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Mastergame: L'esplorazione della coscienza: l'unico gioco degno di essere giocato
Mastergame: L'esplorazione della coscienza: l'unico gioco degno di essere giocato
Mastergame: L'esplorazione della coscienza: l'unico gioco degno di essere giocato
E-book319 pagine4 ore

Mastergame: L'esplorazione della coscienza: l'unico gioco degno di essere giocato

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Info su questo ebook

Questo libro è un'affascinante esplorazione della psiche umana e delle specifiche tecniche attraverso cui l'uomo può raggiungere i più elevati livelli di coscienza: - meditazione, yoga, danze rituali e varie forme di pratiche spirituali.

Quest'esplorazione, che coinvolge tutti gli aspetti del comportamento umano - istintivo, motorio, emotivo ed intellettuale - è, nelle parole dell'autore, "l'unico gioco che valga la pena di giocare."

Fra gli argomenti esemplarmente trattati vi sono lo sviluppo della consapevolezza, l'esperienza della trascendenza, la differenza fra personalità ed essenza, la psicologia creativa e la malattia mentale, solo per menzionarne alcuni.

Questo classico della letteratura spirituale ha ispirato un'intera generazione di giovani a ricercare una sintesi fra scienza e misticismo.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2016
ISBN9788871834276
Mastergame: L'esplorazione della coscienza: l'unico gioco degno di essere giocato

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    Anteprima del libro

    Mastergame - Robert S. De Ropp

    1

    GIOCHI E FINALITÀ

    Questo libro parla di giochi e di finalità.

    Thomas Szasz afferma che quello di cui abbiamo realmente bisogno e che chiediamo alla vita non è la salute, le comodità o la fama, ma dei giochi che valga la pena giocare.¹ Chi non trova un gioco degno di essere giocato rischia di cadere nell’accidia, annoverata dai Padri della Chiesa tra i peccati mortali e oggi considerata un sintomo di malattia. L’accidia è una paralisi della volontà, una mancanza di desiderio, una condizione di tedio generalizzato e totale disincanto: Mio Dio, come mi appaiono frusti, stantii e insulsi gli obiettivi di questo mondo!. Questo stato mentale, secondo Szasz, è il preludio a quella che chiama in senso lato malattia mentale che, benché sia definita un mito dallo stesso Szasz, occupa metà dei letti degli ospedali e trasforma un numero elevatissimo di persone in un peso per se stesse e per la società.

    Mettetevi alla ricerca, dunque, prima di ogni altra cosa, di un gioco che valga la pena giocare: ecco il monito dell’oracolo agli uomini moderni. Trovato questo gioco, giocatelo con entusiasmo, come se ne dipendessero la vostra vita e la vostra salute mentale (che infatti ne dipendono). Seguite l’esempio degli esistenzialisti francesi e sventolate uno stendardo con la scritta io partecipo. Benché niente abbia significato e tutte le strade siano vicoli ciechi, fate come se le vostre azioni avessero uno scopo. Se la vita non vi offre nessun gioco che veramente vi piace, inventatene uno,² perché dovrebbe essere evidente, anche all’intelligenza più offuscata, che un gioco qualunque è meglio di nessun gioco.

    Quali sono i giochi che la vita ci offre? Possiamo leggere Stephen Potter per ricavare degli spunti sull’abilità del giocatore. Possiamo, e dobbiamo, leggere A che gioco giochiamo? di Eric Berne.³ Se abbiamo propensione per la matematica, possiamo studiare i lavori di John von Neumann o Norbert Wiener, che applicano la loro intelligenza all’elaborazione di una teoria dei giochi.⁴ Le scritture induiste ci parlano del gioco cosmico, l’alternanza di lila e nitya, la danza di Shiva in cui l’unità primordiale si trasforma nella molteplicità attraverso la continua interazione dei tre guna. Nello scrittore mistico Hermann Hesse incontriamo il Teatro Magico in cui si possono giocare tutti i giochi della vita⁵ e il gioco dei giochi (Glassenperlenspiel) in cui tutti gli elementi dell’esperienza umana sono riuniti in un’unica sintesi.⁶

    Che cos’è un gioco? Un’interazione tra persone che include motivazioni inconfessate? Berne utilizza questo significato nel suo A che gioco giochiamo?, ma un gioco è molto di più: è essenzialmente una prova di forza o uno scontro di intelligenze all’interno di una matrice definita da regole precise.⁷ Le regole sono indispensabili: in assenza di regole, un gioco cessa di essere tale. Non sarebbe possibile giocare a scacchi se uno dei due giocatori pretendesse di muovere i pedoni come se fossero delle regine.

    I giochi della vita rispecchiano le finalità della vita e quelli scelti da una persona rivelano non solo il tipo di persona, ma anche il livello del suo sviluppo interiore. Seguendo a grandi linee Thomas Szasz, possiamo dividere i giochi della vita in giochi oggettuali e meta-giochi. I primi sono rivolti all’ottenimento di cose materiali, principalmente il denaro e gli oggetti che si possono acquistare con il denaro, mentre i meta-giochi hanno finalità intangibili, ad esempio la conoscenza o la salvezza dell’anima. Nella nostra cultura predominano i giochi oggettuali, mentre in culture più antiche erano predominanti i meta-giochi. I giocatori dei meta-giochi hanno sempre considerato i giochi oggettuali futili e insignificanti, atteggiamento riassunto nella nota frase evangelica: Quale vantaggio avrà un uomo se guadagna tutto il mondo, ma perde la sua anima?. Al contrario, ai giocatori dei giochi oggettuali i meta-giochi sembrano vaghi e poco chiari, saturi di concetti nebulosi come bellezza, verità e salvezza.

    TAVOLA I

    Meta-giochi e giochi oggettuali

    L’intera umanità si può quindi dividere in due gruppi: i giocatori dei giochi oggettuali e i giocatori dei meta-giochi, i Prosperi e i Calibani.⁸ I due gruppi non si sono mai capiti e probabilmente non si capiranno mai. In termini psicologici, sono tipi diversi e i loro conflitti nel corso della storia hanno contribuito ad accrescere le umane sofferenze.

    Qualunque gioco si gioca in base a regole precise. Nei giochi inventati dall’uomo come ad esempio il poker, le regole sono dettate dalle leggi probabilistiche (le probabilità di fare una scala sono una su 254 e di fare colore una su 508) oppure da precise limitazioni (negli scacchi, ogni pezzo può muoversi solo in un determinato modo). Nei giochi della vita, le regole sono dettate da fattori naturali, economici o sociali. Tutti i giocatori devono conoscere le finalità e le regole del loro gioco, dopo di che la qualità del gioco dipende dalle loro caratteristiche innate. I grandi maestri di scacchi nascono tali, non lo diventano; i migliori giocatori di football devono già avere determinate caratteristiche; quindi il gioco che una persona può giocare è determinato dal suo tipo (che tratteremo in seguito). Chi cerca di giocare un gioco per il quale il suo tipo non è adatto fa violenza alla sua stessa natura, con conseguenze spesso disastrose.

    I GIOCHI INFERIORI

    I principali giochi della vita sono elencati nella Tavola I. Il Maiale nel Truogolo è un gioco oggettuale puro e semplice: lo scopo è affondare il più possibile il muso nel truogolo, rimpinzarsi il più possibile e tenere il più possibile lontano gli altri maiali. Un abile giocatore del Maiale nel Truogolo possiede tutte le caratteristiche assegnate dalla propaganda comunista al capitalista: avidità insaziabile, spietatezza, astuzia ed egoismo. Nemmeno nel mondo occidentale contemporaneo il Maiale nel Truogolo è ritenuto totalmente rispettabile e viene giocato con una relativa moderazione che sarebbe sembrata un comportamento da femminucce ai giganti di questo gioco che facevano man bassa delle risorse del pianeta circa un secolo fa. Le regole sono diventate più complesse e il gioco stesso molto più sottile.

    Il Gallo nel Pollaio ha come finalità la fama, si basa sull’inflazione del falso io e sulla sua difesa ad oltranza. I giocatori del Gallo nel Pollaio vogliono che tutti parlino di loro. In una parola, vogliono essere delle celebrità, anche se non hanno nulla che valga la pena di essere celebrato. Questo gioco è obbligatorio per chi svolge determinate professioni (attori, politici), basate su di un’immagine pubblica che può non avere rapporto alcuno con ciò che si è realmente. Un bravo giocatore del Gallo nel Pollaio, la cui felicità consiste interamente nella frequenza con cui il suo nome appare sui giornali, in fondo non si cura troppo della propria immagine pubblica: qualunque pubblicità è meglio che nessuna. Preferisce che si parli di lui (o di lei) come di un farabutto, piuttosto che non se ne parli affatto.

    Il Gioco del Moloch è il più atroce di tutti ed è giocato per la gloria o per la vittoria da varie categorie di killer professionisti ammaestrati a considerare l’omicidio onorevole, a condizione che si uccida, in nome di una religione o di un sistema politico, quello che viene indicato genericamente come il nemico. Il Gioco del Moloch è un gioco prettamente umano: gli altri mammiferi, benché lottino con individui della loro stessa specie, osservano una ragionevole moderazione e raramente arrivano a uccidere.

    Al contrario, i giocatori del Gioco del Moloch non rivelano nessuna moderazione. Sedotti da scintillanti sogni di gloria o di potere, uccidono con irrefrenabile entusiasmo, distruggendo intere città e devastando interi paesi. È un gioco che giocano con tale passione e tale entusiasmo che nulla può interferire con la loro frenesia distruttiva, né la pietà, né il senso del limite, né la compassione e nemmeno il più elementare buon senso. Come i devoti del dio Moloch sacrificavano all’idolo i propri figli, i giocatori del Gioco del Moloch sacrificano le vite di migliaia di giovani maschi in nome di qualche sfavillante astrazione (un tempo la gloria, oggi una più generica difesa) o per seguire un ridicolo detto di una lingua morta: dulce et decorum est pro patria mori.¹⁰ Ma così grande è il potere esercitato dai giocatori di questo gioco attraverso varie forme di coercizione e ricatto, che le migliaia di giovani coinvolti non protestano nemmeno. Vanno alla tomba come al letto, senza il coraggio di denunciare l’insensatezza delle rutilanti parole su cui il Gioco del Moloch si fonda.

    Questi tre giochi, il Maiale nel Truogolo, il Gallo nel Pollaio e il Moloch, sono attività patologiche. I vincitori non vincono assolutamente niente che si possa considerare realmente di valore. I Maiali nel Truogolo possono diventare ricchi come Cresi e scoprirsi vuoti, amareggiati e infelici, senza neanche sapere che cosa fare delle ricchezze che hanno accumulato. I Galli nel Pollaio, dopo avere raggiunto una tale fama che il loro nome è sulla bocca di tutti, si accorgono che la fama non dà gioia e, anzi, è una fonte di problemi. I Moloch sprofondano nel sangue fino agli occhi per scoprire che la gloria e la vittoria a cui hanno sacrificato milioni di vite sono parole vuote, simili a prostitute imbellettate che attirano gli uomini verso la distruzione. In tutti questi giochi è presente un elemento criminale perché in ogni caso danneggiano tanto il giocatore quanto la società di cui fa parte. Ma gli standard su cui gli uomini misurano i crimini sono così deformati che i giocatori di questi giochi tendono a essere considerati dei pilastri della società, più che dei pazzi pericolosi che andrebbero esiliati in isole deserte per essere messi in condizione di non fare più del male a se stessi e agli altri.

    Tra i giochi inferiori e i giochi superiori si colloca il Gioco del Padre di famiglia, la cui finalità è semplicemente la creazione di una famiglia e la soddisfazione delle sue necessità. Non è classificabile né tra i meta-giochi né tra i giochi oggettuali: è il gioco biologico fondamentale da cui dipende la continuità della specie umana. Inoltre, in ogni società troviamo un certo numero di non giocatori, persone che, a causa di qualche difetto strutturale, non riescono a trovare nessun gioco che apprezzano e che di conseguenza si relegano nel ruolo di esclusi cronici, alienati dalla società e spesso mentalmente disturbati, tendenti all’asocialità e al crimine.

    I GIOCHI SUPERIORI

    Raramente i meta-giochi sono giocati nella loro forma pura. Idealmente il Gioco dell’Arte è rivolto all’espressione di un sentimento interiore definito in termini vaghi come bellezza. Questo sentimento è puramente soggettivo: ciò che è bello per qualcuno può essere orribile per un altro, la bellezza di un’età della vita può sembrare orribile a un’altra età. Ci sono poi giocatori di questo gioco che, del tutto incapaci di provare tale sentimento, hanno semplicemente delle conoscenze tecniche e imitano i veri giocatori uniformandosi alla moda, qualunque essa sia. Il Gioco dell’Arte, come viene giocato oggi, è pesantemente contaminato da interessi commerciali, e l’avidità del collezionista lo impregna come un cattivo odore; inoltre, è reso ancora più complesso dalla tendenza a mettersi in mostra che affligge la maggior parte degli artisti contemporanei, che si tratti di pittori, scultori, scrittori o compositori. Le tradizionali idee di bellezza sono state abbandonate e tutto è accettabile, a patto che sia nuovo e che sorprenda. Ciò rende praticamente impossibile sapere se un’opera d’arte corrisponde alla sensibilità interiore dell’artista o se è unicamente il risultato del suo sforzo di fare il furbo.¹¹

    Anche il Gioco della Scienza è raramente giocato nella sua forma pura. In genere è una sorta di gioco di destrezza, uno stucchevole ronzio su pochi punti basilari emesso da ricercatori che sono poco più che tecnici pieni di lauree. Questo gioco è diventato così esteso, complesso e costoso che vengono privilegiate operazioni più o meno di routine. Tutto ciò che è realmente originale tende ad essere escluso dal formidabile spiegamento di comitati che si frappone tra lo scienziato e i fondi di cui ha bisogno per le sue ricerche, con il risultato che o adatta il suo programma di ricerche alle idee preconcette di quei comitati o si trova privo di fondi. Inoltre, tanto nel Gioco della Scienza quanto in quello dell’Arte è presente molta insincerità e una frenetica ricerca di status che, invece che alla serietà delle pubblicazioni, assegna priorità a interminabili dispute puerili; il gioco non è più giocato in nome della conoscenza, ma per gonfiare l’ego degli scienziati.

    A questi due giochi dobbiamo aggiungere il Gioco della Religione, un meta-gioco il cui obiettivo è vagamente definito in termini di raggiungimento della salvezza. In passato, questo gioco aveva delle regole ben precise. Era giocato essenzialmente da una classe sacerdotale che lo giocava per ricavarne benefici personali e che, per trovare fedeli che partecipassero allo stesso gioco, ha inventato varie divinità con cui solo quella classe poteva comunicare, placarne l’ira e ottenerne la collaborazione. Chi voleva aiuto dagli dèi o desiderava allontanare da sé la loro ira doveva pagare i preti perché intercedessero. Il gioco divenne molto animato e la presa dei preti sulla mente delle loro vittime si rafforzò ulteriormente grazie all’invenzione di due stati successivi alla morte: un paradiso beatifico e un inferno terrificante. Per salvarsi dall’inferno e garantirsi il paradiso, chi giocava a questo gioco doveva pagare in anticipo i preti, oppure dovevano farlo i parenti dopo la sua morte. L’aspetto emolumento ai preti del Gioco della Religione ha indotto molti spiriti cinici a definirlo la manipolazione della fiducia più vecchia del mondo, volta a consentire a individui privi di scrupoli di trarre vantaggio dalla credulità e dalla suggestionabilità dei loro seguaci, intercedendo a favore di questi ultimi presso qualche nebulosa divinità o garantendo l’ingresso in un paradiso altrettanto nebuloso. Fu questo aspetto del gioco della religione a far esclamare a Sigmund Freud, più con amarezza che con ira: Il tutto è così manifestamente infantile, così lontano dalla realtà, che chiunque sia mosso da un sentimento filantropico prova dolore al pensiero che la stragrande maggioranza degli esseri umani non sarà mai in grado di collocarsi al di sopra di questa concezione della vita.¹²

    Un aspetto particolarmente mostruoso del Gioco della Religione è quello legato al fatto che alcuni preti sostengono che il loro tipo di divinità è l’unico reale e che la loro forma di gioco religioso è l’unica consentita. Nell’ansia di avere tutto il Gioco della Religione nelle loro mani non esitano a sottoporre a persecuzioni, torturare e uccidere chiunque voglia giocare allo stesso gioco con regole diverse. Questa pratica venne avviata dagli Ebrei, il cui entusiasmo per il loro unico, vero e terribilmente geloso dio-padre giustificava le stragi che, da sole, costituiscono una parte rilevante del Vecchio Testamento. La stessa pratica venne adottata con ardore dai cristiani che, non paghi per le stragi di ebrei e musulmani, si attaccarono tra di loro come cani rabbiosi in una lunga serie di orribili guerre di religione: cattolici contro protestanti. Gli islamici, che presero le regole del gioco allo stesso modo dagli ebrei e dai cristiani, non mancarono di copiare i cattivi comportamenti di entrambi. Il Corano esorta i credenti a muovere guerra agli infedeli, il cui sterminio assicura l’ingresso nel paradiso islamico (un paradiso molto più lussureggiante dell’insipida faccenda offerta dai preti cristiani ai loro fedeli).

    Sarebbe molto più semplice limitare la descrizione del Gioco della Religione a quanto appena detto, senza ulteriori spiegazioni, ma purtroppo è impossibile. Limitarci a definire questo gioco come il più vecchio inganno del mondo sarebbe manifestamente infantile (per riprendere le parole di Freud) quanto prendere alla lettera l’immagine di un dio-padre antropomorfo che fluttua coperto da un lenzuolo nella stratosfera, circondato da cherubini, serafini e altre specie improbabili di fauna celeste (il vertebrato gassoso ridicolizzato da Ernst Haeckel). Il motivo è che dovrebbe essere evidente a qualunque osservatore oggettivo che nel Gioco della Religione è presente un altro elemento oltre allo sfruttamento della credulità dei fedeli e la vendita di biglietti d’ingresso per un paradiso inventato. Infatti, tutte le grandi religioni ci offrono esempi di santi e mistici che non hanno giocato questo gioco a scopi materiali e la cui indifferenza nei confronti della ricchezza, delle comodità e della fama era tale da suscitare meraviglia e ammirazione. Nei loro scritti e nei loro detti è altrettanto evidente che non erano così ingenui da prendere sul serio né il vertebrato gassoso né le arpe dorate del paradiso, e nemmeno le fornaci dell’inferno. Il loro modo di giocare si fondava su regole completamente diverse e aveva finalità totalmente distinte dagli inganni dei preti, che facevano pagare a caro prezzo il viaggio in paradiso pretendendo il pagamento anticipato (senza possibilità di restituzione della somma in caso di non completa soddisfazione).

    A che gioco giocavano quei mistici? All’interno della matrice imposta dalla loro religione, quei giocatori cercavano di giocare il gioco più difficile di tutti, il Master Game, il cui scopo è il raggiungimento della totalità della coscienza, chiamato anche risveglio. Era abbastanza naturale giocare a questo gioco nell’ambito di una matrice religiosa, perché in fondo l’idea di base di tutte le religioni è che l’uomo è addormentato, che vive di sogni e di illusioni e che si allontana dalla coscienza universale (l’unica definizione di Dio che abbia un senso) per strisciare dentro il minuscolo guscio di un io individuale. Uscire da questo piccolo guscio, riunirsi alla coscienza universale, passare dall’oscurità dell’illusione dell’io alla luce del non io, ecco il vero obiettivo del Gioco della Religione com’era inteso dai grandi maestri: Gesù, il Buddha, Krishna, Mahavira, Lao-tze e il Socrate platonico. Nell’Islam, questa concezione era diffusa dai Sufi, che cantavano in versi le delizie della riunificazione con l’Amico. Tutti questi giocatori sapevano chiaramente che il Gioco della religione, così come veniva giocato da preti avidi con le loro squallide manipolazioni della fiducia, le promesse e le minacce, le persecuzioni e le uccisioni, era un orribile travestimento del vero gioco, una terribile conferma della verità delle parole: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me… Hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono….

    Così rari erano quelli che condividevano questa visione che, almeno all’interno della matrice religiosa cristiana, fu per secoli rischioso per la vita stessa del giocatore tentare di giocare il Master Game. Giocatori di grande serietà si videro accusati di eresia, incarcerati dall’Inquisizione, torturati e bruciati vivi. Giocare apertamente divenne impossibile e per sopravvivere occorreva mascherarsi e fingere di interessarsi di magia o di alchimia, cose permesse dai preti che non ne comprendevano il vero significato.

    L’alchimia era relativamente sicura grazie al suo scopo dichiarato, la trasmutazione dei metalli in oro, che non sfidava in alcun modo l’autorità sacerdotale. Molti giocatori del Master Game celavano quindi i loro veri scopi dietro la maschera dell’alchimia, riformulando le regole del gioco in un complesso codice segreto in cui la trasmutazione del corpo veniva descritta in termini di mercurio, zolfo, sale e altri elementi naturali. Ovviamente, molti alchimisti prendevano questa scienza alla lettera, convinti che la Grande Opera riguardasse davvero la produzione dell’oro materiale, convinzione che ne gettò molti in miseria e avvelenò la loro vita, e creò involontariamente le fondamenta della chimica moderna. Ma per il vero alchimista la trasmutazione riguardava la creazione dell’aurum non vulgi, rappresentato anche nella figura dell’homunculus, entrambi simboli dell’emersione dell’uomo cosmico, dotato della pienezza di coscienza, dalla marionetta ego-riferita che va sotto il nome di uomo, pur essendo una patetica caricatura di ciò che l’uomo potrebbe essere. Con tanta efficacia gli alchimisti nascosero i loro segreti che a Carl Gustav Jung (forse la massima autorità sull’argomento) occorse tutto il suo genio intuitivo e una parte consistente della vita per penetrarli.¹³

    Oggi, giocare o tentare di giocare il Master Game non è più pericoloso. La tirannia dei preti è sostanzialmente finita; il Gioco della Religione, benché basato su inganni come sempre, non può più minacciare torture e morte; gran parte dell’antico odio è scomparso, ed è persino possibile che preti con l’etichetta di cattolico siano moderatamente cortesi con coloro che portano l’etichetta, un tempo tanto detestata, di protestante. Il gioco è quindi attualmente giocato con molte restrizioni, non perché i suoi giocatori siano diventati più tolleranti, ma perché tutta la faccenda di paradiso e inferno, salvezza e dannazione, non è più presa troppo sul serio. Persino i teologi ammettono che il vecchio dio-padre (il vertebrato gassoso di Haeckel) è morto per chiunque abbia un livello di coscienza un po’ più elevato dei Testimoni di Geova. Oggi è una lotta tra sistemi politici rivali più che tra teologie in conflitto.

    Ma la sicurezza con cui ormai si può giocare il Master Game non ha contribuito a renderlo più popolare; rimane ancora il più difficile ed esigente dei giochi, e nella nostra società i giocatori sono pochissimi. L’uomo contemporaneo, ipnotizzato dal luccichio dei suoi stessi gadget, ha scarso contatto con il mondo interiore ed è interessato più allo spazio esterno che a quello interno. Il Master Game si gioca infatti interamente nel mondo interiore, un territorio ampio e complesso di cui gli uomini conoscono pochissimo. Obiettivo del gioco è il vero risveglio, il pieno sviluppo dei poteri latenti nell’uomo. Il gioco può essere giocato solo da coloro che, attraverso l’osservazione di se stessi e degli altri, sono giunti a una precisa conclusione: lo stato ordinario di coscienza, il cosiddetto stato di veglia, non è il livello di coscienza più elevato di cui l’uomo è capace. Anzi, questo stato è così lontano dal vero risveglio che può essere giustamente definito uno stato di sonnambulismo, un sonno da svegli.¹⁴

    Una volta giunto a questa conclusione, nessuno può continuare tranquillamente a dormire. Nasce un nuovo anelito, una sete di vero risveglio, di pienezza della coscienza. Ora sappiamo di vedere, udire e conoscere solo una piccola parte di ciò che potremmo vedere, udire e conoscere; capiamo di vivere nella stanza più misera e meschina della nostra dimora interiore, ma di avere la possibilità di entrare in altre stanze, splendide

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