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Pesi e Contrappesi
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E-book210 pagine2 ore

Pesi e Contrappesi

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Info su questo ebook

Come sempre capita, quando si leggono storie ispirate a fatti realmente accaduti, ci sarà chi andrà a riconoscere con immediatezza contesti a lui noti e magari rivedere anche circostante vissute assai simili; ma ci sarà anche chi cercherà comunque di immaginare le istituzioni e i luoghi a cui si allude, nel tentativo di individuare talune delle figure descritte e che fanno parte della narrazione.

Questo è uno degli aspetti più belli della letteratura "verista" che, quando riesce a miscelare con efficacia fantasia e memorie, attualizza le vicende, a prescindere da ogni condizione.

Qualcuno potrà anche ritrovarsi in alcune delle storie e pure riconoscersi in vicende raccontate spesso con ironia. Qualche altro apprezzerà, forse, la fervida fantasia nell'impegno dell'autore a tentare di enfatizzare paradossi impossibili.

Come capita in tutte le forme espressive che ambiscono ad essere accostate all'arte, ciascuno potrà leggere e vedere ogni cosa a proprio modo: secondo il proprio spaccato professionale, l'ampiezza intellettuale di cui è dotato, la cultura di cui dispone e che ha accumulata e assorbita nel tempo.

In ogni caso le sfumature, le gradazioni di grigio e l'ampia scala di colori usati nel composito racconto sono tante e probabilmente, alla fine, molti saranno indotti a qualche riflessione.
LinguaItaliano
Data di uscita6 set 2023
ISBN9791221493474
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    Anteprima del libro

    Pesi e Contrappesi - Celestino Quinto

    Considerazioni

    La maggior parte delle favole di cultura occidentale portano a far credere fin da bambini a figure stereotipate di buoni e cattivi; che si muovono in campi neutri, narrati come imparziali o equi rispetto agli accadimenti che capitano ai personaggi. Quasi sempre i cattivi trovano poi il castigo dovuto e i buoni prevalgono, grazie alla valenza dei loro sani principi guida.

    Poi però accade che intanto i bambini crescono e diventano grandi; che la vita reale non corrisponde alle favole a lieto fine e che le logiche di base nelle vicende umane, spesso complesse, non corrispondono alle semplici logiche attese.

    Intervengono, infatti, tanti altri fattori che non distinguono gli individui fra buoni e cattivi, in maniera semplice e chiara, vuoi per l’indole variegata della natura umana, che per i contesti sociali, condizionanti, in cui i protagonisti si trovano realisticamente a operare (status e peso politico delle parti contendenti).

    Spesso capita, quindi, che le vicende rimangono legate a casualità imponderabili o condizionate da combinazioni di incontri più o meno felici.

    Quanto accade nel mondo reale è diverso. Ma soprattutto ci si accorge che non è assolutamente neutro il parterre che ospita il dibattimento giuridico in ogni questione, poiché questo si modifica e si adatta per i compartecipanti occasionali, in base a singole culture, convenienze e possibili preconcetti. Al punto tale che non vale molto avere certezza della ragione, tanto da voler indurre (o sfidare, secondo il dislivello sociale) o addivenire a un confronto di merito per una qualunque controversia; perché, quasi sempre prevalgono e a priori, la pesantezza delle artiglierie disponibili alle fazioni contrapposte.

    E in tutto questo ti accorgi, sulla tua pelle, che la Giustizia invocata non è uguale per tutti e quasi mai neutra come veniva raccontato nelle favole.

    Da sempre le formiche sono risultate minuscole di fronte alla potenza degli elefanti e le burocrazie non hanno tempo da perdere per assecondare la disamina di questioni marginali, forse perché appaiono complesse.

    Quasi sempre, poi, nei giudizi finali, quello che è qualificato da subito come molestatore è destinato non solo a perdere ma è pure condannato al risarcimento danni. Perché, magari, possa servire da monito a eventuali altri malintenzionati disturbatori che volessero perseguire il cattivo esempio.

    In questi casi c’è chi dice che si deve prendere atto di come vanno le cose e che per tutto ciò che accade uno se ne deve fare una ragione. Aggiungono, che così va la vita e chi è solo, senza neanche un Sancho Pansa, e vorrebbe fermare le ruote dei mulini al vento, può uscirne anche pazzo.

    Sarà, ma intanto chi impedisce di scriverne un racconto?

    Circa il confezionamento di quanto viene raccontato, anche allo scopo di alleggerire i contenuti della storia dell’Omero protagonista, spesso tediosa e difficile da seguire per un normale lettore, sono stati inseriti - a cadenza e come isole di sosta - altri scritti (Dissertazioni) che, ambientati in contesti lavorativi coerenti alle vicissitudini principali, in qualche modo si allacciano agli argomenti trattati. Cercando d’ispirarsi e rifarsi un po’ a quella filosofica sottile e leggera ironia del grande Luciano De Crescenzo che, nel campo, rimane un insuperabile mito.

    Premessa

    Il nostro protagonista all’anagrafe era stato iscritto con nome di Omero che, associato al cognome di famiglia Collodi, fu alquanto profetico nel suo prosieguo di vita.

    In verità da piccolo era chiamato Rino. Un nomignolo efficace e rapido, simile all’Ugo del mitico Massimo Troisi. In questa maniera, in effetti, il suo richiamo corrispondeva a un diktat che non concedeva nessuno spazio d’autonomia.

    I genitori talvolta sono consapevoli nell’attribuire i nomi ai loro figli, altre volte s’ispirano a creatività del momento, magari collegando il cognome, non mutabile all’anagrafe, a nomi più o meno bizzarri o evocativi che comunque, per loro, hanno un senso.

    L’imprevedibilità della vita poi ci mette spesso del suo e le combinazioni anagrafiche possono rivelarsi talvolta profetiche per quel che poi accade ai pargoli nella loro vita reale d’adulti.

    Storicamente il nome Omero richiamava un po’ quelle gesta epiche di Achille e Ulisse, dell’Iliade e dell’Odissea; il primo era noto per l’ira funesta, il secondo per il suo lungo peregrinare per i mari che, dopo approdi a tante differenti sponde e dopo tante avventure, alla fine raggiunse la sua agognata Itaca. Il cognome Collodi, poi, era di per sé tutto un altro programma.

    Per quanto detto, quindi, le vicissitudini attraversate dal personaggio e che ci si accinge a raccontare potrebbero, in qualche modo, riagganciarsi ai contenuti originali narrati nei rispettivi capolavori letterari da Omero e Collodi.

    L’Iliade per il prolungato assedio di una Troia lungamente inespugnabile, l’Odissea per i rimbalzi burocratici e le disavventure connesse al peregrinare fra istituzioni burocratiche, rinchiuse in fortificazioni dal difficile accesso.

    Anche le avventure di Pinocchio, si prestano al gioco, per la ricchezza dei personaggi d’attualità, che sono sempre presenti in ciascuna vita, in ogni epoca e luoghi.

    Nel capolavoro di Collodi, oggi rivisitato come non semplicemente costituente una favola per bambini, si affollano tante figure simboliche che rappresentano metafore che alludono ai tanti prototipi umani che si incontrano nel cammino di un’esistenza.

    Il burattino di legno, che alla fine s’incarna in un essere in carne ed ossa, ha un suo lungo percorso di maturazione, generato dai tanti incontri formativi. Il Gatto e la Volpe, il Grillo Parlante, il suo Geppetto, la Fata turchina, le Guardie, il Giudice, Mangiafuoco, Lucignolo e i Somari ….. e tanti altri simbolici personaggi.

    In ogni caso, si precisa fin da subito che quanto ci si accinge a narrare, specie per aspetti riguardanti ambienti lavorativi da alcuni forse riconoscibili, è frutto di pura fantasia.

    Personaggi, istituzioni citate e avvenimenti vari, seppur traggono spunto e sono ispirate da storie reali apprese dalla lettura di documenti d’archivio, sono del tutto inventati per sviluppare l’articolato racconto.

    Ne deriva che, potrebbe pure facilmente capitare al lettore di ritrovarsi a scoprire di aver vissuto storie similari, di aver toccato fili scoperti o di essersi imbattuto in avventure che portano a scontrarsi con mega contesti autoreferenziali come nel racconto; ritrovandosi perfino a vivere esperienze incredibili, al limite del surreale.

    Riguardo anche ai diversi personaggi, protagonisti delle varie vicende, può tornare utile un articolo che il nostro Omero Collodi ebbe modo di leggere e che, nel nostro caso, può facilitare a comprendere talune questioni e certi comportamenti che si incontreranno lungo il testo.

    L’ articolo editato su un portale web riportava come spesso le persone non riescono a dare una risposta sicura perché non sanno effettivamente chi sono. Alcuni perché, forse, devono ancora capire realmente quale sia il posto che occupano nel mondo, altri, invece, non sanno darsi una risposta certa perché, durante la loro vita, hanno assunto molteplici e differenti identità, perdendo di vista l’essenza della loro vera persona. Il pensiero che più rispecchia quello che accade all’uomo contemporaneo, spesso restio a mostrare la sua vera personalità, è sicuramente quello concettualizzato dall’immenso Luigi Pirandello, scrittore, poeta e drammaturgo italiano, con il suo tema principale sempre presente nelle sue opere che rimane, infatti, imprigionato nell’irrisolvibile scontro coabitativo tra l’essere e l’apparire.

    Continuava poi dicendo come, secondo Pirandello, ciascun individuo indossa una maschera, con la quale affronta le diverse situazioni che gli si presentano, ma che non corrisponde alla sua reale natura. La maschera è lo strumento che permette di nascondere la vera personalità di un individuo per far emergere un’identità diversa, separata e inventata. La maschera è un tipico oggetto di scena nel teatro ma, nella concezione pirandelliana, essa può essere anche quell’identità che ogni individuo sceglie e nelle quali si immedesima, per poter interpretare il suo corretto ruolo all’interno della società.

    Su Wikipedia, il nostro Omero, aveva anche ritrovato un detto, pure esso utile a quanto si verrà a raccontare e che trae origine da una citazione dell’opera teatrale Aristodemo di Vincenzo Monti. Il motto recitava: Se Atene piange, Sparta non ride. Diventato un modo di dire, cui spesso si ricorre per evidenziare come molte volte c’è poco da gioire nel fissare e mettere in evidenza solo i peccati altrui.

    Questa espressione piaceva particolarmente ad Omero, anche per il suo nome, perché richiama le due antiche città greche (Atene e Sparta), note per essersi trovate spesso in conflitto, al fine di affermare che, sebbene le storiche differenze e i lunghi contrasti, qualora una delle due si trova in una situazione difficile non è detto che l'altra non abbia vita più facile.

    È evidente dunque come spesso i significati possano essere estendibili dai rapporti umani alle diverse situazioni di vita quotidiana. Nel nostro specifico, sono tante oggi nelle città di Atene e le tante Sparta, assimilabili a tante istituzioni che operano in differenti comparti sociali, coinvolte nella crescita disordinata in un competere squilibrato e negativo.

    Ciò evidenzia ad Omero come l’eccellenza o meno di ambienti e organizzazioni sociali rimanessero, per quanto ovvio, strettamente legate alla qualità degli uomini e delle donne che in essa operano, le compongono e ne condizionano i risultati con l’agire.

    Soprattutto è dall’apertura mentale e dall’onestà intellettuale, che è stata prestata anche da chi forma le compagini, che deriva infine ogni considerazione.

    Pericoloso può pertanto risultare trascurare la cultura del dubbio, per premunirsi rispetto all’errore sempre possibile e tenere nel giusto conto, quindi, la possibilità di poter sbagliare. Consentendo così, in taluni momenti, possibili verifiche delle proprie capacità, in virtù dell’attendibilità delle istanze che possono essere avanzate, talvolta complesse, ovvero delle diverse interpretazioni connesse alle regole spesso contingenti.

    Il tutto per garantire un’oggettività insita o associata a normative scritte; chiare se lette senza pregiudizi e supportate dalla indispensabile cultura di base sempre necessaria.

    Dissertazione

    I fenomeni

    In ogni contesto sociale ci sono sempre i fenomeni.

    Al di là dell’indiscutibile preparazione teorica e dottrinale, gli appartenenti alla categoria talvolta si rivelano però delle mine vaganti, che apparirebbe sempre utile saper gestire a modo.

    In un certo momento storico accadde che l’Istituzione sentì la necessità di diffondere nel sistema vigilato una bellissima idea: la verifica della trasparenza periferica.

    Bella cosa senza alcun dubbio, ma come in tutte le novità complesse, l’avvio di tale pratica avrebbe necessitato di un affinamento sia degli schemi operativi che della preparazione dei soggetti chiamati a svolgerla. Facendo ben collaudare prima la normazione messa a punto da strutture giuridiche, magari da chi nella materia era certamente - e già da tempo - praticamente più esperto.

    Nella vigilanza centrale, da sempre si alimentava la diatriba tra la struttura amministrativa e il corpo ispettivo; solo a stento la prima sapeva trarre pieno beneficio e riusciva a capire fino in fondo i vantaggi che derivavano dall’attività della seconda. L'azione ispettiva, con la sua attività sul campo, era però quella che riusciva a ben discernere - costantemente - ogni aspetto che differenziava teorie cartolari e inconfutabili verità rilevate.

    Per inciso preme anche dire che, e forse non solo a mio parere, la supremazia finale della prima sulla seconda non è risultata poi tanto estranea anche ai disastri recentemente occorsi al sistema bancario italiano. L’avvento della BCE ha poi cantato il de profundis, per il ridimensionamento delle funzioni nazionali conseguenti.

    Sappiamo ormai molto bene come è andata a finire a molti risparmiatori che, a presunta insaputa dei controllanti, sono rimasti impantanati nelle pastoie pasticciate dei default di banche popolari, in primo luogo. Realtà, queste ultime, che hanno rappresentato gli agnelli sacrificali principali, per una certa maniera allegra di fare vigilanza; oboli offerti a un sistema nazionale rivelatosi almeno impreparato e risultato palesemente imperfetto.

    Ma le banche popolari non furono le sole, perché anche altre istituzioni creditizie più importanti non sono rimaste escluse da improvvide gestioni non adeguatamente controllate.

    Tornando alla trasparenza attuata negli sportelli bancari, l’intento di sviluppare diffusamente a livello territoriale l’operazione di controllo, come poteva essere ben prevedibile – se si fosse applicato un minimo di buon senso - si dimostrò da subito un quasi disastro, ancorché potesse in verità tornare utile.

    Le direzioni locali, infatti, tornate ebbre dopo l'euforia per aver ricevuto queste nuove qualificanti incombenze istituzionali, nella quasi totalità disposero affinché agguerrite coppie di giovani rampanti, in cui almeno uno fosse esperto di materie giuridiche, assolvessero ai compiti e scendessero in campo, per acquisire le risposte ai questionari teorici che erano stati approntati (con ricercatezza, nelle intenzioni, e acuto perfezionismo) dagli uffici amministrativi gerarchicamente competenti.

    Per quanto ovvio, i giovincelli, specie quelli che nei contesti si erano sempre dimostrati degli inarrivabili pierini, non bruciarono l'occasione per mettersi in mostra. Del resto era stata concessa loro l’opportunità per vestirsi un po’ da ispettori di campagna e scorrazzare sul campo.

    S’incominciarono così a mietere irregolarità a go go; vere o presunte. L'irrefrenabile carica emozionale da "detective

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