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Finalmente parlano di calcio
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E-book139 pagine1 ora

Finalmente parlano di calcio

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Da Italiagermaniaquattroatre a la mano de Dios, dai Campioni di Spagna all’arbitro Moreno, da “il cielo è azzurro sopra Berlino” all’apocalittica assenza italiana nel 2018 e, purtroppo, nel mondiale che verrà.
Conosceremo i campioni, i più iconici calciatori dell’ultimo secolo: da Pelè a George Best, da Maradona a Ronaldo, da Messi a Zidane, da Gascoigne a Zlatan Ibrahimovic.
Finalmente parlano di calcio è un manuale leggero, divertente, a tratti politicamente scorretto, scritto soprattutto per le donne che, come la protagonista, faticano a intervenire in una conversazione sul calcio, a cui mancano le “basi”, e che hanno deciso di porre fine ai lunghi silenzi a cui si costringono quando l’argomento diventa il pallone.
Ma anche agli uomini; ai più giovani che non hanno vissuto le “notti magiche” di Totò Schillaci, o a chi oggi ha qualche capello grigio e tratterrà una lacrima ripensando al rigore di Baggio in America…

Stefano Bosio è nato nel 1975 a Verona, città in cui è cresciuto insieme alla mamma Emanuela, al papà Renato e al fratello minore Andrea. Tecnico installatore di impianti di sicurezza elettronica, ora vive nel paese di Bussolengo (VR) con la sua compagna e futura moglie Elisabetta, con la quale ha adottato dal canile due splendidi meticci. Sin da piccolo, anche grazie al padre, da sempre tifoso dell’Hellas Verona, si è appassionato al calcio, seguendo con trasporto e senso di appartenenza le avventure del club gialloblù. Ama occupare il suo tempo libero dedicandosi a letture su storia e calcio, di cui discute con gli amici davanti a una buona birra.
LinguaItaliano
Data di uscita4 set 2022
ISBN9788830669840
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    Anteprima del libro

    Finalmente parlano di calcio - Stefano Bosio

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1: Antefatto

    Sabato sera, ore 19 circa. Mi sto preparando per uscire: una semplice pizzetta con i soliti amici. Non facciamo più le ore piccole a ballare, a far casino, giri inutili pur di vivere la notte; abbiamo lasciato questo compito alla prossima generazione.

    Ho quasi finito di truccarmi, quando mi suona il telefonino. Un messaggio. Controllo subito: è la mia migliore amica, non si sente bene e stasera non ci sarà. È molto dispiaciuta di avvisarmi solo ora, ma ha una nausea improvvisa. Caspita, non verrà e io sarò sola con tre uomini. Penso: Oramai sono pronta, ho voglia di uscire, li conosco da una vita ed eviteranno di parlare di cose che mi taglierebbero fuori dalla conversazione. Tipo il calcio. Poco male… Vado.

    Normalmente, nelle nostre uscite il numero di uomini e donne è più o meno lo stesso, quindi ci sono argomenti di discussione che coinvolgono tutti, come cronaca, attualità, politica, musica, cinema… Altri argomenti, tipo lo sport, il calcio in particolare, oppure il gossip o lo shopping, dividono il gruppetto in due fazioni, di solito per pochi minuti. Vado senza timore.

    Aperitivo veloce e via al ristorante. La cena scorre tranquilla, gli argomenti sono i soliti, soprattutto politica e attualità ma, a un certo punto, scende il silenzio. Sono attimi di nulla, che capitano tra un argomento e un altro, si aspetta solo che qualcuno dia il via al prossimo. I secondi passano e nessuno dice nulla. E, all’improvviso: «Tra poco iniziano gli europei di calcio, secondo me abbiamo una seria probabilità di arrivare in finale». Ecco il calcio. Sapevo non sarebbe mancato del tutto. Ma il campionato è finito, ne sono certa, e per quanto tempo possono parlare di nazionale?

    I maschietti sono ringalluzziti e discutono animatamente. Io ne approfitto per controllare il cellulare mentre ascolto senza interesse. Passano alcuni minuti, sto guardando gli ultimi post di Facebook e li sento parlare della mano de Dios. Più volte li sento nominare la mano de Dios. Mentre non capisco perché stiano parlando in spagnolo, senza alzare lo sguardo dal cellulare, chiedo: «Ma cosa sarebbe questa mano de Dios?». Di nuovo cala il silenzio. A differenza di prima, però, tutti e tre mi stanno fissando. Mi sento osservata, realizzo che è la mia domanda ad aver causato il silenzio. Alzo gli occhi e mi stanno guardando come se fossi Francesca Cipriani che, davanti a un ritratto di Dante Alighieri, ha esclamato: «Chi è? Un cartone animato?».

    Uno dei tre inizia a raccontarmi una storia. Una storia di guerra tra Argentina e Inghilterra, per le isole Falkland: pezzi di terra nel mezzo dell’oceano Atlantico di fronte alla parte sud dello stato sudamericano.

    Sembra che, nei primi anni ’80, il governo argentino decise di occupare militarmente le isole, ufficialmente territorio inglese. Il primo ministro del regno, la lady di ferro Margaret Thatcher, rispose con l’invio di navi da guerra, sottomarini nucleari, aerei e truppe. In poche settimane le isole tornarono di dominio inglese. La perfida Albione aveva vinto, gli argentini avevano perso. Troppa la differenza di potenza tra i due eserciti.

    Pochi anni dopo, durante i mondiali di calcio, le due nazioni sono di nuovo una di fronte all’altra. Questa volta 11 contro 11 e se dalla tua gioca un certo Diego Armando Maradona, tutto può succedere.

    In quella partita, il pibe de oro ha dentro di sé l’orgoglio e la voglia di riscatto di tutto un popolo. Sconfigge gli inglesi, quelli che il calcio l’hanno inventato, segnando due gol che passeranno alla storia. Uno dribblando tutti, anche il portiere, siglando la rete probabilmente più bella di sempre; l’altro con un’astuzia degna di Diabolik: salta su un pallone spiovente e non arrivandoci con la testa colpisce la palla con la mano, il pallone va in rete, l’arbitro non vede, l’Argentina vince, gli inglesi perdono, il popolo è in delirio, vendetta ottenuta, grazie a Maradona con un aiutino dall’Alto, come dichiarò lui stesso. Da qui la mano de Dios.

    Sono sconvolta. Non da questa storia, ma dal fatto che io non avessi nemmeno idea che negli anni ’80 ci fosse stata questa guerra e questo buzzurro con la terza media, tutto orgoglioso, mi fa un pippone storico/sociale solo perché l’argomento di fondo è il calcio. E in quello ha un master.

    Senza volerlo, ho creato la situazione ideale per i miei maschietti: raccontare aneddoti che riguardano il calcio a me che non ne so nulla.

    Scopro che durante la Prima guerra mondiale, sul

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