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Tempeste a colori
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E-book184 pagine2 ore

Tempeste a colori

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Info su questo ebook

Due persone che si conoscono e si innamorano, i sacrifici per costruire qualcosa insieme come tutti i giovani sognano di fare. Poi la notizia tanto attesa: l’arrivo di un figlio. No, anzi due! Alessio e Matteo si rivelano delle vere e proprie montagne russe nelle vite di Laura e Marco che, oltre all'inesperienza di neo genitori, devono fare presto i conti anche con piccoli e grandi problemi di salute dei loro fagottini. Prima l’epilessia di Matteo e poi una diagnosi di ADHD in Alessio che tarda ad arrivare e che costringerà la famiglia a “correre” per avere tutti gli aiuti e i supporti necessari per far fronte alla sindrome e garantire ai propri figli una vita serena e radiosa.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ago 2023
ISBN9791222441160
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    Anteprima del libro

    Tempeste a colori - Lorenzini Laura

    copertina

    Laura Lorenzini

    Tempeste a colori

    GEMELLI ADHD La nostra vita tra epilessia, ADHD e Covid-19

    Prima edizione: maggio 2023

    Tutti i diritti riservati 2023 © BERTONI EDITORE

    Bertoni Editore

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com

    Vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la copia fotostatica se non autorizzata

    UUID: baaef590-98ff-47f7-81d6-46509ada96dc

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    La tutela dei minori con disturbi del neurosviluppo

    Ringraziamenti per la Prefazione

    LETTERA DI ALESSIO

    LETTERA DI MATTEO

    PRESENTAZIONE

    TUTTO EBBE INIZIO NELLA CASUALITÀ

    CERCARE UN FIGLIO… NO

    L’OROLOGIO BIOLOGICO INIZIA A TICCHETTARE

    LA SORPRESA

    L’ATTESA E POI...

    UNA MATTONATA INASPETTATA

    LA GOCCIA CHE FA TRABOCCARE IL VASO CI REGALA UNA NUOVA SPERANZA

    L’ASILO... FINALMENTE E LA CASA NUOVA

    LE DOTTORESSE DELLE EMOZIONI

    DISNEYLAND

    INIZIA LA SCUOLA ELEMENTARE

    IL BASKET: LA SUA VITA

    HAI VINTO TU

    NON MI SONO MAI SENTITA COSÌ SOLA

    DEVO CERCARE ALTRE STRADE

    IL TURIN EYE COME NON L’AVEVA MAI VISTO NESSUNO

    DOPO LA PIOGGIA TORNA SEMPRE IL SERENO: UN’AMICA UNICA E SPECIALE

    DESTINAZIONE VENETO

    DOPO...

    OGGI... IERI

    OGGI... DOMANI

    Ringraziamenti

    Prefazione

    «Quando si parla di bambini mi emoziono,

    ma quando si parla di famiglie con le famiglie

    è una sensazione di gioia così forte

    che non resisto a non parlarne.»

    Dottoressa Sharon Maria Lauricella - Psicologa

    «Chi non trascorre tutta una giornata con un bambino

    con ADHD, o depresso, o schizofrenico, o autistico, o Down,

    o dislessico non può capire fino in fondo

    di cosa ha bisogno quel bambino e quel genitore.»

    (P.R. Silverman, I gruppi di mutuo aiuto Erikson 1993).

    Spesso i genitori, quando chiedo di parlarmi del figlio, cominciano a elencare i comportamenti che reputano sbagliati, quelli che possono essere espressione sintomatica dell’ADHD o del DOP. Come anche sintomi di una variabilità comportamentale tipica dell’età evolutiva o di qualche rabbia con un significato mai espresso.

    Non tutti i comportamenti negativi, però, sono manifestazione del disturbo.

    I genitori mi raccontano delle loro reazioni emotive, dei vissuti di rabbia e frustrazione, dei sensi di colpa e della loro inefficacia, spesso legati all’interpretazione di questi comportamenti come provocazione nei loro confronti.

    L’obiettivo nel lavorare con i genitori è dare un senso al loro grido a volte troppo acuto a volte troppo silenzioso e nascosto; è gestire le loro reazioni rispetto ai comportamenti-problema del figlio nel modo più opportuno possibile per evitare di ricadere in situazioni conflittuali di difficile risoluzione che avranno il pessimo esito di appesantire la relazione. Così facendo, a lungo andare, si spezza il legame fin ora creato fatto di comunicazione, attaccamento, emozioni condivise. Infatti, il rischio è di allontanare emotivamente il bambino dalle figure di attaccamento e creare delle dimensioni di criticità nell’autostima del bambino e nella rappresentazione dell’essere genitore.

    Da parte dei genitori, raggiungere questa consapevolezza con in parallelo la capacità di osservare e ascoltare, sia se stessi che il bambino, potrà ridurre l’impatto emotivo negativo di fronte a queste situazioni e gli permetterà di rifocalizzarsi su un modello di relazione educativa orientato all’acquisizione di strategie di autocontrollo, ascolto ed empatia.

    È risaputo dalla storia dell’uomo che i problemi comportamentali di un bambino rappresentano la maggiore preoccupazione di ogni genitore, nei secoli affrontati in vario modo. I nostri nonni o bisnonni ne sanno qualcosa!

    La vivacità e il desiderio di cimentarsi in attività sempre nuove e diverse sono prerogative tipiche di qualsiasi bambino. Eppure, vi sono alcuni casi in cui il costante movimento e la voglia continua di giocare o agire non derivano da prerogative caratteriali, ma da un disturbo dell’età evolutiva: l’ADHD.

    Che cos’è l’ADHD?

    L’ADHD è uno dei più frequenti disturbi neuropsichiatrici dell’età evolutiva.

    Può manifestarsi con: disattenzione, impulsività e iperattività e/o in forma combinata.

    I primi segnali di ADHD possono essere evidenti fin dall’età prescolare. È necessario prestare attenzione ad alcuni indizi che possono presentarsi già a partire dalla scuola materna e che sono idonei a orientarci verso un’individuazione precoce del disturbo. Studi scientifici dimostrano che gli interventi e l’agire in maniera preventiva sono efficaci e riducono le probabilità di rischio in età successive intervenendo proprio su quegli antecedenti che favoriscono alcuni comportamenti.

    In età prescolare, ad esempio, generalmente potremmo notare una frequente iperattività, che non rientra nella vivacità del bambino, che si manifesta con atteggiamenti quali il bisogno irrefrenabile di muoversi: «Mi sento veloce» «Ho il cuore che batte forte», che rendono difficile la relazione e il giocare insieme agli altri. A questo aggiungiamo il bisogno di non riuscire a fare diversamente, l’incapacità a star fermi: «Io non lo so perché, ma lo devo fare e basta», l’impossibilità ad accettare regole preordinate, viste come una limitazione personale, e l’eccitazione per attività nuove che scompare dopo pochi minuti e conduce a cambiare ripetutamente quelle in corso. Infine, la difficoltà di accettare i cambiamenti.

    Anche la disattenzione, specialmente nell’ultimo anno di scuola materna in cui i bambini lavorano sui prerequisiti dell’apprendimento, potrebbe essere evidente esplicandosi, tuttavia, maggiormente durante l’età scolare poiché la scuola chiede competenze maggiori e dà e pretende di ricevere stimoli ulteriori. Ciò comporta, in ogni bambino, una difficoltà nella pianificazione di passaggi sequenziali per l’esecuzione di particolari attività con conseguente dispersione nei compiti scolastici, dalla presenza di errori di distrazione, dall’incapacità di portare a termine i compiti, dalla disorganizzazione e dalle dimenticanze nel rispettare determinate consegne, oltre alla frettolosità nei compiti e alla mancanza di autocorrezione. La disattenzione si palesa in quei bambini che perdono o dimenticano oggetti personali e che sembrano non ascoltare quando gli viene chiesto qualcosa. Ricordiamoci che i bambini/ragazzi con l’ADHD apprendono e assimilano contenuti e nozioni anche quando sono distratti da altri stimoli presenti, sia esternamente nell’ambiente circostante sia da stimoli fisiologici interni.

    Alla disattenzione e all’iperattività può essere presente l’impulsività, che si manifesta con la fatica ad attendere il proprio turno e a gestire le attese, a parlare senza rispettare le regole di comunicazione e nel presentare difficoltà a prevedere le conseguenze dei propri comportamenti con ripercussioni negative nella costruzione delle relazioni sociali. È difficile l’autoregolazione delle proprie emozioni in particolar modo quelle relative alla rabbia.

    Da tutto ciò fin ora descritto risulta prioritario lavorare con genitori e insegnanti affinché aiutino i bambini e i ragazzi con ADHD a raggiungere i loro obiettivi evolutivi e di apprendimento e riuscire a compensare le difficoltà presenti. Il lavoro di rete, un intervento a più mani, può produrre un cambiamento sia all’interno dei contesti di vita del bambino o ragazzo sia e soprattutto nel suo benessere psicologico. Anche un intervento diretto sul bambino o sul ragazzo risulta molto efficace. Infatti, grazie alla particolare plasticità cerebrale legata alla fase di crescita, si ha la possibilità di modificare il suo comportamento attraverso specifici percorsi.

    Per saperne di più...

    Gli studi epidemiologici, condotti in molti paesi del mondo compresa l’Italia, stimano che dal tre al cinque per cento della popolazione in età scolare presenta l’ADHD. La prevalenza delle forme particolarmente severe è stimata intorno all’un per cento della popolazione in età scolare.

    Inoltre, l’ADHD è un disturbo neurobiologico dovuto alla disfunzione di alcune aree e di alcuni circuiti del cervello e allo

    squilibrio di alcuni neurotrasmettitori (come noradrenalina e dopamina) responsabili del controllo di attività cerebrali come l’attenzione e il movimento.

    L’origine del disturbo sembra dipendere dall’interazione di fattori ambientali, sociali, comportamentali, biochimici e genetici.

    Nell’ eziologia dell’ADHD, in particolare, pare sia implicata l’espressione di alcuni geni che regolano il livello dei neurotrasmettitori di tipo dopaminergico e noradrenergico. Queste alterazioni si ripercuotono soprattutto sulle funzioni svolte da zone specifiche del cervello che regolano l’attenzione (corteccia pre-frontale, parte del cervelletto e alcuni gangli della base, cioè ammassi di cellule nervose situate in profondità nel cervello).

    La sindrome da deficit di attenzione e iperattività tende a ricorrere, poi, all’interno della stessa famiglia e si presenta spesso in associazione con altri disturbi del comportamento o di condotta.

    Tra i fattori ambientali sembrano coinvolti il fumo di sigaretta e l’abuso di alcol in gravidanza, il basso peso neonatale (o la nascita prematura) e i danni neurologici riportati dopo traumi ostetrici o cranici. Un rischio maggiore di sviluppare l’ADHD può dipendere anche dalle infezioni congenite e dall’esposizione a vernici, pesticidi, piombo e certi additivi alimentari ( coloranti e conservanti).

    Quando i genitori devono preoccuparsi?

    Il genitore ha un ruolo fondamentale. Spinto dall’istinto di protezione e accudimento deve occuparsi e preoccuparsi dei propri figli.

    Quando si ha un figlio con ADHD il genitore deve dotarsi di una lente in più, capire e captare i campanelli d’allarme che portano a ipotizzare la presenza del disturbo. In particolare deve far caso a ciò che è stato descritto sopra e specificato meglio nell’elenco che segue:

    • Non presta attenzione.

    • Ha difficoltà a mantenere l’attenzione su compiti e giochi.

    • Apparentemente non ascolta chi parla e non segue le istruzioni.

    • Ha grandi difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività.

    • Cerca di evitare attività che richiedono uno sforzo mentale protratto.

    • Perde continuamente oggetti personali o materiale scolastico.

    • Spara le risposte prima che sia finita la domanda.

    • Si arrabbia facilmente.

    • Interrompe continuamente chi parla.

    • È invadente o parla in continuazione.

    Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, uno o più comportamenti sopra descritti. Qualsiasi bambino, e la gran parte degli adulti, tende a distrarsi e a commettere errori durante attività prolungate e ripetitive. Quando queste modalità di comportamento, però, sono persistenti in tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco, attività pomeridiana) e nella gran parte delle situazioni (lezione, compiti a casa, gioco con i genitori e con i coetanei, a tavola, davanti al televisore, eccetera), esse costituiscono la caratteristica costante del bambino e possono compromettere le capacità di pianificazione ed esecuzione di procedure complesse.

    Quando si può dire che un bambino ha un ADHD?

    La diagnosi di ADHD è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione e sulla raccolta di informazioni fornite dai genitori e da persone vicine al bambino, come educatori o insegnanti. Per fare la diagnosi di ADHD occorre che i sintomi prima descritti impediscano in maniera significativa il funzionamento sociale del bambino, che la compromissione funzionale sia presente in almeno due diversi contesti (casa, scuola, gioco e altre situazioni sociali) e che sia iniziata prima dei sette anni di età e duri da più di sei mesi. (Novità introdotta dal DSMV: i sintomi possono insorgere anche entro i dodici anni d’età.)

    L’ADHD si presenta spesso associato ad altri problemi, le " comorbidità"

    Solo il venti per cento dei bambini diagnosticati ha solo l’ADHD. Gli altri disturbi in comorbidità possono essere:

    • Disturbo oppositivo-provocatorio.

    • Disturbo della condotta.

    • Disturbo depressivo.

    • Disturbo bipolare.

    • Disturbo d’ansia

    • Disturbi specifici dell’apprendimento.

    • Disturbo da tic.

    • Disturbo ossessivo-compulsivo.

    • Disturbi pervasivi dello sviluppo.

    Tratterò in esame soltanto uno di questi disturbi in comorbilità: il disturbo oppositivo provocatorio.

    Perché?

    Partendo dall’eziologia del disturbo, il DOP presenta molteplici fattori e si manifesta in presenza di varie circostanze: se da una parte abbiamo la causa genetica, dall’altra i fattori legati ai modelli educativi, alle dinamiche e alla struttura familiare hanno una rilevanza importante. Ciò vuol dire che bisogna allargare lo sguardo alle famiglie e non solo al singolo portatore del disturbo. La trasformazione dei modelli educativi risulta essenziale e i genitori dovranno rivestire il ruolo di coterapeuti dei loro figli affiancati da un esperto che li guida.

    Il disturbo oppositivo provocatorio, meglio conosciuto nella sua nomenclatura DOP, è un disturbo del comportamento che non ha sempre la stessa epoca di insorgenza e si caratterizza per un comportamento negativo, disobbediente, ostile e di sfida verso le figure di autorità, di provocazione e di tentativi di auto o etero aggressione in casi più gravi.

    I comportamenti oppositivi normativi sono caratteristici dei momenti evolutivi che prevedono un’affermazione della propria identità da parte del soggetto (intorno ai due-tre anni e durante l’adolescenza), trattandosi di comportamenti che si estinguono progressivamente.

    Tuttavia, quando esiste un disturbo, questi comportamenti si verificano in modo frequente nell’arco di sei mesi consecutivi e interferiscono con il processo di apprendimento, adattamento scolastico e con le relazioni interpersonali.

    I sintomi comportamentali hanno spesso origine nel contesto familiare e si generalizzano successivamente ad altri contesti: i disturbi sono più evidenti nell’interazione con i propri pari e con adulti della famiglia rispetto all’interazione con individui sconosciuti. Tali comportamenti sono caratterizzati da una ribellione verso le regole imposte dagli adulti, dalla manifestazione di un atteggiamento di sfida di fronte alla figura autoritaria (principalmente genitori e insegnanti), scatti d’ira accompagnati da minacce, irresponsabilità verso i propri errori, atteggiamento vendicativo o rancoroso. Anche se a volte presentano sintomi propri dei disturbi sociali come aggressività o bugie, il disturbo non manifesta gravi violazioni delle norme sociali (furti, intimidazioni, violenze). Si tratta di un disturbo più frequente nei maschi rispetto alle femmine, anche se persiste solo fino alla pubertà, fase in cui sembra vi sia una situazione di parità per entrambi i sessi. I bambini

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