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Pensieri scompigliati scapigliati arruffati
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Pensieri scompigliati scapigliati arruffati
E-book145 pagine1 ora

Pensieri scompigliati scapigliati arruffati

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Info su questo ebook

Questo libro è stato ispirato da riflessioni ed osservazioni
della realtà che ci circonda, maturate nell’arco di una
decina d’anni. Esse sono state raccolte man mano,
diventando così numerose da giustificarne la
pubblicazione in un libro.Gli spunti di questo testo sono a
volte attinenti alla vita privata dell’Autore o, più spesso,
sono deri-vati da fatti di cronaca o di costume, con
l’intento di coglierne gli aspetti salienti con disincanto ed
un po’ di pungente ironia.Per conferire un tono semiserio
al contenuto del testo, alcuni scritti si pongono importanti
domande esistenziali o si propongono di svolgere
un’azione di informazione divulgativa. Il tutto senza
pretese e con interpretazione libera e personale
dell’Autore.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2021
ISBN9788863586879
Pensieri scompigliati scapigliati arruffati

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    Anteprima del libro

    Pensieri scompigliati scapigliati arruffati - Paolo Ferrando

    Prefazione

    Voi non ci crederete, ma è un morto che vi scrive.

    Nel 1987, stavo seduto alla scrivania nel mio ufficio, quando entrò la segretaria annunciandomi l’imminente telefonata di un mio caro amico di sport e di studio.

    Egli mi mise al corrente del fatto che su una rivista sportiva mensile veniva comunicata la triste notizia della mia dipartita, corredata dall’immancabile coccodrillo. Preso atto che non stava comunicando con il classico morto che parla, si congedò con sollievo.

    Mi misi subito in contatto con la Redazione della rivista e un allibito e costernato Direttore mi assicurò che avrebbe pubblicato la smentita nel numero seguente. Cosa che avvenne puntualmente.

    Ma la storia non finisce qui: entrando in Internet, alla voce dell’infallibile Wikipedia, ancora oggi, accanto al mio nome e cognome, compare la mia data di morte: 1987.

    Ogni tentativo di richiesta di correzione da me effettuato si è rivelato vano. Non mi sono però rassegnato all’idea di comparire come defunto agli occhi di tutti coloro che mi hanno conosciuto da giovane e che ho perso di vista.

    Anche per questo motivo ho deciso di scrivere questo libro: per provare, a me stesso e a loro, che sono ancora vivo.

    GIOCHI DI POTERE

    Il Capo

    La prima volta che lo vidi non avevo ancora compiuto i cinque anni.

    La portinaia aveva convinto mia madre a lasciarmi andare a giocare con suo nipote, mio coetaneo, dietro al deposito, uno spiazzo di fronte al deposito dei tram, proprio dietro al portone di casa.

    In realtà, si poteva accedere a questo spiazzo anche dal secondo portone del palazzo in cui vivevo, che si apriva dalla parte opposta; quindi a poche decine di metri da casa mia esisteva un nuovo mondo per me sconosciuto, uno spiazzo con tanti bambini che giocavano praticamente sulla strada.

    Era appena finita la seconda guerra mondiale ed in tutti c’era una grande voglia di rinascita e molta fiducia nel prossimo, con la coscienza che qualsiasi cosa fosse avvenuta in futuro sarebbe stata meglio degli orrori della guerra.

    Stavo quindi avvicinandomi a questo nuovo mondo, un po’ con timore ed un po’ con la curiosità di un bimbo che fino ad allora era uscito di casa solo con i genitori, quando vidi un gruppo di miei coetanei, uno dei quali menava pugni a destra ed a manca. Il mio accompagnatore, ammirato, fece un commento che ricordo ancora adesso: Italo picchia sodo.

    Per i successivi cinque anni, finché non venne il tempo di frequentare la scuola media nel centro città, lo spiazzo dietro al deposito divenne il mio luogo abituale di giochi, e Italo il mio riferimento ed il capo incontrastato.

    Oltre ad usare i pugni con una certa disinvoltura – una volta colpì anche me senza che io osassi reagire – era dotato di carisma naturale e, sebbene fosse solo di un anno più vecchio di me, sembrava avesse già sperimentato molte cose nella vita; tutte doti che, nelle debite proporzioni, caratterizzano da sempre la figura di un boss della malavita.

    Era lui che decideva quale gioco dovessimo fare, e la scelta era varia e fantasiosa: calcio e figurine; il giro d’Italia fatto con i tappini metallici delle bibite – i quali dovevano rimanere all’interno di una pista disegnata col gesso sul terreno. E ancora guardie e ladri, battaglie con cerbottane armate di freccine di carta; biglie – una specie di minigolf fatto con le dita, che spingevano le biglie sul terriccio allo scopo di raggiungere una buca con il minor numero di colpi possibile. Infine la lippa: un misto di cricket e baseball fatto con un pezzettino di legno intagliato, in modo da ottenere un gioco sulle punte che consentivano di colpirlo con una specie di mazza una seconda volta mentre era in volo. Quest’ultimo gioco era pericolosissimo, non solo per gli occhi dei giocatori e degli spettatori, ma soprattutto per i vetri delle finestre del palazzo.

    Era Italo che parlamentava con i capi delle bande rivali ed in special modo con i temutissimi vicini Boccadassini: ragazzini del rione di Boccadasse, splendida baia naturale sul mare, covo di pescatori e soprattutto di contrabbandieri di sigarette. Naturalmente, i loro figli erano alquanto selvatici e tutti noi ne temevamo, peraltro senza un preciso motivo, l’aggressività.

    Per la cronaca, oggi Boccadasse è un notissimo sito turistico, pieno di ristoranti costosissimi e con le vecchie case dei pescatori, ristrutturate, in vendita ad almeno 10.000 euro al metro quadrato.

    * * *

    C’è da notare che, nel corso di questi cinque anni, io conducevo una doppia vita: mentre al pomeriggio trascorrevo quattro o cinque ore esercitandomi assiduamente con i suddetti giochi da strada, al mattino frequentavo le scuole elementari private delle Suore Immacolatine dove, oltre ad insegnarci le prime nozioni scolastiche, le suorine ci obbligavano a sentir messa ed a pregare tutti i giorni.

    Ritengo che questa alternanza alla Dottor Jekyll e Mister Hyde abbia giovato alla formazione del mio carattere di fanciullo e forse, in seguito, anche di adulto.

    Italo era il primo in tutto: correva più veloce, giocava meglio al pallone, nuotava meglio, si tuffava pericolosamente dagli scogli nei fondali meno profondi, sapeva come nascono i bambini, e che cosa facevano mamma e papà durante la notte. In seguito, venni a sapere anche il motivo di queste ultime conoscenze. Purtroppo, dormiva in uno scantinato insieme ai genitori ed a due fratelli maggiori, e le camere da letto erano costituite da lenzuola e coperte appese a fili che coprivano la vista di ciò che avveniva accanto.

    A tal proposito, quando si avvicinò ai dieci anni di età, Italo fu il primo a fare conquiste femminili, di cui menava un gran vanto, come sempre succede tra uomini di tutte le età; naturalmente, alle ragazzine non pareva vero di poter recitare il ruolo della donna del boss.

    Italo aveva sempre il controllo della situazione ed interveniva, talvolta come paciere, talaltra come giudice, nelle piccole dispute tra i componenti della banda, i quali accettavano quasi sempre il suo giudizio. Era anche un buon motivatore: ci infondeva coraggio prima delle partite di pallone importanti contro le bande rivali e ci consolava in seguito alle numerose sconfitte.

    Ovviamente, durante tali scontri, pieni di ammucchiate dietro al pallone e di immancabili calci negli stinchi, lui ed il suo corrispondente avversario facevano da arbitri ed inspiegabilmente andavano sempre d’accordo nei loro giudizi; evidentemente, non si facevano la guerra poiché, per non perdere autorità, un capo non deve mai venire contraddetto pubblicamente.

    Allestiva spettacoli circensi facendo saltare gatti all’altezza dei bocconcini di carne che teneva in mano, facendo qualche finta, in modo che il gatto se li dovesse guadagnare, dando un po’ di spettacolo di agilità. La carne consisteva negli avanzi che il macellaio della zona gli regalava invece di buttarli nell’immondizia, e Italo pretendeva cinque lire da ogni spettatore per l’approvvigionamento della materia prima.

    Non so come noi non ci ribellassimo a queste piccole imposizioni, ma lui ce le proponeva senza prepotenza e noi le accettavamo di buon grado. Italo quindi, tra le altre doti, aveva anche quella di buon imprenditore.

    Penso che i due fratelli maggiori cercassero di trarre qualche vantaggio dalla posizione di leadership del fratello minore all’interno del nostro gruppo, anche perché io ero il proprietario dell’unico football disponibile in zona. Un giorno, il fratello più vecchio, che apparteneva ad un’altra compagnia più adulta, forse per rimarcare maggiormente il primato su di noi del minore, indisse un vero e proprio campionato di lotta.

    Le iscrizioni erano aperte a tutta la decina di componenti la banda, in cui io ero di uno o due anni il più giovane ma, particolare non secondario, sovrastavo già allora tutti in altezza.

    La lotta non doveva essere cruenta e non prevedeva pugni. Arrivammo in finale Italo ed io e, con un’ancata che mi riusciva molto naturale data la maggiore altezza, atterrai il capo, tra la meraviglia di tutti ed il grande disappunto del fratello maggiore.

    Mi resi conto allora che forse il mio destino non prevedeva, sia nella vita normale, sia in quella professionale, che facessi il capo, ma l’anti-capo, cioè un’alternativa alle figure dominanti, sia naturalmente che istituzionalmente.

    Poiché avevo iniziato la carriera scolastica frequentando una scuola privata, ero esattamente un anno avanti; per tale motivo sono stato, fino agli anni dell’università, sempre il più giovane nelle varie classi, ambienti e gruppi che frequentavo, tanto da meritarmi, nonostante i miei 1,96 metri d’altezza, il soprannome giocoso di Paolino.

    Successe poi che al momento di iniziare la quinta elementare a nove anni, insieme a qualche

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