33 Uomini per 70 Mondiali: Il lato umano dei Campioni del Mondo di Formula 1
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Un nuovo modo di fare biografia, mettendo in evidenza il lato umano e il carattere dei piloti che hanno inciso il loro nome nell'albo d'oro della classe più alta dell'autobilismo agonistico.
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Anteprima del libro
33 Uomini per 70 Mondiali - Beatrice Frangione
Enzo Frangione
Beatrice Frangione
33 Uomini per 70 Mondiali
Il lato umano dei Campioni del Mondo di Formula 1
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Premessa
Questo libro, destinato a tutti, nasce con l’intenzione di evidenziare, con una serie di racconti, la personalità, il carattere e il lato umano di ciascuno dei 33 piloti che, in 70 anni di storia della Formula 1, sono riusciti ad incoronarsi, almeno una volta, Campioni del Mondo. Una lettura leggera, senza i tecnicismi trattati da altri testi.
Non si tratta di una classica biografia: un quadro statistico riassuntivo precede il testo dedicato a ciascun Campione. Si narrano, di volta in volta, fatti storici oppure aneddoti – di cui alcuni inediti – o accadimenti, per raccontare, seppure brevemente, l’uomo-campione. Raccolti nel tempo, cercati o vissuti in prima persona attraverso il lavoro e la passione.
La Formula 1 è un satellite del nostro Mondo. Qui, sono sbarcati
gli uomini e le macchine che ne hanno creato la storia. È importante far emergere l’origine e le ragioni che hanno spinto sia l’istituzione di un Campionato iridato, sia la scelta di quei colori che hanno contribuito a rendere indimenticabile ogni monoposto.
La Formula 1 è un ordine cronologico di eroi vincenti e di eventi significativi.
In particolare, sono tre quelli che in 70 anni hanno messo un punto e a capo nella sua passionale e a volte struggente storia: l’arrivo del business, il nuovo ruolo della sicurezza dopo i tragici fatti di Imola ‘94, e la fine del dominio di Michael Schumacher, il pilota Campionissimo.
Le origini della Formula 1
Formula 1: da Nino Farina a Lewis Hamilton, innumerevoli piloti sfidano la velocità alla guida di auto tecnologicamente avanzate. Costruttori di automobili o assemblatori, più o meno grandi ma ugualmente pronti a mettersi in gioco nella massima espressione dell’automobilismo. Ma come e quando è nata la Formula 1?
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, come ogni attività, riprese pure quella motoristica. Verso la fine del 1945, venne istituita una formula libera che avrebbe dovuto consentire il recupero di tutte le vetture da competizione sfuggite alla guerra: le vetture da Gran Prix di 3000 cc. con compressore (del periodo 1938-1939), che si erano dovute piegare allo strapotere di Mercedes-Benz e Auto Union.
All’epoca, l’alternativa ai motori di 3000 cc. sovralimentati, era rappresentata da quelli atmosferici con cilindrata di 4500 cc., mentre la categoria immediatamente inferiore, le famose Vetturette
, erano equipaggiate con motori di 1500 cc.. Con la fine della guerra, la Federation Internationale de l’Automobile, di seguito FIA, proibì sino al 1950 la partecipazione delle vetture germaniche alle competizioni internazionali. Nel 1947 fu istituita ufficialmente la Formula A, che prevedeva motori da 1500 cc. con compressore o motori di 4500 cc. aspirati.
I piccoli motori da 1,5 litri consumavano molto più carburante degli altri e avevano bisogno di almeno un rifornimento durante il Gran Premio, che all’epoca era mediamente lungo 500 km. Le vetture non sovralimentate erano normalmente in grado di raggiungere il traguardo senza effettuare rifornimenti. La prima gara disputata con questo nuovo regolamento si svolse il 1º settembre 1946 a Torino. Il Gran Premio di Torino, sul circuito del parco del Valentino, fu vinto da Achille Varzi alla guida di un Alfa Romeo 158. Due giorni dopo, sulla stessa pista, si svolse la Coppa Brezzi
, quella corsa durante la quale Tazio Nuvolari, al volante della debuttante Cisitalia D46, fece letteralmente impazzire il pubblico, compiendo un paio di giri senza il volante che si era rotto, aggrappato sul piantone dello sterzo.
Nel 1948 fu istituita la F2 (chiamata Formula B), che prevedeva l’impiego di motori sovralimentati di due litri o motori di 500 cc con compressore. Le gare di quest’ultima categoria, per il consistente numero di concorrenti, ebbero un grande successo.
Tra il 1949 e il 1950 la Ferrari si impegnò molto in questa Formula, nonostante concomitanti impegni in altre categorie. Con l’introduzione della Formula 2, la Formula A diventò automaticamente Formula 1. Per il 1950 fu organizzato il primo Campionato Mondiale FIA di Formula 1, che avrebbe assegnato per la prima volta il titolo iridato ai piloti: furono scelti sette Gran Premi e ognuno di essi prevedeva l’assegnazione di un punteggio ai primi cinque classificati (8, 6, 4, 3, 2) e un punto all’autore del giro più veloce in gara.
Il primo Gran Premio valido per il campionato mondiale si disputò il 13 maggio del 1950 in Gran Bretagna, a Silverstone, e fu vinto da Nino Farina con l’Alfa Romeo 158. L’italiano, al termine della stagione, si aggiudicò il primo Campionato Piloti.
Nel 1950 i migliori motori sovralimentati erano in grado di sviluppare potenze intorno ai 220/225 cv/litro. A un motore aspirato sarebbero bastati 70/80 cv/litro per poter essere competitivo. Nel 1951 l’Alfa Romeo, vincitrice di tutte e sei le gare del primo campionato, dotò le sue vetture dei motori da 1500 cc portati al massimo sviluppo: 425 cv. La Ferrari presentò motori aspirati dotati di testata a doppia accensione, in grado di erogare 380 cv.
Accadde che l’Alfa Romeo, pur riuscendo a resistere nei primi tre gran premi, dovette cedere le armi alla Ferrari a Silverstone, nel GP di Gran Bretagna, dove la vittoria fu conquistata dalla Ferrari 375 condotta da Froilan Gonzales. Dopo quello storico successo, la Ferrari vinse con Ascari i successivi Gp di Germania e d’Italia. Solo a causa di un errore tattico (consistito nell’aver adottato le ruote posteriori più piccole) non si aggiudicò il Gp di Spagna, lasciando all’Alfa Romeo il secondo Mondiale.
Vista la situazione tecnica, che nel 1952 avrebbe posto l’Alfa Romeo in condizione di prevedibile inferiorità rispetto alla Ferrari, la Casa del Portello decise di ritirarsi dalle competizioni. A quel punto, il quadro degli iscritti per il 1952 vedeva competere solo la Ferrari tra poche altre vetture poco competitive: la BRM a 16 cilindri dall’incredibile sound
, le Maserati 4CLT-48, le Talbot Lago, pesanti e lente, e le ERA, macchine costruite prima della guerra.
Il quadro dei possibili partecipanti al campionato non fu ritenuto adeguato dagli organizzatori dei gran premi, per cui la FIA varò il Mondiale del 1952 con il regolamento valido per la F2, riservandosi di introdurre nuove regole per il 1954.
La Ferrari, forte dell’esperienza maturata in F2, schierò la 500 F2 di 2000 cc. e l’italiano Alberto Ascari si aggiudicò i campionati del ’52 e del ’53, vincendo complessivamente undici corse su quattordici partecipazioni. Ebbe così inizio la storia della Formula 1. In settant’anni si è spesso rinnovata, inseguendo prestazioni e sicurezza. Regalandoci sempre verità, misteri, personaggi nuovi e fatti leggendari.
I colori da corsa
All’inizio della storia delle corse d’auto, le vetture erano verniciate con il colore gradito al costruttore. Sino a quando le velocità delle auto erano tali da consentire alla direzione gara e ai segnalatori ai box di poterle distinguere, non vi furono problemi. In seguito, con l’aumentare del numero dei concorrenti, delle prestazioni delle vetture e della loro velocità, si rese necessario distinguere le macchine e i loro conduttori per poterli identificare con certezza durante lo svolgimento della competizione. Procediamo per ordine.
Il 7 giugno del 1894 si corre la Parigi-Rouen, prima gara automobilistica ufficiale, definita concorso per vetture senza cavalli
, bandito dal francese Pierre Giffard. Con quella competizione nasce anche il primo regolamento sportivo, che non faceva differenze tra motori a scoppio, elettrici o a vapore e ammetteva ogni tipo di carrozzeria, di qualsiasi colore.
L’inizio del moderno automobilismo sportivo, quello dei Gran Premi, risale al 1900, con la prima grande corsa internazionale, la Coppa Gordon Bennett
, promossa dall’omonimo editore di un quotidiano di New York, appassionato della velocità. Bennett partecipava all’approntamento di un regolamento di ventiquattro articoli che fissava alcuni punti tecnici che sarebbero diventati la base per la futura Formula Internazionale
.
L’articolo 8, in particolare, prescriveva che le vetture dovevano essere costruite nel paese che rappresentavano, con l’impiego di una lunga serie di parti e componenti di produzione nazionale.
Il 23 gennaio 1900 una commissione sportiva istituita dall’Automobil Club francese veniva incaricata ad organizzare la Coppa
. Per lo svolgimento della corsa si individuava il percorso (Parigi-Lione di 566 chilometri), si fissava la data della manifestazione (14 giugno 1900) e si assegnava, per la prima volta, a ogni nazione partecipante, un colore di gara: blu per la Francia, bianco per la Germania, giallo per il Belgio e rosso per gli Stati uniti. In seguito, il rosso passerà all’Italia.
Il regolamento per la Coppa Gordon Bennett
, opportunamente aggiornato, portava alla definizione della prima regolamentazione valida per tutti: il Codice Sportivo internazionale del 1922. Il Codice, revisionato nel 1939, era strutturato in 280 articoli e svariati annessi, uno dei quali codificava definitivamente i colori di nazionalità. Alla Francia veniva assegnato l’azzurro, con numero di gara bianco, alla Germania il bianco con numero gara rosso, alla Gran Bretagna il verde con numero bianco, all’Italia si confermava il rosso, con numero bianco; anche alla Svizzera si assegnava il rosso ma con numero nero su bianco, e infine, agli Stati Uniti il bianco con striscia azzurra e numero bianco su fondo azzurro. Non mancavano alcune varianti non dettate dal regolamento: per esempio il bianco della Germania si tramutò in argento quando, secondo una leggenda delle corse, per far rientrare nel limite di peso massimo le sue vetture, l’allora direttore sportivo della Mercedes-Benz faceva raschiare nottetempo la vernice bianca dalle W25
, lasciando a vista la carrozzeria in alluminio lucidato. Ciò ispirava nei giornalisti la definizione Silberpfeil
(cioè Frecce d’Argento), attribuita sia alla Mercedes che alle Auto Union (anch’esse di color argento) dominatrici delle competizioni dell’epoca, tra il ’34