme. Cicatrici indelebili sul volto e sul cuore. Ma anche fiumi di champagne, denaro, fama, eccessi, glamour, belle donne. È la Formula 1, bellezza, impossibile non restarne ammaliati. Eppure…

    Eppure l’evento sportivo più seguito al mondo – secondo per numero di spettatori soltanto ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi, che si svolgono però ogni quattro anni – non cattura più l’attenzione della gente. Parla una lingua incomprensibile quale risultante di regolamenti instabili, di trovate al limite del ridicolo e dell’esasperazione di una tecnologia che spesso dimentica come al centro della scena ci debbano essere quei 22 uomini straordinari. La classe regina del Motorsport attraversa una crisi senza precedenti, perde credibilità agli occhi degli appassionati storici e arranca – anche per tecniche di comunicazione ferme alla preistoria di internet – nel coltivarne di nuovi. Privo di qualsivoglia piano di sviluppo a lungo termine, il Circus si impoverisce stritolato da strategie finanziarie poco lungimiranti, volte a gonfiare il più possibile i portafogli delle solidissime (e misteriose) società che ne gestiscono i diritti. Il tutto, mentre i piccoli team, definitivamente confinati nel ruolo di sparring partner dai giganti dell’automobile, si trovano in difficoltà persino nel pagare gli stipendi del personale, figurarsi nel mettere in pista delle vetture competitive.

    Con l’aiuto di piloti e ingegneri, ma anche di giornalisti, pubblicitari, esperti di marketing e comunicazione, F1 Confidential è il viaggio, brutale e dissacrante, in un mondo pieno di contraddizioni. Dove la perfezione si tramuta in noia, dove lusso ed esclusività emarginano lo zoccolo duro della fan base popolare. E dove le storie dei piloti, le loro emozioni, le paure, le rivalità, vengono sacrificate sull’altare della tecnologia esasperata ed esasperante. Un mondo malato, che negli anni si è reso complice del proprio annunciato declino. Ma F1 Confidential è anche un grido di speranza: sebbene appaia sempre più urgente una rapida inversione di tendenza nella gestione generale, nulla è perduto. In fondo, parliamo pur sempre dello sport più bello del mondo, no?

    Salvo Sardina

    CAPITOLO 1

    Formula 1 caput mundi

    La ragazza in primo piano è la fine del mondo, alta, mora, vestitino scuro e schiena scoperta. Balla. Dietro di lei, su un’enorme insegna luminosa, campeggia il logo Martini. La voce della cantante è inconfondibile: Raffaella Carrà. Solo la potenza dei bassi del remix di Bob Sinclair mi aiuta a collocare temporalmente quello che vedo sullo schermo. Siamo nel XXI secolo, ed è già un passo in avanti.

    La sigaretta pende dalle labbra di un sorridente Tony Servillo. La Grande Bellezza. Giovani donne poco vestite ballano accompagnate da ricchi sessantenni in una Roma così immersa nella bellezza del passato, che tanto più risalta rispetto allo squallore del presente (dicono i critici)[1].

    Come splendidamente Alessandra Levantesi Kezich recensiva su La Stampa[2]: "La Grande Bellezza sta a La Dolce Vita come la via Veneto di oggi sta alla via Veneto del 1959. Adesso è solo una strada di hotel di lusso dove è vano ricercare il clima notturno di un tempo: i caffè affollati di artisti e intellettuali, le scorribande di divi e fotografi, i night-club frequentati da una variegata fauna di nobili, perdigiorno e letterati."

    Il parallelo con l’attuale Formula 1 è fin troppo evidente.

    Giovani donne lascive e apparentemente disinteressate al contesto, ricchi sessantenni, Marlboro in bocca e Martini in mano. La noia di quelli ricchi sempre, l’arroganza negli occhi dei parvenu. Questa è roba de Roma, ma la fauna, nei Paddock Club, da Monaco ad Abu Dhabi, da Singapore a Sochi non cambia di molto.

    Come la Roma di Sorrentino anche la Formula 1 di oggi è così immersa nella bellezza del passato, che tanto più risalta rispetto allo squallore del presente.

    Non è più la Roma di Fellini, non è più la Formula 1 dei garagisti e dei cavalieri del rischio, dell’eccitazione e della paura, dell’eroismo e del coraggio.

    La Formula 1 ha perso appeal e il pubblico sta cominciando a disinnamorarsi. Questo è un dato di fatto.

    Solo nella stagione 2014, la Formula 1 ha perso, a livello globale, circa 25 milioni di fan. Relativamente semplice intuirne i motivi, estremamente complesso individuare un rimedio.

    Ora stiamo tutti parlando della crisi che affligge la Formula 1. Semplicemente la bolla è scoppiata, ma che qualcosa non stesse funzionando era chiaro già da tempo – mi suggerisce Max Papis - La Formula 1 ha un grandissimo problema, è autoreferenziale. I Gran Premi di Formula 1 sono sempre stati fatti per gli addetti ai lavori. Alla base del decadimento dell’interesse da parte del pubblico c’è l’esasperata concentrazione che si sta ponendo sui mezzi meccanici. Lo spettatore deve poter sognare, emozionarsi. È la gente che fa lo sport, il pilota è l’eroe: con i suoi pregi, i suoi difetti e le sue imperfezioni. In questa categoria, attualmente, ci si possono riconoscere solo pochi eletti che dispongono di un PhD in ingegneria.

    Gli fa eco il Supremo boss della Formula 1, Bernie Ecclestone, il quale, pur non esente da colpe, invoca un totale ripensamento della categoria: È il momento di rinnovare completamente la Formula 1. Bisognerebbe strappare il libro delle regole e, insieme a poche persone competenti, riscriverlo di sana pianta. Dobbiamo tutti prendere atto che si deve capire ciò che il pubblico vuole: il nostro è uno sport che deve fare i conti con lo spettacolo. Oggi la tecnologia ha ridotto notevolmente la prestazione del pilota. Stiamo continuando ad aggiungere regole inutili, quando invece dovremmo cancellare tutto e riscrivere il regolamento da capo. Il lavoro degli ingegneri, oggi, è la prima fonte dei risultati della macchina. Quando le monoposto sono in pista dovrebbe valere solo la prestazione dei piloti, ma, purtroppo, non è così.[3]

    Dello stesso avviso è Roberto Gurian, giornalista e commentatore TV: Tutta l’impostazione è sbagliata. La Formula 1 dovrebbe tornare alle origini: uno sport dove si misurano le abilità di uomini con un talento fuori dal comune, pronti a qualsiasi cosa pur di vincere. Ora tutto questo non esiste, appiattito dall’esasperazione della tecnica.

    La delusione del pubblico è palpabile. I grandi appassionati hanno perso entusiasmo e coloro i quali, di tanto in tanto, alla domenica, si guardavano un gran premio dopo pranzo hanno semplicemente scelto di dedicarsi ad altro.

    In questi ultimi anni, la categoria ha dovuto subire critiche feroci, ma cosa, davvero, non funziona nella F1 contemporanea?

    I critici sostengono che le gare siano troppo prevedibili, le vetture poco impegnative da guidare e i piloti privi di grande personalità. Seguire la Formula 1 diventa, per altro, di giorno in giorno sempre più costoso. I prezzi per assistere ad un Gran Premio dal vivo sono quasi proibitivi e con l’ingresso delle Pay-TV bisogna pagare anche per vedere le gare in televisione. Il Circus per di più continua a voltare le spalle al suo pubblico di riferimento, quello europeo e latino americano. Il trend, nonostante i recenti rientri in calendario di Gran Premi in Austria, Messico e Stati Uniti, è quello di orientarsi sempre più verso paesi che, sebbene privi di qualsivoglia tradizione motoristica, sono capaci di mettere sul piatto vagonate di milioni di dollari. Correre in India, Corea, Cina, Turchia o Azerbaigian non genererà mai lo stesso feeling nel cuore e nella mente di pubblico e piloti rispetto a una gara a Magny-Cours o al Nürburgring.

    Come accade nei mercati finanziari, l’esplosione della bolla, oltre ad essere diretta conseguenza di un prodotto che ha smesso di affascinare a causa di una serie di scelte decisamente sbagliate, ha molto a che vedere con una componente psicologica prima ancora che razionale.

    Solo un matto potrebbe dire che in Formula 1 vada tutto bene e che il prodotto offerto sia straordinario, ma siamo sicuri che le cose dieci, quindici o venti anni fa andassero tanto meglio?

    Probabilmente la situazione non è cambiata in maniera così significativa da giustificare, logicamente, questo tipo di reazione da parte del pubblico e, per certi versi, è ingiusto questo clima da fine del mondo.

    Dopo tutto, nonostante Mafia Capitale, le buche sull’asfalto, gli scioperi ATAC e la metro che non funziona, ancora adesso, Roma è una gran bella città, sebbene non più affascinante come quella di Felliniana memoria.

    E allora, parafrasando Alessandra Levantesi Kezich: "Questa Formula 1 sta alla Formula 1 degli anni ’70 come Abu Dhabi sta al Nordschleife. Adesso si bada solo alla forma e al lusso ed è vano ricercare il clima eroico di un tempo: i circuiti affollati da sognatori e appassionati, le scorribande di piloti e fotografi, i paddock frequentati da una variegata fauna di nobili, perdigiorno e playboy."

    The interview

    Tra tutte le domande che possono essere poste a un colloquio di lavoro questa, senza dubbio, è quella che ho sempre patito maggiormente.

    Il mid-level manager che mi sta intervistando, ritenendosi un raffinato psicologo, solo per il fatto di aver preso parte a qualche corso aziendale infarcito di tattiche superficialone all'americana, mi fissa negli occhi e domanda: Lei dove si vede tra 5 anni?

    Anche ammettendo che la domanda di per sé non sia ridicola, qualsiasi cosa possa uscire dalla mia bocca sarà per lui indecifrabile. Una risposta abbastanza sincera mi costringerebbe a raccontare della mia storia d’amore con Alessandra Ambrosio[4], della gradevole compagnia delle sue amiche (e colleghe modelle di Victoria’s Secret) nonché della nostra villa in stile coloniale ad Antigua, acquistata mediante operazioni di elusione fiscale tramite l’utilizzo di società di comodo Bahamensi.

    Una risposta totalmente sincera imporrebbe che menzionassi anche il Kartodromo di 1,7 km che verrà costruito nel giardino della villa in stile coloniale, col benestare, naturalmente, della già citata signorina Alessandra.

    Immagino che lui potrebbe non capire. Forse al corso non gli avranno insegnato a gestire tutta questa sincerità. Se voglio il posto di lavoro devo muovermi all’interno del politicamente corretto. Devo fargli capire di essere ambizioso ma rispettoso dell’autorità, di potergli essere utile ma di non rappresentare per lui una minaccia, di essere capace a lavorare in team ma al contempo di sapermi prendere le mie responsabilità.

    Gli darò la risposta che vuole sentirsi dare. Una risposta banalissima e, pertanto, di nessuna utilità.

    Sarebbe stato molto più utile (e divertente) se mi avesse chiesto: quale è il sogno della tua vita? E allora avrebbe avuto un senso raccontargli di come, un giorno, costruirò un Kartodromo nel cortile di una villa coloniale ad Antigua di proprietà di una modella di Victoria’s Secret.

    Per questo ho deciso di porre questa semplice e rivelatrice domanda a tutte le persone che ho avuto la fortuna di intervistare: che Formula 1 sogni?

    Nessun giro di parole, nessuna necessità di capire, preventivamente, se quello che sogniamo sia realizzabile o meno.

    Il primo a rispondermi è stato Neil James, una delle firme di punta di Bleacher Report: Sogno una Formula 1 in cui per i piloti sia possibile lottare tra loro, nella quale tutti i team ricevano abbastanza soldi da poter sopravvivere e competere senza bisogno di piloti paganti e nella quale i grandi campioni abbiano maggiore capacità di fare la differenza. Voglio una Formula 1 tecnologicamente rilevante, nessun passo indietro, nessun ritorno a V8 o V10. Nella mia Formula 1, i team e la FOM (detentrice della gestione dei diritti TV) non dovrebbero avere nessuna possibilità di intervenire sul regolamento sportivo.

    Mauro Coppini, Direttore di FormulaPassion.it, mi mette in guardia: C’è il rischio di una nostalgia. La Formula 1 ha cambiato passo, si è trasformata in qualcosa di più avanzato e meno intuitivo. C’è una forte inerzia da parte del pubblico a cambiare scenario di riferimento. Ognuno elegge il proprio scenario di riferimento e all’interno di quello inserisce la Formula 1. Più in generale la F1, come il linguaggio, il teatro e il cinema è soggetta a una evoluzione costante. È corretto che la massima categoria percepisca e assimili le tecnologie più avanzate, ma al tempo stesso va trovato il modo giusto per comunicare questo nuovo e mutato scenario.

    Per alcuni, questa crisi è profonda e senza apparente via d’uscita: Vedo il rischio di una implosione. – dichiara Maurizio Losa ¬ Da troppi anni la Formula 1 sta scivolando su un piano inclinato. Il business va ridiscusso completamente, oppure dovremo rassegnarci a trovare qualcosa di nuovo da fare alla domenica. Per altri la situazione, pur rimanendo critica, non può ancora definirsi drammatica. Di questo avviso è David Coulthard: Mi domando perché la Formula 1 porti dietro di sé tutta questa negatività. Certo, il regolamento entrato in vigore nel 2014 potrebbe non essere il massimo, possiamo disperarci ripensando al suono dei V8 e criticare il modo in cui vengono ridistribuiti i soldi fra i team: ma ci sarà sempre del dibattito intorno allo sport. Non voglio dire che le cifre non mentano mai, ma il numero di persone annualmente raggiunto dalla Formula 1 è più alto di quello di qualsiasi altro sport. Ci sono problemi, ma tutto questo criticismo è ingiustificato.[5]

    Durante una puntata di Start[6], il podcast di FPRadio.it cui ho l’onore di partecipare, l’Ingegner Coppini esordiva domandandosi: Provate a indovinare cosa manca davvero alla Formula 1. Più cavalli nel motore? Un effetto suolo ancora più marcato? Pneumatici di maggiori dimensioni? No, siete fuori strada. Quello che manca davvero è quella quota di umana disubbidienza spesso fonte di errori anche gravi, eppure indispensabile perché il genio dei progettisti e il talento dei piloti possa esprimersi.

    "Una competizione dinamica dovrebbe essere il più intuitiva possibile. – sostiene Roberto Gurian ¬ Il massimo della vita sono i 100 metri piani. Con uno sguardo capisci chi è primo e chi è ultimo. Le regole sono chiare. Lo stesso vale nella MotoGP, se sei terzo per vincere devi effettuare due sorpassi o sperare in due ritiri. Competizione diretta! È Lampante. In Formula 1 le regole sono talmente astruse che a capirle sono in pochi. La F1 è incomprensibile non solo a causa del regolamento tecnico, ma anche a causa di un regolamento sportivo insensato. Se facessimo un’inchiesta con i telespettatori, forse, 2 su 100 saprebbero dirmi come sono fatte queste monoposto. Lo spettacolo, poi, è noioso. Inutile nasconderlo. È tutto talmente calcolato, perfetto e programmato che non c’è spazio per le sorprese: al pilota viene detto quando cambiare le gomme, come gestire l’auto e addirittura quando cambiare marcia. La gestione del mezzo ha reso quasi impossibile il verificarsi dell’imprevisto. E allora viene concesso l’uso del DRS (Drag Reduction System) per facilitare i sorpassi e viene imposto a Pirelli di progettare pneumatici che costringano i team a compiere svariati Pit-Stop. Ma queste variabili non sono naturali."

    In definitiva la Formula 1 deve essere divertente, emozionante e credibile. Soprattutto deve riportare al centro del progetto le persone, gli uomini, i piloti. Al pubblico non interessa vedere 50 sorpassi a Gran Premio se 48 di questi avvengono in pieno rettilineo a DRS spalancato. Una vettura che sfila sul dritto a 30 Km/h in più della monoposto concorrente, senza che questa di fatto si possa difendere, è esperienza antitetica alla battaglia sportiva di cui il pubblico è affamato.

    Non è il sorpasso in sé a garantire lo spettacolo ma la sfida a creare emozione. Nella memoria degli appassionati sono rimasti molto più impressi gli ultimi 3 giri del GP di Monaco 1992[7], quando un eroico Senna riuscì miracolosamente a resistere agli attacchi di Mansell o le ultime tornate del Gran Premio di San Marino 2005[8] che videro un’epica battaglia, priva di sorpassi, tra Alonso e Schumacher piuttosto che il sorpasso di Hamilton ai danni di Vettel a pochi giri dalla fine del GP di Singapore 2014[9].

    La crisi della Formula 1 deriva dalla perdita di credibilità e dalla scarsa eccitazione che riesce a trasmettere al proprio pubblico. Non è una questione di quantità, ma di qualità. C’è bisogno di coerenza, di più eroi, di storie avvincenti, di personaggi originali e di immediatezza comunicativa. Purtroppo, è proprio in questo che la Formula 1 odierna sta fallendo.

    Boring

    Not interesting in any way.

    Queste sono le cinque parole che il Longman Dictionary of Contemporary English utilizza per definire, a pagina 141, il significato dell’aggettivo boring.

    Il 1° luglio 2015 la GPDA, Grand Prix Drivers’ Association, ha reso noti i risultati del sondaggio riservato ai fan della Formula 1. Oltre 217.000 persone, provenienti da 194 paesi, hanno completato il lungo questionario on line predisposto in ben 15 lingue.

    Alexander Wurz, Chairman della GPDA, non nascondeva la propria soddisfazione: In nome della Associazione (GPDA) e per conto di tutti i piloti di Formula 1, vorrei ringraziare ognuno di voi per aver trovato il tempo di completare il nostro sondaggio. La vostra partecipazione è stata travolgente: in più di 200.000 avete risposto, impiegando un totale di 52.000 ore per completare il più grande sondaggio sportivo di questo genere. Il risultato è stato sconvolgente e il messaggio che avete voluto trasmetterci è arrivato a noi con grande chiarezza. Senza ombra di dubbio, la F1 sta affrontando una grande sfida e sicuramente può essere migliorata. Ma non sarà necessaria una rivoluzione e nessuno di voi vuole che la Formula 1 si trasformi in uno show artificiale grazie all’introduzione di strani dispositivi al fine di renderla più divertente. In realtà voi volete quello che vogliamo noi piloti: competizione allo stato puro tra i migliori piloti all’interno delle auto migliori.[10]

    In uno dei passaggi più significativi del sondaggio, ai 200.000 fan, veniva chiesto di indicare le principali caratteristiche attribuibili alla Formula 1. I tre aggettivi più utilizzati dal pubblico per descriverela sono stati (nell’ordine): Expensive (costosa), Technological (tecnologica) e Boring, vale a dire noiosa, di nessun interesse (per citare nuovamente il Longman).

    Questi risultati dovrebbero far riflettere molto attentamente la Formula One Management (FOM) anche perché, nel 2010, la GPDA aveva già posto la stessa domanda e allora la Formula 1 veniva descritta come una categoria tecnologicamente avanzata, competitiva ed eccitante.

    Negli ultimi cinque anni competitività ed eccitazione hanno lasciato spazio a costi troppo alti e noia. La parola noia, ovviamente, pesa come un macigno, tanto più se consideriamo che il campione delle persone intervistate è rappresentato da appassionati dei quali oltre il 75% afferma di seguire la F1 da più di dieci anni, circa il 25% la definisce il proprio sport preferito e il 75% dichiara di guardare le gare dallo spegnimento dei semafori alla bandiera a scacchi.

    Quando le critiche provengono dallo zoccolo duro degli appassionati dovrebbero assumere ancora più rilevanza. Ormai è chiaro: tendenzialmente l’attuale Formula 1 non piace nemmeno alle persone che l’hanno sempre amata.

    Gli oltre 200.000 sono riusciti ad estrapolare, utilizzando pochissime parole, le diverse anime del Circus. La Formula 1 è sport (competizione), è massima espressione tecnologica, è spettacolo (che dovrebbe essere exciting, ma attualmente è boring) ed è un business molto costoso.

    Nonostante le apparenze, la Formula 1 è un ecosistema fragile e difficile da declinare. Evidentemente è qualcosa in costante divenire, influenzata sia dallo scenario di riferimento di uno sport che da quello di uno show.

    Questo dualismo sport/show non dovrebbe preoccupare in maniera particolare. Si tratta di un falso problema dal momento che competizione e intrattenimento si muovono su piani differenti che raramente si sovrappongono. Teoricamente è possibile garantire un grande spettacolo senza intaccare in maniera significativa la genuinità della competizione sportiva e viceversa. I casi positivi di convivenza tra sport e spettacolo non mancano: pensiamo, ad esempio, a quando, nel 1979, la NBA introdusse il tiro da 3 punti per rendere le partite ancora più spettacolari o a quando, nel 1970, l’arbitro tedesco Karl Wald propose per la prima volta di decretare la squadra vincitrice di una partita di calcio a eliminazione diretta non tramite lancio della moneta ma tramite calci di rigore.

    La trovata di Wald ha regalato al mondo intero uno spettacolo senza paragoni assicurando, contemporaneamente, che le partite venissero decise grazie al compimento di un gesto tecnico che, per quanto crudele e aleatorio, rappresentava qualcosa di sportivamente molto più significativo rispetto al volo di una moneta.

    Altre esperienze sono state meno positive, basti pensare, ad esempio, all’assegnazione di un doppio punteggio nelle ultime gare del campionato per aumentare la suspense e far sì che il titolo possa restare in palio fino all’ultima corsa. La Formula 1 ha sperimentato questa soluzione nel 2014, risultando però (fortunatamente) ininfluente ai fini dell’assegnazione del campionato del mondo piloti. Se nel 2014 le cose sono andate bene a Lewis Hamilton, lo stesso non si può dire per Juan Pablo Montoya. Il pilota colombiano rimasto in testa al campionato Indycar 2015 per tutto il corso della stagione veniva beffato da Scott Dixon, il quale, trionfando nell’ultima gara a Sonoma, si laureava campione proprio grazie all’assegnazione del doppio punteggio. La scelta di Indycar ha pagato dal punto di vista dello spettacolo ma la parte sportiva ne è uscita profondamente svilita.

    Il Gran Premio finale, va ammesso, è stato da cardiopalma, con ben sei piloti che si presentavano al via con la chance di laurearsi campione. Senza i doppi punti, i piloti capaci di lottare per il titolo a Sonoma sarebbero stati solo 3, e Dixon si sarebbe trovato a dover recuperare un distacco di 47 lunghezze avendo a disposizione, in caso di vittoria, solamente 50 punti. Montoya avrebbe agevolmente vinto il titolo con oltre 20 punti di vantaggio.

    Questo a riprova del fatto che non esiste un contrasto codificato e immutabile tra sport e spettacolo ma semplicemente scelte capaci di avvantaggiare un aspetto a discapito dell’altro. Naturalmente, il risultato cui si deve aspirare è un adeguato bilanciamento capace di rendere lo show al contempo credibile ed esaltante.

    Emisfero Motorsport

    Rispetto a tutti gli altri sport, le discipline motoristiche sono contraddistinte da una ulteriore peculiarità: l’atleta, per competere, si serve di un mezzo meccanico dotato di determinate caratteristiche.

    Ça va sans dire che il mezzo meccanico utilizzato e la competitività dello stesso concorrano, in maniera determinante, al raggiungimento del risultato sportivo e al tipo di spettacolo offerto al pubblico.

    Per quanto canottaggio, ciclismo, slittino, tennis e tiro con l’arco, solo per citarne alcuni, siano sport che prevedono l’utilizzo di particolari attrezzature, il risultato di nessun’altra disciplina è influenzato dal tipo di mezzo di cui si dispone al pari delle competizioni motoristiche.

    Il Motorsport fa parte di un emisfero a parte, con regole proprie ed equilibri differenti. Il rapporto tra atleta e attrezzatura si ribalta. Ad esempio al ciclista serve una bicicletta preformate per potersi esprimere al meglio e al nuotatore serve un costume che generi poco attrito per poter scivolare più velocemente e guadagnare un gap sui rivali. Nel Motorsport, invece, ci troviamo in presenza di un mezzo meccanico cui serve un pilota che riesca a sfruttarlo al massimo. Il pilota è funzionale al mezzo.

    Nella nostra equazione va quindi aggiunta un’altra variabile: la tecnologia di cui dispone il mezzo meccanico.

    Se, come visto in precedenza, sport e spettacolo non necessariamente ingenerano un conflitto, qui inserire dettami tecnici troppo sofisticati potrebbe invece incidere in maniera decisiva sulla qualità finale del prodotto.

    La tematica è comune a tutto il mondo del Motorsport e ogni categoria propone una propria soluzione. Considerando questo aspetto, è bene ricordare che le competizioni motoristiche si suddividono in due macro categorie: monomarca e open. Questa distinzione è importante perché l’aspetto sportivo e quello tecnologico si declinano in maniera differente a seconda del formato scelto.

    Le categorie monomarca si caratterizzano per il fatto che tutti i concorrenti utilizzano lo stesso tipo di materiale tecnico. Molto spesso nei campionati monomarca viene fatto divieto di modificare il mezzo meccanico in maniera significativa dando ai team la possibilità di intervenire su dettagli secondari.

    Questo tipo di competizioni, limitando le differenze tra i mezzi meccanici, enfatizzano l’abilità del pilota e la capacità del team di mettere a punto una strategia vincente.

    Filosofia opposta è quella fatta propria dalle categorie open dove i concorrenti, muovendosi all’interno di un perimetro regolamentare più ampio, competono utilizzando mezzi meccanici necessariamente molto differenti gli uni dagli altri. Gareggiare con mezzi meccanici differenti fa sì che il gap tra una vettura e un’altra possa risultare così importante da impedire al pilota che dispone del mezzo meno performante di chiudere il divario con il concorrente che dispone del mezzo migliore.

    Serie open e serie monomarca rappresentano i poli estremi del mondo Motorsport. Va però fatto presente che gran parte delle categorie motoristiche, pur essendo riconducibili a una filosofia piuttosto che all’altra, danno vita, tendenzialmente, a regolamenti ibridi.

    A partire dal mondo dei Kart possiamo trovare sia competizioni in cui vengono imposti modello di telaio, motore e pneumatici sia competizioni in cui tutte queste scelte sono rimesse alla volontà dei singoli partecipanti. Due campionati molto importanti, GP2 e Formula E[11], sono monomarca. In Indycar, invece, è stato predisposto un regolamento misto: tutti corrono con lo stesso modello di chassis, il Dallara DW12, ma i team possono scegliere con quale motore equipaggiarsi[12].

    La Formula 1, the pinnacle of Motorsport, rappresenta la più integralista tra tutte le forme di categoria aperta: per regolamento i team non possono disporre di un telaio identico a quello di un altro competitor. Ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a un regolamento in parte mitigato: nel 2015 tutti i team disponevano di pneumatici Pirelli, ben 7 scuderie su 10 erano motorizzate Mercedes o Ferrari e svariate componenti, dai freni al cambio, si trovano identiche su vetture di team concorrenti.

    Non necessariamente sposare la filosofia del monomarca è sinonimo di una tecnologia limitata. Le già citate GP2 e Formula E sono categorie tecnologicamente molto più avanzate di altre che nominalmente si avvicinano di più alla sfera di influenza delle categorie open come, ad esempio, la Sprint Cup NASCAR.

    La grande differenza risiede nell’innovazione tecnologica che queste due filosofie di Motorsport sono in grado di garantire. A dispetto delle serie monomarca, infatti, le serie open prevedono uno sviluppo costante.

    La Formula 1 muove da un concetto che è ancora più estremo rappresentando, per sua stessa natura e vocazione, la massima categoria, a livello prestazionale, di monoposto a ruote scoperte.

    Sul sito ufficiale della FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) leggiamo: "Dal 1950, quando è stato corso il primo Campionato del Mondo di Formula 1, il nostro sport ha sempre ricercato l’innovazione al fine di spingere sempre un po’ più in là il limite tecnologico per trovare la strada più veloce per raggiungere la vittoria. Il nostro sport è stato spesso capace di studiare soluzioni tecnologiche che poi, con successo, sono state trasferite alle auto di serie. Negli anni più recenti, tuttavia, abbiamo assistito a un mitigarsi di questo trend dal momento che, in nome dell’efficienza, anche l’industria automobilistica è stata capace di dedicarsi allo studio di motori alternativi. L’introduzione di una nuova Power Unit turbo da 1.6 litri che fa grandissimo affidamento sulle tecnologie ibride vuole mantenere la più avanzata serie motoristica a ruote scoperte all’avanguardia nello sviluppo tecnologico dell’automobile, preservando, allo stesso tempo, la cultura dell’innovazione e la capacità di emozionare che hanno rappresentato il cuore pulsante del nostro sport fin dalla sua nascita."

    La Federazione, per descrivere la disciplina, utilizza 4 volte

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1