101 storie sulla Citroën 2CV che non ti hanno mai raccontato
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Info su questo ebook
Curiosità, aneddoti e segreti della macchina del futuro
La 2CV come non l’avete mai conosciuta, in un libro pieno di aneddoti e storie, che ripercorre l’epopea di un mito a motore. Dalla leggenda dei prototipi distrutti per non farli finire nelle mani dei nazisti alle singolari prove sui campi arati con il bagagliaio pieno di uova (rimaste intatte), passando per le versioni bimotore e quelle truccate usate nei film di James Bond. Non mancano la guida al restauro e quella all’acquisto, e tutte le indicazioni per scaricare dal sito www.101StorieCitroën2CV.com i rarissimi manuali di officina e quelli di uso e manutenzione.
Vincenzo Borgomeo
giornalista di Repubblica e responsabile del settore motori di Repubblica.it, ha pubblicato L’Angelo Rosso; Il Traguardo.it; L’Enciclopedia della Ferrari; la collana a puntate I miti Ferrari; I Ferri del mestiere e 13 volte (scritto fisicamente su parti di carrozzeria di Jaguar d’epoca). Ha poi pubblicato Le Tavole della Jaguar (un volume da collezione scritto su pietre di marmo per celebrare i 75 anni della casa automobilistica). Sua la voce Ferrari nell’Enciclopedia Treccani e i volumi 101 storie sulla Ferrari che non ti hanno mai raccontato e La sicurezza stradale in tasca.
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Anteprima del libro
101 storie sulla Citroën 2CV che non ti hanno mai raccontato - Vincenzo Borgomeo
464
Prima edizione ebook: novembre 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-227-0148-0
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per Studio Ti s.r.l., Roma
Vincenzo Borgomeo
101 storie sulla Citroën 2cv
che non ti hanno mai raccontato
Newton Compton editori
Une voiture s’achète, une Citroën s’épouse
André Citroën
www.101StorieCitroën2cv.com
Ad Alberto Bellucci
Prefazione
«Sapeva di latta, di stoffa, di bulloni
la scatola ingegnosa, risultato
di una sfida tra opposte concezioni
di utilitaria: questa era il quadrato
l’altra, la Due Cavalli, il tondo
le due vecchie filosofe di Francia
che hanno spiegato i chilometri al mondo.
Noi avevamo l’eleganza della Lancia
la potenza dell’Alfa, la Ferrari
altri uragani di vernice e fari
ma nessuno è riuscito a emulare
il genio trasandato dei francesi
la nonchalance di quel caracollare
dentro la terra fatta di paesi».
La macchina che ha spiegato i km al mondo: quando scrissi la famosa poesia dedicata alla Renault 4, simbolo stesso della francesità a motore
, fu impossibile non citare la sua eterna rivale, la Citroën 2cv così piena di quel genio trasandato
, perfetta per aiutarmi a commentare la notizia che la Renault avrebbe tolto dalla produzione la r4.
E già perché dopo aver preso di petto il Signor Renault
(«Ma con quale diritto lei manda a morte questo essere umano questa ragazza in forma di meccano», e ancora «La Renault 4, signor Muoversi oggi
già si muoveva quando lei era fermo», la citazione della 2cv consentiva di raccontare l’approccio, particolarissimo, dei francesi al mondo dell’auto. Difficile resistere…
Michele Serra
Introduzione
Perché l’auto del futuro
Si parla tanto di Apple Car ma di questa macchina sappiamo veramente poco. O quasi. Una delle cose certe è che l’attesissima vetturetta farà del minimalismo il proprio cavallo di battaglia: così come il primo iPod rivoluzionò il mondo dei lettori mp3 levando funzioni anziché aggiungerle, allo stesso modo la Apple Car spiazzerà il mondo dell’auto con un abitacolo senza nulla, o quasi. Una specie di ritorno alle origini, un inno a quella semplicità che proprio la 2cv elevò a sistema. Nel sommario di questo libro battezziamo la piccola Citroën come l’auto del futuro
: il riferimento è diretto allo spirito della Apple Car e – molto probabilmente – a tanti suoi cloni che verranno. E già, perché dopo anni di schermi multimediali sempre più grandi, di centinaia di funzioni azionabili in mille modi (con la voce o addirittura a gesti) arriverà qualcuno che avrà il coraggio e la forza di invertire la tendenza. Nel frattempo uno sguardo all’abitacolo della 2cv anticipa bene il concetto: c’è quello che serve. E basta. Anzi, sotto molti aspetti c’è anche di più di quello che hanno le moderne vetture: tanti vani porta oggetti e – soprattutto – la possibilità di fare a meno del condizionatore. Ma non come elemento di grande rinuncia, proprio come cosa inutile: senza tanti rivestimenti in plastica, senza cruscotti giganteschi il climatizzatore non serve perché nell’abitacolo di una 2cv lasciata al sole non si raggiungeranno mai i 60 gradi che si sviluppano in una moderna vettura.
È solo un esempio ma dimostra come con la progettazione 2.0 si possa rivedere a fondo l’automobile. È già successo con le case dove architetti illuminati hanno messo a punto sistemi di scambi termici che rendono superflui i climatizzatori. E succederà molto probabilmente con la Apple Car. Per una rivoluzione del genere, così profonda, radicale ed estrema serve per forza un marziano
, uno che arrivi da fuori del mondo dell’auto. E che farà apparire di colpo tutte le altre auto vecchie di secoli. Tutte forse ad eccezione di una. Proprio la 2cv l’auto del futuro…
IO C’ERO
,
LE TESTIMONIANZE DIRETTE
Se l’odio si trasforma in amore
di Vincenzo Borgomeo
Quando si parla di auto, quando scrivi una recensione su un modello, spesso la prima cosa che ti chiedono è che auto hai?
. Personalmente ho sempre tenuto nascosto il contenuto del mio garage, non per una questione di riservatezza ma solo perché ho sempre ritenuto ininfluente la connessione fra il ruolo di critico automobilistico
e quello che si guida tutti i giorni: non è che se hai una Rolls o una Ferrari sei più esperto di uno che ha una Fiat Panda o una 500. In un libro però – dove abbiamo chiesto interventi d’autore ad amici e colleghi sul proprio rapporto con la 2cv – un racconto personale sul tema è dovuto.
Il battesimo della 2cv per me arriva nel 1989. Lavoravo alla rivista «L’Automobile». Lì Alberto Bellucci, all’epoca caporedattore, era una specie di leggenda del mondo dei motori: espertissimo, di profonda cultura automobilistica e pieno di sagacia.
Bellucci, grande appassionato di storia, autore fra l’altro di alcuni fra i più bei libri sul tema, come tutti gli amanti degli aspetti sociali della motorizzazione, era un amante della 2cv. La parola amante
non è casuale. Bellucci alla 2cv voleva proprio bene, come a uno, anzi a una, di famiglia. Ne aveva avute tantissime, aveva partecipato praticamente a tutte le presentazioni che la riguardavano, seguito lo sviluppo dei nuovi modelli, visitato la fabbrica più volte, approfondito tutti i suoi temi.
Così mi affida in prova una 2cv, non una qualsiasi, ma la sua: l’aveva appena comprata e visto che in parco stampa
alla Citroën non ce n’erano più (la macchina era a fine carriera) decise di provare per il giornale la sua.
Inutile dire che per uno con il testosterone automobilistico alle stelle, che all’epoca sognava di correre e che con i primi stipendi aveva comprato subito una Porsche 911, la 2cv appariva come una schifezza mai vista. E l’idea – ovviamente inconfessabile – di dover fare due pagine su una macchina da 25 cavalli quasi una condanna.
La piccola Citroën era nuovissima, aveva 98 chilometri, grigio pastello con interni in sky nero: niente colori sgargianti – come altre 2cv che all’epoca sfoggiavano con sfrontatezza – ma un abbinamento cromatico molto classico. Oggi diremmo retrò (Bellucci come dicevamo era un intenditore).
La redazione de «L’Automobile» all’epoca era in via Regina Margherita, a Roma, nei pressi di una grande rotatoria dove i tram potevano fare inversione: prendo la 2cv, faccio pochi metri, e proprio nella rotatoria di cui sopra, forse a causa di una curva presa un po’ troppo allegramente squarcio la gomma anteriore destra su una rotaia. Bilancio dell’inizio del test drive: macchina odiata, gomma squarciata, chilometri percorsi meno di uno. Spettacolo.
Inizia il calvario fra i gommisti per cercare in gran segreto una Michelin 125R 380: era più stretta della gomma posteriore di una Ducati e al posto del battistrada sembrava aver disegnata una collanina. Tutto sembrava ridicolo in questa storia, non solo l’odiata 2cv.
Trovo finalmente la 125R, la rimontiamo e la 2cv grigio topo torna in strada. E qui, dopo poco, a sorpresa, scatta l’amore.
Ma non una passione per la storia, per il design, per il minimalismo: una passione per la bella guida. E già perché la 2cv in barba alla potenza inferiore (di molto) a quella di un moderno scooter era meravigliosa da portare a spasso. Intanto aveva una tenuta di strada pazzesca: ok si coricava in curva come una barca (e se andavi forte il problema era non scivolare via perché i sedili erano panchette lisce) ma seguiva la traiettoria impostata con una precisione unica. Neanche la 911 riusciva a fare questo. Le sottilissime Michelin con le collanine sul battistrada seguivano al millimetro la traiettoria voluta e, vista la bassa potenza a disposizione, era poi impossibile mettere in crisi l’equilibrio dinamico con trasferimenti di carico fra l’avantreno e il retrotreno. Insomma la 2cv aveva nel sangue quel tanto ricercato assetto neutro (tendente al sottosterzo per motivi di sicurezza) che all’epoca pochissime auto potevano vantare.
Non solo: con la 2cv era anche possibile un’altra manovra incredibile, la potete rifare quando volete (ma in pista, per favore…): si poteva viaggiare a tavoletta, poi dare un violento colpo di sterzo e assistere increduli al fatto che la macchina non si ribaltava (all’epoca senza assetti particolari e controlli elettronici era la norma in condizioni così limite) ma scartava di colpo come una saetta.
Ce n’era abbastanza di che perdere la testa per una macchina del genere. Ma non era ancora nulla: la 2cv aveva un’altra perla in grado di far impazzire qualsiasi appassionato: il motore.
Quel microscopico bicilindrico boxer era un capolavoro di personalità. E follemente adatto alla guida sportiva: i cavalli erano pochi, ovvio, ma questo motore aveva un allungo in fuorigiri degno dei migliori motori da corsa. Si poteva insistere con l’acceleratore all’infinito e quando pensavi che stesse per esplodere tutto, il boxer tirava sempre fuori qualcosa, spingeva sempre con rabbia. Il tutto con un sound coinvolgente, una specie di latrato roco, molto racing
.
Così tirare il collo a una macchina del genere era divertentissimo. E siccome il gusto della guida non dipende mai dalle prestazioni, ma sempre e solo dalle sensazioni che il pilota prova, possiamo dire che la 2cv, ancora oggi, sia una delle macchine più appaganti da guidare in assoluto. Con l’aggiunta – non da poco – che si rispetta sempre il codice della strada visto che tutte queste manovre si possono fare a bassa velocità.
Qui tutto era magia: le maniglie, il volante sottilissimo, lo strano cambio ad asta – montato nei pressi del volante – dall’escursione lunghissima ma preciso (una gioia da manovrare), la bocchetta di aerazione che apriva un pezzo enorme di carrozzeria alla base del parabrezza.
Certo, per andare forte (si fa per dire) con la 2cv dovevi entrare in un club riservato di manovre specifiche, ma questo aumentava il fascino della guida. E della 2cv non si poteva, come oggi non si può, che rimanere affascinati, colpiti per un progetto straordinario. E già perché questa Citroën ti stupiva da ogni punto di vista, non solo quello inaspettato della dinamica di guida: la macchina era grande, grandissima (all’epoca la Fiat 500 era lunga solo tre metri, questa 80 centimetri in più), comoda come un’ammiraglia (anzi in molti casi di più), non consumava nulla, aveva il tetto completamente apribile come quello di una cabriolet e un’affidabilità record. Altra caratteristica – va sempre ricordato – rara in anni in cui i motori fumavano, si rompevano, davano noie di tutti i tipi.
E poi il design: quei parafanghi sporgenti, il padiglione tondeggiante, i fari esterni… E, infine, la storia che cerchiamo con umiltà di raccontare in questo libro: poche auto possono vantare una montagna di aneddoti, leggende, racconti e curiosità. Come non innamorarsi di una macchina così?
Ci rimane qualcosa di Bellucci
di Massimo Tiberi
(Giornalista e storico dell’auto)
Nata proletaria, diventata interclassista. Poche auto, come la 2cv, hanno conquistato un consenso veramente universale, tanto esteso, anche nel tempo, da coinvolgere con autentica passione perfino i più competenti conoscitori e interpreti del settore: quelli che di chilometri su quattro ruote ne hanno fatti milioni, al volante di migliaia di modelli diversi, compresi i più esclusivi.
Per Alberto Bellucci, grande firma del giornalismo automobilistico purtroppo prematuramente scomparso, l’utilitaria Citroën ha rappresentato sempre un punto di riferimento, quasi il sinonimo stesso del concetto di mobilità per tutti che ha fortemente segnato il Novecento. Lui, lontano da qualsiasi tentazione snobistica, sintetizzava le prerogative della 2cv con l’espressione complessa semplicità
: affermazione paradossale per rendere l’idea della praticità assoluta accompagnata, anzi sottolineata, da scelte tecniche non convenzionali e niente affatto povere
. Una creatività non fine a se stessa che per Alberto era il massimo obiettivo raggiungibile per i progettisti e, da questo punto di vista, molte Citroën lo affascinavano.
Fra le tante vetture possedute, c’è stata infatti anche una ds, ma con la 2cv, con le 2cv, il matrimonio di Bellucci è durato una vita.
La prima, ricordava con un certo orgoglio da specialista, aveva la frizione centrifuga, sistema antesignano di automatismo della trasmissione che si aggiungeva alle tante stravaganze
di una francese unica sotto ogni aspetto. Poi, a intervalli prolungati (ma senza mai tradimenti di cuore), ne sono arrivate altre. Una, arancione, già delle più moderne, la coccolava con cura maniacale; una seconda, verde chiaro, la scelse con il motore da 435cc (quando già si era affermato il più potente 602cc), a confermare il suo rigore un po’ nostalgico che, d’altra parte, lo portava a criticare i fari diventati rettangolari e quel pizzico di contemporaneità acquisita nella strumentazione o in qualche particolare di allestimento.
Neppure in questo caso si trattava di snobismo (Alberto non si entusiasmava per varianti speciali, come ad esempio la Charleston, mirate al pubblico modaiolo) quanto piuttosto la convinzione della bontà di un progetto, ideato prima della seconda guerra mondiale, e capace di confrontarsi con un mondo dell’auto completamente rivoluzionato. E quando si seppe che la 2cv stava per andare definitivamente in pensione, Bellucci non si fece scappare una delle ultime prodotte nel 1990 a Mangualde