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Manifesto del Partito Comunista: Guida, Manifesto e Dizionario
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E-book206 pagine2 ore

Manifesto del Partito Comunista: Guida, Manifesto e Dizionario

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Info su questo ebook

Il volume propone il testo integrale del Manifesto, accompagnato da un ampio corredo di note e di apparati: una Guida allo Studio, dei Consigli di lettura, un Dizionario dei termini e delle figure del Manifesto.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2016
ISBN9788899126919
Manifesto del Partito Comunista: Guida, Manifesto e Dizionario
Autore

Karl Marx

Karl Marx (1818-1883) was a German philosopher, historian, political theorist, journalist and revolutionary socialist. Born in Prussia, he received his doctorate in philosophy at the University of Jena in Germany and became an ardent follower of German philosopher Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Marx was already producing political and social philosophic works when he met Friedrich Engels in Paris in 1844. The two became lifelong colleagues and soon collaborated on "The Communist Manifesto," which they published in London in 1848. Expelled from Belgium and Germany, Marx moved to London in 1849 where he continued organizing workers and produced (among other works) the foundational political document Das Kapital. A hugely influential and important political philosopher and social theorist, Marx died stateless in 1883 and was buried in Highgate Cemetery in London.

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    Anteprima del libro

    Manifesto del Partito Comunista - Karl Marx

    Collana Classici della Filosofia

    Karl Marx e Friedrich Engels

    Il Manifesto del Partito Comunista

    A cura della Redazione di Diogene Multimedia

    Copertina e impaginazione: Jimmy Knows S.C.P., Barcelona (ES)

    eBook: ePubMATIC.com

    Traduzione, note e testi a commento a cura della redazione di Diogene Multimedia,

    www.diogenemultimediasrl.it

    I materiali su Marx ed Engels e sul Manifesto del Partito Comunista

    di Diogene Multimedia sono archiviati in

    www.ilgiardinodeipensieri.eu/oldsite/temi/marx.htm

    © Associazione Pi-Greco, 2012

    Diogene Multimedia, Collana Classici della Filosofia

    Edizione digitale: Marzo 2013

    ISBN: 9788896351192

    Indice

    Guida allo studio

    - Il contesto storico e teorico del Manifesto del Partito Comunista

    - Vita e opere di Marx e di Engels

    - Consigli di lettura

    - Schema del Manifesto del Partito Comunista

    Manifesto del Partito Comunista

    1. Borghesi e proletari

    2. Proletari e comunisti

    3. La letteratura comunista e socialista

    4. Posizione dei comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione

    Dizionario del Manifesto del Partito Comunista

    Guida allo studio

    Come aveva già fatto Münzer, anche Marx mette mano alla sferza con cui Gesù aveva fustigato e scacciato dal tempio i cambiavalute. Proprio perché concreta, la sua umanità ha una fisionomia, oltre tutto, assolutamente irritata; vale a dire che, a seconda del lato a cui si volge, essa si fa collera o appello, appello che cerca, trova, comunica qualcosa che sia di oggettiva salvezza. Anche nella miseria, pertanto, Marx vede non solo la miseria, come avevano fatto tutti gli astratti misericordiosi e facevano ancora gli astratti utopisti: quel che indigna, nella miseria, diventa ora davvero una cosa sola, cioè forza attiva dell’indignazione contro quel che causa la miseria stessa. Così questa, non appena acclara le sue cause, si trasforma in una leva rivoluzionaria. [Bloch 1959]

    Il pensiero dialettico ha inizio con la constatazione che il mondo non è libero; cioè che l’uomo e la natura esistono in condizioni di alienazione, «diversi da ciò che sono». Ogni modo di pensiero che esclude la contraddizione dalla sua logica è una logica difettosa. Il pensiero «corrisponde» alla realtà solo se trasforma la realtà stessa comprendendone la sua struttura contraddittoria.

    "Comprendere la realtà, infatti, significa comprendere ciò che le cose sono, e ciò, a sua volta, comporta la non accettazione della loro apparenza come dati di fatto. La non accettazione, la rivolta, costituisce il processo del pensiero così come dell’azione. Mentre il metodo scientifico conduce dall’immediata esperienza delle cose alla loro struttura logico-matematica, il pensiero filosofico conduce dall’immediata esperienza dell’esistenza alla sua struttura storica: il principio della libertà". [Marcuse 1960]

    "Che l’uomo non solo sappia quel che fa; ma, se possibile, che ne percepisca l’uso, che percepisca la natura da lui modificata.

    Che per ciascuno il proprio lavoro sia un oggetto di contemplazione". [Weil 1934]

    Il contesto storico e teorico del Manifesto

    1. Le circostanze della composizione

    Il Manifesto del partito comunista, scritto da Marx ed Engels tra il dicembre 1847 e il gennaio 1848, apparve a Londra, in lingua tedesca, il 24 febbraio 1848, lo stesso giorno in cui a Parigi, dopo la sollevazione popolare del 22 febbraio, il re Luigi Filippo era deposto e veniva proclamata la Repubblica francese. Era il periodo della primavera dei popoli. Ma come si arrivò alla stesura del Manifesto?

    A Bruxelles Marx ed Engels erano entrati in contatto con la Lega dei Giusti, una società segreta fondata nel 1836 da artigiani tedeschi il cui motto era «Tutti gli uomini sono fratelli»; essi vi aderirono nella primavera del 1847; in quell’anno questa tenne il suo primo congresso a Londra, cambiò il suo nome in Lega dei Comunisti e adottò come motto «Proletari di tutti i paesi, unitevi». A questo punto fu deciso che la Lega aveva bisogno di un nuovo statuto per far capire che cosa fosse quello «spettro» che si stava aggirando per l’Europa. Del Manifesto erano state preparate già diverse stesure, ma quella definitiva fu redatta da Marx, mentre la forma ed il nome furono suggeriti da Engels. Poco dopo furono pubblicate le versioni in francese, polacco, italiano, danese, fiammingo, svedese e nel 1850 in inglese.

    Marx fu invitato a Parigi nel corso della rivoluzione che vide cadere la monarchia di Luigi Filippo; la rivoluzione si spostò poi in Germania e Marx, con altri aderenti alla Lega, si recò a Colonia dove iniziò le pubblicazioni di un giornale radicale intitolato «Neue Rheinische Zeitung», attraverso il quale si lanciavano appelli a favore della rivoluzione democratica. Ma con l’estate arrivò la controrivoluzione. In giugno a Parigi un’insurrezione popolare fu soffocata nel sangue dall’esercito e dalla Guardia nazionale, mentre in Germania Federico Guglielmo aveva ripreso il controllo. La Lega dei comunisti iniziò così a dissolversi; Marx in agosto partì per Londra.

    La diffusione e conoscenza del Manifesto fu all’inizio piuttosto elitaria, e la sua influenza sui movimenti operai inizierà a partire dal 1870; tra la maggior parte dei lavoratori al tempo di Marx circolavano ancora idee ispirate ai cosiddetti socialisti utopisti e alle dottrine di Proudhon.

    Il testo che presentiamo è oggi un classico che ha ispirato molte delle lotte per l’edificazione di una società senza sfruttatori e sfruttati. Alla base della diffusione di massa del marxismo non vi fu un’opera complessa come il Capitale, ma proprio il Manifesto.

    2. Il genere letterario

    Il Manifesto nacque dunque come programma della Lega dei comunisti, di cui se ne dovevano esporre i principi. Il testo, di grande efficacia stilistica, non voleva essere la descrizione di una futura società utopica in cui gli uomini sarebbero vissuti liberi dall’alienazione e dallo sfruttamento, ma l’analisi tecnica e scientifica dello svolgimento della storia passata e delle caratteristiche di quella presente che, a partire dalle contraddizioni strutturali del capitalismo, avrebbe avuto come sbocco una rivoluzione e il passaggio alla società comunista. Il Manifesto è concepito non come un trattato analitico ma nella forma di un appello alla lotta che metteva in luce l’inevitabilità di questa, ma anche l’importanza della coscienza che il proletariato doveva sviluppare per assumere il compito di guidare quel maestoso cambiamento. L’esortazione che chiude il testo, «Proletari di tutti i paesi, unitevi!», è quindi da intendersi come la conclusione necessaria, sul piano della prassi politica, di questa ampia ricostruzione storica.

    Il Manifesto è diviso in quattro parti:

    - una descrizione della storia, a partire dal Medioevo, come società di classi e della società borghese-capitalistica come prodotto dei cambiamenti nei modi di produzione e di scambio; una successiva analisi delle contraddizioni della società capitalistica che condurranno al suo superamento ad opera del proletariato;

    - l’analisi del rapporto tra i comunisti e il resto della classe proletaria; le obiezioni borghesi al comunismo; le misure di transizione del proletariato vittorioso e alcuni tratti della futura società comunista;

    - la critica alle altre forme del socialismo: reazionario, piccolo-borghese e utopistico;

    - il rapporto dei comunisti con gli altri partiti di opposizione.

    3. I destinatari

    A chi si rivolgeva il Manifesto? Dovendo essere un programma, ma anche un’analisi scientifica della realtà, esso doveva parlare in modo chiaro alla classe proletaria. Solo se il proletariato è sufficientemente sviluppato e acquisisce coscienza di sé e del proprio ruolo storico, allora la rivoluzione può avere successo. La coscienza di sé da parte del proletariato è già una componente fondamentale dell’avvio della rivoluzione; se esso non è ancora consapevole della situazione storica, allora ciò significa che le condizioni oggettive non sono ancora mature per far scattare la rivoluzione. L’intento tanto della Lega quanto poi dell’Internazionale sarà quello dunque di organizzare la coscienza proletaria attraverso le diverse associazioni della classe lavoratrice. Ed il Manifesto rappresenta quell’aiuto intellettuale fornito al proletariato affinché questo definisca in modo preciso i propri obiettivi, si organizzi e si unisca per la loro realizzazione.

    4. Il contesto storico

    La rivoluzione industriale costituì un evento di radicale trasformazione per la società umana, che interessò dapprima l’Inghilterra (fine Settecento) per poi estendersi gradualmente al resto dell’Europa (dal primo Ottocento in avanti). Fu l’inizio della nascita di quella che è definita società industriale, caratterizzata da nuove vie di comunicazione, innovazioni tecnologiche, aumento della popolazione urbana e da un nuovo modo di produzione all’interno della fabbrica dove si concentravano i lavoratori. La fabbrica diede un volto diverso al lavoro: esso subì un processo di meccanizzazione e parcellizzazione, teso alla valorizzazione degli investimenti e all’ottimizzazione del profitto. Le città assunsero un volto diverso, con la nascita dei quartieri in cui erano concentrate le fabbriche e le abitazioni dei lavoratori che si spostavano dalla campagna per cercare lavoro. E soprattutto si formarono due nuovi gruppi sociali, la borghesia imprenditoriale e il proletariato. I borghesi provenivano dal ceto dei ricchi mercanti o degli artigiani e formarono la nuova classe degli imprenditori; i proletari erano i lavoratori che non possedevano i mezzi di produzione, vendevano la propria forza-lavoro in cambio di un salario e che erano quindi totalmente dipendenti dal mercato e dalle sue regole.

    Le trasformazioni brevemente descritte furono all’origine di enormi conflitti sociali e politici. Se da un lato la ricchezza aumentava e spesso con essa miglioravano anche le condizioni di vita di molti uomini e donne, dall’altro aumentavano la povertà, la condizione di sfruttamento delle classi più povere, le disuguaglianze. I conflitti nelle città e nelle fabbriche divennero sempre più aspri, come per esempio attraverso la distruzione dei macchinari ad opera dei luddisti; insieme a queste modalità di protesta, iniziarono a sorgere associazioni, leghe, i primi sindacati che si battevano, in vario modo e ispirandosi a differenti dottrine, per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Le dottrine e le riflessioni politiche che iniziarono a diffondersi all’interno di questi nuclei di lavoratori associati erano quelle degli intellettuali socialisti, soprattutto francesi, i quali criticavano il capitalismo per le disuguaglianze e lo sfruttamento che esso inevitabilmente portava con sé, ma sottolineavano anche come la rivoluzione industriale produceva un benessere che, se esteso, avrebbe garantito migliori condizioni di vita per tutti gli uomini. Marx ed Engels definirono questi pensatori socialisti utopisti. Perché "utopisti"? Perché le loro dottrine presentano un difetto epistemologico: non analizzando in modo scientifico la nuova realtà capitalistica, il modo in cui si è formata, le relazioni tra le classi, le sue contraddizioni, l’unica cosa che possono fare è vagheggiare una società futura in cui siano banditi alienazione e sfruttamento. Ma come si dovrebbe arrivare a questa nuova società? E le resistenze del sistema come dovrebbero essere affrontate? Secondo Marx ed Engels a tutto ciò non veniva data alcuna risposta scientificamente fondata.

    Anche la teoria marxiana condannava la società borghese-capitalistica, ma in tutt’altro modo. Per Marx l’analisi scientifica della realtà presente era la condizione necessaria per realizzare la possibilità di trasformarla in senso rivoluzionario. Solo la comprensione scientifica delle leggi che regolavano il sistema capitalistico poteva rendere possibile il passaggio ad una società diversa. Dunque solo un’analisi teorica della struttura dell’economia capitalistica poteva tradursi in prassi rivoluzionaria. Per capire questo assunto dobbiamo ritornare al maestro di Marx, Hegel e al suo primo forte oppositore della cosiddetta sinistra hegeliana, Feuerbach.

    5. La critica di Marx al sistema hegeliano

    Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1844) Marx analizza il metodo hegeliano e, riprendendo Feuerbach, lo critica. Hegel ha fatto dell’Idea il vero soggetto della storia di cui la realtà è solo un prodotto, un predicato. Tale procedimento di inversione tra pensiero ed essere impedisce la vera comprensione della realtà, diventando questa una mera deduzione da principi assoluti ("misticismo logico"). La filosofia di Hegel interpreta quindi il mondo in modo rovesciato: è ideologia. Questa critica era già stata avanzata da Feuerbach secondo il quale Hegel aveva commesso il medesimo errore della teologia, ossia quello "di ridurre a predicati dell’infinito le determinazioni della realtà o del finito. Marx applica questa critica ad un ambito nuovo, quello della filosofia politica, ed evidenzia in modo maggiore rispetto a Feuerbach due aspetti: da un lato l’incapacità della filosofia hegeliana di indagare la realtà empirica, intesa come sviluppo dell’Idea (lo stato stesso è inteso come un’articolazione dello Spirito); dall’altro quello che viene definito empirismo acritico" ossia l’accettazione del finito così com’è in quanto sviluppo logico dell’Idea (e così la descrizione dell’essenza dello stato in realtà è la descrizione e la legittimazione dello stato prussiano).

    Nel testo di Marx non è però presente solo la condanna del metodo speculativo hegeliano: Marx evidenzia infatti che Hegel, ponendo al centro del suo metodo dialettico l’opposizione delle determinazioni, è riuscito a cogliere la caratteristica fondamentale della società borghese, ossia quella della separazione tra società civile e Stato. Tale separazione implica il fatto che, se nella sfera politica tutti gli uomini sono riconosciuti uguali, nella sfera economica e sociale tutti sono ineguali. La sfera politica è così separata da quella economica e questa separazione ricade sull’individuo che risulta scisso in se stesso: egli è, ad esempio, da un lato bourgeois in quanto portatore di interessi privati, e dall’altro citoyen in quanto membro di una comunità politica. Hegel ha dunque correttamente descritto questa separazione come opposizione, ma ha sbagliato nel credere di poterla superare da una parte in modo speculativo e dall’altra individuando le corporazioni (istituti ereditati dalla società feudale) e la burocrazia come classi universali e come strumenti per risolvere l’atomismo della società civile. I malati del diciannovesimo secolo non possono essere curati con le medicine usate nel quindicesimo secolo. Dunque la separazione descritta ha una ricaduta importante sull’individuo: questi risulta scisso in due opposte determinazioni che si negano reciprocamente in quanto "per comportarsi come reale cittadino dello Stato, e attingere significato e attività politici, è costretto a uscir fuori dalla sua realtà sociale, ad astrarsi da essa e in quanto idealista dello Stato esso è un tutt’altro ente, diverso dalla sua realtà, distinto, opposto ".

    Marx quindi accoglie da Hegel il principio dialettico, ossia la scissione e la contraddizione come motori della storia, ma non ne accetta la soluzione: la contraddizione non va sciolta nell’orizzonte del puro pensiero, perché così essa viene solo filosoficamente abolita; essa va invece calata nell’ambito empirico, lì analizzata e superata con un atto pratico, ossia rivoluzionando il mondo contraddittorio, e inumano, prodotto dagli stessi uomini: cioè rivoluzionando, e sopprimendo, la società borghese come realtà contraddittoria.

    Abbiamo detto che l’altro importante interlocutore di Marx è Feuerbach il quale fornì due fondamentali strumenti metodologici: la critica all’idealismo hegeliano che faceva del concreto (l’uomo reale, il finito) un attributo dell’astratto (lo Spirito), fornendo così un’immagine rovesciata delle cose (è necessario partire, invece, dalla realtà concreta e storica dell’uomo che è innanzitutto natura, corporeità, bisogno, sensibilità); e il concetto di alienazione (la rinuncia dell’uomo alla sua vera natura che viene proiettata in Dio). Marx utilizzò la filosofia di Feuerbach per risolvere i problemi sollevati dalla filosofia hegeliana. La filosofia speculativa non poteva risolvere l’alienazione; era necessario partire dall’individuo concreto, e non, come Hegel, dallo Spirito assoluto, una copia, sorta di fantasma del soggetto empirico. Feuerbach si rivolse perciò all’individuo sensibile sviluppando la propria filosofia materialistica come capovolgimento dell’hegelismo. Bisognava dunque cominciare con l’uomo, con il concreto, e solo così si poteva liberare l’individuo dall’alienazione dipendente dallo spostamento con il quale l’uomo poneva se stesso in qualcosa d’altro da sé senza riconoscere la radice umana di tale proiezione. Feuerbach parlava di alienazione religiosa, in quanto l’uomo poneva determinate qualità e aspirazioni a lui appartenenti –

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