Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il fuoco nella testa: Uno studio sullo sciamanismo celtico
Il fuoco nella testa: Uno studio sullo sciamanismo celtico
Il fuoco nella testa: Uno studio sullo sciamanismo celtico
E-book312 pagine4 ore

Il fuoco nella testa: Uno studio sullo sciamanismo celtico

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nella Canzone di Aengus l’errante, William Butler Yeats canta il fuoco nella testa che caratterizza l’esperienza visionaria. Qui Tom Cowan esamina questo tema in uno studio interculturale dai toni poetici sullo sciamanismo e sull’immaginazione celtica, analizzando i miti, i racconti, gli antichi poeti e narratori celtici e descrivendo le tecniche usate per accedere al mondo degli sciamani. Lo sciamanismo ci spiega l’autore è essenzialmente un modo di vedere la realtà, e allo stesso tempo un metodo per agire all’interno di questa visione della realtà. Lo sciamano percepisce l’universo in modo diverso dagli altri esseri umani e fa esperienze dirette che trascendono quelle delle persone normali. Gli elementi comuni dello sciamanismo, presenti nella maggior parte delle culture che hanno una solida tradizione sciamanica, sono i seguenti: (1) gli sciamani sono in grado di accedere a un particolare stato di coscienza nel quale (2) sperimentano un viaggio nei regni non-ordinari dell’esistenza dove (3) raccolgono conoscenza e potere che usano poi per se stessi o a favore di altri membri del loro gruppo sociale. Lo studio dello sciamanismo celtico è un compito travolgente e affascinante che affronta due tipi di fenomeni, lo sciamanismo e la spiritualità celtica, presenti da millenni in varie parti del mondo. In questo libro, Tom Cowan, profondo conoscitore di entrambe queste tradizioni, mostra al lettore come la loro comprensione possa ancora oggi rivelarsi estremamente utile per la crescita spirituale dell’uomo moderno.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2016
ISBN9788871834597
Il fuoco nella testa: Uno studio sullo sciamanismo celtico

Correlato a Il fuoco nella testa

Ebook correlati

Corpo, mente e spirito per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il fuoco nella testa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il fuoco nella testa - Tom Cowan

    INTRODUZIONE

    IL PROBLEMA DELLO SCIAMANISMO CELTICO

    Lo studio dello sciamanismo celtico è un compito travolgente e affascinante che affronta due tipi di fenomeni, lo sciamanismo e la spiritualità celtica, presenti per millenni in varie parti del mondo. Nell’Europa occidentale, lo sciamanismo ha almeno 20.000 anni di vita, e forse di più. Le prime testimonianze sono visibili nelle pitture delle grotte di Lescaux, nella Francia meridionale, e di Altamira, nella Spagna settentrionale. Queste stupefacenti pitture rupestri sono la raffigurazione, molto arcaica ma di un’accuratezza sorprendente, di esperienze sciamaniche tra cui il cambiamento di forma (le figure rappresentate sono in parte uomini, in parte mammiferi e in parte uccelli), lo stato di trance e la simbologia sorprendentemente eloquente di nascita, vita, morte e rinascita. Le fonti da cui sono scaturite queste immagini non sono sepolte per sempre nel passato, ma appartengono alla psiche umana. Immagini simili si ritrovano nelle descrizioni dei viaggi sciamanici fatti da uomini e donne contemporanei che praticano lo sciamanismo nella moderna società occidentale.

    Gli elementi centrali dello spirito celtico sono sopravvissuti con stupefacente continuità dal VII-VI secolo a.C. sino a oggi. Nella frase augurale usata attualmente in Irlanda: Possano le strade aprirsi davanti a te, possa il sole scaldare il tuo volto, la pioggia cadere gentile sui tuoi campi e il vento esserti sempre alle spalle, percepiamo l’eco di un antico rito celtico che chiamava gli elementi a testimoni di un giuramento di fedeltà: Possano i cieli cadermi addosso, possa il mare chiudersi su di me e la terra inghiottirmi se romperò questo giuramento(1). All’inizio dell’era cristiana, un monaco irlandese cita gli elementi naturali in riferimento alla morte di Cristo sulla croce: Alla morte [di Cristo] nessun fuoco investì i suoi carnefici per bruciarli, nessun flutto si levò per spazzarli via, la terra non si aprì per inghiottirli, il cielo non cadde su di loro per schiacciarli(2). Che si tratti dell’augurio rivolto a un amico, di un giuramento di fedeltà o di un commento su una possibile punizione per l’uccisione di Cristo, la spiritualità celtica esprime uno stretto rapporto con il mondo naturale. In questa continuità di immagini tra l’antica ritualità e le espressioni moderne perdura anche la relazione sciamanica con gli elementi. Il celta, ieri ma anche oggi, si aspetta che il vento, il cielo, il mare e il sole rispondano alla sua sincera invocazione, così come lo sciamano delle antiche pitture rupestri si aspettava che gli animali accorressero al suo richiamo affinché la tribù potesse iniziare la caccia.

    LO SCIAMANISMO

    Il termine sciamano proviene dalle popolazioni tunguse della Siberia e indica un uomo o una donna dotati di un tipo particolare di potere spirituale. Gli sciamani erano visionari e guaritori estatici (quelli che oggi potremmo chiamare consulenti spirituali) che operavano in stato di trance. Di recente, il termine è stato applicato in modo generico e non troppo preciso a forme diverse di pratiche spirituali e di guarigione presenti nelle culture tribali, dall’uso cerimoniale di tamburi e sonagli ai riti in onore dell’animale totemico. Nel 1951 Mircea Eliade, una delle massime autorità nel campo dello sciamanismo e delle religioni primitive, ha affrontato l’argomento in uno studio fondamentale, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, che rimane ancora oggi uno dei testi essenziali per comprendere le pratiche sciamaniche tradizionali di tutto il mondo. Eliade mette in guardia dall’usare indiscriminatamente il termine sciamano per indicare ogni mago, stregone, medicine-man o estatico che s’incontra nel corso della storia delle religioni, sostenendo che un tale uso trasformerebbe la realtà dello sciamanismo in una nozione estremamente complessa e, a un tempo, imprecisa, e quindi assolutamente inutile(3). Eppure negli ultimi quarant’anni il crescente entusiasmo per lo sciamanismo ha introdotto questa parola nel linguaggio comune e ha determinato il suo impiego nel campo della religione, della spiritualità e dell’ambientalismo. Naturalmente questo termine e le pratiche che ad esso fanno riferimento svolgono nell’evoluzione della coscienza umana un ruolo che va al di là degli specifici ambienti culturali dell’Asia centrale da cui trae origine.

    Per usare in modo appropriato il termine ‘sciamano’ bisogna impedirne un impiego troppo allargato che finisce per oscurare i tratti essenziali dello sciamanismo autentico, ma allo stesso tempo evitare quell’eccesso di purismo che non accetta di riconoscere fenomeni di vero sciamanismo in contesti culturali diversi da quelli delle popolazioni tunguse della Siberia. Occorre usare questo termine con flessibilità, poiché tecniche ed esperienze sciamaniche sono presenti in quasi tutte le culture native e stanno registrando un netto incremento anche tra i contemporanei che non sono mai entrati in una capanna sudatoria né hanno mai trascorso una notte in totale solitudine nella tundra siberiana.

    Lo sciamanismo è essenzialmente un modo di vedere la realtà, e allo stesso tempo un metodo per agire all’interno di questa visione della realtà. Lo sciamano percepisce l’universo in modo diverso dagli altri esseri umani e fa esperienze dirette che trascendono quelle delle persone normali. Gli elementi comuni dello sciamanismo, presenti nella maggior parte delle culture che hanno una solida tradizione sciamanica, sono i seguenti: (1) gli sciamani sono in grado di accedere a un particolare stato di coscienza nel quale (2) sperimentano un viaggio nei regni non-ordinari dell’esistenza dove (3) raccolgono conoscenza e potere che usano poi per se stessi o a favore di altri membri del loro gruppo sociale. In questi tre elementi si condensa quello che molti praticanti definiscono attualmente core shamanism.

    Nei regni non-ordinari dell’esistenza lo sciamano percepisce riferimenti immateriali e in larga misura immaginari e considera spiriti le entità che vi incontra. ‘Immateriali’ e ‘immaginarie’ sono per lo sciamano le dimensioni dello spirito, cioè di quella realtà non-ordinaria che trascende la percezione umana che si ha di essa e spesso sfida qualunque tentativo di descrizione. Per fare un esempio, il mondo degli spiriti appare come immateriale, o non-fisico, ma le azioni compiute in questo mondo hanno spesso stupefacenti ripercussioni sulla realtà ordinaria. Riguardo alla guarigione, ad esempio, uno sciamano può viaggiare nella realtà non-ordinaria per recuperare l’anima di una persona morente o per rimuovere le cause di una malattia che possono apparirgli sotto forma di insetti o di demoni. Lo sciamano lavora quindi con la natura invisibile, spirituale, della malattia, eppure l’effetto è la guarigione dell’organismo fisico. Lo stesso vale per il termine ‘immaginario’. Uno sciamano può viaggiare in un luogo appartenente alla realtà non-ordinaria e parlarne come di una dimensione dello spirito, per poi scoprire che quel luogo esiste anche nella realtà materiale. Può scoprire che altri sciamani si sono recati nello stesso luogo (con il corpo o fuori dal corpo) e che lo conoscono bene, a riprova che l’Altro Mondo ha un’esistenza indipendente dall’immaginazione personale dello sciamano. Inoltre, le numerose testimonianze di manifestazioni di entità spirituali nella dimensione fisica indicano che queste entità possono apparire e agire nel mondo fisico ordinario in modo almeno parzialmente indipendente dall’immaginazione della persona che le vede.

    I CELTI

    Le popolazioni celtiche occuparono e dominarono tutta l’Europa centrale durante il VII e VI secolo a.C. Nel IV secolo a.C. raggiunsero il culmine della loro civiltà e si espansero verso il sud, l’ovest e l’est europeo. I Celti erano un popolo di guerrieri. Nel 390 a.C. alcune tribù celtiche misero a sacco la città di Roma, dando origine nei Romani a quella paura dei Celti che durò per secoli. Nel 279 a.C. un bellicoso gruppo di Celti assalì il santuario greco di Delfi. In seguito alla loro espansione, i Celti stabilirono insediamenti e avamposti in tutto il continente europeo, dalla Spagna settentrionale alla Turchia e dalle Isole Britanniche alle coste del Mar Nero.

    Il termine celta veniva usato dagli storici greci e romani per indicare indiscriminatamente tutte le popolazioni che occupavano le regioni dell’Europa settentrionale e occidentale oltre i confini del mondo classico, ma in realtà queste tribù non si unirono mai a formare un’unica ‘nazione’ celtica. L’idea di unità nazionale era estranea ai Celti, così come quella di comunanza etnica o di identità culturale. Ogni tribù aveva una lingua e uno stile di vita differente: alcune di esse vivevano in comunità di coltivatori, altre in poderose fortezze dominate da capi carismatici, in alcune regioni vivevano all’interno di pacifici villaggi, in altre in roccaforti militari. Molti insediamenti celtici divennero il nucleo di attuali città, tra cui Parigi, Londra, Orléans, Brouges e Budapest, altri invece erano semplici accampamenti temporanei che poi nel corso dei secoli scomparvero.

    Nonostante tutte queste differenze, ancora oggi molti studiosi ritengono che quelle tribù costituissero un gruppo etnico omogeneo. In effetti, erano diverse le affinità etniche e culturali che accomunavano le tribù celtiche. Gli autori classici, tra cui Livio, Strabone, Cesare, Tacito, Plinio il Vecchio, Posidonio, Erodoto e Diodoro Siculo, da cui abbiamo tratto gran parte delle notizie sugli antichi Celti, li ritenevano un popolo specifico, con costumi, valori, istituzioni e credenze comuni. Dai loro resoconti, i Celti appaiono come dei guerrieri coraggiosi, orgogliosi ed entusiasti, che indossano e ostentano con orgoglio abiti, gioielli e ornamenti molto più ricchi e vistosi di quelli dei popoli mediterranei, che lavorano con grande abilità i metalli, dando vita a uno stile immediatamente riconoscibile, che amano i cantastorie, la poesia, le canzoni, i banchetti e le bevande fermentate, che amano la vita di famiglia e si comportano con lealtà verso il proprio clan. Fisicamente i Celti erano più alti e prestanti delle popolazioni dell’Europa mediterranea, con pelle e capelli tendenzialmente più chiari e spesso con occhi azzurri. Tra i tratti culturali comuni alle tribù c’erano le credenze religiose, tra cui l’immanenza del mondo degli spiriti e l’immortalità dell’anima umana.

    Gli autori classici, che spesso tacciavano la spiritualità celtica di superstizione, riferiscono del loro profondo interesse per le cose spirituali. La studiosa Anne Ross scrive che i Celti erano così completamente imbevuti e appassionati alla loro religione e alle sue espressioni, che essa era sempre e positivamente in primo piano nella loro vita(4) e sottolinea che le diverse tribù celtiche non avevano un unico ‘sistema’ religioso, cioè una singola struttura spirituale che percorreva le pratiche religiose dall’Atlantico al Mar Nero, dal Baltico al Mediterraneo. Le diversità erano molte ma è comunque lecito parlare di una somiglianza tra i riti e le pratiche spirituali della religione delle singole tribù, basata principalmente su quella fusione di naturale e sovrannaturale che connota la forte tensione mistica che percorre tutto il pensiero e la tradizione celtici. Tutto ciò, conclude la Ross, denota una fondamentale omogeneità religiosa davvero significativa.

    Esistono sorprendenti parallelismi tra la cultura tribale dei Celti e quella dei Nativi americani. Come gli Indiani d’America, anche i Celti vivevano in gruppi tribali distinti e separati, che si univano per specifici fini commerciali o militari. Celti e Nativi americani praticavano entrambi una spiritualità legata alla terra e condividevano numerose credenze e pratiche animistiche, assieme a un atteggiamento di rispetto per la loro terra e per gli spiriti che la abitavano. Anche il loro destino fu ugualmente tragico. Come i Nativi americani, i Celti si scontrarono con altri popoli in cerca di espansione territoriale. Nel II sec. a.C. alcune tribù germaniche iniziarono a incalzare da nord e nel secolo successivo i Daci mossero contro i Celti da est (dall’attuale Romania). Nel 58 a.C. Giulio Cesare entrò in Gallia, che allora era territorio celtico, e la conquistò. Nell’84 d.C. ormai gli eserciti romani si erano spinti fino in Scozia. La maggior parte delle popolazioni celtiche venne così sconfitta, assorbita o respinta sempre più a occidente dall’avanzata militare della civiltà romana. Oggi, esattamente come i Nativi americani, molti Celti si battono per la salvaguardia della loro lingua, della loro cultura e delle loro tradizioni, comprese le antiche pratiche religiose, soprattutto nelle poche sacche in cui la civiltà celtica è sopravvissuta quasi intatta.

    L’acuta descrizione del destino dei Celti che lo storico romano Tacito ci tramanda potrebbe essere applicata a molti altri casi verificatisi nella storia ogni volta che i conquistatori europei, in diverse aree del pianeta, si sono scontrati con le popolazioni native. Tacito scrive che i Celti giunsero a definire civiltà quella che di fatto era stata la loro schiavitù. Le legioni e gli insediamenti dei Romani avevano infatti portato per la prima volta una relativa pace tra gruppi orgogliosamente rivali, ma il prezzo che le tribù soggiogate dovettero pagare per la Pax Romana fu altissimo: la perdita dell’indipendenza e dell’identità culturale. Le imposizioni ideologiche che accompagnavano i beni materiali portati dall’area mediterranea annullarono i valori e le credenze che per secoli avevano forgiato la vita dei Celti. A poco a poco gli antichi costumi vennero sostituiti da quelli romani, malgrado la politica ufficiale dell’impero suggerisse di mantenere e assimilare, ove possibile, le tradizioni dei popoli soggiogati. L’inevitabile risultato fu che il modello educativo e lo stile di vita dei conquistatori finirono per latinizzare (e in seguito cristianizzare) le nuove generazioni.

    La nostra ricerca sullo sciamanismo celtico muove da quelle antiche popolazioni tribali che un tempo fiorivano in prospere comunità in tutta l’Europa continentale e che gettarono i semi della ricca eredità celtica oggi in nostro possesso. Strette ai confini su tre lati, alcune di quelle popolazioni migrarono verso occidente e si stabilirono in quelle che oggi costituiscono le ‘Sei Nazioni celtiche’: Irlanda, Scozia, Galles, Inghilterra, Cornovaglia e Isola di Man. Le aree in cui le tradizioni celtiche vennero meglio conservate furono quelle che non subirono mai l’invasione romana: l’Irlanda, le Highlands della Scozia occidentale e le regioni montuose del Galles. Ma, ovviamente, non limiteremo l’espressione ‘spiritualità celtica’ ai valori e alle credenze di queste specifiche tribù, perché tratti sciamanici hanno permeato tutte le popolazioni celtiche in tutto l’arco della storia. Per capire lo sciamanismo celtico dobbiamo muoverci in un raggio molto ampio, cosa che sicuramente i Celti, abituati a una vita di spostamenti, apprezzerebbero.

    Una testimonianza della sopravvivenza dello spirito celtico e dei suoi tratti sciamanici si può rintracciare nel fatto che in ogni epoca storica sono esistite figure sociali che conservavano tracce di credenze più antiche della loro epoca, cioè di quel substrato culturale che oggi definiamo sciamanismo. Druidi e sacerdotesse, bardi e poeti, eroi leggendari, dèi e dee mitologici, monaci e santi cristiani, mistici, streghe e guaritori: ciò che separa tutte queste figure nel tempo e nello spazio, compresa la cultura scientifica e tecnologica del mondo moderno, è molto meno forte di ciò che le unisce, quei solidi valori spirituali rimasti immutati nei secoli. La profonda tensione mistica che i Romani tacciarono di superstizione costituiva l’ossatura della spiritualità celtica. Questa stessa tensione è il fondamento filosofico dello sciamanismo, elemento che fa del popolo dei Celti, antichi e moderni, uno dei principali depositari dell’esperienza sciamanica. Non vi fu infatti mai, né mai vi sarà, un’epoca in cui i Celti non credessero in un Altro Mondo invisibile e nella possibilità di percorrerlo alla scoperta dei misteri dell’universo divino.

    IL FUOCO NELLA TESTA

    Attorno al 1890, il poeta e patriota irlandese William Butler Yeats scrisse una poesia intitolata La canzone di Aengus l’errante(5), che inizia così:

    Andai nel bosco di noccioli

    Perché avevo un fuoco nella testa,

    E tagliai e pelai una verga di nocciolo,

    E attaccai una bacca in fondo a un filo.

    Con questa canna da pesca, ricavata da un albero a cui i Celti attribuivano poteri magici, e nell’ora incantata del crepuscolo, quando le stelle come falene spuntavano scintillando, Aengus pescò una trota d’argento e la portò a casa per cucinarla. Ma, mentre accendeva il fuoco, udì una voce chiamarlo per nome e istintivamente guardò la trota che aveva appoggiato per terra. Il pesce si era trasformato in una sfavillante fanciulla / con fiori di melo tra i capelli. Dopo averlo chiamato per nome, la magica fanciulla corse fuori dalla capanna e scomparve nell’aria scintillante del giorno. Aengus si ripromise di trovarla e da quel giorno dedicò tutta la sua vita alla ricerca della fanciulla, errando per terre cave e luoghi collinosi.

    Yeats può aver descritto nella figura di Aengus uno sciamano. Aengus possiede il fuoco nella testa in cui gli sciamani di tutte le culture vedono la fonte dell’illuminazione, della visione che fa luce su altre realtà. Il viaggio sciamanico inizia e finisce nella mente in uno stato modificato di coscienza, a prescindere da ogni altro mondo indipendente dalla mente che lo sciamano può visitare durante il suo viaggio. Seguendo la luce della propria visione, Aengus percorre le terre cave che si estendono al di sotto o al di là del denso strato della realtà ordinaria. Sotto vari aspetti il viaggio di Aengus ripercorre il classico viaggio sciamanico dell’anima, illuminato dall’immaginazione. Questo elemento non toglie realtà al viaggio, perché lo strumento visionario sciamanico che fa conoscere i contenuti del regno della coscienza è proprio l’immaginazione e la persistenza dello sciamanismo da 20.000 anni a questa parte ne dimostra l’efficacia.

    Il folklore sciamanico di ogni cultura riflette le specificità di quel popolo, così come le avventure di ogni sciamano riflettono le sue caratteristiche peculiari di individuo. È proprio questo che ci si aspetta da un’esperienza che è allo stesso tempo personale e transpersonale: il contenuto delle visioni sciamaniche viene modellato dalle credenze e dalle aspettative tanto dello sciamano che della cultura alla quale egli appartiene. Il fuoco nella testa è acceso da ogni sciamano in termini individuali, ma si nutre in buona parte delle credenze e dei valori della sua cultura. La trota d’argento, la verga di nocciolo, lo spirito-fanciulla con fiori di melo tra i capelli e le terre cave sono temi diffusi tra tutti i Celti, non solo sciamani. Fanno parte del folklore nell’ambito del quale lo sciamano celtico si muove.

    Nel mondo celtico è viva ancora oggi la fede nell’immanenza dell’Altro Mondo. Anche la letteratura irlandese contemporanea abbonda di persone comuni che odono canti provenire da una festa del popolo fatato o incontrano gruppi di fate o entrano nella luce crepuscolare dell’Altro Mondo, dove vivono avventure che non hanno nulla da invidiare a quelle degli sciamani più esperti. Queste persone non hanno nessuna conoscenza delle tecniche sciamaniche dell’estasi, ma una cultura che conferisce veridicità a esperienze di questo tipo tende a incrementarne il naturale verificarsi. In base alla visione celtica, il mondo e il potere spirituale dello sciamano possono rivelarsi alla coscienza ordinaria in qualunque momento della vita quotidiana, mentre si pescano trote o si accende il fuoco per cucinare.

    Non sappiamo se Aengus trovò mai lo spirito-fanciulla che aveva cambiato per sempre la sua vita. Ci auguriamo tutti che ci sia riuscito, che l’abbia trovato e che abbia potuto realizzare i propositi cantati:

    E bacerò le sue labbra, le prenderò le mani;

    Camminerò fra l’alte erbe screziate;

    E coglierò, finché il tempo e i tempi non saranno finiti,

    Le mele d’argento della luna,

    Le mele d’oro del sole.

    1

    VARIETÀ DELL’ESPERIENZA SCIAMANICA

    Si udivano dei tamburi sulle colline attorno a Edimburgo. Un documento pubblicato a Londra nel 1684 per provare l’esistenza delle streghe e degli spiriti parla di un ragazzo chiamato il ragazzo delle fate di Leith, in Scozia che ogni giovedì notte saliva con il suo tamburo su una collina tra Edimburgo e Leith. Lì, batteva il suo tamburo mentre uomini e donne entravano attraverso porte invisibili in stanze sontuose e, dopo aver banchettato tra musiche e svaghi, si dirigevano in volo verso terre lontane come la Francia o l’Olanda, per poi fare ritorno alla realtà ordinaria(1).

    Chi era il ragazzo delle fate di Leith? Chi erano quegli uomini e quelle donne capaci di attraversare porte invisibili? E dove andavano in realtà?

    Gli attuali praticanti lo sciamanismo, che usano il tamburo sciamanico per indurre uno stato visionario di coscienza allo scopo di viaggiare in regni non-ordinari di esperienza, riconoscono immediatamente lo scenario. Non fanno fatica a spiegare la figura del ragazzo delle fate, il tamburo, le porte dell’Altro Mondo, il festino degli spiriti e il volo dell’anima in Francia e in Olanda. In tutto il mondo stanno riprendendo vita le antiche tecniche dello sciamanismo in molti circoli di tambureggiamento, tecniche simili a quelle testimoniate nella Scozia del XVII secolo.

    Lo sciamanismo è un fenomeno diffuso a livello mondiale e sopravvissuto, in varie forme, alle società di raccoglitori-pescatori-cacciatori di 20.000 anni fa. Come scrive lo studioso di mitologie e religioni comparate Joseph Campbell, lo sciamanismo è la componente fondamentale di una tradizione antichissima che presenta numerosi tratti e caratteristiche di cui alcuni possono essere meglio evidenziati in un’area geografica e altri in un’altra, ma sempre in relazione a un’inconfondibile crisi vocazionale che chiama un uomo o una donna a diventare un camminatore tra i mondi della realtà ordinaria e non-ordinaria(2).

    Prendendo in prestito il titolo di un classico studio di William James, Varieties of Religious Experience [Varietà dell’esperienza religiosa], si può dire che ci furono e continuano a esserci numerose varietà dell’esperienza sciamanica. I moderni praticanti lo sciamanismo non vivono e non operano come gli antichi sciamani delle società tribali tradizionali, perché la società odierna non riconosce e non appoggia gli ‘sciamani a tempo pieno’. Com’è normale in una società urbanizzata e industrializzata, basata sulla sempre maggiore specializzazione in quasi tutti i campi, i diversi ruoli svolti dagli sciamani nelle società arcaiche sono oggi ripartiti tra varie figure professionali: medici, terapeuti, artisti, narratori, sacerdoti, per citarne solo alcune.

    Lo sciamanismo degli sciamani delle culture native ancora esistenti e dei praticanti lo sciamanismo che vivono nei centri urbani è allora solo una forma diluita dell’antico sciamanismo? Potrebbe essere così, se diamo credito all’antica leggenda siberiana del super-sciamano Morgan-Kara. Secondo questa leggenda, il Dio Supremo, dopo che Morgan-Kara ebbe recuperato un’anima che Egli aveva imprigionato in una bottiglia, tagliò in due il suo tamburo a due facce con un fulmine. Da allora il tamburo sciamanico ha una sola faccia e gli sciamani non sono più così potenti come Morgan-Kara. Se così fosse, le attuali generazioni di sciamani, istruite da anziani nativi o da istruttori contemporanei di sciamanismo, non avrebbero lo stesso potere degli sciamani del passato.

    Che sia o non sia vera la teoria della ‘decadenza dello sciamanismo’, secondo cui gli sciamani contemporanei non sarebbero che deboli discendenti di quelli di un tempo, è indubbio che oggi abbiamo perduto la ricca cultura in cui gli antichi sciamani agivano e che li appoggiava. A partire dalla Rivoluzione scientifica del XVII secolo, la cultura occidentale dominante ha ripudiato le modalità mistiche e visionarie di percezione della realtà su cui lo sciamanismo si fonda. È comprensibile che oggi lo sciamanismo sia quasi ignorato dall’uomo della strada; ma, forte o debole che sia, conosciuto o ignorato, lo sciamanismo non è morto e non è nemmeno il pallido riflesso di una spiritualità esoterica da tempo dimenticata. Esso ha molte cose in comune con le tradizioni mistiche ed esoteriche di tutte le culture, antiche e moderne. In tutto il mondo ci sono persone che continuano ad avere esperienze sciamaniche spontanee. Sotto nomi diversi e con differenti interpretazioni, l’esperienza centrale (core experience) dello sciamanismo è ancora parte integrante dell’esistenza degli esseri umani.

    Le esperienze visionarie riportate dagli sciamani dell’antichità continuano a prodursi in uomini e donne appartenenti alle moderne culture occidentali e nei membri delle comunità tribali ancora esistenti. L’antropologo Michael Harner, pioniere dei metodi di insegnamento del core shamanism (gli elementi comuni a tutte le pratiche sciamaniche, liberati dalle specificità limitanti di ciascuna cultura) scrive, nel suo classico La via dello sciamano, che i metodi sciamanici sono sorprendentemente simili in tutto il mondo, perfino presso popolazioni le cui culture sono diverse per altri aspetti e che sono state separate da oceani e continenti per decine di migliaia di anni(3). Alcuni antropologi spiegano questo fatto con la teoria della dispersione, secondo cui lo sciamanismo si sarebbe originato in un gruppo sociale specifico che, attraverso successive migrazioni, portò con sé la propria tradizione in altre parti del mondo. Ma quello che Harner definisce core shamanism potrebbe essere invece un archetipo comune a tutta l’umanità. Campbell sottolinea che "il sistema

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1