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Un'Europa vaticana?: Dal piano Marshall ai Trattati di Roma
Un'Europa vaticana?: Dal piano Marshall ai Trattati di Roma
Un'Europa vaticana?: Dal piano Marshall ai Trattati di Roma
E-book537 pagine7 ore

Un'Europa vaticana?: Dal piano Marshall ai Trattati di Roma

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In un editoriale non firmato del 27 marzo 1957, «L’Osservatore Romano» parlava dell’«avvenimento politico più importante e più significativo della storia moderna della Città eterna». A sessant’anni di distanza dalla firma dei Trattati di Roma (25 marzo 1957), il presente volume indaga sul contributo della Santa Sede e degli ambienti cattolici (vescovi, preti, religiosi, movimenti e associazioni laicali, partiti di ispirazione democristiana) alla nascita delle prime istituzioni europee (Consiglio d’Europa, CECA, CED, CEE). L’Unione europea è stata vista per un lungo tempo come un “club cristiano”, quando non come una “impresa del Vaticano”. All’inizio degli anni Cinquanta il mito di un’“Europa vaticana” ha conosciuto una singolare fortuna. Nel suo Journal du septennat (1951), il presidente della Repubblica francese Vincent Auriol ricordava «la triplice alleanza, Adenauer, Schuman, De Gasperi, tre tonsure sotto lo stesso zucchetto». Se questo studio da un lato ridimensiona il ruolo svolto dai cattolici nella costruzione dell’Europa unita sul piano istituzionale tra il 1947 e il 1957, dall’altro tende a dimostrare l’apporto decisivo della Chiesa di Pio XII come forza transnazionale nella diffusione di un autentico “spirito europeo” dopo la seconda guerra mondiale. Di fronte al rischio di una frammentazione dell’Europa e del ritorno dei nazionalismi mortiferi della prima metà del secolo scorso, si fa sentire, viva ed urgente più che mai, la necessità di “reiventare l’Europa” ritornando al messaggio dei Padri Fondatori.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2017
ISBN9788838245602
Un'Europa vaticana?: Dal piano Marshall ai Trattati di Roma

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    Anteprima del libro

    Un'Europa vaticana? - Philippe Chenaux

    nomi

    Prefazione all'edizione italiana

    In un editoriale non firmato del 27 marzo 1957, «L’Osservatore Romano» parlava dell’«avvenimento politico più importante e più significativo della storia moderna della Città eterna». Sulla linea dei suoi predecessori, da Innocenzo XI, difensore della cristianità di fronte ai Turchi, proclamato beato l’anno precedente, a Benedetto XV, autore della famosa Nota ai capi dei popoli belligeranti del primo agosto 1917 (di cui si commemorava proprio in quell’anno il quarantesimo anniversario), Pio XII veniva presentato come il continuatore degli sforzi del papato a favore della solidarietà europea. Senza l’irraggiamento due volte millenario della Roma papale – proseguiva l’editorialista – l’Europa continentale non sarebbe oggi nient’altro «che geograficamente ed etnicamente la punta estrema-occidentale dell’Asia». A sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma (25 marzo 1957), ci è sembrato opportuno mettere a disposizione del pubblico italiano i risultati di questa ricerca di dottorato pubblicata a Bruxelles nell’ormai lontano 1990 e coronata dal Premio europeo universitario Coudenhove-Kalergi [1] . Due ordini di ragioni hanno motivato la nostra scelta. La prima, di ordine scientifico, è che l’opera è diventata un classico della storiografia sulla costruzione europea. Basata su un’ampia documentazione in gran parte inedita, essa indaga sul contributo della Santa Sede e degli ambienti cattolici (vescovi, preti, religiosi, movimenti e associazioni laicali, partiti di ispirazione democristiana) alla nascita delle prime istituzioni europee (Consiglio d’Europa, CECA, CED, CEE). L’Unione europea è stata vista per un lungo tempo come un club cristiano, se non come una impresa del Vaticano. All’inizio degli anni Cinquanta il mito di un’Europa vaticana ha conosciuto in Francia una singolare fortuna. Nel suo Journal du septennat (1951), il presidente della Repubblica francese Vincent Auriol ricordava «la triplice alleanza, Adenauer, Schuman, De Gasperi, tre tonsure sotto lo stesso zucchetto» [2] . Meno ironicamente altri cercarono di dimostrare, non senza un certo successo, che l’idea europeista non era che la reincarnazione dell’ideale del Sacro Romano Impero germanico. Se non si può negare l’efficacia storica del mito, quello di un’Europa tedesca («che sente allo stesso tempo l’aspersorio e l’altoforno», come disse un socialista francese nel 1954), occorre però interrogarsi sul suo fondamento reale. Se questo studio tende piuttosto a ridimensionare il ruolo svolto dai cattolici nella costruzione dell’Europa unita sul piano istituzionale tra il 1947 e il 1957, esso tende, invece, a dimostrare l’apporto decisivo del cattolicesimo come forza transnazionale nella nascita e nella diffusione di un autentico spirito europeo dopo il 1945. Le parole pronunciate dal presidente Alcide De Gasperi in un discorso tenuto a Strasburgo all’Assemblea del Consiglio d’Europa il 10 dicembre 1951, hanno una risonanza quasi profetica:

    Se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, si precisino e si animino in una sintesi superiore – noi rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale; potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva, quale appare in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero. In questo caso le nuove generazioni, prese dalla spinta più ardente del loro sangue e della loro terra, guarderebbero alla costruzione europea come ad un strumento di imbarazzo ed oppressione [3] .

    La seconda ragione, di ordine politico, ha a che fare con la situazione di crisi in cui si trova oggi l’Unione europea. Con il passare del tempo questo spirito europeo, basato sul rifiuto di nuove guerre sul Vecchio Continente, sull’apertura alla modernità politica e economica, e sul superamento dei nazionalismi, si è perso. Il sogno dei Padri Fondatori non si è realizzato. L’integrazione economica non è riuscita a far nascere un vero sentimento di appartenenza all’Unione europea. Secondo il presidente emerito dell’Istituto Jacques Delors, il francese Pascal Lamy, manca un ingrediente essenziale nella costruzione politica dell’Europa: la dimensione immaginaria, simbolica, culturale che cimenta le appartenenze [4] . La crisi dell’euro e dei migranti, seguita dall’esito positivo del referendum britannico in favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione (il cosiddetto Brexit), senza parlare delle recenti dichiarazioni ostili del neopresidente americano Donald Trump, hanno indebolito le basi dell’edificio comunitario europeo. La prospettiva, ancora impensabile dieci anni fa, di una possibile fine dell’avventura europea non sembra più un’ipotesi puramente teorica. L’onda di euroscetticismo che si è registrata nelle ultime consultazioni elettorali nella maggiore parte dei paesi dell’Unione traduce l’esistenza di un profondo malessere caratterizzato da una diffidenza crescente da parte delle popolazioni nei confronti delle élites tecnocratiche brussellesi. L’intervento della Commissione di Bruxelles nella vita quotidiana dei cittadini dell’Unione viene percepito sempre di più come un’intollerabile ingerenza, come un attentato alla sovranità nazionale, come una minaccia per l’identità dei popoli che la compongono. L’ideale di un’Europa sopranazionale fondata sulla riconciliazione tra i nemici di ieri ha ceduto il passo agli egoismi nazionali e regionali e al ripiegamento identitario. Il paradosso è che gli stessi cattolici, un tempo all’avanguardia del movimento per la costruzione europea, come dimostra questo volume, non sono oggi insensibili alle sirene del populismo xenofobo e antieuropeo. Di fronte al rischio di una frammentazione dell’Europa e del ritorno dei nazionalismi mortiferi della prima metà del secolo scorso, si fa sentire l’urgenza di reiventare l’Europa, ritornando al messaggio dei Padri Fondatori, come ci invitava a fare papa Francesco nel suo discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno (6 maggio 2016):

    Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni [5] .

    La riedizione di un testo scientifico, a distanza di anni dalla prima pubblicazione, non può non porre problemi di carattere metodologico. Bisognava aggiornare il suo contenuto tenendo conto dei progressi della ricerca storica in questo settore negli ultimi venticinque anni? Non era meglio, al contrario, lasciarlo come era partendo dall’idea che ogni libro è il prodotto del suo tempo e che rappresenta come una fotografia dello stato della ricerca nell’epoca in cui viene pubblicato? Valeva la pena mantenere il ricco, ma pesante, apparato critico degli allegati e di una bibliografia ormai incompleta? Dopo una riflessione, abbiamo deciso di lasciare al testo la sua freschezza originaria e di eliminare tutta l’appendice documentaria e la bibliografia finale per non appesantirne la lettura. Ci siamo limitati a segnalare, nelle note a piè di pagina, i contributi più significativi apparsi dal 1990. Ci è sembrato inoltre che la maggior parte delle conclusioni di questa indagine rimanga valida nell’attesa dell’apertura degli archivi del pontificato di Pio XII. Tengo a ringraziare la dott.ssa Marialuisa Sergio che ha curato con entusiasmo e grande competenza la traduzione del libro. La mia gratitudine va anche all’Istituto internazionale Jacques Maritain e al suo segretario generale, don Gennaro Curcio, che hanno subito accolto la mia proposta di traduzione e che hanno accettato di sostenere economicamente il progetto. Le Edizioni Studium, fondate dall’allora mons. Montini, uno dei gran protagonisti della storia raccontata in queste pagine redatte in grande parte a Roma e a Firenze nella seconda metà degli anni Ottanta, erano il luogo ideale per renderle accessibili al lettore italiano. Vorrei, infine, dedicare questa edizione italiana a due grandi maestri della storiografia cattolica del Novecento, ora scomparsi, che dall’inizio avevano accompagnato la mia ricerca dottorale e che mi hanno insegnato molto sia dal punto di vista umano che scientifico: il prof. Jean-Marie Mayeur (1933-2013) dell’Università di Parigi-Sorbonna, e il prof. Pietro Scoppola (1926-2007) dell’Università di Roma-La Sapienza.

    Philippe Chenaux

    Roma, gennaio 2017


    [1] Ph. Chenaux, Une Europe vaticane? Entre le Plan Marshall et les Traités de Rome, Bruxelles 1990. Non ho smesso da allora di riprendere e di approfondire questo tema a seconda degli inviti e delle sollecitazioni. Una raccolta di questi studi è apparsa sotto il titolo De la chrétienté à l’Europe. Les catholiques et l’idée européenne au XXème siècle (Tours 2007).

    [2] V. Auriol, Journal du septennat, V, Paris 1951, p. 463.

    [3] De Gasperi e l’Europa. Scritti e discorsi, a cura di M. R. Catti-De Gasperi, Roma 1979, pp. 119-120.

    [4] A. Leparmentier, Mais où sont les Européens ?, in «Le Monde», 5 gennaio 2017.

    [5] w2.vatican.va/.../francesco/.../papa-francesco_20160506_premio-carlo magno.

    Abbreviazioni e sigle

    AC Azione cattolica

    ACA Assemblée des cardinaux et archevêques

    ACDP Archiv Christlich Demokratische Partei

    ACJF Association catholique de la jeunesse française

    AMAE Archives du Ministère des Affaires étrangères (Paris/Nantes)

    ASMAE Archivio storico del Ministero degli Affari esteri italiano (Roma)

    BCI «Bullettin Catholique International»

    BDF Bund Deutscher Föderalisten

    BILD Bureau international de liaison et de documentation

    BIT Bureau international du travail

    BNS Bibliothèque nationale suisse

    CAE Centro di azione europea

    CC «La Civiltà Cattolica»

    CCIF Centre catholique des intellectuels français

    CCISS Conversazioni Cattoliche internazionali di San Sebastian

    CDU Christlich-Demokratische Union

    CEC Centre européen de la culture

    CECA Comunità europea del carbone e dell’acciaio

    CED Comunità europea di difesa

    CEDI Centro europeo di documentazione e d’informazione

    CEE Comunità economica europea

    CFTC Confédération française des travailleurs chrétiens

    CIDCC Comité international de défense de la civilisation chrétienne

    CIME Consiglio italiano del Movimento europeo

    CISC Confederazione internazionale dei sindacati cristiani

    COPECIAL Comitato permanente dei Congressi internazionali per

    l’Apostolato dei laici

    CICR Comitato internazionale della Croce rossa

    CPE Comunità politica europea

    CS «Cronache sociali»

    CSU Christlich-Soziale Union

    DC Democrazia cristiana

    DP Documents pontificaux de Sa Sainteté Pie XII

    DSMCI Dizionario storico del movimento cattolico in Italia

    EURATOM Comunità europea dell’energia atomica

    FDK Friedensbund deutscher Katholiken

    FEC Foyer de l’étudiant catholique

    FH «Frankfurter Hefte»

    FUCI Federazione universitaria cattolica italiana

    KADOC Katholiche Documentalic Centrum (Leuven)

    KVP Katholiek Volkspartij

    ICAS Istituto cattolico di attività sociale

    ICS Intellectuel chrétiens sociaux d’Alsace

    MEFRIM Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée

    MUE Movimento per l’Unità europea

    MFE Movimento federalista europeo

    MIIC Mouvement international des intellectuels catholiques

    MRP Mouvement républicain populaire

    MTCE Mouvement des travailleurs chrétiens pour l’Europe

    NATO North Atlantic Treaty Organization

    NEI Nouvelles équipes internationales

    OCIPE Office catholique d’information pour les problèmes européens

    ODCA Organizzazione democratica cristiana d’America

    OECE Organizzazione europea di cooperazione economica

    OeVP Österreichische Volkspartei

    OIC Organizzazioni internazionali cattoliche

    ONU Organizzazione delle Nazione unite

    OR «L’Osservatore Romano»

    PCI Partito comunista italiano

    PCUS Partito comunista dell’Unione sovietica

    PDP Parti démocrate populaire

    PCPS Partito conservatore popolare svizzero

    PPE Partito popolare europeo

    PSC Parti social-chrétien

    RI «Relations internationales»

    RM «Der Rheinischer Merkur»

    RPF Rassemblement du peuple français

    SdN Società delle Nazioni

    SIPDIC Secrétariat international des partis démocratiques

    d’inspiration chrétienne

    UCDEC Unione cristiana democratica d’Europa centrale

    UCEI Union catholiques d’études internationales

    UDE Unione democratica europea

    UDI Unione democratica internazionale

    UEDC Unione europea della democrazia cristiana

    UEF Unione europea dei federalisti

    UEO Unione dell’Europa occidentale

    UIJDC Unione internazionale dei giovani democristiani

    UNESCO United Nations Educational, Scientific and Cultural

    Organization

    UMDC Unione mondiale democratica cristiana

    UPE Unione parlamentare europea

    VfJ «Viertelsjahre für Zeitgeschichte»

    Introduzione

    Nel suo saggio Penser l’Europe (Parigi 1987) Edgar Morin può scrivere, a proposito della democrazia cristiana dopo il 1945, che «essa ritrova un po’ dello spirito transnazionale della Cristianità europea». E inoltre egli riconosce in Robert Schuman e Alcide De Gasperi i «santi predicatori» di una mistica che ebbe il merito di «fornire il materiale da costruzione ad alcuni econocrati e tecnocrati che diventeranno i costruttori di una comunità di produzione e di mercato» [1] . Singolare omaggio da parte di un uomo che, come tanti altri intellettuali della sua generazione, aveva combattuto ferocemente l’idea europea nel dopoguerra, assimilata volentieri all’oscurantismo e alla reazione. «Io vedevo nella vecchia Europa, egli confessa, il focolaio dell’imperialismo e del dominio piuttosto che quello della democrazia e della libertà» [2] . Se all’inizio riportiamo la testimonianza di questo ex antieuropeista estraneo all’universo cristiano, è perché essa illustra a suo modo le due visioni molto diverse di fronte alle quali viene a trovarsi lo storico che voglia misurare la portata dell’influenza cattolica nelle fasi iniziali della costruzione dell’Europa: da una parte quella dei Padri fondatori che tende a esaltare il ruolo di quel triumvirato di uomini di Stato cattolici quali furono Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer; dall’altra quella, altrettanto pregnante, che ebbe la sua fortuna negli anni Cinquanta, della Europa vaticana che denunciava l’esistenza di un complotto ordito dalla Santa Sede con la complicità dei partiti democratici cristiani al potere sul continente in vista di restaurare le basi di una cristianità temporale sul modello del Sacro Impero. Ma l’itinerario di Edgar Morin non manca neppure di presentare una certa analogia con la contiguità che la cultura cattolica ebbe per lungo tempo con il progetto di una federazione continentale. Da Kant a Mazzini, per non parlare del famoso discorso di Victor Hugo dinnanzi al congresso della Pace del settembre 1848 a Parigi, l’idea europea si carica progressivamente di un contenuto liberale e nazionalitario, dunque sovversivo perché mira a distruggere il vecchio ordine, il che la rende sospetta agli occhi di Roma. Nel XIX secolo, la lotta per gli Stati Uniti d’Europa diventa così appannaggio di coloro che, come Garibaldi, non smettono di scagliarsi contro il cesarismo papale. Così Pio IX si complimenterà calorosamente con mons. Mermillod, che egli aveva appena insediato come vescovo ausiliare a Ginevra, per l’azione di contropropaganda condotta in occasione del primo congresso internazionale della Pace e della Libertà tenuto nella città di Calvino dal 9 al 12 settembre 1867, in presenza delle voci più tonanti della «democrazia europea» con lo scopo, scriveva il pontefice, di «cospirare la rovina della potenza ecclesiastica e del potere civile» [3] . I sogni unificatori di un Napoleone III o di un Bismarck, ambedue persecutori della Chiesa, finirono col raffreddare i cattolici nei riguardi di un’idea che pure in origine era di loro appartenenza. Il ritorno in primo piano di questa idea negli anni Venti, grazie soprattutto agli sforzi del conte Coudenhove-Kalergi che vedeva nella Paneuropa (Vienna 1923) il solo mezzo di contenere il declino del vecchio continente, non suscita nessun entusiasmo. Poco indulgente, l’aristocratico friburghese Gonzague de Reynold, allora membro della Commissione di cooperazione culturale della Società delle Nazioni e, a questo titolo, principale protagonista degli sforzi tentati per associare il mondo cattolico ai lavori dell’istituzione ginevrina, si scagliava senza mezzi termini in L’Europe tragique (Parigi 1934) contro tale «falsa idea chiara» la cui «origine kantiana» gli sembrava evidente:

    L’Europa diventa una categoria, ein Stammbegriff des reinen Verstandes. L’imperativo che ne deriva è, per il buon europeo, di agire sempre in base a una massima tale che possa diventare una legge per tutta l’Europa, per tutto l’universo civilizzato [4] .

    Fatta propria dai liberali che la rivestono di tutti gli orpelli della Rivoluzione, l’idea d’Europa unita finisce a poco a poco con lo sparire dall’immaginario cattolico a vantaggio di un altro concetto-programma più capace di esprimere la sacralità di una terra e di una civiltà benedette su tutte, e pertanto la sua attitudine a rinascere sul modello di un passato che non si vuol credere tramontato, quello dell’Occidente. Il mito occidentalista inizia a sbocciare a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nella Germania bismarckiana dove molti autori, segnati dall’impronta romantica di un Novalis, oppongono all’egemonia prussiana la visione unitaria e decentralizzata della grande famiglia delle nazioni cristiane d’Occidente. Se la nostalgia del Reich medievale assume in alcuni autori come il vescovo di Magonza mons. Ketteler o il teorico federalista protestante Constantin Frantz un indiscutibile tono antiromano, tutti però amano esaltare la vocazione mediatrice della Germania, autentico perno dell’insieme da ricostruire al centro dell’Europa [5] . Alla fine della prima guerra mondiale, sotto l’influenza di autori come Oswald Spengler la cui opera Der Untergang des Abendlandes suscita una profonda eco nell’opinione tedesca, la tematica dell’Occidente conosce una fortuna letteraria e giornalistica senza precedenti. Da parte cattolica, la rivista «Abendland» (1925) lanciata e animata dal romanista Hermann Platz, professore all’Università di Bonn, cristallizza le tendenze che mirano a promuovere la riconciliazione tra la Francia e la Germania in nome di un ideale di civiltà sovranazionale organica ricalcato sul modello del Sacro Impero carolingio. Nella prima edizione della rivista, il filosofo Peter Wust poteva così presentare la restaurazione dell’unità spirituale dell’Occidente come l’unica strada di salvezza possibile per l’Europa scristianizzata dei Lumi [6] . Attraverso l’opera di Theodor Haecker Vergil, Vater des Abendlandes (Monaco 1931) [7] e gli scritti di Ernst-Robert Curtius [8] , l’eredità dell’umanesimo antico è apertamente rivendicata, e con essa tutta la tradizione romana del cattolicesimo. La nostalgia dell’Occidente medievale non è solo appannaggio dei pensatori cattolici d’Oltre Reno. Essa impregna anche tutta una corrente del cattolicesimo vicina a Charles Maurras e al suo movimento l’Action française. La «Revue universelle», animata da Henri Massis e dallo storico Jacques Bainville, intende reagire contro il pessimismo lucido di Paul Valéry, «profeta del nulla» che nella Crise de l’Esprit (1920) piangeva il crepuscolo della civiltà occidentale.

    Tradizione, cultura, genio, tutto ciò che abbiamo ricevuto in condivisione, rinuncerà a esercitare i suoi benefici? – chiedeva Massis – C’è un’unità morale dell’Europa da rifare, le condizioni di un linguaggio comune da ritrovare, la filosofia dell’ordine da diffondere, la nozione dell’uomo e di Dio da rendere manifesta nelle idee e nei costumi. Per restaurare questi grandi beni spirituali che sono perduti, la Francia è necessariamente la più adatta di tutte le nazioni [9] .

    Nella Défense de l’Occident pubblicato nel 1927, l’autore lanciava un vero e proprio grido d’allarme contro i pericoli (bolscevismo, germanismo, asiatismo) che minacciavano «la grande tradizione spirituale di cui siamo i depositari» e faceva appello alla «restaurazione integrale dei principi della civiltà greco-latina e del cattolicesimo» [10] . «L’Europa ritroverà il cammino della fede, o essa perirà. La fede è l’Europa. E l’Europa è la fede», avvertiva a sua volta lo scrittore cattolico inglese Hilaire Belloc agli inizi degli anni Venti [11] . Tante professioni di fede occidentaliste che un autore come Jacques Maritain, principale pensatore di questo ritorno verso «un nuovo Medioevo» come l’aveva definito secondo il suo punto di vista il filosofo russo ortodosso Nicolas Berdiaev, accoglierà con una certa distanza nel suo saggio sulla Primauté du Spirituel (Parigi, 1927) che segna la sua rottura con l’Action française:

    Sarebbe un errore mortale confondere la causa universale della Chiesa e la causa particolare di una civiltà, confondere per esempio latinismo e cattolicesimo o occidentalismo e cattolicesimo. Il cattolicesimo non è legato alla cultura occidentale. L’universalità non è circoscritta a una sola parte del mondo [12] .

    Se non poteva pretendere di essere l’unico depositario della fede cristiana, non per questo l’Occidente doveva venir meno alla sua missione particolare nei riguardi del suo glorioso passato. Gli era necessario perciò recuperare l’integrità della sua eredità spirituale e culturale mettendosi all’ascolto di colui che il nostro filosofo designava come «il grande ricostruttore intellettuale dell’Occidente», di un Occidente che comincia «sul Golgota», ossia san Tommaso d’Aquino [13] . La «nuova cristianità» che Maritain propone e di cui formulerà il programma nel suo libro-guida Humanisme intégral (Parigi 1936) non voleva essere più «limitata a una parte privilegiata della terra abitata» come nel Medioevo, ma aveva vocazione a «estendersi ora su tutta la superficie del globo» [14] . La riscoperta degli insegnamenti del Dottore Angelico, grazie a Maritain e a altri pensatori tomisti come Étienne Gilson, favorisce la fine dell’isolamento della coscienza cattolica e nutre la diffidenza della nuova generazione verso il postulato stesso di Europa cristiana.

    Europa, Occidente, Cristianità, è ora di chiederci come queste tre nozioni, con tutto il senso loro conferito dalla storia negli ultimi due secoli, funzionino dopo la seconda guerra mondiale quando le nazioni del continente cominciarono a far tacere le loro passate divisioni e a impegnarsi insieme sulla via dell’intesa comunitaria [15] . Il ruolo dei cattolici e del Vaticano agli inizi del processo d’unificazione europea non era mai stato oggetto di uno studio storico approfondito. Da buon conoscitore del cattolicesimo contemporaneo nei suoi rapporti con la società civile europea, lo storico Jean-Marie Mayeur aveva espresso l’auspicio, a conclusione di un primo colloquio su questo tema, di «un grande studio, che finora manca, sulle Chiese e i problemi europei» [16] . Il presente lavoro non ha certamente la pretesa di colmare questo vuoto, ma si propone umilmente di portare un suo contributo a una migliore conoscenza del ruolo della Chiesa cattolica agli inizi della costruzione dell’Europa. I progressi della conoscenza storica in questo campo, grazie alla collaborazione feconda che si è sviluppata tra gli specialisti della storia religiosa e quelli della storia delle relazioni internazionali, provano tutta l’attualità del nostro tentativo in rapporto agli orientamenti più recenti della ricerca. Per lungo tempo trascurato dagli storici, a dispetto dei lavori pioneristici di un Marcel Merle [17] , il ruolo del fattore religioso nelle relazioni internazionali ha dato luogo a una serie di ricerche – come la tesi del terzo ciclo ormai classico di Jean-Claude Delbreil su Les catholiques français et les tentatives de rapprochement franco-allemand (1920-1933) (Metz 1972) – che hanno finito per imporre a loro volta lo svolgimento di un primo colloquio su questo tema nel marzo 1981 a Grenoble sotto l’egida della rivista «Relations internationales» (autunno-inverno 1981). Tracciando un bilancio di questi lavori, lo storico Pierre Guillen poteva constatare che «ciò che caratterizza l’evoluzione recente, è che sempre di più le Chiese cercano di liberarsi da quei fardelli politici, imposti dai loro rapporti con gli Stati-Nazioni per affermare e tentare di far progredire nel mondo i principi di un internazionalismo cristiano», il quale non avrebbe più niente a che vedere con «gli aspetti tradizionali» (teologia della pace, funzione d’arbitro del papato, sviluppo delle missioni) della loro azione, ma si presenterebbe come lo sforzo di applicare «la morale cristiana nelle relazioni tra le nazioni» (giustizia internazionale, fraternità tra i popoli) [18] . Nello stesso tempo, l’École française di Roma s’impegnava a stimolare questa riflessione, sotto la guida di Philippe Levillain e Pierre Milza, organizzando una serie di colloqui dedicati allo studio dei rapporti tra Opinion publique et politique extérieure en Europe (I: 1870-1915, Roma 1981; II: 1915-1940, Roma 1984; III: 1945-1981, Roma 1985) e alle Internationales et le problème de la guerre au XXème siècle (Roma 1987). Per lo spazio accordato al fenomeno religioso (particolarmente nella sua espressione cattolica), questi importanti volumi offrono un quadro di solido riferimento alla problematica che intendiamo sviluppare in questo lavoro. Poiché la democratizzazione della vita internazionale non ha mancato d’incidere sulle modalità d’intervento delle Chiese stesse, soprattutto dopo il 1945: «oggi esse influenzano l’opinione [pubblica] mentre in passato esercitavano il potere», nota René Rémond [19] . Trattandosi della Chiesa cattolica, la ridefinizione degli obiettivi (internazionalismo cristiano) e il nuovo orientamento dei mezzi (educazione dell’opinione) a cui assistiamo dalla fine della guerra pone uno spinoso problema di metodo allo storico che voglia misurare l’ampiezza della sua influenza nel processo d’unificazione europea tra il 1947 e il 1957, poiché, come scrive Roger Aubert, «la nozione stessa di Chiesa cattolica è lungi dall’essere una nozione univoca» e richiede di «distinguere almeno cinque livelli», senza perdere di vista le possibili interferenze tra ciascuno di essi: la Santa Sede, gli episcopati, i religiosi, i teorici, i laici [20] .

    L’apertura progressiva degli archivi per il periodo del dopoguerra ha incoraggiato anche lo sviluppo di una duplice impresa collettiva transnazionale di grande portata tra gli storici d’Europa. Nel primo caso, si trattava di riflettere sul significato del concetto di potenza nella politica internazionale di quattro grandi Stati europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia) in tre periodi chiave del loro recente passato: gli anni di massima affermazione prima della guerra (colloquio di Sèvres, 1982) [21] , gli anni di crisi dell’immediato dopoguerra (colloquio di Augusta, 1984) [22] , gli anni Cinquanta segnati dal declino delle tradizioni nazionali e dall’emergere del quadro europeo (colloquio di Firenze, 1987) [23] . Il secondo progetto, non meno ambizioso, mirava a chiarire sulla base di studi puntuali d’archivio le diverse tappe della costruzione europea: gli inizi del processo con la campagna dei movimenti privati e la nascita del Consiglio d’Europa (colloquio di Strasburgo, 1984) [24] , il decollo dell’Europa comunitaria del piano Schuman e la querelle della CED (colloquio d’Aix-la-Chapelle, 1986) [25] , il rilancio e i Trattati di Roma (Roma 1987) [26] . Si aggiungeranno a questo ventaglio le due biografie monumentali di Konrad Adenauer (da parte di Hans-Peter Schwarz) [27] e di Robert Schuman (da parte di Raymond Poidevin) [28] , come pure molte tesi, accolte particolarmente bene, sul movimento europeo e i suoi principali protagonisti (Duncan Sandys e il Movimento europeo [29] , Richard Coudenhove-Kalergi e l’Unione parlamentare europea [30] , Denis de Rougemont e il Centro europeo della cultura [31] ).

    Dopo aver collocato il nostro tema nel suo quadro storiografico generale, è nostro compito ora tracciarne un profilo più incisivo, prima sotto l’aspetto della problematica, poi sul piano del metodo. Definire la problematica significa porre una serie di questioni di fondo che si possono raggruppare in tre grandi categorie, a seconda che esse riguardino il tema (il Vaticano e i cattolici), l’oggetto (l’unificazione europea) e il loro rapporto reciproco (problema dell’influenza). Una precisazione d’ordine generale innanzitutto: il nostro lavoro non ha come fine di studiare in una prospettiva comparatistica gli atteggiamenti di una frazione dell’opinione europea di fronte a un processo d’integrazione interstatale, ma piuttosto di circoscrivere i contorni, il posto e il ruolo di una forza transnazionale definita dalla sua appartenenza confessionale in questo stesso processo. Da qui una prima serie di interrogativi che riguardano la composizione di questa forza: presenta essa un aspetto omogeneo, oppure al contrario appare scissa in numerose reti concorrenti? Se sì, secondo quali tipi di divergenze: ideologica (nazionalismo / internazionalismo) [32] , generazionale (la vecchia guardia / la nuova élite) [33] , linguistica (Europa Latina / Europa germanica) [34] ? La seconda riguarda l’obiettivo stesso: quale Europa si tratta di promuovere? Quali saranno le sue frontiere (grande Europa/ Europa continentale /piccola Europa), la sua modalità di unione (coalizione/confederazione / federazione), la sua strategia tra i blocchi (atlantismo / terza forza / neutralismo) [35] , il suo rapporto con l’istituzione ecclesiale (cristianità sacrale / cristianità profana / regime di post-cristianità) [36] ? Non eluderemo infine la questione, centrale, dell’influenza del Vaticano e dei cattolici nell’organizzazione del continente, tenendo presente il fatto che il loro contributo, come osserva con molta precisione René Rémond, «non si è limitata solo allo sforzo della costruzione istituzionale», ma «si è espressa anche negli sforzi per riconciliare i popoli che si erano combattuti, e sviluppare la comprensione reciproca» [37] . Per quanto riguarda il modo di procedere, ci impegneremo a elencare e a esaminare minuziosamente tutte le iniziative di collaborazione internazionale di matrice cattolica finalizzate, direttamente o indirettamente, alla realizzazione dell’unione europea, sia che esse provengano dal Vaticano, dalla gerarchia, dagli ambienti intellettuali, politici o sindacali, sia che abbiano come oggetto l’attuazione di una riflessione comune, la promozione di un ideale sovranazionale o la difesa di interessi confessionali. Va da sé che non tralasceremo di prendere in considerazione i loro eventuali antecedenti o gli sviluppi a livello nazionale (soprattutto nei grandi paesi di tradizione cattolica come la Francia, l’Italia e la Germania occidentale) nella misura in cui essi si riveleranno utili alla comprensione dell’insieme. I limiti cronologici assegnati a questa ricerca – 1947-1957 – permettono di configurare un periodo omogeneo sia dal punto di vista della congiuntura generale (guerra fredda) sia da quello della storia della costruzione dell’Europa (prima tappa compresa tra il Piano Marshall e i Trattati di Roma) e della Chiesa cattolica stessa (seconda parte del pontificato di Pio XII).

    Un ultimo accenno alle fonti. Non potendo accedere al fondo centrale (gli Archivi segreti del Vaticano) abbiamo adottato una strategia per così dire periferica consistente nel raccogliere il massimo delle informazioni possibili e dei documenti disseminati in tutta Europa. Se gli archivi di Stato (francesi e italiani) non sono stati trascurati (per i rapporti con la Santa Sede), l’essenziale del corpus che abbiamo potuto ricostruire proviene da fondi privati (archivi di associazioni, di partiti, carteggi personali, ecc.) conservati il più delle volte presso istituzioni (Archives nationales di Parigi, Adenauer-Stiftung di Bonn, Istituto Paolo VI di Roma, Katholiek Documentatie Centrum di Lovanio e Nimega, ecc.). Mi è stato possibile anche attingere a fondi completamente inediti come gli archivi del Segretariato cattolico per i problemi europei depositati in una cantina a Strasburgo e ritrovati grazie al professor Jean Schlick, o ai famosi protocolli degli incontri di Ginevra (1948-1953) che Robert Bichet, ex ministro, ha messo a mia disposizione con una spontaneità e una generosità di cui gli sono infinitamente riconoscente. Oltre all’enorme documentazione pubblicata (atti, raccolte, corrispondenze, periodici ecc.), abbiamo avuto cura d’incontrare o di contattare il maggior numero di attori sopravvissuti di questo periodo la cui testimonianza, anche se non sempre ha risposto all’attesa, ha tuttavia permesso di completare utilmente su alcuni punti le informazioni della documentazione scritta e di confermare questa o quella interpretazione. Tengo a esprimere a tutti, senza distinzione, la mia gratitudine alla fine di questa lunga avventura.

    [1] E. Morin, Penser l’Europe, Parigi 1987, pp. 138-139.

    [2] Ibid. , p. 9.

    [3] Estratto della lettera del 2 ottobre 1867, citato da M. Sarfatti, La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès international de la paix di Ginevra nel 1867 , Milano 1981, p. 93, n. 154.

    [4] G. de Reynold, L’Europe tragique , Parigi 1934, p. 397.

    [5] Vedere a questo proposito la tesi di J. Nurdin, L’idée d’Europe dans la pensée allemande à l’époque bismarckienne , Lille-Parigi 1978.

    [6] Per un panorama d’insieme, l’articolo di H. Huerten, Der Topos vom christlichen Abendland in Literatur und Publizistik nach den beiden Weltkriegen , in Katholizismus, nationaler Gedanke und Europa seit 1800 , hrsg. von Albrecht Langner, Padeborn-Monaco- Vienna-Zurigo 1985, pp. 131 ss.

    [7] L’opera apparirà in traduzione francese nella collana «Le Roseau d’Or» diretta da Maritain.

    [8] A. Gisselbrecht, Portrait d’un médiateur culturel: Ernst Robert Curtius , in «Allemagnes d’aujourd’hui», nr. 105, luglio-settembre 1988, pp. 122-143.

    [9] Citato da M. Toda, Henri Massis . Un témoin de la droite intellectuelle , Parigi 1987, p. 258.

    [10] Ibid. , p. 265.

    [11] H. Belloc, Europe and the Faith , Londra 1920.

    [12] J. et R. Maritain, Œuvres complètes , vol. III: 1924-1929, Friburgo-Parigi 1984, p. 879. In aggiunta, l’articolo di J. Prevotat, À propos de Défense de l’Occident (1927). Deux lettres de Jacques Maritain , in L’histoire des croyants, mémoire vivante des hommes. Mélanges Charles Molette , Abbeville 1989, pp. 769-787.

    [13] Conferenza tenuta durante il congresso della Federazione cattolica degli intellettuali tedeschi a Costanza nell’agosto 1928 sul tema L’Église catholique et l’unité de l’Occident e ripresa sotto forma di capitolo in Le Docteur angélique pubblicato l’anno seguente ( ibid. , vol. IV: 1929-1932, p. 77).

    [14] Ibid. , p. 93.

    [15] Cfr. Ph. Chenaux, Occidente, cristianità, Europa , in Il fattore religioso nell’integrazione europea , a cura di A. Canavero, J.-D. Durand, Milano 1999, pp. 41-53.

    [16] J.-M. Mayeur, Conclusion , in A. Beckmann (e altri), Wahlen zum Europäischen Parlament, Stellungnahmen der Kirchen und der Christen . Positions des Église s et des chrétiens lors des premières élections directes au Parlement européen , Kehl am Rhein-Strasbourg 1982, p. 92. Nella sua opera-guida sulla democrazia cristiana, l’autore constata che il ruolo di queste formazioni nella costruzione europea «non è stato ancora oggetto di nessun studio critico» (Id., Des Partis catholiques à la Démocratie chrétiennne XIXe-XXe siècles , Parigi 1980, p. 228). Questa constatazione e questo auspicio sono condivisi da M. Dumoulin, La Belgique et les débuts de la construction européenne: zones d’ombre et de lumière , in La Belgique et les débuts de la construction européenne. De la guerre aux traités de Rome , Etudes réunies par Michel Dumoulin, Louvain-la-Neuve 1987, p. 19.

    [17] M. Merle, Ch. de Montclos, L’Église catholique et les relations internationales , Parigi 1988. Pubblicato a cura dello stesso Merle, l’opera-riferimento: Les Églises chrétiennes et la décolonisation , Parigi 1967, e quello, antecedente, della sua collaboratrice, Le Saint-Siège et les nationalismes en Europe , Parigi 1962.

    [18] P. Guilen, Introduction , in «Relations internationales», n. 27, autunno 1981, p. 274.

    [19] R. Remond, Les Églises, l’opinion publique et la politique extérieure (1945-1981) , in Opinion publique et politique extérieure en Europe, III: 1945-1981 , Roma 1985, p. 283.

    [20] R. Aubert, L’Église catholique et le problème de la guerre. Bilan des travaux et état des problèmes , in Les Internationales et le problème de la guerre au XXème siècle , Roma 1987, pp. 107-122.

    [21] La puissance en Europe 1938-1940 , a cura di R. Girault et R. Frank, Paris 1984.

    [22] I rapporti di sintesi sono raccolti nel volume di J. Becker, F. Knipping (eds.), Power in Europe? Great Britain, France, Italy and Germany in a postwar world 1945-1950 , Berlino-New York 1986. Le diverse comunicazioni hanno dato luogo a una pubblicazione a livello nazionale: AA.VV., La crise de la puissance française 1944-1948 , Parigi 1986 (con un contributo di D. Zeraffa sulla posizione del M.R.P.); J. Becker, F. Knipping (hrsg. von), Im Schatten der Ohnmacht. Machtbewusstsein im Nachkriegsdeutschland 1945-1949 , Padeborn 1986 (con contributi di G. Niedhart sulla percezione di Adenauer e di K. J. Muller sulle «Frankfurter Hefte»); E. Di Nolfo, R.H. Rainero, B. Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945-1950) , Milano 1988 (con contributi di C. Meneguzzi-Rostogni sulla Santa Sede, E. Vezzosi sulla sinistra d.c., L. Manetti su «La Civiltà Cattolica»).

    [23] Una delle sessioni del colloquio, al quale abbiamo assistito, verteva sulle «Istituzioni, partiti, problemi politici, europeismo», con diversi interventi riguardanti la posizione della Santa Sede e dei cattolici nei paesi interessati.

    [24] Histoire des débuts de la construction européenne (mars 1948-mai 1950). Origins of the European Integration (March 1948-May 1950) , Ed. R Poidevin, Bruxelles/Baden-Baden/Parigi/Milano 1986.

    [25] Die Anfänge des Schuman-Plans 1950/1951. The Beginnings oft he Schuman-Plan. Beiträge des Kolloquiums in Aachen , 28-30. Mai 1986, hrsg. von Klaus Schwabe, Baden-Baden 1988.

    [26] La Relance européenne et les traités de Rome. Actes du colloque de Rome , 25-28 marzo 1987, a cura di E. Serra, Bruxelles/Baden-Baden/Parigi/Milano 1989. Il colloquio che coincideva con il trentesimo anniversario dei trattati, si è rivelato particolarmente fecondo e, a momenti, anche esplosivo per la presenza di testimoni (uomini politici, diplomatici, esperti) la cui percezione non sempre coincideva esattamente con le analisi degli storici.

    [27] H.-P. Schwarz, Adenauer. Der Aufstieg: 1876-1952 , Stuttgart 1986.

    [28] R. Poidevin, Robert Schuman, homme d’Etat 1886-1963 , Paris 1986.

    [29] A. Hick, The European Movement and the Campaign for a European Assembly 1947-1950 , Istituto europeo di Firenze, 1981.

    [30] M. Posselt, Richard Coudenhove-Kalergi und die Europäische Parlamentarier-Union. Die Parlamentarische Bewegung für eine „Europäische Konstituante" (1946-1952) , Università di Graz, 1987.

    [31] M.J. Derring, Desperate Efforts. Denis de Rougemont and the foundations of European Unity 1946-1950 , Università di Ginevra, 1988.

    [32] Un bilancio della questione da V. Conzemius, Églises et nationalismes en Europe au XIXe et XXe siècles , in L’Europa: fondamenti, formazione e realtà. Studi di storia moderna e contemporanea , Roma 1984, pp. 269-314.

    [33] La problematica del rinnovamento delle élites dopo la guerra è stata affrontata durante il colloquio su Le élites in Francia e in Italia negli anni quaranta , in «Italia contemporanea», 153/1983//MEFR, 1983-2.

    [34] Sull’importanza di questa divergenza, tra le due guerre, si veda l’articolo di J. Gadille, Conscience internationale et conscience sociale dans les milieux catholiques d’expression française dans l’entre-deux-guerres , in «Relations internaitonales», nr. 27, autunno 1981, pp. 361-374.

    [35] L’idea di terza forza è molto pregnante nel discorso occidentalista tedesco dopo il 1945, come dimostra lo studio già citato di H. Huerten, op. cit ., pp. 145 ss.

    [36] Sul dibattito di idee nel mondo cattolico cfr. l’utile ricerca di D. Menozzi, L’Église et l’histoire. Une dimension de la chrétienté de Léon XIII à Vatican II , in La chrétienté en débat , Parigi 1984, pp. 45-75.

    [37] R. Remond, op. cit ., p. 291. Dello stesso autore si leggeranno anche con profitto le considerazioni di metodo contenute nell’articolo: Id., L’histoire religieuse de la France au XXème siècle , in «Vingtième siècle. Revue d’histoire», gennaio-marzo 1988, pp. 93-107.

    1. L'Europa vista da Roma

    Le antologie pubblicate di alcuni documenti pontifici sul tema dell’Europa unita dimostrano con quanta tenacia (più di quaranta discorsi) e con quanto zelo Pio XII non abbia mai smesso, durante tutto il suo pontificato, d’incoraggiare i popoli del vecchio continente a progredire sempre più sulla strada dell’unione e della solidarietà [1] . Considerate nel contesto bipolare della guerra fredda, le sue posizioni a favore di una maggiore unità tra i paesi dell’Europa occidentale erano dettate soltanto dalla preoccupazione d’opporre un valido baluardo alle mire dell’espansionismo sovietico? Oppure facevano parte di un disegno più ampio rivolto a promuovere l’avvento di una vera e propria comunità internazionale conforme ai principi della morale cristiana? Semplice tattica anticomunista o strategia di autentica pace? È proprio questo, in sostanza, il dilemma d’interpretazione che queste pagine iniziali pongono.

    L’EUROPA NELL'INSEGNAMENTO DI PIO XII

    Fino al 1948, Pio XII richiama soltanto in linea di massima i problemi europei e si limita a lanciare un appello, di fronte alla minaccia bolscevica, per la ricostruzione dell’Europa secondo l’ispirazione cristiana. I suoi radiomessaggi durante la guerra indicano, tuttavia, le linee di un progetto per il vecchio continente che definisca, da un lato, i principi morali e giuridici di un ordine internazionale di pace e che esalti, dall’altro, la vocazione civilizzatrice dell’Europa cristiana.

    I presupposti di un nuovo ordine internazionale

    Eletto papa alla vigilia della guerra, Pio XII deplorava, nella sua prima enciclica Summi Pontificatus del 20 ottobre 1939, «i mali del momento presente» e ricordava che essi hanno la loro radice profonda nella «negazione e il rigetto di una regola di moralità universale, sia nella vita individuale che nella vita sociale e nelle relazioni internazionali».

    Ora – egli proseguiva – la negazione della base fondamentale della moralità ebbe in Europa la sua radice originaria nell’abbandono di Cristo, del quale la Cattedra di Pietro è depositaria e sposa. Tale dottrina, un tempo, aveva dato una coesione spirituale all’Europa, la quale, educata, nobilitata e civilizzata dalla Croce, era giunta a un tale grado di progresso civile da essere d’insegnamento per gli altri popoli e per gli altri continenti [2] .

    Questo testo è fondamentale in quanto enunciava in maniera concisa e, per così dire, programmatica tre idee predominanti del magistero pacelliano: la regalità sociale di Cristo, la preminenza morale e dottrinale della Sede apostolica, la missione civilizzatrice dell’Europa cristiana. Fin dai primi mesi di guerra, il papa si sforzò di stabilire, nei suoi messaggi radiofonici di Natale, ciò che un commentatore attento dell’epoca ha definito «i presupposti di un ordine internazionale» [3] . L’insegnamento professato trovava il suo presupposto nel riconoscimento di una comunanza d’origine, di natura e di finalità, di tutti gli uomini. Dal momento che le nazioni – questi raggruppamenti di individui

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