La libertà ritrovata
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Info su questo ebook
Il romanzo è ambientato nella meravigliosa Puglia tanto cara ad Antonio, un piccolo scrigno di sentimento del tempo nell’evoluzione interiore dell’autore che utilizza i suoi personaggi per interpretare il presente e progettare meglio il futuro.
È un autentico spaccato di cronaca quotidiana con un intreccio di sentimenti, emozioni, immagini e personaggi. Compiendo un’operazione ardita di messa a dimora di preziosi insegnamenti di Vita, longevi proprio come…i secolari ulivi della sua amata Puglia, l’autore attiva connessioni tra eventi e periodi storici, recuperando il profumo stremato della memoria.
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Anteprima del libro
La libertà ritrovata - Antonio Dibenedetto
Prefazione
Nella tradizione biblica, l'ulivo portato a Noè sull'Arca dalla colomba è il segno che, finalmente, è cessato il diluvio. Un segno di speranza, dunque. Raffigurato nella sua sinuosa maestosità sulla copertina di questo libro diventa ancora di più simulacro di Vita e di fiducia, a imperitura memoria di come sia necessario tutelare questi monumentali arbusti secolari e salvaguardare il territorio che li ospita dalle aggressioni antropiche, di una criminalità sempre più agguerrita pronta a violentarlo e sfregiarlo pur di realizzare loschi profitti.
E proprio all'ombra di uno di questi monumenti vegetali, contorti e rinvigoriti dallo scorrere ineluttabile del tempo, la prolifica fantasia di Antonio ha partorito questo nuovo libro noir che ci viene affidato per custodirlo, leggerlo e rileggerlo.
Antonio, abile con la sua penna a scandagliare l'animo umano, anche in questo nuovo racconto prende sempre dalla triste cronaca quotidiana ma ci dona semi di speranza, per invogliarci a stringerci e scacciare il malaffare, il sopruso, la violenza e la paura, forse per condividere l'ombra della tristezza e il desiderio di attimi d'allegria nella ricerca di un canto corale liberatorio che rallegri il cuore e accenda fiochi bagliori per un futuro migliore.
I suoi libri, da gustare pagina dopo pagina, sono piccoli germogli di rinascita che, tuttavia, non possono farci dimenticare un aspetto fondamentale: ossia, che non possiamo contemplare la suggestione di un «kairòs» di rinascita a prescindere dal disincanto del «krònos» che ci troviamo a vivere.
Le pagine del libro La libertà ritrovata
, che Vi apprestare a leggere, scorrono come note su un pentagramma. È un romanzo ambientato nella nostra meravigliosa Puglia tanto cara ad Antonio, un piccolo scrigno di sentimento del tempo nell'evoluzione interiore dell'autore che utilizza i suoi personaggi per interpretare il presente e progettare meglio il futuro.
«Leggere per imparare a scrivere. Scrivere per imparare a vivere», mi ripete ogni volta l'amico Antonio. E i suoi libri sono autentici spaccati di cronaca quotidiana ma, prima ancora, di Vita. La sua penna (Antonio è un nostalgico amanuense) intreccia sentimenti, emozioni, immagini, personaggi. Attiva connessioni tra eventi, periodi storici, recuperando il profumo stremato della memoria.
Vita e amore, amore e vita, potrebbe essere l'equazione che innerva le pagine del volume. La scrittura che l'Autore propone richiede un «ascolto speciale» al pari di colui che preferisce il silenzio all'eloquio urlato.
In questo Libro, insomma, che Vi invito a leggere con attenzione, si compie un'operazione ardita di messa a dimora di preziosi insegnamenti di Vita. Longevi proprio come...i secolari ulivi della nostra amata Puglia.
Gianpaolo Balsamo
La bellezza della terra pugliese
Icona raffigurante il busto di un ispettore detective con il caratteristico cappello e mentre fuma la pipa.Senza pari è la bellezza dell'Alta Murgia, quell'incantevole paesaggio costituito dalle tipiche colline pugliesi che, paragonabili a delle lunghe braccia di una madre natura generosa, cinge in modo accogliente e con tanto amore il basso tavoliere, con esso tutti coloro che ne preservano le bellezze, coltivando con passione quella terra.
Il suo abbraccio benevolo è quasi a voler ringraziare con tanto amore, come fossero suoi figli, chi si sta prendendo cura di quella prodiga natura, preservando, con l'esperienza della tradizione, tutta la zona circostante dalle improvvise intemperie.
Passeggiando per la campagna, nelle giornate estive si avverte nell'aria un tipico profumo di vegetazione che t'inebria al solo respiro, accompagnato da quel tipico calore persistente che ti porta a oziare, per qualche minuto, specie dopo una lunga e dura giornata di lavoro, in una piccola pausa per un fugace pranzo, sapendo di doverlo poi riprendere con nuova intensità.
Il più delle volte quella pausa si consuma sotto una pianta secolare tipica della zona: l'imperioso olivo. Questi alberi imperiosi ti avvolgono trasmettendo una sensazione benevola che allontana qualsiasi inquietudine, ne è testimonianza il gioioso canto delle cicale che si spande nella campagna arsa dal caldo sole estivo.
Tutto è allietato dalla tipica brezza che ti culla, come una dolce danza, facendoti ritornare alla mente quel dolce ricordo, quando da piccino ti appisolavi dolcemente per quella mano amorevole della nutrice che ti accarezzava.
Ti viene voglia di sederti e goderti in pieno l'ombra di quelle secolari e poderose piante, ascoltando la melodia di quegli animaletti alati che, dall'alto della fitta e imponente vegetazione, ti rallegrano infondendo un senso di riposo. Quel loro frinire, tipico e intenso in questi particolari periodi dell'anno, hanno anche il potere di accompagnarti nelle escursioni verso quelle immense distese verdi, facendoti godere la vista di quel portentoso rinvigorirsi della benevola natura, prodiga di tanti frutti, che pazientemente gli agricoltori coltivano con amore e non poca fatica.
La magia della campagna pugliese non ha eguali. I contadini curano in modo minuzioso ogni particolare delle loro colture, ma sono altresì consci che il duro lavoro verrà ripagato della generosità che serberà loro la madre terra, consapevoli che quanto avranno in cambio dalle loro intense giornate di lavoro sarà il sostentamento per il futuro della propria famiglia.
Erano giorni davvero duri, con quello che si riusciva a guadagnare con il proprio lavoro a stento si andava avanti, ma un piatto di minestra in tavola non mancava mai.
S'imprecava talvolta, per quella situazione di disagio che vivevano, ma albergava in ognuno la consapevolezza che quella congiuntura prima o poi sarebbe finita: con questo stato d'animo affrontavano, fiduciosi, le estenuanti e dure giornate lavorative!
Nell'entroterra della pianura pugliese, in una piccola cittadina rurale, ritroviamo Andrea che voleva con tutte le sue forze cambiare lo stato delle cose, sapeva che prima o poi le sue idee sarebbero divenute realtà. La sua ambizione era quella di cercare di dare alla sua famiglia quel benessere che era alla sua portata, era caparbio e consapevole che non avrebbe fatto soffrire quella situazione d'inedia che aveva attanagliato la sua infanzia, pensava ai suoi futuri congiunti, voleva preservarli dalle sofferenze che aveva vissuto.
Andrea era un uomo virtuoso di circa trent'anni. Nonostante la situazione disagiata che stava vivendo, decise di sposarsi con Maria. Erano innamorati, la loro condizione familiare non era florida, tuttavia avevano dalla loro parte quell'entusiasmo forgiato dalla giovinezza e da quella sana voglia di crearsi un'attività propria sovvertendo lo status quo che stavano vivendo.
Il loro paesino, prettamente agreste, fondava la propria economia sull'agricoltura, I più fortunati potevano trarre il proprio sostentamento dagli appezzamenti che aveva ereditato in famiglia, tramandati per generazioni, altri, più abbienti, nel tempo erano riusciti ad acquistare ulteriori appezzamenti incrementando il proprio possedimento terriero. Vi erano, in contrapposizione, quei contadini meno fortunati che, con non poca fatica e talvolta in modo davvero sfiancante, erano dediti al lavoro dei campi per conto di quel padrone che offriva loro la possibilità di far giornata.
Cercavano comunque di curare quella terra al massimo delle loro potenzialità, ma non tutti erano felici di quel duro lavoro nei campi. Chi possedeva appezzamenti di terreno viveva bene e si riteneva più fortunato. Coloro che non riuscivano a rendersi utili nell'abilità tipica della coltivazione della terra, sentendosi oltremodo sfruttati, cercavano fortuna altrove, in quelle pochissime industrie insediate da poco tempo che operavano una selezione naturale per coloro che erano portati ad altri lavori. Alcuni, talvolta, dovevano fare di necessità virtù improvvisandosi operai.
Coloro che non riuscivano a trovare occupazione sul posto cercavano fortuna in altre zone d'Italia, in particolar modo in quel nord tanto agognato, considerato, specie negli anni sessanta, un vero e proprio Eldorado. Costoro, godendo di un lavoro degno, potevano davvero considerarsi fortunati ma in loro era sempre più che mai presente l'obiettivo di ritornare un giorno a gustarsi nuovamente, nella loro terra, quella vita semplice fatta di piccole cose, contorniate però da quel clima natale che non ha eguali, dove con molto meno si riusciva a tirare avanti la giornata senza essere attanagliati dal frenetico modo di vivere, tipico delle città sviluppate, emancipate certamente, ma dove i rapporti umani erano pressoché nulli.
Anche in alcune zone adiacenti al paesino dei nostri amici, alcuni personaggi lungimiranti, con i dovuti mezzi economici, riuscirono a creare delle piccole industrie assumendo e istruendo i cittadini al lavoro in fabbrica. I pochi fortunati che vi lavoravano potevano ritenersi tali perché godevano di un salario idoneo che stava elevando il loro tenore di vita, ma non tutto era oro ciò che luccicava. I turni massacranti e la catena di montaggio incidevano in modo sostanziale nel fisico di quei fortunati lavoratori che rivolgevano sempre la loro attenzione al nord dove le attività erano fiorenti e i diritti dei lavoratori sempre più soddisfacenti.
Il lavoro dei campi continuava a garantire la sopravvivenza ai più, specialmente a quei pochi fortunati che potevano contare su di un lavoro più duraturo, chiamati anche multistagionali, che potevano assicurarsi un salario per quasi tutto l'anno, ma alcuni, i così detti giornalieri, chiamati dal padrone di volta in volta, in caso di necessità, riuscivano a ritagliarsi una paga modesta per sbancare il lunario. In entrambi i casi, però, queste persone dovevano lavorare alacremente, soggiogati da estreme condizioni di vita lavorativa, senza alcuna distinzione, tanto per gli uomini quanto per le donne.
Si diffuse sempre più la piaga malsana del caporalato che, in più di un'occasione, aveva persino mietuto vittime. Chi non soggiaceva a determinate regole veniva estraniato, si doveva entrare nelle grazie del braccio destro del padrone senza alcuna remora e reticenza in considerazione che, senza quel poco di lavoro e il misero salario per un lavoro duro per giunta sottopagato, non si riusciva a vivere.
La condizione di una vita migliore è nel sogno di ogni essere umano e, con il tempo, si guarda tutto intorno con occhio nuovo, non si tollerano più ingiustizie e si finisce per infastidire chi nel tempo ha conquistato un certo potere assoggettando ai suoi ordini, con l'unico scopo di un arricchimento continuo a discapito dei suoi lavoratori, specie i più umili che non riuscivano a ribellarsi.
Tra questi imprenditori
decisamente stomachevoli, ve n'era uno in particolare che faceva pesare la sua capacità di far soggiacere ai suoi dettami ogni cittadino che malauguratamente si affidava a lui, nonostante offrisse un lavoro duro e sotto pagato. Eppure questi si sentiva magnanimo e il suo ego non aveva confini! Si sentiva da sempre e comunque un benefattore, senza il benché minimo rimorso per quella sorta di schiavitù imposta ai suoi concittadini che l'accettavano per fame. Questi era il così detto barone Totonno.
Come accade in questi casi, quel titolo nobiliare di cui si fregiava, non aveva alcuna valenza non essendo mai state certificate discendenza né appartenenza. Quel titolo lo aveva usurpato con la forza delle sue azioni coercitive perpetrate nei confronti dei più umili. Per la sua imponenza fisica, nel corso degli anni fu da tutti identificato con quell'appellativo ma solo per il timore che incuteva. Era sempre accompagnato da un seguito di loschi figuri che, con qualsiasi mezzo, facevano rispettare i suoi voleri.
Inizialmente non fu semplice per Andrea crearsi dal nulla la propria attività, noncurante di colui che aveva da sempre l'ultima parola su ogni cosa che nasceva o che era in procinto di svilupparsi nella piccola località rurale. Sostenuto anche dall'impegno di Maria, riuscì a metter su un negozio che vendeva materiale di attività ludica e scolastica. Certo, l'esposizione economica che i due avevano impegnato era rilevante, ma erano consci che con il loro duro lavoro avevano la possibilità di tener fede agli impegni assunti.
Gli affari incominciavano a dar ragione ai nostri amici tant'è che in breve tempo riuscirono a restituire, agli amici e parenti, le somme di denaro che avevano preso in prestito per allestire il loro sogno. Capita però sovente che l'animo umano è sempre più che mai combattuto tra la voglia di ingrandirsi o il godimento di una tranquillità conquistata sgomitando a fatica per farsi valere.
Si notava a occhio nudo che Andrea e Maria godevano di una luce nuova. Andrea sovente in quel periodo s'interrogava su quello che avevano realizzato e spesso chiedeva a Maria se era felice. Lei, il più delle volte, aveva un velato timore nell'esprimersi, non voleva esternare ciò che provava il suo cuore, forse per quella paura latente, ma pressoché presente, che tutto ciò potesse finire all'improvviso.
Andrea era divenuto sempre più consapevole che la condizione di una vita migliore, di una stabilità in seno a ogni famiglia, doveva essere la prerogativa per ognuno, senza l'assillo di essere vessati e sfruttati dal signorotto della zona.
Questo suo comportamento, però, iniziò a dare fastidio a chi non tollerava che un imprenditore, sia pur piccolo, si sentisse svincolato da ogni soggezione. Le falene, quelle tossiche, iniziarono a mostrare insistentemente la loro presenza.
Riccardo percosso per fame
Icona raffigurante il busto di un ispettore detective con il caratteristico cappello e mentre fuma la pipa.L'estate si approssimava alla naturale conclusione. Avendo terminato il suo ciclo produttivo, il grano oramai era stato mietuto da un pezzo, le viti avevano gratificato il solerte contadino con una raccolta abbondante, gli alberi da frutto avevano contribuito anche loro a fornire quel reddito che sarebbe bastato per l'intero anno. Rimaneva solo la paradossale situazione di quei poveri contadini, impiegati di massima nel lavoro più duro, il cui salario era divenuto sempre più modesto e, alla conclusione di ogni attività, non riuscivano più a trovare giornate lavorative. L'alternativa fu quella di sbarcare il lunario in altro modo, facendo il possibile per portare un piatto di minestra in tavola.
Continuavano ad andar per campi cercando di spigolare quello che riuscivano a trovare, qualche frutto e qualche spiga di grano rimasta, sempre guardandosi le spalle dai guardiani dei vari fondi che erano ligi agli ordini del barone Totonno: questi non voleva che i suoi fondi fossero oggetto di spigolatura da parte di quei pezzenti, come da sempre li chiamava lui, che attiravano iatture sui futuri raccolti.
Andrea era di ritorno da un incontro di lavoro con fornitori nel capoluogo quando, percorrendo una strada secondaria per far ritorno a casa più celermente, nei pressi di un fondo, vide un suo amico che stava per essere fatto oggetto di molestie dai guardiani del barone. Vedendolo insultato e percosso a suon di vergate, volle prendere le sue difese e scese dalla sua auto: «Ma perché lo state picchiando in quel modo, cosa vi ha fatto?»
«Andrea, non t'impicciare, pensa ai fatti tuoi. Il barone non vuole questi pezzenti nei suoi fondi».
«Ma non vedete che a stento si regge in piedi, chissà da che ora è per i campi per racimolare qualcosa da portare a casa? Ma voi, proprio voi, non conoscete commiserazione o pietà?»
«Ma quale pietà, noi ubbidiamo solo agli ordini che ci vengono dati, non vogliamo sapere altro». Forse in quelle persone venne a galla dal profondo del loro oscuro animo un po' di pietà, si fermarono dal percuotere quello sfortunato uomo e risposero: «Va bene, per questa volta ci passiamo sopra, per ora basta così». Poi, con fare minaccioso si rivolsero al povero contadino intimandogli di non tornare nuovamente su quei campi, altrimenti nessuno avrebbe potuto evitargli di ricevere bastonate ancora più cruenti. Quindi si allontanarono al galoppo dei loro cavalli.
Il povero contadino, di nome Riccardo, ringraziò Andrea con gli occhi pieni di lacrime, ma non per il dolore causato dalle solenni vergate ricevute bensì come ringraziamento per aver indotto quei due guardiani a non andare oltre il dolore fisico e di avergli lasciato quello che aveva raccolto per la sua famiglia: «Andrea, che Dio te ne renda merito, ti ringrazio per quello che hai fatto per me. Con questo poco di roba che sono riuscito a racimolare nei vari campi, forse, vendendola al sensale, riuscirò a realizzare qualche spicciolo e potrò portare a casa qualcosa da mangiare».
«Riccardo, per carità non potevo darla vinta a quei furfanti. Se la stavano prendendo con te per quel poco di raccolto che sei riuscito a recuperare, mentre il loro padrone riesce ad accumulare e sperperare di tutto e di più, ma verrà la resa dei conti, la spigolatura, tra l'altro, è una facoltà che diversi proprietari consentono ai poveri» «Lo so Andrea, ma lui è il padrone e noi non possiamo fare altro che rispettare i suoi ordini, altrimenti già è duro tirar avanti in questo modo figuriamoci in caso contrario».
«Va bene Riccardo, dai, vieni con me, ti accompagno a casa così arrivi prima del previsto e potrai aiutare tua moglie a mettere del cibo in tavola» «No, Andrea, vedi come sono sporco? Non voglio sporcarti la macchina» «Non ci pensare nemmeno, Riccardo, su, non ti preoccupare, non devi vergognarti per i tuoi abiti lisi e sporchi. Quel lordore di cui parli altro non è che il simbolo di quello che stiamo vivendo, chi si sporca le mani e gli abiti, per il proprio lavoro e solo per portare del cibo a casa, non è nemmeno paragonabile a chi rimane intonso ma ha l'animo nero come la pece».
Riccardo apprezzò quelle parole e, battendosi con le mani sulle gambe e in ogni dove, cercò di scrollarsi parte di quella polvere per non sporcare l'auto dell'amico. Ma quella polvere, inalata per tutto il giorno, era così tanta che si notava dal suo tossire avendone anche ingoiata parecchio rendendo l'arsura sempre più oppressiva.
Andrea notò questa situazione e il disagio di Riccardo, quindi gli offrì una bottiglietta d'acqua che avrebbe dovuto fargli riprender fiato. Il povero contadino, spaesato da tanta generosità, non rifiutò quel prezioso aiuto e si dissetò svuotando la bottiglia. Forse tutto